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Full text of "Archivio glottologico italiano"

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1924. 


ARCHIVIO 

GLOTTOLOGICO  ITALIANO, 


FONDATO 
DA 

a.    I.  ASCOLI 

NEL    J>).      ;    ORA    CONTINUATO    SOTlO    LA    DIREZIONE 

DEL 

Prof.   P.  O.  GOIDÀNICH 

Ordinario  di  glottologia  nell'Università  di  Bologna. 


VOLUME  DECIMOTTAVO 


TORINO 

Casa     Editrice 

GIOYAKNI    OHIAIS^TORE 

Successore  ERMANNO  LOESCHER 
1914-1918-1922 


Rlser-vato    ogni    diritto    di   proprietà 
e    di    trad-uzione 


o^'i 


Torino  —  Stabilimento  Tipografico  Vincenzo  Bona. 


SONUVLARIO 


Alberto  Talmon,  Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato     . 

B.  A.  Terracini,  Il  parlare  d'Usseglio  {Continuazione) 

Angelico  Prati,  Ricerche  di  toponomastica  trentina  (il)  . 

Giovanni  Flechia,  Lessico  piveronese,  edito  da  Giuseppe  Flechia 

Angelico  Prati,  Etimologie  e  appunti  vari        .         .    ~     .         , 

Cesare  Poma,  Numeri  come  cognomi  ...... 

—  —  Fallaci  apparenze  in  cognomi  italiani     .... 

Pietro  Gabriele  Goidànich,  Ancora  delle  sintesi  linguistiche  . 

— ■  —  Di  un  preteso    aurufice 

Umberto  Valente,  Nomenclatura  dell'ape  in  alcune  regioni  setten- 
trionali d'Italia  e  specialmente  nelle  valli  del  Pellice  e 
del  Chisone     ......... 

Giuseppe  Malagòli,  Fonologia  del  dialetto  di  Novellara  . 

Angelico  Prati,  Raggranellando  ...... 

Pietro  Gabriele  Goidànich,  Note  al  precedente  lavoro     . 

Nunzio  Maccarrone,  Appunti  sulla  lingua  di  G.  A.  Faye  speziale 
lunigianese  del  sec.  XV  ...... 

Aldo  Aruch,  Un  lessichetto  ravennate  del  secolo  XVII    . 

Giacomo  Braun,  Della  "  Mascalcia  ,  di  Lorenzo  Rusio 

Angelo  Bongiovanni,  False  apparenze  etimologiche  in  cognomi  ita 
liani         .......... 

Dante  Olivieri,  Sul  n.  loc.  veronese  Zèrpa  .... 

Pietro  Gahrielk  Goidànich,   Postille  alla  nota  precedente 


Fag.      1 

.  105 

,  195 

,  276 

,  328 

.  345 

,  353 

.  362 

,  865 


366 
368 
395 
471 

475 
533 
543 

559 
573 
575 


IV  Sommario 

Appunti  bibliogniflci  : 

Pietro  Gabuiele  Goidànich,  Codice  Diplomatico  Barese,  voi.  Vili    .      Pag.  1 

Testi  italiani  dialettali  in   trascrizione  fonetica,    P.  I.  Italia 

settentrionale,  di  Carlo  Battisti «1'- 

Die  Mundart  von  Valvestino,  di  Carlo  Battisti      .         .         .  ,     189 

Bibliographie  phonétique.  Italie,  1910-1911,  di  B.  A.  Terracini         ,       ivi 

—  —  La  Vita  di  San  Mummoleno  ovvero  la  tradizione  più  antica 

intorno  all'uso  del  lat  volg.  nelle  Gallie,  di  E.  Cocchia    .         ,     191 

—  —  Wordformation  in  Proven9al,  di  E.  L.  Adam    .         .         .         .         ,193 

—  —  e  Cesare  Poma,    Attraverso    l'onomastica    del    Medio  Evo   in 

Italia,  di  A.  Trauzzi      .........     384 

Angelico  Prati,    Contributo    alla    sintassi    dei    dialetti    italiani,    di 

Mario  Filzi 578 

Dante  Olivieri,  Contributi  al  lessico  etimologico  romanzo,  con  par- 
ticolare considerazione  al  dialetto  e  ai  subdialetti  siciliani, 
di  Giacomo  De  Gregorio         ........     579 

Angelo  Bongiovanni,  Tracce  di  bassa  latinità  nei  cognomi  piemon- 
tesi, di  Attilio  Levi       .........     584 


Cenni  necrologici  : 

Mario  Pelaez,  Ernesto  Monaci  (1844-1918) 

Alberto  Trauzzi,  Egidio  Gorra  (1861-1918) 

B.  a.  Terracini,    Carlo  Salvioni  (1858-1920) 

Pier  Enea  Guarnerio  (1854-1919)       .         .         .         . 

Correzioni  e  giunte  (Angelico  Prati  -  Nunzio  Maccarrone) 

Indici  del  volume 


392 
393 
586 
601 

603 

605 


Carta  della  Val  Chisone  con  Val  di  Susa    e    Val  San  Martino,  tra 
le  pagine  12  e  13. 


ALBERTO    TALMON 


SAQGIO 


DIALETTO   DI   PRAGELATO 


INTRODUZIONE 

Oggetto  del  presente  studio  è  la  descrizione  del  dialetto  parlato  at- 
tualmente a  Pragelato,  nell'alta  Val  Chisone  (Mandam.  di  Fenestrelle, 
Circ.  di  Pinerolo,  Prov.  di  Torino). 

Cenni  corografici  e  storici  su  Val  Chisone, 
con  speciale  riguardo  al  tratto  superiore  chiamato  Valle  di  Pragelato  ' 

1.  La  valle  del  Chisone  è  fra  le  principali  che  si  aprono  nel  vei-- 
sante  orientale  delle  Alpi  Cozie.  A  levante  e  a  mezzogiorno  confina 
colla  valle  di  S.  Martino,  ad  occidente  con  quella  d'Oulx  e  di  Cesana, 
a  tramontana  colla  valle  di  Susa;  a  greco  è  circoscritta  dalle  montagne 
che  danno  origine  alla  valle  bagnata  dal  torrente  Sangone. 

Il  contrafforte  che  si  stacca  dalla  dorsale  alpina  al  Gran  Queyron, 
dopo  breve  tratto  con  direzione  nord  (Punta  Rondel,  la  Vergia),  a  Monte 
Appenna  si  divide  in  due  rami,  che  racchiudono  la  valle  interna  del  Chi- 
sone (o  elusone). 


*  Cfr.  PiTTAviNO,  Cronaca  di  Pragelato  (Pinerolo,  Tip.  Sociale,  1905).  — 
Carutti,  Storia  di  Pinerolo  (Pinerolo,  Tip.  Chiantore  e  Mascarelliì,  1893). 
—  Caffaro,  Notizie  e  documenti  della  Chiesa  Pinerolese  (Id.,  id.,  1888).  — 
Casalls,  Dizionario  geografico-storico  degli  Stati  Sardi  (Torino,  1833-56).  — 
Vegezzi-Ruscalla,  Diritto  e  necessità,  ecc.  (Torino,   Bocca,  1861). 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  1 


2  Alberto  Talmon, 

Il  ramo  di  destra,  o  masso  dell'Albergian,  separa  il  Chisone  dalla 
Germanasca  suo  affluente:  da  M.  Appanna  procede  verso  nord  fino  al- 
l'Albergian  (ni.  3043),  quindi  volgendo  a  sud-est,  prosegue  con  la  sua 
principale  diramazione  fino  alla  Punta  del  Cerisier  che  sovrasta  a  Po- 
mai'etto,  di  fronte  a  Perosa  Argentina.  Dalla  sua  origine  al  Colle  delle 
Tane  ha  carattere  aspro,  poi  è  di  natura  più  praticabile  :  valicato  da 
buone  mulattiere  peri  Colli  del  Piz  (2606  m.)  e  dell'Albergian  (2764  m.) 
assume  una  grande  importanza  per  il  passaggio  che  questi  due  colli 
consentono  dal  Colle  di  Sestrières  e  da  Val  Troneea  sul  fianco  di  Fe- 
nestrelle. 

Il  ramo  di  sinistra,  fra  Chisone  e  Dora  Eiparia,  va  con  andamento 
quasi  semicircolare  per  Punta  Rognosa  (3277  m.),  Colle  di  Sestrières 
(m.  2069),  Monte  Praitève  (2701  m.),  Assietta  (2567  m.).  Monte  Orsiera 
(ni.  2878)  e  Monte  Rocciavró  (2278  m.)  ove  si  suddivide  in  due  rami 
che  abbracciano  il  bacino  di  Sangone  e  terminano  nella  pianura  fra 
Pinerolo  e  Rivoli. 

Per  la  sua  forma  e  struttura,  questo  contrafforte  fra  Dora  e  Chisone 
può  distinguersi  in  parecchi  tratti:  —  il  Masso  della  Rognosa,  dal  Gran 
Queyron  al  Colle  di  Sestrières  —  la  Zona  M.  Praitève-Assietta,  dal 
Colle  di  Sestrières  al  Colle  delle  Finestre  —  il  Masso  di  M.  Orsiera  — 
il  Bacino  del  Sangone  o  Conca  di  Giaveno  —  Il  Gruppo  collinoso  Avi- 
gliana-Rivoli. 

La  prima  zona  è  fino  a  Punta  Rognosa  una  massa  rocciosa,  supe- 
riore ai  3000  m.,  copei'ta  generalmente  di  nevi,  impraticabile  all'infuori 
di  pochi  passaggi,  ti'a  cui  quello  di  Rodoretto  è  mulattiero.  Da  P.  Ro- 
gnosa si  abbassa  fortemente  api-endosi  in  due  rami  che  abbracciano  il 
Chisonetto  (Clusonet),  dei  quali  uno  fiancheggia  il. Colle  di  Sestrières. 
—  'La  zona  M.  Fraitève-Assietta,  che  dal  Colle  di  Sestrières  va  a  quello 
delle  Finestre,  ha  struttura  assai  diversa  ed  è  tutta  praticabile.  Il  Colle 
di  Sestriere  (2027  m.)  è  un'insellatura  di  quasi  un  km.  di  larghezza, 
dolcemente  ondulata  a  prati  e  pascoli,  che  dà  passo  alla  strada  nazio- 
nale Pinerolo-Monginevra.  Il  Monte  Praitève  è  il  punto  più  elevato  della 
cresta  (2701  m.);,  e  si  spinge  a  guisa  di  cuneo  contro  il  Monginevra. 
Dal  Praitève  al  Gran  Serin  la  cresta  è  valicata  da.  mulattiere  assai 
buone  ai  Colli  Basset  (2425  m.),  Bourget  (2284  m.),  Costapiana  (2373  m.), 
Blégier  (2376  m.),  Lauson  (2497  m.),  Assietta  (2472  m.),  i  quali  colle- 
gano rispettivamente:  Oulx  e  Traverse  —  Oulx  e  Souehères-Hautes  — 


Sagr^-io  sul  dialetto  di   Fragelnto  3 

Ouix  e  Riià  —  Salbertrand  e  Ruà  — -  Exilles  e  Pourrières.  Tra  il  masso 
dell'Assietta  e  il  masso  dell'Orsiera,  e  più  precisamente  tra  M.  Pouas  e 
M.  Pelvo,  il  frequentatissimo  Colle  Finestre  (2215  m.),  accessibile  ai  ca- 
valli, collega  Susa  e  Fenestrelle.  —  Il  Colle  dell'Orsiera  (2595  m.),  pra- 
ticabile a  cavallo  superiormente  a  Fenestrelle,  mette  a  Susa  e  Bussoleno. 
Altri  colli,  tra  la  valle  di  Susa  e  la  parte  inferiore  di  Val  Chisone:  il 
Colle  di  Malanotte,  al  disopra  di  Villaretto,  che  tende  a  Bussoleno;  il 
Colle  di  Sablon,  vicino  a  quello  di  Malanotte,  che  mette  a  S.  Antonino 
di  Susa  :  il  Colle  della  Roussa  superiormente  al  Fayet  (Roure),  che  ac- 
cenna ad  Avigliana. 

Il  contrafforte  che  separa  la  valle  del  Chisone  da  quella  di  S.  Mar- 
tino, presenta  pure  valichi  di  comunicazione  tra  le  due  valli:  Colle  del 
Piz  (2606  m.)  praticabile  a  eavallo,  tra  Ruà  di  Pragelato  e  Balziglia  ; 
Colle  dell'Albergian  (2764  m.)  pure  praticabile  a  cavallo,  tra  Fenestrelle 
e  Balziglia;  Colle  delle  Tane,  praticabile  solo  a  piedi,  superiormente  a 
Bourcet,  tra  Roure  e  Maniglia  ;  Colle  del  Clapier,  praticabile  a  cavallo, 
tra  Bourcet  e  Maniglia  e  Ferrerò  ;  Colle  della  Buffa,  praticabile  a  ca- 
vallo, tra  Castel  del  Bosco  e  Ferrerò;  Colle  del  Cerisier,  superiormente 
al  Bee  Dauphin,  tra  Meano  e  il  villaggio  di  Cerisier  nella  valle  di 
S.  Martino. 

La  valle  del  Chisone  non  à  veri  ghiacciai,  e  però  variabili  sono  le 
condizioni  della  portata  d'acqua  nelle  diverse  epoche  dell'anno.  Gli  am- 
massi nevosi  e  le  sorgenti  recano  acque  al  torrente  :  il  versante  destro 
ricco  di  valli  e  valloni  tributai'i  vi  concorre  in  maggior  copia  del 
sinistro. 

Il  torrente  Chisone  che  dà  nome  alla  valle,  nasce  a  M.  Ajjpenna,  a 
ra.  2800,  dal  contrafforte  tra  Germanasca  e  Dora  Riparia  e  sbocca  in 
piano  a  Pinerolo  dopo  un  percorso  di  60  km. 

A  sinistra  il  Chisone  riceve  il  Chisonetto  che  scende  dalle  aspre  al- 
ture della  Rognosa,  il  Rio  dell'Assietta,  quelli  della  Mola  e  di  Usseaux  ; 
più  in  basso  scendono  i  Rii  di  Puy,  Villaretto  e  Roussa.  A  destra  ri- 
ceve il  rio  imi^ortante  dell'Albergian,  indi  i  torrentelli  di  Bourcet  e 
Garnier;  a  Perosa  Argentina  accoglie  il  grande  torrente  della  Germa- 
nasca che  à  origine  dalle  acque  dei  valloni  di  Massello,  Salza,  Rodoretto, 
Praly,  Faetto  e  Riclaretto. 

La  lunghezza  totale  del  Chisone  dalle  sue  scaturigini  alla  sua  con- 
fluenza nel  Pelliee  si  approssima  a  09  Km.  La  valle    piglia    nomi    spe- 


4  Alberto  Talmon, 

ciali  a  seconda  della  sua  posizione.  Chiamasi  Val  Troncea  dalle  sorgenti 
del  Chisone  a  Pattemouche,  ove  accoglie  il  Chisonetto  (o  Clusonet)  ; 
Valle  di  Pragelato  da  Pattemouche  a  Fenestrelle;  da  questa  cittadina 
sino  alla  rupe  di  Bec-Dauphin  prende  nome  di  Valle  di  Fenestrelle. 
Complessivamente  il  tratto  della  valle  dal  Colle  di  Sestrières  al  Bec- 
Dauphin  è  detto  Val  Chisone  (o  Clusone).  Dal  Bec-Dauphin  a  Porte 
chiamasi  Valle  di  Perosa.  È  da  notare  però  che  si  riscontra  una  grande 
incostanza  nell'uso  di  queste  denominazioni. 

In  carte  anteriori  al  Mille  troviamo  che  il  fiume-torrente  dava  il 
nome  alla  valle,  detta  perciò  Vallis  Clusii:  in  progresso  di  tempo  il 
Clusium  con  pronunzia  gallica  fu  detto  Cluslon  e  Cluxon,  onde  la  de- 
nominazione di  Vallis  Clusonia,  Vallis  Cluxonis  '.  Già  anticamente 
questa  valle  si  considerava  divisa  in  due  parti:  però  i  limiti  d'allora  non 
erano  gli  stessi  dei  tempi  posteriori.  Infatti  nel  1246,  31  gennaio,  si  fa 
cenno  de  valle  duxoni  scilicet  a  ponte  veteri  usque  ad  fontem  Olagnerii... 

e  di  alia  valle scilicet    ad   fontem    Olagnerii  supra  usque  ad   collem 

sistrere  (Cart.  di  Pin.^  p.  185).  La  prima  anticamente  già  chiamata  Val 
Dubiasca,  indi  Val  Pineirasca  o  Val  di  Pinasca,  fu  poi  comunemente 
detta  Val  di  Perosa;  e  l'altra  venne  volgarmente  suddivisa  dopo  l'intro- 
duzione del  Calvinismo  in  Pragelato,  verso  il  1560,  in  Valle  di  Chisone 
o  di  Fenestrelle  (la  parte  inferiore  abitata  specialmente  da  cattolici)  e 
in  Valle  di  Pragelato  (la  parte  superiore  invasa  dai  protestanti).  Il  pre- 
detto fonte  Olagnerii,  pur  detto  degli  Aulanets  o  Aulaneti  (sotto  il 
casale  di  Serre  presso  Castel  del  Bosco),  segnava  pure  i  confini  della 
giurisdizione  ecclesiastica  dell'abate  di  Pinerolo  e  del  prevosto  d'Oulx  ; 
fu  anche  il  primo  termine  del  Delfinato  e  del  Piemonte  (ad  hoynas 
Comitatus  Dalphini),  ma  avendo  i  Delfini  spinto  i  loro  confini  sino  al 
Bec-Dauphin,  quest'ultimo  divenne  anche  il  limite  di  Val  Chisone.  Il 
tratto  superiore  fu  detto  Pragelato  da  Pratagelada  o  Pratogelada  per 
essere  quei  poggi  coperti  di  neve  nella  più  gran  parte  dell'anno. 

2.  È  argomento  di  dotta  controversia  se  sia  questa  del  Chisone  o 
quella  della  Dora  Riparia  la  valle  percorsa  da  Annibale  nella  sua  famosa 


^  Cart.  di  Fin.,  p.  73-182:  Vallis  cluxonis  o  cidxonìs  (anni  1175-1246).  — 
De  Thon  (Histoire,  tom.  II,  lib.  27,  p.  10  ;  ediz.  Parigi,  1606)  :  Aperitur  vallis 
clusonia  traiisalpes  a  Clusione. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  ~^ 

traversata  del  218  a  C,  riuscendo  ad  Ocelum  ad  fines  terrae  Cottii. 
Alcuni  scrittori  opinano  clie  Annibale,  dopo  aver  superato  il  Mongi- 
nevra,  giunto  a  Scingomago  (Cesana)  abbia  valicato  l'attuale  Colle  di 
Sestrières,  Porta  Sistraria,  e  sia  disceso  ad  Ocelum  in  Val  Chisone, 
rispondente  all'odierna  Usseaux,  e  di  li  a  Fines  terrae  Cottii  (Fenestrelle). 
Secondo  altri  invece  la  valle  percorsa  da  Annibale  sarebbe  quella  della 
Dora  Riparia,  e  V Ocelum  ad  fines  terrae  Cottii  si  farebbe  corrispondere 
a  Drubiaglio,  confine  orientale  fra  i  Taurini  e  Cozio. 

Qualunque  delle  due  sia  la  valle  percorsa  da  Annibale  è  certo  che 
una  gran  linea  di  comunicazione  risaliva  la  valle  del  Chisone  e  per 
Porta  Sistraria  e  Scingomago  valicava  le  Alpi  a  VAlpis  Cottia,  ora 
Monginevra  (Strabone,  lib.  IV  e  V)  ;  e  che  questa  via  conducente  nelle 
Gallie  fu  praticata  dai  Romani  assai  prima  di  quella  di  Susa  passante 
per  Oulx,  e  non  cessò  d'esser  frequentata  anche  dopo  che  il  regolo 
Cozio  in  grazia  di  Augusto  fece  rassettare,  se  pure  non  costrusse  sem- 
plicemente, quella  di  Susa  per  il  detto    Monginevra. 

Era  Cozio,  figlio  di  re  Dauno,  signore  di  queste  Alpi,  che  perciò  eb- 
bero il  nome  di  Cozie:  il  piccolo  regno  si  estendeva  tra  il  Moneenisio 
e  il  Monginevra,  con  capitale  Segusium  (Susa),  e  Monte  Sestrières  n'era 
il  limite  naturale  dal  lato  di  Val  Chisone.  Augusto  concedette  a  Cozio 
il  titolo  di  prefetto  ed  estese  il  suo  dominio  nella  valle  poi  detta  di 
Pragelato,  o  meglio  da  M.  Sestrières  a  Fenestrelle,  che  derivò  appunto 
il  suo  nome  da  Fines  terrae  Cottii  ^  Questo  luogo  sembra  risulti 
pure  nell'itinerario  del  Geografo  Ravennate  indicante  la  strada  del 
Monginevra  per  Occelio  (Ocelum)  e  Torino,  senza  far  menzione  di  Susa: 
Alpedia  (Alpette  sul  Monginevra)  —  Gessabone  (Cesana)  —  Occelio 
(Usseaux)  —  Fines  (Fenestrelle)  —  S.    Taurinis  (Stazione  a  Torino). 

L'imperatore  Claudio  innalzò  la  prefettura  di  Cozio  al  titolo  di  regno, 
indi  Nerone  ne  ridusse  l'angusto  dominio  a  condizione  di  provincia 
{Provincia  Alpiuni  Cottiarum),  che  i  Romani  governarono  a  mezzo  di 
prefetti  fino  al  447  ^ 


^  Il  Fities  terrae  Cottii  nelle  carte  dei  tempi  di  mezzo  trovasi  alterato 
in  Finestellne,  FenesfeUae,  e  Finestrellae,  Feiiestrellae,  per  la  diversa  maniera 
di  pronunziarlo  usata  dalle  confinanti  popolazioni  di  due  alterate  lingue 
diverse,  italiana  e  francese. 

•  PiLOT,  Recherches  sur  les  ctntiquités  dti  Dauphiné,  p.  246. 


6  Alberto  Talmoii, 

Posteriormente,  dopo  infinite  vicende  e  invasioni  di  Vandali,  Unni, 
Goti,  Ostrogoti,  il  luogo  di  Fenestrelle  e  gli  altri  della  valle  cliisonana 
sotto  i  Longobardi  fecero  parte  del  Ducato  di  Torino,  e  sotto  i  Caro- 
lingi appartennero  ai  Marchesi  di  Susa,  conti  di  Torino,  jierehé  il  Du- 
cato e  Comitato  di  Torino  si  estendevano  sino  ai  gioghi  dell'Iserano,  del 
Moncenisio  e  del  Monginevra. 

Estinti  i  Carolingi,  Val  Chisone  e  le  altre  valli  Pinerolesi  furono  sotto 
la  signoria  dei  Marchesi  d'Ivi^ea,  quali  conti  di  Torino,  e  dopo  il  950 
(quando  la  marca  d'Ivrea  fu  da  Berengario  smembrata  in  quattro)  fecero 
parte  della  marca  d'Italia,  la  quale  comprendeva  le  contee  di  Torino, 
Saluzzo,  Mondovì,  Asti,  Alba,  Albenga  e  Ventimiglia.  Nel  sec.  XI  ne 
acquistarono  il  dominio  i  Conti  di  Savoia  pel  matrimonio  di  Oddone 
colla  grande  Marchesa  Adelaide. 

La  marchesa  Adelaide  donò  la  pili  parte  di  Val  Chisone  all'Abbadia 
pinerolese  di  S.  Maria:  nell'atto  di  fondazione  dell'Abbadia  dell' 8  set- 
tembre 1064  e  nell'altro  di  donazione  alla  medesima  in  data  5  maggio  1078, 
sono  già  espressamente  nominati  i  villaggi  de  Villareto  (Villaretto), 
Mentale  (Mentoulles),  Fenestrella  (Fenestrellae),  Uxello  (Usseaux),  Balbo- 
tera  (Balboutet),  Porrera  o  Porraria  (Pourrières),  Frassena  o  Fraxena 
(Praisse),  Pratagelada  o  Pratogelada  (Pragelato)  usque  ad  Petram 
Sextariam  o  Sestrera  (Sestrières).  Gli  abitanti  professavano  la  religione 
cattolica,  giacché  la  marchesa  Adelaide  vi  eresse  quatti'O  Chiese  sog- 
gette dal  Papa  Urbano  II  e  per  consenso  del  vescovo  di  Torino  Guiberto  I 
alla  giurisdizione  del  Prevosto  d'Oulx. 

In  Val  Chisone  sembra  sia  da  escludersi  la  presenza  di  famiglie  be- 
neficiarie, a  meno  che  si  voglia  ammettere  che  il  paese  del  Bec-Dauphin 
a  Sestrières  costituisse  un  grande  benefizio  dei  Conti  d'Albonne,  signori 
del  Deltìnato,  sin  dall'epoca  della  donazione  di  Adelaide  all'Abbazia 
Pinerolese.  Infatti  l'essere  la  valle  soggetta  spiritualmente  ad  un  altro 
monastero,  quello  di  S.  Lorenzo  d'Oulx,  cenobio  delfinasco,  spiegherebbe 
tino  a  un  certo  punto  l'intromissione  dei  Delfini  in  Val  Chisone  :  costoro 
dopo  il  1064,  non  curandosi  degli  alti  diritti  signorili  degli  abati  pi- 
nerolesi, cominciarono  a  poco  a  poco  ad  assoggettarsi  direttamente 
quella  regione,  la  quale  verso  la  fine  del  secolo  XII  fu  staccata  defi- 
nitivamente dal  dominio  abbaziale  (dal  Conte  Guigo  II  detto  il  Grosso) 
e  riunita  al  Delfinato  di  cui  fece  parte  per  più  di  cinque  secoli  ^ 


*  PiTTAVJNO,   Cronaca  di  Pragelato  cit.,  pag.  8. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  7 

Il  dominio  dei  conti  d'Albonne,  detti  poscia  Delfini  di  Vienna,  giunse 
fino  un  po'  sopra  Perosa,  dove  rimase  il  nome  ad  una  rupe  chiamata 
Bec-Dauphin. 

Pu  appunto  nel  procelloso  tempo  in  cui  i  Delfini  di  Vienna  s'inse- 
diarono nella  valle,  o  poco  dopo,  che  i  Valdesi,  cosi  detti  presumibil- 
mente da  Pietro  Valdo,  vennero  a  ricoverarsi  nei  mal  certi  confini  del 
Delfinato  e  del  Piemonte.  Questi  dissidenti,  gli  "  Hmniliati  vel  Pauperes 
de  Lugduni  „,  sbanditi  dalla  diocesi  di  Lione  dall'arcivescovo  Bales- 
Mays  e  condannati  da  Alessandro  III  nel  Concilio  Laterano  del  1179, 
verso  il  1183  si  rifugiarono  nel  Delfinato,  donde  si  introdussero  nella 
valle  di  Pragelato  negli  anni  tra  il  1188  e  il  1207,  giungendo  fino  al 
villaggio  di  Porte.  Col  tempo  crebbero  di  numero  coi  nuovi  venuti  e 
da  Pragelato,  loro  centro  primitivo,  si  diffusero  nelle  valli  di  Luserna, 
Angrogna,  Frassinière,  Louisa,  e  più  tardi  in  quelle  di  S.  Martino  e 
di  Brianzone. 

Questa  immigrazione,  cominciata  verso  la  fine  del  secolo  XII,  dovette 
toccare  il  suo  apogeo  al  tempo  della  crociata  contro  gli  Albigesi,  ossia 
tra  il  1209  e  1229.  "  C'est  dans  ces  vallées  que  les  Vaudois  et  les  AI- 
bigeois  trouvèi-ent  la  liberté  qu'on  leur  refusait  ailleurs,  ils  s'y  réfu- 
gièrent  et  persuadés  qu'il  était  impossible  de  les  vaincre  dans  des  lieux 
presque  inaccessibles  qui  étant  très  fort  par  la  nature,  n'avaient  pour 
avenues  que  des  défilés  assez  étroits  „  ^ 

Parecchie  circostanze  di  tempo  e  di  luogo  favorirono  l'immigrazione 
e  la  permanenza  dei  dissidenti  in  Val  Chisone  :  —  1°  La  posizione  topo- 
grafica della  Valle,  che  offre  in  alcuni  luoghi  rifugi  sicuri  e  di  difficile 
accesso  (tali  sarebbero  la  Troncea,  i  Seytes,  le  montagne  di  Laux  e 
Bouroet);  —  2°  I  dissidi  tra  i  prevosti  della  Congregazione  ulciese  ed 
i  vescovi  di  Torino  per  ragioni  di  giurisdizione,  nei  quali  dissidi  i 
primi  si  appellarono  (1231)  all'arcivescovo  di  Milano,  di  cui  erano  suf- 
fraganei  tutti  i  vescovi  del  Piemonte;  —  3°  Le  nuove  idee  religiose 
diffuse  da  Pietro  di  Bruys,  Enrico  di  Losanna  e  Claudio  vescovo  di 
Torino,  le  eresie  dei  Catari  che  dovettero  in  queste  vallate  alpine  pre- 
parare un  ambiente  favorevole  ai  dissidenti. 

I  Valdesi  furono  tollerati  dai  Delfini  di  Vienna,  padroni  della  valle 
fino  al  1349,  nel  qual  anno  l'ultimo  di  loro,  Umberto  II,  cedette  Val 
Chisone  col  resto  del  Delfinato   alla  Corona   francese.    I    re  di    Francia 


r.   Benoist,  Histoire  des  Albigeois  et   Vaudois,  Parigi,  toni.  Il,  p.  234. 


8  Alberto  Talmoii, 

imperarono  nella  valle  (che  dii^endeva  dal  vibaliaggio  di  Brianzone  e 
dalla  generalità  di  Grenoble)  fino  al  1718,  allorché  per  il  trattato  di 
Utrecht  venne  a  far  parte  dei  domini  di  Casa  Savoia,  con  re  Vittorio 
Amedeo  II. 

3.  Le  condizioni  storiche  in  cui  vissero  gli  abitanti  di  Val  Chisone, 
stata  per  oltre  cinque  secoli  (1191-1713)  in  dizione  dei  Delfini  di  Vienna 
indi  dei  re  di  Francia,  determinarono  necessariamente  una  singolare  so- 
miglianza fra  i  dialetti  della  valle  e  quelli  d'Oltralpe.  Tre  fatti  pongono 
in  sicura  luce  questa  evoluzione  linguistica:  —  1°  L'immigrazione  dei 
Valdesi;  —  2°  La  lunga  permanenza  della  valle  chisonana  sotto  il  do- 
minio francese  ;  —  3°  Le  antiche,  facili  e  frequentatissime  comunicazioni 
tra  questa  regione  e  il  Delfinato. 

I  Valdesi,  valicando  le  Alpi,  recarono  seco  non  solo  le  loro  idee  re- 
ligiose, ma  anche  i  loro  costumi  ed  il  loro  idioma.  Nessuno  può  dubi- 
tare dell'importanza  di  questa  immigrazione  dal  punto  di  vista  storico 
e  linguistico,  perché  la  fusione  di  queste  genti  transalpine  cogli  abitanti 
del  versante  orientale  delle  Alpi  Cozie  portò  di  necessità  alla  fusione 
più  0  meno  completa  del  loro  linguaggio. 

Inoltre  Val  Chisone,  come  la  valle  d'Oulx  e  di  Cesana,  ceduta  col 
Delfinato  alla  Francia  nel  1349  e  rimasta  sotto  lo  scettro  di  quei  re 
fino  al  1713,  dovette  necessariamente  e  forzatamente  assumere  il  fran- 
cese come  lingua  ufficiale  e  colta.  Contribuì  pure  a  staccarla  linguisti- 
camente dall'Italia  l'essere  la  celebre  prevostura  d'Oulx  stata  disgiunta 
sullo  scorcio  del  secolo  XII  dal  Vescovato  di  Torino,  e,  dopo  alcun 
tempo  d'indipendenza,  l'averla  aggregata  alla  Diocesi  d'Embrun. 

Ritornata  questa  valle  all'Italia  colla  pace  d'Utrecht,  il  governo  Sa- 
baudo non  sanzionò,  ma  tollerò  l'uso  del  francese,  avendo  sullo  scorcio 
dell'ultimo  secolo  quei  valligiani  ricorso  onde  ciò  fosse  decretato  dal 
re.  Il  Consiglio  osservò  non  esservene  d'uopo,  poiché  le  RR.  Costituzioni 
libro  II,  tit.  II,  §  5  non  vietano  l'uso  della  lingua  volgare,  e  non  lo 
vieta  neppure  il  Reg.  dei  Notai,  tit.  VI,  §  5;  inoltre  provvedervi  il 
R.  Viglietto  alla  Camera  del  27  febbraio  1720  che  ordina  abbiano  ad 
essere  in  francese  i  decreti,  ordinati  ed  atti  per  la  Savoia  ed  altre  valli 
A  ciò  s'aggiunga  che  i  Duchi  di  Savoia  erano  a  quell'epoca  principi 
tanto  francesi  quanto  italiani,  perché  una  parte  dei  loro  stati  era  fran- 
cese: di  più  allora  non  si  perseguitavano  le  nazionalità,  perché  il  prin- 


Saggio  sul  dialetto  di  Prngelato  9 

cipio  di  nazionalità  non  era  ancor  formato.  Decreti,  ordinanze  ed  atti 
relativi  a  questa  valle  continuarono  dunque  ad  essere  redatti  in  francese. 

A  questa  tolleranza  un'altra  se  n'aggiunse:  si  permise  che  le  parrocchie 
di  Val  Chisone  rimanessero  sotto  la  giurisdizione  del  vescovo  d'Embrun 
fino  al  1748,  anno  in  cui  venne  eretta  a  vescovado  la  Chiesa  di  Pine- 
rolo.  Essendo  poi  stato  eletto  a  primo  vescovo  D.  Giambattista  Orlier 
dei  Marchesi  di  St.-Innocent,  già  prevosto  d'Oulx  e  che  aveva  ricevuto 
un'educazione  francese,  egli  ebbe,  com'è  ben  naturale,  predilezione  per 
la  sua  lingua  materna:  e  questa  è  la  ragione  per  cui  non  intese  ad 
italianizzare  quelle  parrocchie.  Il  suo  successore  fu  un  italiano.  Mon- 
signor Grimaldi,  ma  stette  in  soglio  solo  tre  anni,  essendo  il  Vescovado 
di  Pinerolo  stato  soppresso  dai  Francesi  nel  1802.  Ristabilito  dai  Reali 
di  Savoia  nel  1817  allo  scopo  di  convertire  al  Cattolicismo  i  Valdesi, 
la  cui  lingua  scolastica  e  liturgica  è  la  francese,  per  questa  intenzione 
di  i^ropaganda  si  elessero  sempre  Savoiardi  al  seggio  episcopale  di  Pi- 
nerolo, sebbene  dal  1772,  data  della  erezione  del  Vescovato  di  Susa,  a 
cui  si  ascrissero  le  parrocchie  dei  mandamenti  di  Susa  e  di  Cesana,  più 
non  avesse  che  nella  sola  valle  del  Chisone  parrocchie  di  lingua  fran- 
cese. Quindi  a  Mons.  Bigez,  nato  a  Balme  de  Thuy  e  già  vicario  gene- 
rale di  Annecy,  successe  nel  1824  Mons.  Rey,  nato  a  Belleveaux  nel 
Chiablese  e  già  vicario  generale  di  Chambéry,  ed  a  questo  nel  1832 
Mons.  Charvaz,  nato  a  Hautecour  e  già  vicario  generale  di  Chambéry. 
Solo  nel  1849,  cioè  dopo  la  promulgazione  dello  Statuto,  venne  eletto 
a  questo  seggio  un  italiano,  Mons.  Renaldi  di  Torino. 

Ecco  come  nel  mandamento  di  FenestreUe  non  solo  si  continuò  a 
usare  il  francese,  ma  ancora  come  l'azione  episcopale  influì  a  radicar- 
velo  ^ 

Dopo  il  1861  il  governo  italiano  intese  a  italianizzare  questa  regione, 
e  qui  il  compito  gli  fu  tanto  più  facile  in  quanto  non  ebbe  a  urtare 
contro  una  massa  compatta  e  numerosa  come  gli  abitanti  di  Val  d'Aosta, 
e  in  quanto  queste  località  dipendono  ecclesiasticamente  da  vescovati 
italiani.  L'insegnamento  scolastico  diffonde  l'italiano  tra  le  giovani  ge- 
nerazioni; il  servizio  militai-e  e  le  relazioni  coll'Italia  aumentano  la 
influenza  della  lingua  politica.  Nullameno  il  francese  continuò  ad  essere 


'  Vegezzi-Ruscalla.  Diritto  e  necessità  ecc.  cit.,  pag.  34  seg. 


10  Alberto  Talinon, 

la  lingua  del  pergamo  e  in  seno  alla  Chiesa  non  decadde  che  lenta- 
mente: a  Pragelato  i  parroci  di  Traverses  e  Raa  predicano  tuttora  in 
francese. 

Tutti  gli  abitanti  intendono  e  parlano  il  francese  oltre  il  "  patois  „ 
locale:  le  persone  d'età  matura  parlano  pili  volentieri  il  francese  che 
l'italiano,  ma  la  generazione  giovane  cresciuta  ed  educata  italianamente, 
già  preferisce  la  lingua  nazionale.  Il  ceto  agiato  parla  ugualmente  bene 
il  francese  e  l'italiano  :  i  vecchi  e  le  donne  preferiscono  all'italiano  il 
francese  che  resta  la  loro  lingua  materna.  Inoltre  tutti  i  valligiani  in- 
tendono il  piemontese,  e  moltissimi  anzi  lo  parlano  correntemente  :  ma 
è  importante  notare  che  nelle  località  più  discoste  dalle  vie  di  comuni- 
cazione il  francese  ed  il  "  patois  ,  locale  sono  gl'idiomi  predominanti, 
e  che  questi  "  patois  „  man  mano  che  si  risale  la  valle,  si  presentano 
sempre  più  affini  al  delfinese. 

E  qui  occorre  appena  ricordare  che  Val  Chisone  à  col  Delfinato  an- 
tiche, facili  e  frequentatissime  comunicazioni.  La  via  che  sin  dai  tempi 
della  repubblica  per  Val  Chisone  e  il  Monginevra  condueeva  nelle  Gallio, 
fu  praticata  dai  Romani  assai  prima  di  quella  di  Susa,  passante  per 
Oulx  per  il  detto  Monginevra,  e  non  cessò  d'esser  frequentata  anche 
dopo  che  il  prefetto  Cozio  fece  riattare  e  rendere  molto  agevole  que- 
st'ultima. Anzi  l'importanza  della  strada  preaccennata  dovette  aumentare 
quando  la  valle  fu  unita  al  Delfinato,  di  cui  fece  parte  per  oltre  cinque 
secoli  (1191-1713).  Quindi,  oltre  i  rapporti  politici  ed  amministrativi, 
un  rapporto  costante  esistette  sempre  fra  questi  due  paesi  limitrofi  :  il 
commercio. 

S'aggiunga  che  in  Francia,  particolarmente  su  Marsiglia,  St.-Etienne, 
Grenoble  e  Parigi  stesso,  è  diretta  l'emigrazione  temporanea  del  paese: 
ed  è  sopratutto  la  gioventù  che  emigra  Oltralpe  in  cerca  di  fortuna. 
Le  donzelle  ritornano  dopo  aver  raggranellato  una  somuìa  che  loro  per- 
metta d'andare  a  marito  più  facilmente  o  di  vivere  delle  loro  economie. 
I  giovani  vanno  a  cercar  lavoro  in  Francia  soprattutto  nella  stagione 
invernale,  quando  il  suolo  non  à  più  bisogno  delle  loro  braccia  e  ritor- 
nano al  cominciare  dell'estate.  Altri  invece  non  ritornano  che  dopo  pa- 
recchi anni,  quando  hanno  ammassato  un  discreto  peculio:  ben  pochi 
fissano  stabile  dimora  in  paesi  stranieri. 

In  confronto  con  questa  emigrazione  temporanea,  ben  poca  importanza 
à  l'emigrazione  permanente:  come  quella  dell'Italia  Settentrionale,  è  diretta 


Saggio  sul  dialetto  di   Pragelato  11 

all'America    del    Sud,    soprattutto    verso    la    Repubblica    Argentina    e 
su  Buenos- Ayres  e  Monte  video  '. 

4.  Riassumendo  :  molte  cause,  influenza  di  relazioni  politiche,  com- 
merciali e  di  cultura,  nonché  la  probabile  parentela  etnica,  concorsero 
ad  assimilare  le  popolazioni  dei  versanti  orientale  ed  occidentale  delle 
Alpi  Cozie  ed  a  portai'e  una  singolare  somiglianza  fra  i  loro  dialetti. 

Infatti  i  dialetti  dell'Alta  Val  Chisone  appaiono  affini  a  quelli  degli 
immediati  dintorni  di  Brian^on,  comprese  le  valli  della  Clairée  o  Val- 
des-Prés  e  della  Guisane  o  di  Mouétier;  questa  affinità  doveva  essere 
maggiore  ìa  passato,  prima  che  la  frontiera  tra  Delfinato  e  Piemonte 
fosse  portata  sulla  cresta  delle  Alpi,  a  causa  dell'influenza  rispettiva- 
mente sugli  uni  del  francese,  sugli  altri  del  piemontese  e  delFitaliano. 

Fra  questi  dialetti  dell'Alta  Val  Chisone  il  pili  caratteristico  è  certa- 
mente il  pragelatese,  che  più  d'ogni  altro  mantenne  la  sua  aflfininità 
col  Delfinese,  essendo  Pragelato  più  prossimo  alla  frontiera  ed  avendo 
coi  paesi  d'Oltralpe  più  facili  e  frequenti  relazioni.  Certo  il  dialetto  di 
Pragelato  à  pure  elementi  comuni  col  pedemontano,  ma  in  numero  ben 
scarso  risultano  quelli  che  si  possono  con  certezza  considerare  importati 


^  La  popolazione  del  mandamento  di  Fenestrelle  (comprendente  i  comuni 
di  Meano,  Roure,  MeutouUes,  Fenestrelle,  Usseaux  e  Pragelato),  secondo 
il  censimento  del  1901-1902,  è  di  residenza  legale  9795,  residenza  di 
fatto  8157,  COSI  ripartita  : 


Me.iiio 

Roiire 

Menloullps 

Fenestrelle 

Usseaux 

Pratjelato 

Pop.  resid.  legale 

563 

3753 

938 

1428 

1203 

1910 

Pop.  resid.  di  fatto 

561 

'2731 

877 

1359 

917 

1712 

Il  comune  di  Pragelato  (anticamente  Pratagelada,  Pratogelada,  nel  dialetto 
locale  Prazala')  è  il  pili  vicino  alla  frontiera.  Consta  di  venti  frazioni  :  Ruà, 
Souchères-Basses,  Grand  Puy,  Faussimagne,  Souchères-Hautes,  Rif,  River, 
Granges,  Allevé,  Traverses,  Villar  Damnnt,  Pian,  Pattemouche,  Due,  Chesal, 
Sestrières,  Lavai,  Jousseaud,  Trunchié  e  Seytes.  La  seconda  e  le  quattro 
ultime  di  queste  frazioni  trovansi  a  destra  del  Chisone,  tutte  le  altre  a 
sinistra.  Le  sopraccennate  frazioni  sono  distribuite  in  tre  parrocchie  :  quella 
di  Ruà  che  comprende  le  nove  prime,  quella  di  Traverses  che  ne  com- 
prende sette,  e  quella  di  Lavai  che  abbraccia  le   quattro   ultime   frazioni. 

Per  notizie  pili  dettagliate  su  Val  Chisone  e  Pragelato  v.  L'Alta  Valle  del 
Chisone  (Guide  alpine  del  Pinerolese  illustrate),  Pinerolo,  Tip.  Sociale,  1912. 


12  Alberto  Talmon, 

dal  Piemonte,  come  dipendenti  da  influenza  di  rapporti  politici,  com- 
merciali e  di  coltura,  che  il  Piemonte  abbia  avuto  nella  valle. 

11  dialetto  di  Pragelato  non  si  vanta,  come  il  Valdese,  d'avere  una 
letteratura,  ma  fé  sorgere  una  interessante  questione  linguistica.  Dalla 
notizia  che  Pragelato  sia  stato  il  centro  primitivo  e  come  la  culla  dei 
Valdesi  italiani  e  il  punto  di  partenza  di  loro  colonie  in  Italia  e  fuori 
e  dall'altra  notizia  che  di  là  appunto  provengano  tutti  i  loro  libri  reli- 
giosi che  si  trovano  ora  sparsi  in  Francia,  Svizzera  ed  Inghilterra, 
alcuni  supposero  che  il  dialetto  pragelatese  sia  base  del  valdese  lette- 
rario. Ma  il  vero  è  —  come  à  osservato    il    Morosi  (AGIt.  XI,  p.  311) 

—  che  il  dialetto  di  Pragelato  diverge  bensì,  e  in  alcuni  punti  note- 
volmente, dal  valdese  odierno,  ma  non  mostra  però  più  punti  di  con- 
tatto col  valdese  letterario  di  quanti  ne  mostri  il  valdese  odierno. 

E  ben  a  ragione  il  Morosi  esclude  che  il  dialetto  di  Pragelato  possa 
pretendere  a  formare  col  valdese  una  sola  famiglia.  Infatti  la  differenza 
tra  i  riflessi  deìVa  atono  finale,  che  nel  pragelatese  è  (?  e  nel  valdese  o, 
è  fondamentale.  Per  tacere  di  altre  divergenze  son  pur  notevoli  le  se- 
guenti :  l'esito  del  e  {-\-  a),  del  g  (4-  «;  e,  i)  iniziali  e  interni  dopo 
consonante,  nel  valdese  è  rispettivamente  e,  g,  mentre  nel  pragelatese 
è  0,  ~;  —  Vn  intervocalico  diede  nel  vald.  n  velare  (n),  mentre  nel 
pragelatese  rimase  dentale;  —  i  riflessi  au  eau  dalla  formola  ^11  -\-  voc 
-\-  cons.,  normali  nel  pragelatese  per  l'obliquo  plurale,  non  s'incontrano 
nel  valdese. 

Il  dialetto  di  Pragelato  quindi  non  è  da  porsi  nel  novero  degl'idiomi 
nettamente  provenzali:  esso  à  pili  della  lingua  d'oc  che  della  lingua 
d'o*7,  ma  l'influenza  dei  vicini  dialetti  franco-provenzali  è  evidente. 

I  fenomeni  linguistici  sovraccennati  ci  riconducono  ad  una  caratteri- 
stica notevole  del  "  patois  „  pragelatese:  ricchezza  di  arcaismi.  Cfr. 
zansiin  afr.  tchanson ,  zambrs  afr.  tchamhre  ;  zardin  afr.  djardin 
zurn  afr.  djorn  ;  garait  afr.  guarait  ;  lafk  afr.  lare  ;  sani:  afr.  sane, 
zeriere  afr.  cliaiere,  seje  afr.  seie,  Kreire  afr.  creire,  priimiB  afr.  prumier; 

—  erner,  (fr.  m.  éreinter)  che  s'incontra  in  Ba'if,  Belleau,  Rousard,  ed 
astelle  scheggia,  besson  gemello,  ouUe  marmitta,  ecc.  usati  dagli  scrit- 
tori del  secolo  XVI,  e  besson  anche  da  G.  Sand,  anno  i  loro  corrispon- 
denti nel  dialetto:  ema,  ^t§l§,  b^sihl,  '^^f;  -  il  trittongo  eau  si  pro- 
nunzia ancora  sciolto:  beau  belli,  reati  vitelli,  ecc.,  benché  presso  la 
generazione  giovane  sia  già  ridotto  al  dittongo  ati  :  bau,  vau. 


ARCHIVIO   GLOTTOLOGICO,  voi.  XVIII 


A.  Talmon. 


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Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  13 

Quindi,  per  i  caratteri  arcaici  del  suo  dialetto,  e  per  la  sua  posi- 
zione, sul  limitai-e  della  regione,  abitata  da  popoli  di  lingua  franco-pro- 
venzale, la  valle  di  Pragelato  presenta  un  delicato  quanto  interessante 
campo  agli  studi  di  dialettologia  romanza. 

5.  Fonti.  —  La  presente  descrizione  del  dialetto  pragelatese  è  in 
massima  parte  frutto  d'indagini  orali.  Unica  fonte  scritta  esistente  e 
degna  di  menzione  è  l'opuscoletto  del  Prof.  P.  Bert:  Le  patois  de  la 
haute  vallèe  chi  Cluson  (Mortara  1907),  che  dà  notizie  generalmente 
esatte,  ma  assai  sommarie.  La  Parabola  del  Biondelli  {Dialetti  gallo- 
italici,  Milano,  1853)  è  nel  dialetto  di  Fenestrelle,  non  nel  pragelatese 
vero  e  proprio. 


14 


Alberto  Talmoii, 


Descrizione  del  dialetto  di  Pragelato 

note  (li  nilìroiilo  coIIp  iiriiicipiili  viirielà  (lial?t(ali  (ifiralla  l'alle  del  (lliisoiie. 


Sommario.  —  Capo  I.  Indicazioni  fonetiche  e  trascrizioni.  —  Capo  li.  Ap- 
punti di  fonetica  storico-descrittiva.  —  Capo  III.  Appunti  di  morfologia. 
—  Capo  IV.  Appunti  sintattici.  —  Capo  V.  Saggi  letterari  in  grafia 
fonetica. 

Capo  I. 
Indicazioni  fonetiche  e  trascrizioni. 


1.  Consonanti. 

Il  dialetto  di  Pragelato    possiede   i  seguenti  elementi  conso- 
nantici ^  : 


MOMENTANEE 

CONTINUE 

Esplosive 

Schiacciate 

Fric^ 

iti  ve 

Vibranti 

^ 

U 

dì 

u 
o 

p 
o 

!» 

H 
O 

m  . 

2 

o 
a 
o 

CD 

Ti 

u 

? 

o 

■  a    - 

o 

co 

é 

Postpalatine    .     . 

k 

g 

ìi 

Mediopalatiue 

j,Lv 

l 

n 

Prepalatine     .     . 

e 

9 

V  r 

Alveolari     .     .     . 

t 

d 

z 

ì 

S 

f 

1 

n 

Labiali    .... 

V 

h 

' 

V  {%  u] 

ni 

^  [Come  ò  proposto   nel    voi.  precedente,    il    tondo    in    questi   prospetti 
indica  elemento  fonetico  di  valore  identico  al  toscano]. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  15 

a)  Momentanee. 

K\  (j.  —  Come  nel  toscano  sono  gutturali  dinanzi  alle  vo- 
cali a,  0,  II,  ma  in  contatto  con  una  vocale  della  serie  prepala- 
tina l'articolazione  subisce  uno  spostamento  in  avanti  e  diventa 
p  r  e  g  u  1 1  u  r  a  1  e. 

è,  g.  —  Sono  più  avanzate  che  nel  toscano. 

t,  d.  —  Le  dentali  anno  articolazione  meno  avanzata  che  nel 
toscano:  t  e  d  nel  dialetto  sono  alveolari. 

z,  i.  —  Momentanee  ed  alveolari  come  nel  toscano. 
Giova  notare  che  z  e  i  costituiscono  un  criterio  distintivo  tra 
il  dialetto  pragelatese  vero  e  proprio  ed  il  dialetto  di  Fene- 
strelle,  poiché  dove  il  dial.  di  Pragelato  k  z  e  i  quello  di  Fe- 
nestrelle  à  rispettivamente  e  e  g. 

p,  h.  —  Per  le  bilabiali  p  e  b  nulla  da  notare. 

b)  Continue. 

I.  Fricative. 

s,  /.  —  Vale  l'osservazione  fatta  per  le  esplosive  dentali:  nella 
pronunzia  delle  fricative  s  e  /  la  lingua  non  oltrepassa  la  re- 
gione  alveolare. 

Manca  la  fricativa  palatina  s,  sostituita  in  ogni  caso  da  s. 

f,  e.  —  Le  labiodentali  f  e  v  anno  pronunzia  identica  alle  cor- 
rispondenti toscane:  però  v  è  leggermente  articolato  e  passa 
facilmente  a  u  bilabiale. 

;,  i.  —  Come  nel  toscano  ;  la  zona  d'articolazione  sembra  però 
variare  alquanto  secondo  la  posizione  nella  parola. 
li,  u.  —  Suonano  come  nel  francese  [lui,  oui). 


16  Alberto  Talinon, 


II.  Liquide. 

l.  —  Il  dialetto  possiede  tre  varietà  di  L: 

1)  l   alveolare  come  nel  toscano; 

2)  /';  il  cosidetto  l  mouillé,  con  pronunzia  che  sembra  iden- 
tica alla  toscana  corrispondente; 

3)  l  volgente  a  pronunzia  faucale.  Per  pronunziare  questo  l 
si  appoggia  la  punta  della  lingua  contro  il  centro  del  palato 
e  si  fa  in   séguito  ricadere  con  forza. 

r.  —  Il  dialetto  pragelatese  possiede   due  varietà  di  B: 

1)  r  vibrante,  prepalatale  come  nel  toscano. 

2)  r  semivibrante,  che  volge  o  par  volgere  a  pronunzia 
faucale.  Il  luogo  dell'articolazione  è  più  indietro  che  quello  di 
r  comune,  la  punta  della  lingua  è  rivolta  verso  il  postpalato  : 
perciò,  essendo  un  elemento  invertito,  lo  indico  con  r. 
Nella  pronunzia  di  esso  però  la  punta  della  lingua  invece  di 
vibrare  viene  come  sfiorata  dalla  corrente  espiratoria,  r  volge 
ad  r  nelle  stesse  condizioni  che  l  ad  /;  inoltre  r  à  suono  assai 
affine  a  ^:  la  differenza  non  è  facilmente  percettibile  da  chi 
non  conosce  bene  i  nostri  dialetti. 

III.  Nasali. 

71.  —  E  alveolare  come  le  esplosive  t  e  d. 

n.  —  iV  finale  o  seguita  da  consonante  che  non  sia  dentale 
prende  un  suono  velare,  w,  che  s'articola  come  nel  toscano  in  anca. 
Seguita  invece  da  una  dentale,  w,  per  quanto  indebolita,  par 
conservare  la  sua  articolazione  alveolare.  —  E  importante 
osservare  che  coll'w  velare  {ii)  s'accompagna  un  aumento,  ossia 
un  doppio  grado  di  nasalizzazione  della  vocale  precedente. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  17 

7Ì.  —  Come  nel  toscano. 

m.  —  Non  perde  mai,  fuorché  in  pochi  casi    di  finale,  la  sua 
articolazione  bilabiale. 

2.  Tocali. 

11  sistema  vocalico  del  dialetto    pragelatese  si  può  approssi- 
mativamente rappresentare  nel  modo  seguente: 


\ 

/ 

i*\ 

0 

/e 

?\ 

f 

/e 

?\ 

/? 

«^ 

\y 

'a 

a.  —  Come  si  vede  dallo  schema  suesposto,  la  gamma  dellV; 
à  tre  varietà  : 

1)  a  medio,  come  nel  fr.  patte-, 

2)  a  con  suono  oscuro  tra  Va  e  Vo  e  costantemente  lungo 
(a  labio-velare); 

3)  à  con  suono  tra  Va  e  Ve  [a  palatino). 

e.   —   La  gamma  dellV  è  la  pili   ricca  di  sfumature.  Si  pro- 
nunzia : 

1)  e  un  po'  meno  aperto  che  Tital.  è; 

2)  e  semichiuso  e  lungo; 

3)  e  come  l'ital.  é; 

4)  e  atono  evanescente,  che  assume   un   colorito  piuttosto 
oscuro  come  Ve  muto  francese. 

0.  —  Come  il  fr.  en  in  peur. 

0.  —  Le  varietà  sono  minori   che    in    e:    Vo    e    Vo    suonano 
come  nell'ital.  porto,  pota. 

u.  —  Il  dialetto  possiede  le  vocali  normali  u,  u  e  le  altera- 
zioni palatine  ii^  ù: 

1)  u  stretto  come  il  fr.  ou  in  sou  ; 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  2 


18  Alberto  Talmon, 

2)  Il  largo,  pronunziato  senza  avanzamento  né  arrotonda- 
mento delle  labbra  ; 

0)  il  come  il  fr.   (7  in  natiìre; 

4)  ù  pronunziato  quasi  come  //,  colla  differenza  che  non 
è  accompagnato  da  arrotondamento  delle  labbra  e  la  lingua  è- 
meno  innalzata. 

i.  —  È  stretto  come  nell'ital.  nido. 

Per  quanto  concerne  la  quantità  si  osservi:  Sono  sempre  lunghe, 
com'è  sopra  osservato:  «,  e.  Sono  sempre  brevi:  à,  e. 

Possono  essere  lunghe  o  brevi  secondo  la  posizione  nella  pa- 
rola o  l'etimologia:  a;  e,  e\  o,  g,  6;  i;  il,  il,   u,  il. 

3.  Tendenze  del  dialetto. 

Nel  complesso  dei  suoni,  il  dialetto  pragelatese  presenta  i 
caratteri  del  grande  gruppo  a  cui  appartiene,  onde  le  sue  note 
più  salienti  si  possono  brevemente  cosi  riassumere  : 

1)  Tendenza  alle  articolazioni  rattratte:  tendenza  che  si 
manifesta,  nel  vocalismo,  col  colorito  palatino  assunto  da  alcune 
vocali  {à,  ò,  il,  ù),  nel  consonantismo,  nella  formazione  delle  con- 
sonanti z,  i,  e,  g,  /',  n. 

2)  Tendenza  alla  riduzione  e  caduta  delle  vocali  atone  e 
delle  consonanti  in  posizione  debole,  e  ai  noti  fenomeni  di 
palatalizzazione,  nasalizzazione  ecc. 

3)  Tendenza  allo  scempiamento  delle  consonanti  lunghe. 

4)  Tendenza  a  dare  grande  preponderanza  e  lunghezza  alla 
tonica  a  detrimento  delle   atone. 

4.  Accento  e  quantità. 

Avvertenze:  —  L'accento  sarà  segnato  in  iato  e  negli  ossi- 
toni,  ed  omesso  nei  parossitoni.  —  Per  convenzione  s'intenderà 
breve  la  vocale  non  provvista  di  segni  di  quantità;  saranno  in- 
vece segnate  le  vocali  lunghe,  fuorché  «,  e,  costantemente  lunghe. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  19 


Capo  II. 
Appunti  di  fonetica  storico-descrittiva. 

I. 

VOCALISMO 

Sintesi  del  vocalismo  tonico. 

a)  Tocali. 

Parossitoni:  1°  In  sillaba  scoperta  tutte  le  vocali  rag- 
giungono il  loro  pieno  sviluppo,  che  si  manifesta  colla  lunghezza 
e  con  tracce  di  dittongamento.  2°  In  sillaba  coperta  invece  le 
vocali  anno  in  generale  tendenza  alla  conservazione.  Muta  -{-  li- 
quida  fa  sempre  occlusione  di  sillaba.  Cfr.  : 

A  E  0  E      '         0  I  U 

e  <  •  ... 

in  sili,  scoperta     a  («)  —  f  (e )  —  <)  (g)  —  e,  e  {e)  —  ù  [u)  —  ì  (i)  —  il  (ù) 
„      ,    coperta       a  e  g  e,  e  i^  i  ù 

Pro  parossitoni.  —  La  tonica  dei  proparossitoni,  per  la 
caduta  della  prosemitonica,  si  comporta  come  la  vocale  in  posi- 
zione dei  parossitoni.  I  casi  contrari  sono  dovuti  a  ritardo  di 
caduta. 

Ossitoni.  —  Men  pieno  è  lo  sviluppo  delle  vocali  trovatesi 
di  buon'ora  in  finale  assoluta  :  a,  e,  o,  e,  u,  i,  ù,  di  contro 
ad  a,  f,  0,  e,  ù,  l  ii,  di  parossitoni. 

Influsso  di  consonanti.  —  1.  Influsso  di  liquida:  a)  Per- 
spicuo influsso  esercita  l  libero  su  piecedenti  e  [fé^l,  >népi),  e  {féàie, 


20  Alberto  Talmon, 

péai),  i  [fifi,  abriel),  il  {miìel)\  —  ed  l -\- cons.  su  precedente  e 
che  divenne  m  {*bels,  "^beah,  heaus)  —  b)  Pur  notevole  è  l'azione 
regressiva  di  rr  interno  e  finale  ed  r  -\-  cons.  finale,  azione  che 
si  manifesta  con  un  aumento  di  quantità  e  di  chiarezza  della 
vocale:  tère  terra,  gère  guerra;  —  pàrt  parte,  pèrt  perde,  i-erp 
verme,  ecc. 

2.  Influsso  di  palatale:  a)  Una  palatale  seguente  non  eser- 
cita la  sua  azione  che  su  a  (di',  nòje.  —  ketit,  neiit  —  li'iek,  fi'iek). 
—  b)  Una  palatale  precedente  non  esercita  la  sua  azione  che  su 
pochi  casi  di  e  {slne,  sire,  pai). 

3.  Influsso  di  labiale.  Cospicuo  è  l'influsso  di  labiale  sulla 
vocale  precedente  o  [dbrti,  krobu  —  nati,  pian,  mau  —  bliu,  mi). 
Inoltre  una  labiale  seguente  esercita  pure  la  sua  azione  in  alcuni 
casi  su  i  [simii,  lupi)  ed  e  {tiuh>,  fiure,   l'aure). 

4.  Influsso  di  nasale:  a)  Ogni  vocale  seguita  da  nasale  sco- 
perta 0  coperta,  interna  o  finale  viene  nasalizzata.  La  nasaliz- 
zazione  però  è  meno  forte  che  nel  francese  e  le  vocali  e,  i,  anche 
pronunziandosi  nasali,  conservano  il  loro  valore  alfabetico.  La 
nasalità  aumenta  d'un  grado  dinanzi  a  n  velare  (w).  —  b)  I  dit- 
tonghi sotto  l'influenza  di  nasale  si  riducono:  *aunita  unte, 
*a  u  n  e  u  1  u  unkle,  *f  a  u  n  t  fan,  v  a  u  n  t  van. 

Vocali  in  iato. 

È  da  notare  qui  che  il  dialetto  presenta  un  gran  numero  di 
iati.  I  pili  comuni  sono  te,  ée,  éà  :  -ie  -iere  -ariu  -aria;  -éei  -el; 
-éàle  -eia,  -éài  -ilu;   -teir  -Ile,  /eie  -il  la. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  21 

l)  Dittonghi, 

a)  Dittoughi  discendenti. 

ai.  —  Il  ditt.  ai  che  si  pronunzia  come  nell'it.  mai,  general- 
mente si  trova  in  sillaba  tonica  :  aige  acqua,  maigre  magro, 
paire  padre,  maire  madre. 

ei.  —  Il  ditt.  ei  tonico  si  pronunzia  ei:  gleife  chiesa,  kreisre 
crescere,  feisre  tessere;  divenuto  atono  mutasi  in  ei:  kreisén  cre- 
sciamo, teisén  tessiamo. 

ui.  —  Il  ditt.  ni  in  cui  il  primo  elemento  è  n  (stretto)  tro- 
vasi tanto  in  sillaba  tonica  quanto  in  sillaba  atona:  uire  otre, 
naif  e  noce,    puifùn    potione    veleno,  enguifà  angosciato. 

eil.  —  Il  ditt.  eii,  che  si  pronunzia  ew,  trovasi  solo  in  sillaba 
tonica:  ketise  coscia,  keilt  cotto,  neiit  notte. 

CO'  'e  'e 

au.  —  Il  ditt.  ali  si  compone  d'un  a  medio  e  d'un  u  un  po' 
largo;  trovasi  generalmente  in  sillaba  tonica:  autre  altro,  zaut 
caldo,  planre  piovere,  maure  muovere,  salirne  sagma. 

eu.  —  Questo  dittongo  si  compone  d'un  e  e  d'un  u  un  po'  largo; 
trovasi  tanto  alla  tonica  quanto  all'atona:  heure  bere,  deure  do- 
vere, beuréik  berrò,  deuréik  dovrò. 

III.  —  V.  qui  sotto. 

/?)  Dittonghi  ascendenti. 

m.  —  Questo  dittongo  in  cui  il  secondo  elemento  è  u  stretto 
trovasi  nel  dialetto  di  Fenestrelle  tanto  in  sillaba  tonica  quanto 
in  sillaba  atona  :  fiure  febbre,  fin-te  tegola,  viulete  violetta, 
viuhin  violino.  Nel  dial,  di  Pragelato  il  dittongo  tonico  è  discen- 
dente: fiure  febbre,  tiuh  tegola. 

ici.  —  Il  secondo  elemento  di  questo  dittongo  suona  a  (medio) 
tanto  alla  tonica  quanto  all'atona:  viaie  viaggio,  tiande  vi- 
venda  fr.  viande,  enfiala'  infilare. 


22  Alberto  Talmon, 

ie.  —  Si  pronunzia;/^:  vierie  vergine,  sierie  cereu,  fr.  cierge, 
vi^ie  vice  (afr.  feiz.). 

e)  Trittonghi. 

^c'ni.  —  Il  trittongo  eau  suona  ancora  sciolto  presso  i  vecchi: 
beau,  belli,  veaii  vitelli,  zapeàu  cappelli.  Ma  è  già  ridotto  ad  au 
presso  la  generazione  giovane:  bau,  vau,  zapàu. 

iau.  —  Presso  Fenestrelle  in  luogo  di  eau  si  ha  pure  iau: 
biaus  belli,  viaus  vitelli,  zap'iàus  cappelli. 

Fenomeni  attinenti  le  singole  vocali  toniche. 


1.  L'a  tonico  scoperto  si  riflette  per  a  dinanzi  a  con- 
tinua e  in  finale  di  data  recente  («);  ma  rimane  intatto  dinanzi 
a  momentanea  interna  e  in  finale  di  data  antica  (/?).  Es.  : 

a)  fave  fava,  sàve  sapa  linfa,  limàse  lumaca;  amar  amaro, 
klàr  chiaro,  mar  mare;  egà'i  uguale,  mal  male,  sài  sale;  sàp 
sapit  sa,  làk  lago;  nà  naso,  rà  raso, /a  ^'fas,  facis,  va  *vas, 
vadis;  inf.  a'  -are,  zanta  cantare,  purtà'  portare,  anà'  andare. 
Uà  dei  part.  e  sost.  in  -ata  è  dovuto  a  fusione  dell'a  tonico 
colla  vocale  finale  per  caduta  del  t  interno:  a  -a(t)a:  zantà' 
cantata,  purta  portata,  lurnà'  giornata,  rufà'  rugiada.  Sono  di 
provenienza  provenzale:  salade  insalata,  kamarade  camerata. 

/3)  rabe  rapa,  sabu  *sapo,  so,  sabi  sapis,  sai;  bnnta  bontà, 
sandd  sanità.  Uà  estate,  a  -atu:  zantà  cantato,  purtà  portato; 
a  -atis:  zantà  cantate, /««r^a  portate,  con  cui  consuona  la  2''  pi. 
dell'imperat.  :   zantà   cantate,  purtà  portate. 

2.  L'a  tonico  coperto  rimane  normalmente  intatto  (a), 
ma  si  riflette  per  a  in  sillaba  finale  scoperta  per  scempiamente  di 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  23 

consonante  lunga  e  quando  in  origine  si  trovava  dinanzi  a  ss 
■e  s  -\-  cons.  (/3).  Es.: 

a)  garde  guardia,  azate  accaptat  afr.  achate,  vaze  vacca, 
sape  zappa;  aihre  albero,  zahre  capra,  lahre  labbro,  sahle  sabbia  ; 
sar\e  *sarica  afr.  sarge,  esparie  afr.  esparge,  asparago,  malate 
malato;  aie  -a  ti  cu:  suvaie  selvaggio,  viala~e  villaggio,  c^?<wa;^e 
damnati  cu  afr.  damage.  Ma  a  è  lungo  dinanzi  a  7- -\- cons. 
finale  :  ])art  parte,  lark  largo,  lart  lardo. 

/?)  drap  drappo,  burà't  buratto,  sàk  sacco,  zavà'l  cavallo  ;  — 
^rà  grasso,  gràse  grassa,  bà  basso,  base  bassa,  jì^H  pasta,  àne 
asino, 

3.  Incontro  di  semioocali.  Importa  notare  la  stabilità  di  a  tonico 
dinanzi  alle  semivocali  /  u  di  qualunque  provenienza.  Es.: 

Dinanzi  a  i  consonantico  [j)  :  braja  calzoni,  paje  paga,  kaje 
cacat;  — in  dittongo:  jhoì  maggio, /«t  facit.  Hai  ecce-illac 
isai  ecce-hac,  garait  *varactum  afr.  guarait,  /«ìY  fatto,  lait 
latte,  plaire  piacere,  bai/e  bacio,  maigri^  magro,  aigre  acre,  aige 
acqua,  aigle  aquila,  fraise  frassino,  afr.  fraisne.  Ma  il  ditt.  ai 
passa  a  ei  in  leisu  lascio,  forse  per  influenza  letteraria. 

Dinanzi  a  u:  fan  faccio  e  faggio,  saiit  salto,  aut  alto,  zaut 
caldo,  zau  cavolo,  zause  calza,  fan  falso,  faiise  falsa,  tanle  ta- 
vola, autre   altro. 

4.  Influsso  di  palatale.  —  1)  -i  tonico  rimane  intatto  dopo 
palatale.  L'g  di  zeire  cadere  dovette  prodursi  fuori  d'accento. 
Ol'inf.  dei  verbi  di  l"*  coniug.  e  tutte  le  forme  verbali  dove  ri- 
corre a  tonico  preceduto  da  palatale  non  si  distinguono  in  alcuna 
maniera  dall'esito  cui  non  precede  palatale.  Es.  :  vel'a  vegliare, 
w»i-«' mangiare,  ;i;w:{;a' giudicare,  tuza  toccare;  a  -ata  (part.  e 
sost.)  minia',  lUià' ,  tuza  —  oel'a  la  veglia,  arana  ragnatela; 
-a  -a tu,  minia,  lillà,  tuza;  -a  -atis:  vii  minia,  luià,  tuza, 
travata    voi    mangiate,    giudicate,    toccate,   lavorate;   -a   -ate: 


24  Alberto  Talmon, 

minia,   lillà  ,tuza,  trapala;  impf.  ind.  miìiiàvu,  liiiàvu,  tuzàvu, 
travat  àou. 

2)  In  presenza  di  elementi  palatali  susseguenti  a  tonico  ri- 
mane intatto  nella  penultima:  paVe  paglia,  mal' e  maglia,  hatal'e 
battaglia,  muntane  montagna,  kampane  campagna;  —  ma  suona 
à  nella  finale:  al'  aglio,  dal'  falce,  tal'  taglio,  batà'l'  batacchio, 
ba./i  bagno,  età'n  stagno,  arà'n  ragno. 

o)  Suffissi  -ariu  -aria.  —  Danno  rispettivamente  -te  -fere. 
Bs. :  prilmt'f,  primariu,  afr.  prumler,  prihnìere  primaria; 
ber- le  berbi  caria,  afr.  bergier.  ber:ìere  ber  bi  caria;  le^ie . 
leziere  le  via  ri  u,  le  vi  aria;  sursie  surslere  sortiariu  sor- 
t  i  a  r  i  a  ;  lanvie  j  a  n  u  a  r  i  u,  feurle  f  e  b  r  u  a  r  i  u  ;  pumie  p  o  m  a  - 
riu,  abili' ie  api  cui  ariu,  fuie  focariu;  —  zndiele  caldaia, 
mutiere  mucchio  di  zolle  (==  muta),  zuh'ere  piantagione  di  ca- 
voli, kartiere  antica  misura  di  capacità.  Ancora:  briere  brughiera, 
priere  preghiera,  fere  aia.  —  D'origine  dotta:  seminère  semi- 
nario, aversère  avversario,  kiintrère  contrario. 

Nel  dial.  di  Fenestrelle  il  riflesso  di  -ariu  -aria  è  rispetti- 
vamente -ie  -iere:  priìmié,  prihniere,  sursié,  sursiere  ecc. 

b.  Influsso  di  nasale.  —  1)  In  sillaba  scoperta:  All'interno 
suona  à:  lane  lana,  semàne  settimana,  rane  rana,  f untane.  In  finale 
suona  a  breve,  assai  vibrato  dinanzi  ad  n:  man  mano,  pan  pane, 
gran  grano,  demàn  domani;  —  à  dinanzi  a  m:  l'àm  letame,  fàm 
fame.  In  sillaba  co  p  erta  suona  sempre  a:  A-a^Y^i^^  quaranta, 
piante  pianta,  lampe  fossa,  zambe  gamba,  zambre  camera  ;  grant 
grande,  zamp  campo,  sank  sangue,  blank  bianco,  bank  banco. 
2)  A  tonico  preceduto  da  palatale  e  seguito  da  nasale  finale 
libera  passa  a  e:  mujén  medianu  fr.  moyen,  dujén  decano, 
kretUn  cristiano,  ansién  anziano. 


Saggio  sul   dialetto  di   Pragelato  25 

E  ed  0. 

E.  —  6.  L'è  tonico  latino  rimane  normalmente  intatto  in  sil- 
laba scoperta  e  coperta,  salve  le  differenze  di  quantità  secondo 
la  natura  della  consonante  seguente  e  la  posizione  nella  parola. 

1)  In  sillaba  scoperta  è  lungo  dinanzi  a  consonante 
continua  interna,  e  in  finale  assoluta  di  data  recente  [a]  — 
breve  dinanzi  a  momentanea  interna  e  in  finale  assoluta  di 
data  antica  (/?).  Es.:  a)  cru  ero,  fri  eri^  ère  era,  lèoii  levo,  levi 
levi,  leve  leva;  de  dieci.  —  /?)  tebi  tiepido,  pe  piede;  inoltre 
per  per. 

2)  In  sillaba  coperta  l'esito  normale  è  e  breve  (a)  —  ma 
si  à  e  dinanzi  a  s  -]-  cons.,  rr  interno  e  liquida  -\-  cons.  finale  {/?). 
Es.:  a)  erbe  erba,  m'asetu  mi  assetto  mi  metto  a  sedere,  segu 
seguo,  perdre  perdere,  pe\e  *pedicu  calcio,  set  sette;  peire 
pietra,  areire  ad-retro,  indietro,  leire  leggere,  sirei/e  ciliegia, 
leit  letto,  mei,  mediu.  —  /?)  tète  testa,  fète  festa,,  j^rese  prestia 
fr.  presse,  e  parimente  nfse  neptia  nipote,  pése  *celt.  petti  a, 
pezza:  tère  terra,  gère  guerra,  fér  (e  fere)  ferro:  enfè'rn  inferno, 
iivè'rn  inverno,  vèrp  verme,  defe'rt  deserto;  kute'l  coltello,  2;à^e 7 
castello,  zapè'l  cappello,  eklupel  scalpello,  pel  pelle. 

7.  Condizioni  e  tracce  del  dittongo.  —  Il  dittongo  (e  in  prage- 
latese  è  limitato  a  pochi  casi  di  e  in  posizione  secondaria:  jedre 
edera,  Tiene  Stefano,  tiede  (ali.  a  tebi),  se  pur  non  sono,  come 
sierfe  *cereu,  cero,  vler^e  vergine,  d'origine  letteraria.  Altro 
esempio,  pur  notevole,  è  bien  usato  come  avverbio  di  quantità 
nel  senso  di  molto:  bien  de  nmneje  molta  moneta:  ma  ben 
bene.  Il  dittongo  non  compare  in  altri  casi:  però  ne  sono  con- 
servate tracce  cospicue  : 

a)  Dinanzi  a  r  scoperto,  ove  ié  diventa  te:  ie  ieri,  f'ie  fieno 


26  Alberto  Talinon, 

—  e  nelle  voci  dotte  e  analogiche  /-etupip  vituperio,  Pntie  intiero, 
matiere  materia. 

b)  Dinanzi  a  /  scoperto,  ove  e  diventa  ée\  /V>^  fiele,  méel  miele, 
séel  cielo.  Allato  a  ée  coesiste  pure  te  di  fase  pili  recente:  fiei, 
miei,  slei  {Gh\  Bourciez,  Frécis  hist.  de  phonétiqiie  francaise,  §46, 
Hist.). 

()  Dinanzi  all'elemento  labiale  u,  ove    permangono    riflessi 

di  un  antico   "^ieu:  tiule  * tieule  ieso\?i,  mattonella;    iìnre  *f'eure 

febbre  ;  dm  *d/eu  dio,    l'aure   da   un    antecedente  ^lìaure   lepre. 

Il  dial.  di  Fenestrelle  in  luogo  di   -le   -fere    à    costantemente 

ie  -Hre  :  ie;  fie,  fiere:  entié,  entiere. 

8.  Influsso  di  palatale.  —  ìJe  tonico  dinanzi  a  palatale  suona  v 
se  la  parola  è  tronca:    veV   vecchio,  mei'  meglio,   erve'l'   sveglia 

—  ma  suona  e  in  parola  non  tronca:  cete  vecchia,  errel'e  risveglia, 
vene  venga,  tene  tenga,  s'empene  s'impegna.  Cfr.  pure  nèse  la  ni- 
pote, pese  pezza. 

9.  Influsso  di  velare.  —  Un  caso  particolare  di  posizione  è 
quello  di  e  dinanzi  a  l  -^  cons.  :  dalla  combinazione  di  e  passato 
ad  ea,  con  l  vocalizzato  in  u^  risulta  il  trittongo  eau,  ora  ridotto 
ad  au.  Es.:  au  -ell(o)s,  bau  belli,  vau  vitelli,  zapau  cappelli,  nuvàu 
novelli,  martàu  martelli.  Tuttavia  i  vecchi  dicono  ancora:  beau, 
veau,  zapeàu  ecc.  . 

Presso  Fenestrelle  il  riflesso  è  -eaus,  -iaus:  beaiis,  biaus  ■ — 
veaus,  viaus  —  zapedus,  zapiaus. 

10.  Influsso  di  nasale.  —  a)  In  sillaba  scoperta:  all'in- 
terno suona  f:  venii  vengo,  vfni  vieni,  ^f»/<  tengo,  leni  tieni;  — 
ma  è  breve  in  finale:  veu  viene,  ten  tiene,  ben  bene,  reti  rem 
fr.  rien. 

b)  In  sillaba  coperta  è  sempre  breve:  ventre  ventre,  nu- 
vpmbre  novembre,  turmént  tormento,  ar-iént  argento,  ^ent  gente. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  27 

0.  —  11.  L'o  tonico  latino  rimane  normalmente  intatto,  in 
sillaba  scoperta  e  coperta,  salve  le  differenze  di  quantità  secondo 
la  natura  della  consonante  seguente  e  la  posizione  nella  parola. 
Tracce  dell'antico  dittongo  si  anno  dinanzi  ad  elementi  palatali. 

Es.  :  1)  In  sillaba  scoperta:  il  riflesso  è  o  dinanzi  a 
consonante,  che  non  sia  momentanea  interna  (a)  —  o  dinanzi  a 
momentanea  interna  e  in  tìnale  di  data  antica  (/?).  —  a)  rofe 
rosa,  sore  sor  or,  sorella,  fore  fuori,  voi  vuole,  prove  prova; 
gi  -ohi:  fìl'ol  figlioccio,  linso'i  lenzuolo,  eziro' l  scoiattolo,  fur- 
nergi  uccello  fornaiuolo,  ergi  somma  di  covoni  stesi  sull'aia, 
fejg'i  fagiuolo,  vergh  vainolo;  trgp  trova;  —  è)  trgbu  trovo,  trgbi 
trovi,  pg  può. 

2)  In  sillaba  coperta:  pgrte  porta,  rgze  rocca,  kgrde 
corda,  forte  forte,  mgrte  morta,  katgrfe  quattordici,  tgrfre  torcere, 
li-qlhe  colpo;  hgrs  corpo;  ngse  *noptia;  grgse  grossa,  ligie  costa, 
udire  nostro,  voire  vostro.  —  Ma  l'esito  è  ò  in  finale  per  caduta 
di  ss:  grò  grosso,  o  osso. 

12.  Influsso  di  jmlaiale.  —  L'o  ton.  si  turba  in  presenza  di 
elementi  palatali  susseguenti: 

1)  Dinanzi  a  e,  t  j  diventa  o:  oc  otto;  vote  voglio,  fòl'e  foglia; 
dal'  doliu,  lutto,  urgò'l'  orgoglio,  ol'  occhio,  trol'  torculu, 
fr.  treni!;  irqje  troia,  noje  noia,  ^^/qy'f  Spiovi  a,  pioggia,  jìarè- 
ploje  parapioggia.  —  11  pi.  oc(u)los  diede  ol's  presso  Fene- 
strelle,  ma  eu  a  Pragelato,  forse  attraverso  gli  stadi  *uel' s  '^ueu{s), 
indi  eu. 

2)  In  combinazione  con  /  proveniente  da  nessi  palatali  o  ton. 
forma  il  dittongo  eil:  nei'it  notte,  keiìt  cotto,  veilt  vuoto,  keiise 
coscia,  enkéil  *atque  hanc  hodie  oggi,  peil  poggio,  Grmi  Peii 
Grand  Puy  (topon.). 

3)  Seguito  da  postpalatale  o  tonico  diventa  ile:  li'iek  luogo, 
filek  fuoco,  :^ileh  giuoco.  Analogamente  kiter  cuoio. 


28  Alberto  Talmon, 

13.  Influsso  di  labiale.  —  1)  Per  influsso  di  labiale  seguente 
0  diventa  o  in  krobii  coprO;  afr.  cuevre,  ijòru  apro,  afr.  cuevre, 
mohle  mobile. 

2)  Dinanzi  all'elemento  labiale  u  s'apre  in  a  e  forma  il 
dittongo  au:  nau-nauvt  nuovo-nuova,  nau  nove,  plau  piove,  inf. 
plaure,  man  muove,  inf.  maure. 

3)  Bove,  ovu  divennero  nel  dialetto  hiiu,  iiu  (Traverses) 
e  beu,  ni  (Ruà).  Ancora:  a  rjlu  io  gioco. 

14.  Influsso  di  nasale.  —  Essendo  ogni  o,  stretto  o  largo,  se- 
guito da  nasale,  passato  assai  per  tempo  ad  o  sul  territorio  del- 
l'antica Gallia,  non  v'è  alcuna  distinzione  a  fare  tra  o  ed  o  che 
nel  dialetto  passano  costantemente  ad  u. 

E  ed  0. 

E.  —  L'è  tonico  scoperto  e  coperto  ebbe  nel  dialetto  un'evo- 
luzione assai  complessa. 

15.  L'f  scoperto  si  riflette  per  e,  e  %à  e: 
e  dinanzi  a  momentanea: 

e)  sebt  e  epa  cipolla;  feble  flebile; 

i)  -enebre  ginepro  ;  ersebu  ricevo,  ersebi  ricevi  ; 

e  dinanzi  a  continua  e  in  finale  assoluta  di  data  recente  (per 
caduta  di  continua:   r,  s): 

e)  prefe  presa,  pefe  pesa,  se  kefe  si  quota;  agé  avere,  sabé 
sapere,  vuigé  volere,  ve  vedere,  ve  vero,  plafé  piacere;  tre  tre, 
pe  peso,  pre  preso,  me  mese  ; 

ì)  bevu  bevo,  bevi  bevi,  pe  pece;  vice  diede  ve  nella  bassa 
valle  e  v'ie^e  a  Pragelato,  da  un  antecedente  ^vei-e; 

e  in  finale  assoluta  di  data  antica  (ossitoni  originari  in  vo- 
cale e  di  formazione  romanza  per  caduta  di  momentanea): 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  29 

e)  me  m.Q,  te  te,  se  se  ;  huté  boleto,  sape  lariceto,  malfé  me- 
leceto;  kafé,  kanapé\ 

i)  ve  vede,  de  dito,  perké  perché. 

16.  In  posizione  l'esito  è  generalmente  e  dinanzi  a  s 
{ss  e  s  -\-  cons.)  e  in  sillaba  finale;  —  ^  in  sillaba  interna  («)  e 
dinanzi  a  r,  ^  -j-  cons.  {§). 

In  e:  ì)  epese  spessa,  mese  messa,  arete  arista,  A-rff^  cresta  ; 
sep  ceppo,  frek  fresco,  sék  secco,  el  ille,  set  ecce-istu,  kel 
eccu-illu;  -et  -ittu:  fil'et  Aglietto,  miliUé't  muletto,  valet 
vassulittu,  afr.  vaslet. 

In  e:  a)  In  sillaba  interna:  e,  se/e  sedici,  afr.  seze,  deli  debiti, 
fr.  dette  —  i,  nella  risposta  di  -iti a:  karése  carezza,  tristèse 
tristezza,  j9f/rfs^  pigrizia;  — e  di  -itta:  zahrete  capretta,  fìl'ete 
figlietta;  —  ancora:  eie  fr.  elle,  sete  fr.  cette,  keleìv.  celle,  seze 
fr.  sèdie,  nete  fr.  nette. 

^)  Dinanzi  a  r,  l  -f-  cons.  si  à  sempre  un  e  che  varia  di 
quantità  secondo  la  posizione  nella  parola:  serkle  cerchio,  veì'ie 
verga,  seive  selva;  vèrt  verde. 

17.  Influsso  di  l  libero.  —  E  tonico  seguito  da  Hibero 
diventa  éà:  téàie  tela,  zandéàie  candela,  mutéàle  mustela,  etéàle 
*stela,  stella;  —  péài  pelo. 

18.  Incontro  di  semivocale.  —  1)  In  combinazione  con 
w,  IV  tonico  forma  il  dittongo  eu:  deu  deve,  mì.deure',  —  heu 
beve^  inf.  heiire,  penre   pepe,   7ieu  neve. 

2)  Dinanzi  alla  semivocale /,  di  qualunque  provenienza,  passa 
ad  e.  In  dittongo:  rei  re,  afr.  rei,  etréit  stretto,  afr.  estreit,  freit 
freddo,  afr.  freit,  teisre  tessere,  kreisre  crescere;  —  se  segue 
vocale,  seje  seta,  afr.  seie,  kleie  *cleta,  graticcio,  muneje  mo- 
neta. Ma  ad  Usseaux  in  luogo  di  ei  si  à  ai  :  vai,  efrdit,  frait, 
taisre  ecc. 


30  Alberto  Talmon, 

19.  Influsso  di  palatale.  —  a)  Tn  posizione  palatina  suona  e 
se  la  parola  è  tronca:  ktinsel'  consiglio,  siile' t  soliculu,  paret 
pariculu  paio;  —  ma  suona  e  in  parola  non  tronca:  urel't 
orecchio,  knrbel'e  e  urbi  cu  la,  teìire  iìwgexe,  enseiiè  insegna;  — 
s^l'è  secchia. 

h)  Dopo  palatale  e  tonico  diventa  i  in  sire  cera,  sìne  cena, 
mersi  mercede,  fr.  merci,  pai  paese;  rlfin  racemu,  sarafin 
saracenu  fattucchiere. 

20.  Influsso  di  nasale.  —  E  tonico  seguito  da  nasale,  scoperta 
e  coperta  interna  e  finale,  diventa  e.  a)  In  sillaba  scoperta 
è  lungo  nella  penultima,  breve  nella  finale,  e:  rene  vena,  avene 
avena,  piène  piena,  pene  pena;  plen  pieno,  fr^n  freno,  fen  fieno. 

—  i:  daféne  dozzina;  meii  meno,  sffi  seno.  —  /?j  In  sillaba 
coperta  è  sempre  breve:  e:  rendre  vendere,  rendre  rendere, 
bìil'fnte  bollente;  —  i:  mendre  minor,  trente  ''"trinta,  trenta, 
semble  sembra,  lenge  lingua,  diamente  domenica.  Ma  rint  viginti, 
dedint  *de- de- in  tus,  dentro,  intru  entro. 

0.  —  21.  L'o  tonico  e  scoperto  diventa  u  dinanzi  a 
cons.  che  non  sia  momentanea  interna  e  in  finale  di  data  re- 
cente, u  dinanzi  a  momentanea  interna  e  in  finale  di  data  antica r 
o:  pliìru  ploro,  piango,  lire  ora,  rt^wre  allora,  epuf e  si^osa.; 
Tir  óre:  flar  fiore,  sabh'r  sapore,  duiFi'r  dolore;  a  -osu:  lahl' 
geloso,  neblii'  nuvoloso  ;  —  ekubu  io  scopo,  nebii  nipote. 

ù:  gàie  gola,  lup  lupo,  kuve  cova,  lUve  giovane;  krU  croce; 

—  lube  lupa. 

22.  In   posizione  l'o  tonico  latino  diventa  il.  Es.: 

o:  fi^rme  forma,  kiiblé  coppia,  tnt,  tute  *tóttu,  totta  ;  — 
urs  or(e)s  :  dulà'rs  dolori,  flilrs  fiori,  zaiu'rs  calori. 

u  :  rute  rotta,  furze  forca,  giite  goccia,  siirse  sorgente  ;  dubbie 


Saggio  sul  dialetto  di  Pra gelato  31 

doppio,    Jiude    cubi  tu    gomito,    siiipre  solfo   —   nrs   orso,  x^rn 
giorno.   —  S"à  u   dav.  .s  -f-  cons.  :   kìite  costa,  krfite  crosta. 

23.  Incontro  di  semivocale.  —  In  combinazione  con  i, 
l'ó  ton.  forma  il  dittongo  ;//:  luire  Intra,  idre  otre,  nuife  noce, 
kunnisu  conosco;  suffisso  uire  -órì-ci:  mcizuire  masticatoria, 
mandibola,  pp'ze  baiinre  pertica  battitoria,  peire  emuhiire  pietra 
molatoria.  ratf  vididre  topo  volatorio,  pipistrello  ^ 

24.  Influsso  di  palatale.  —  In  posizione  palatina  l'o  di- 
venta ti  se  la  parola  è  tronca:  fenili'  finocchio,  lenii'' l  ginocchio, 
knn  cuneo,  un  unge,  puii  punge;  —  ma  suona  u  in  parola  non 
tronca:  dui' e  doglio,  s'alenili' e  s'inginocchia,  unre  ungere,  punre 
pungere,  lU/ire  jungere,  raggiungere,  zariine  carogna. 

Metafonesi  per  i  finale:  tiit  e  tiic  *totti. 

25.  Influsso  di  nasale.  —  L'o  tonico  (che  può  anche  pro- 
venire da  o)  seguito  da  nasale  scoperta  o  coperta,  interna  o 
finale,  passa  costantemente  a  u,  che  varia  di  quantità  secondo 
la  posizione  nella  parola.  Es.  : 

a)  In  sillaba  scoperta:  o,  hime  buona,  a  sànu  io  suono,  se- 
miinu  summoneo  offro;  —  hun  buono,  Sìtn  suono.  —  o,  kurùne 
corona,  a  diinu  io  dono,  piini  pomo;   min  nome  (ali.  a  non). 

h)  In  sillaba  coperta:  ò,  kiinfre  contro,  pimi  ponte,  kunt 
conte;   —   o,   dunke   dunque,   nun-pa    *nòn-passum,    invece, 


'  Sopra  iiire  da  -orla  s'è  poi  foggiato  il  femm.  analogico  dei  nomi 
d'agente  in  -ore:  ^rvenduire  rivenditrice,  kasuire  Icursuire.  U-ore  dei 
nomi  d'agente  à  qui  il  continuatore  etimologico  in  -au  (da  -atore  per 
caduta  del  t  interno)  che  serve  anche  per  -oriu  :  zasàii  cacciatore,  erveudctu 
rivenditore,  guveynàu  gubernatore  tutore  —  e  identicamente  saldu 
salatolo,  lavati  lavatoio,  embusau  imbuto  (pur  delf.\  zapuldn  togliere. 


32  Alberto  Talmon, 

ekimdu  nascondo,  iundu  toso,  rPpundit  rispondo;  —  u,  umbre 
ombra,  rimipre  rompere,  kunihe  conca,  vallone  profondo,  funt 
fonde,  fidi  fondo,  p)luntp  piombo. 

Dinfluenza  letteraria:  loùk,  lonze  fr.  lons;  longue,  e  non  fr.  nom. 

Osservazione:  Homo  diede  un,  fr.  on:  homi  ne  diede  onte 
fr.  homme,  prov.  ome. 

I  e  U. 

I.  —  26.  L'i  tonico  rimane  intatto  in  sillaba  scoperta  e  co- 
perta, ma  varia  di  quantità  secondo  la  natura  della  consonante 
seguente  e  la  posizione  nella  parola.  Es.: 

1)  In  sillaba  scoperta  l'esito  è  l  dinanzi  a  consonante, 
che  non  sia  momentanea  interna,  e  in  finale  di  data  recente  (a), 
—  %  dinanzi  a  momentanea  interna,  negl'incontri  di  vocale,  e 
in  finale  di  data  antica  (/?)  : 

a)  vive  viva,  x^n:{lve  gengiva;  (dìuk  amico,  ^)?//7A' pulcino  ; 
ri  riso;  i  -Ire:  parti  partire,  niirl  nutrire,  veni  venire,  film 
finire; 

^)  rihe  ripa  lembo  di  prato,  di  terreno  erboso,  aribii  ar- 
rivo, arihi  arrivi;  viu  vivo,  riu  rivo,  Z'if/rf  libbra  ;  ie  -ita,  parfle 
partita^  niirie  nutrita,  filnle  finita;  /  -itu,  partì  partito^  7iuri 
nutrito,  fiiìit   finito;   ni  nido. 

2)  In  sillaba  coperta  l'esito  è  generalmente  ?•  :  mil  mille, 
ile  isola,  ekrli  scritto,  ekrlte  scritta,  fiìn'isu  finisco,  pite  pista, 
rite  rista,  vU  visto,  vite  vista. 

27.  Influsso  di  palatale.  —  Suona  i  quando  v'è  combinazione 
con  un  ^  seguente  :  dire  dire,  frire  friggere.  —  Quando  v'è 
occlusione  di  sillaba  suona  i  nelle  parole  tronche,  i  nelle  pa- 
role non  tronche:  fiV  figlio,  embrW  ombelico,  niàzjl'  chi  ma- 
stica parole,  funfil    *fundiculu,    deposito   in  fondo    a    vasi, 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  33 

bottiglie;   —   fil'e  figlia,    zav'd'e   caviglia,    fri/il' e  briciola,    vine 
vigna. 

28.  Influsso  di  labiale.  —  Per  influsso  di  labiale  s'à  iì  in  siimi 
scimmia,  suhlii  sibilo  fischio,  lilpi  1  i  p  p  u. 

29.  Influsso  di  liquida.  —  Dinanzi  a  l,  semplice  e  doppio.  Vi 
tonico  diventa  ie:  a)  fiel  filo,  ahriei  aprile,  niantiel  m^ntìÌQ,  pur  si  ei 
porcile,  stiel  sottile^  P^fH'  pil^  colonna  —  h)  vieh  villa,  ariieie 
argilla,  ahgiele  anguilla.  S'incontra  pure  fial,  ahrial,  mantiai, 
pursiai  ecc.,  di  fase  più  recente. 

30.  Influsso  di  nasale.  —  a)  In  sillaba  aperta:  ^all'interno 
suona  i  dinanzi  a  w,  i  dinanzi  a  m:  epine  spina,  ve/ine  vicina, 
farine  farina  ;  lime  lima,  sime  cima,  punta.  In  finale  suona  i  assai 
vibrato  dinanzi  a  «,  i  dinanzi  a  m:  vin  vino,  liii  lino,  fin  fine, 
kufin  cuginO;  zamin  cammino;  'prim  sottile,  sim  sego. 

h)  In  sillaba  coperta  è  sempre  breve:  prinM  principe,  ìànfe 
quindici,  dint  de-intas  dentro,  siiik  cinque. 

^^T.  —  31.  h'u  tonico  si  riflette  per  /re  u. 

1)  In  sillaba  scoperta  l'esito  è  ?7,  con  alcune  differenze 
di  quantità,  dinanzi  a  consonante,  negl'incontri  di  vocale,  e  in 
finale  di  data  recente  per  caduta  di  continua  (a),  —  ma  è  ù  m 
finale  assoluta  di  data  antica  per  caduta  di  momentanea  (/?). 
Es.:  —  a)  ekii'r  oscuro,  segii'r  sicuro,  mùr  muro,  samblìi'h  sam- 
buco, laluk  galluccio;  —  fil  fuso,  pertil'  pertugio,  u  uscio,  piem. 
fiis,  perti'is,  ns;  ma  è  breve  negl'incontri  di  vocale:  ni<e  nuda, 
krì'ie  cruda;  ile  -ut a:  agite  avuta,  vengiie  venuta;  leti'ie  lattuga, 
sansiie  sanguisuga.  —  h)  nù  nudo,  krà  crudo,  ve rtit'  virtù;  agi'' 
avuto,  rengu    venuto,   vendu    venduto. 

2)  In    sillaba    coperta   l'esito  è  il:  pùr^e  purga,   titrie 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  3 


•54  Alberto  Talmon, 

*turiga,  stenle,  hùrhe  furba,  brute  brutta,  ddù-ie  diluvio,  agili' e 
*acucula,  fr.  aigtiille  ;  —  ma  si  à  u  dinanzi  a  s-\-cons.: 
riìze  *riisca,  scorza,  bùze  *busca,  festuca. 

32.  Quando  Vii  tonico,  divenuto  //,  è  seguito  da  /,  questo  / 
viene  assorbito  dalla  vocale  precedente:  liìre  luc(e)re,  kundùre 
conduc(e)re.  fritte  *fructa.  Ma  u  rimane  intatto  e  forma  dit- 
tongo con  i:  triiite  tructa,  trota,  bui  buscu  (vald.  truito,  buis). 

33.  In  contatto  con  un  e  precedente  di  qualunque  provenienza 
Vu  tonico,  dopo  essere  passato  a  il,  forma  con  questo  e  il  dit- 
tongo eii:  meiir  maturo,  me^^re  matura  afr.  méur,  seilk  sabucu 
(ali.  a  samblil'k),  Seiife  S  e  g  u  s  i  u  Susa,  lei'm  j  e  j  u  n  i  u,  digiuno  ; 
eilre  suff.  -atura:  klaveiire  cbiavatura,  tal'eUré  tagliatura, , 
e  cosi  mundeiire,  egrafineilre,  eklateiire. 

34.  Influsso  di  liquida.  —  Dinanzi  a  l  libero  1"?^  ton.  passa 
a  ile:  mueì-mueie  mulo-mula,  kiìel  culo;  —  fenomeno  analogo 
si  riscontra  in  muet-miléte  muto-muta,  fr,  muet-muette. 

35.  Influsso  di  nasale.  —  Uu  tonico  seguito  da  nasale  dà  due 
riflessi  differenti: 

a)  Se  la  nasale  conserva  la  sua  articolazione,  Vii,  anche  pro- 
nunziandosi nasale,  rimane  intatto:  plilme  piuma,  liime  lume, 
ekiime  schiuma;  film  fumo,  Ulne  luna;  Une  una. 

b)  Seguito  da  ti  finale  Vu  combinandosi  con  w  diventa  ii: 
Un  unO;  di-lit'n  dies-lunae,  briin  bruno,  kumii'n  comune,. 
zàkù'n  ciascuno. 

luniu  diede  nel  dial.  ^//m,  forse  per  infl.  letteraria  (fr.  juin) 
dopo  essere  stato  *:?:*/'i,  piem.  giìii. 


Sap'p'io  sul  dialetto  di  Prasrelato  35 


Yocali  latine  in  iato. 


36.  In  iato  con  a: 

e  passa  a  /  :  m  e  a  mie,  m  e  a  (  s  )  mia 

V  ea  vie,  ve  a(s)  via. 
0  passa  a  u:  toa  tue,  toa(s)  tua 

doa(s)  dùa. 

37.  In  iato  con  u: 

e  passa  a  e:  meu(m)  meu,  *teu(m)  teu,  *seu(in)  seu. 

38.  In  iato  con  i\ 

0  passa  a  u:  *doi  dà  (con  assorbimento  dell'i). 

Dittongo  AU. 

39.  Nel  dialetto  il  dittongo  au  tonico  è  normalmente  conser- 
vato: —  primario:  aure  aura  vento,  pat/ff  povero,  paufe  pausa, 
laude  lode,  laiidu  lodo,  enklau  incluso,  zau  cavolo;  —  secondario: 
laute  gota,  tauh  tavola,  saiit  salto,  aut  alto,  zaut  caldo,  zause 
calza,  fan  falso,  fause  falsa,  autre  altro.  —  Voci  d'influenza  let- 
teraria, imprestiti:  zgfe  cosa,  robe  roba,  iKirole  parola,  lobi  loggia, 
for^e  *faurga  fucina,  tale  *taula  latta. 

40.  Il  dittongo  au  seguito  da  nasale: 

a)  Rimane  intatto  nella  penultima  scoperta  :  saume  *sauma, 
prov.  saumo. 

bj  Passa  ad  n  nella  penultima  coperta:  mìklé  *aunculu,  zio, 
unte  gemi,  h aunita  onta. 

cj  Diventa  a  nella  finale:  an  *aunt  (habent),  vati 
*vaunt  (vadunt),  fan  *faunt  (faciunt). 


36  Alberto  Talmon, 


Vocali  atone. 

41.  Sintesi  del  vocalismo  atono:  1°  Caduta  delle 
atone  finali,  fuorché  a,  e  delle  atone  interne  (prosemitoniche  e 
postsemitoniche).  2°  Tendenza  generale  alla  riduzione  delle  se- 
miatone  iniziali  : 


a 

e            i             0 

u 

au 

a 

e,  e          i             li 

T.  Postoniche. 
a)  Finali. 

il 

M  . 

42.  È  necessario,  in  finale,  una  distinzione  essenziale  tra  l'evo- 
luzione deir»  e  quella  delle  altre  vocali  latine  (palatali:  e.  i  — 
labiali:  o,  u). 

1.  A. 

43.  Uà  lat.  finale  passa  nel  dialetto  ad  e.  Es.:  a)  porte 
porta,  nÒÉ!  ripa,  sàve  sapa  linfa,  agamie  gamba,  ^awòn?  camera, 
epine  spina,  fene  femmina,  moglie.  —  §)  zante  canta,  porte  porta, 
dune  dona,  sune  suona.  L'esito  di  -a  finale  preceduto  da 
palatale  non  si  distingue  in  alcuna  maniera  dall'esito  di  -a 
non  preceduto  da  palatale: 

a)  vaze  vacca,  lar^e  larga,  tùrie  *turiga,  sterile,  prov. 
turgo,  urei' e  orecchio,  kulime  conocchia; 

^)  serevel'e  si  risveglia,  la  vel'e  la  vigilia,  giorno  precedente, 
empene  forma  per  calzolai,  minze  mangia,  maze  mastica. 

44.  L'-a  finale  rimane  però  intatto: 

a)  Nelle  pili  antiche  e  ferme  proclisi,  cioè  in  quella 
dell'articolo:  la  vaze  la  vacca,  la  zamhe  la  gamba  —  e  del  prò- 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  37 

nome  possessivo:  ma  razr  mia  vacca,  ma  zambe  mia  gamba  — 
e  del  pronome  impersonale  la  :  la  plau  piove,  la  fai  bel  fa  bel 
tempo,  lam'  piai  mi  piace  —  e  della  congiunzione  ma.  L'unico 
esempio  di  o  s'à  nella  proclitica  ~o  jam,  vald.  //p. 

^)  Dinanzi  ad  -s  di  flessione  nominale:  a  -a(s),  porta 
porta(s),  fi' a  filia(s)  urei' a  auricula(s). 

y)  Dinanzi  a  -nt  di  flessione  verbale:  zantan  cantan(t), 
jiortdì'i  portan(t),  impf.  zantàvan,  purtàvan. 

45.  Osservazioni.  —  I.  Alla  terminazione  verbale  -as 
risponde  -i  (pur  vald.):  zanti  canta s,  porti  portas,  zantàvi 
caatabas,  purtàvi  portabas. 

IL  h'-a  finale  passa  ad  -e  quando  è  preceduto  immediata- 
mente da  vocale  tonica:  vie  via,  m/e  mia;  /^ -e(b)at,  -i(b)at, 
arie  aveva,  gfirmie  dormiva.  Ma  -a  dinanzi  a  -s  di  flessione:  via 
via{s),    mia    mea(s);  avta   habe(b)as,  gurmia  dormi(b)as. 

2.  Vocali  palatali  e  labiali. 

46.  Le  atone  finali  latine,  palatali  e  labiali,  caddero  di  re- 
gola tutte  senza  lasciar  traccia  di  sé  nei  parossitoni.  Es.: 

E  :  zantà'  cantare,  purta  portare,  deman  d  e  -  m  a  n  e  domani, 
pan  pane,  ben  bene,  mài  male,  set  sette,  de  dieci  ;  —  veiì  viene. 

1:  le  ieri,  vint  venti,  ven  vi  vieni;  tilt  e  tiic  *totti. 

0:  kant  quando,  zantànt  cantando;  aml'k  amico,  zant  canto, 
zavà'l  cavallo  ;  zantén  cantiamo,  pxirtén  portiamo,  zantàvan  can- 
tavamo, purtàvan  portavamo. 

U  :  korn  corno,  man  mano. 

Osservazioni:  L  La  finale  u  rimane  quando  è  preceduta 
immediatamente  da  vocale  tonica:  din  d  e  u ,  abreu 
hebraeu,  meu  meu,    teìi  *teu,    seu  seu. 

IL  Caddero  pure  le  vocali  che  si  trovavano  in  finale  di- 
nanzi a  -s  di  flessione  miirs  mur(o)s,  \,urs   diurn(o)s, 


38  Alberto  Talmon, 

Hr(''rs  hibern(o)s,  h/ps  lup(o)s,  biaus  bell(o)s,  ohms  vi- 
tell(o)s,  fliirs  flor(e)s,  duiii'rs  dolor(e)s,  zaiu  rs  calor(e)s 
Questo  -s  di  flessione  si  pronunzia  tuttora. 

III.  kW'O  della  P  sing.  pres.  ind.  risponde  -a  (pur  vald.  e 
piem.):  zantu  canto,  pgrtu  porto,  nilniu  mangio,  semmiu  su  ni- 
ni eneo  offro,  vendu  vendo,  sentii  sento. 

Alle  terminazioni  -es,  -is  della  2-'^  sing.  pres.  ind.  risponde 
sempre  -i  (pur  vald.):  vendi  vendi,  semani  summones  offri; 
veni  vieni,  gormi  dormi.  Ma  cade  sempre  la  finale  -is  della  2^  pi. 
pr.  ind.  :  santa  cantate,  minzà  mangiate,  e  identicamente  venda 
vendete,  giirmà  dormite. 

47.  Le  vocali  latine  labiali  e  palatali,  in  finale  si  conservano 
tuttavia  sotto  forma  di  e: 

1°  Nei  parossitoni  dopo  gruppi  formati  da  co)is.  -h  r,  /  : 
paire  padre,  maire  madre,  ndtre  nostro,  fiure  febbre,  diible  doppio; 
e  dopo  cons.  -\-  i  in  iato  :  JQ7\e  orzo,  delùie  diluvio. 

2°  Nei  parossitoni:  l'aure  lepre,  àne  asino,  fraise  frassino, 
kiide  gomito,  peie  *pedicu,  calcio,  runfe  romice,  malate  malato, 
lUve  giovane,  reie  rigido;  a:{e  -aticu,  vialaie  villaggio;  suoaie  sel- 
vaggio; onte  li  ornine. 

Osservazioni:  I.  L'esito  è  però  -i  dinanzi  ad  -s  di  flessione: 
2)airi  padri,  ngtri  nostri,  fraisi  frassini,  kiidi  gomiti,  peli  *pe- 
dicos  calci,  malati  malati,  viaiaii  villaggi,  oìni  uomini. 

II.  h'ì(  finale  è  conservato  in  zendbu  cannabu,  canapa, 
con  l'accento  protratto. 

p)  Interne. 
(Vocali  medie  dei   proparossitoni.  Prosemitoniche). 

48.  Caddero  nel  dialetto  le  vocali  medie  dei  proparossitoni  : 
Es.:   Tifne  Stefano,  ^rpè-fó  trovala,  ^rpò-Zà' trovale;  tetre  lettera, 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  39 

zambre  camera,  rendre  vendere,  renare  rendere,  tère  tenero,  peure 
pepe,  ipire  ungere,  pipire  pungere;  —  àrie  asino,  matite  manica, 
perze  pertica,  kz/de  gomito,  Karème  Quaresima;  —  l'aure  lepre; 
taule  tavola, 

Proparossitoni  divenuti  parossitoni  già  nel  lat.  volg.  :  ol'  occhio, 
urel'e  orecchio,  màkle  maschio,  vèrt  verde,  klrt  lardo,  zaut  caldo, 
kgtbe  colpo. 

49.  In  molti  proparossitoni  la  riduzione  ebbe  luogo  in  modo 
differente  :  è  caduta  la  finale  e  s'è  conservata  la  mediana  sotto 
forma  di  i,  e  (segnatamente  quando  seguono  d,  n,  p)  :  paU  pallido, 
ransi  rancido,  joas?  pacido,  ^^ò«  tiepido;  —  pa:ie  *page(ne),  pa- 
gina, limale  *image(ne),  imagine, /"rawé' *frax  e  (ne) ,  frassino, 
^itve*  juve(ne),  giovane,  orge  *orgue(ne),  organo,  vier:ie  *vir- 
ge(ne),  vergine;  prinse  *prince(pe),  principe. 

II.  Protoniche. 

a)  Iniziali. 
(Semitoniche  a  formola  esterna  ed  interna). 


50.  L'rt  iniziale  scoperto  e  in  posizione  rimane  intatto,  fuorché 
dinanzi  ad  elementi  palatali.  Es.:  a)  amik  amico,  ana  andare, 
uyul'e  *acuc"dla,  ago,  agé  avere,  agii'  avuto;  ane'l  agnello,  artel' 
*articulu,  pollice  del  piede,  armèni  argento.  —  b)  panie  paniere, 
palai  palazzo,  ^a;^'  pagare,  lava  lavare,  paline  gallina;  zantà'  can- 
tare, parti  partire. 

51.  Preceduto  da  palatale  Va  iniziale,  libero  e  in  posizione, 
rimane  di  regola  intatto:  zamife  camicia,  zamin  cammino, 
ialine  gallina;  —  zarbùn  carbone,  zàte'l  castello,  zarpaìitie  car- 


40  Alberto  Taìmon, 

pen tarili  falegname,  zasà'  cacciare.  —  Rari  e  sporadici  sono 
i  casi  di  e  per  influsso  di  palatale  precedente:  zenà'l  canale 
doccia  di  gronda,  zenil'e  e  ani  cu  la  bruco  del  legno,  zeriere 
cathedra   pulpito,  seggio,  sedia,  afr.  ehaiere,    zmabu  canapa. 

52.  Seguito  da  elementi  palatali  passa  ad  e,  i  (a),  o  resta  in- 
tatto (/?).  Es. :  a)  esalasse,  eroi  distesa  di  covoni  sull'aia,  perg'i 
paiuolo,  veróle  vainolo,  me/un  fr.  maison,  lésa'  lasciare,  hjfà'  lat- 
tata, létik  lattuga,  perin  e  pirhì  padrino,  merìne  e  mirine  ma- 
drina, f esine  e  fisine  fascina,  refin  e  r'ifin  fr.  raisin.  —  /?)  la  feri 
afr.  lesert,  rafùn  ragione,  safùn  stagione,  flaira  fragrare  puz- 
zare, bai/a    baciare,  pa;a'  pagare,  kajà'   cacare. 

53.  Casi  di  iato  o  dittongo  per  caduta  di  consonante:  pai 
paese,  bài' a  sbadigliare;  ani  agosto,  meiir  maturo,  zeine  catena, 
afr.  chaeine,  feine  faina,  afr.  faine,  rei  radice,  zeire  cadere, 
afr.  eh  eoi  r. 

E. 

54.  P  h'e  della  sillaba  iniziale  scoperta,  s'attenua  in  e.  Es.  : 
e)  fenHre  finestra,  veni'  venire,  leva'  levare,  nebu  nipote  ;  e)  fenu'V 
finocchio,  \enu'l'  ginocchio,  pf/a'  pesare,  deve  débere  il  dovere, 
ì)  menù'  minuto,  mena    minare. 

2°  In  posizione  rimane  intatto:  le-ie  leggero,  setie  sestario, 
Sétriere  Sestrières  (topon.),  pezà  T^eccato;  —  seza  seccRre,  péza 
pescare,  mekla  mescolare,  ven:{à'  vendicare,  semblà'  sembrare.  Ma 
passa  ad  e  dinanzi  a  r-|-co?^s.:  persane  persona,  mersi  ir.  merci, 
vertu  virtù,  /erma' fermare,  ernh'  afr.  erner,  dilombare,  tartassare; 
si milmente :  ereiie  ereditario  erede,  ereia    ereditare. 

55.  Si  anno  tracce  del  mutamento  di  e-  in  a-  segnatamente 
dinanzi  a  liquida:  èa-tonse  bilancia,  :^airf' geloso,  fmm'^' *tripaliu 
lavoro,  marza  mercato,  zarza'  cercare,  barete  berretta,  arà'm  aera- 


Saggio  sul  dialetto  di  Pnigelato  41 

men  rame,  taiatie  tei  a  tarlo  tessitore,  taravele  e  taroele  te- 
re  beli  a  succhio,  pandekiite  -pentecoste,  tramulà'  tremolare,  ari- 
sihi  eri  ciò  ne  riccio  delle  castagne. 

56.  Di  i-  da  e-  per  influsso  di  palatale  precedente  sono  esempì: 
sireife  ciliegia,  :;^itHn  fr.  rejeton,  sciame  d'api. 

57.  Di  /7  tra  due  labiali  in  fiimele  femella  femmina,  biivént 
bibente  bevente. 

58.  Casi  di  iato  e  dittongo  per  caduta  di  consonante:  jaie, 
mie  afr.  eage,  età;  sia  setaccio,  afr.  sèaz,  p)ià  pedata,  nà  *nià 
nidiata,  nunt  afr.  reont,  rotondo,  imil'  pidocchio,  afr.  peouil. 


59.  L'i  iniziale,  scoperto  e  in  posizione,  rimane  intatto:  vivéìif 
vivendo,  vira'  girare,  timun  timone,  hirùn  tappo,  l'iura  liberare; 
—  tristese  tristezza,  lindà'r  limitare,  linso'i  lenzuolo,  sinkante 
cinquanta. 

60.  Osservazioni:  I.  Ule  della  tonica  dinanzi  a  l  compare 
nella  protonica  iniziale  mutato  in  /a:  fiala  filare,  vialan  vil- 
lano, v'iaiaie  villaggio. 

II.  L'(7  per  effetto  di  labiale  attigua  in  f Unisti  finisco,  Uvern 
inverno,  |?rMm/e  pri mar iu   afr.  prumier,   fìlvele  fibella  fibbia. 

III.  Casi  di  dissimilazione:  ve/in  vìamo,  devi/e  òì^ìsa.,  peco't 
*celt.  pitti  tu,  fr.  petit,  femm.  pecqte. 

0. 

61.  L'o  della  sillaba  iniziale,  scoperto  e  in  posizione,  mutasi 
in  u.  Es.r  o)  umir  onore,  udur  odore,  upimin  opinione;  kuriine 
corona,  kuhimbe  colomba,  kulmie  colucula,  conocchia,  nuvè'l  no- 
vello ;  hirmént  tormento;  —  o)  duna    donare,  plnrà'  plorare 


4'2  Alberto  Talmon, 

piangere, /?//rf  fiorire,  sulel'  soli  cui  u  sole,  ninmént  momento; 
tiirnà'  tornare  ;  —  u)  kuva  covare,  suvént  sovente,  duta  dubitare, 
3uvmì  sub  venire  ricordare. 

62.  Osservazioni:  I.  S'à  il  in  ;^ //a  giù o care  (;%A- gioco)  e  Yij 
in  oliere  oliera  {dii  olio). 

II.  Seguito  da  /:  tidfmi  tensione,  fr.  toison,  puifun  po- 
tione  veleno;  fuie  focariu  focolare. 

III.  Casi    di    dissimilazione:    sekiise   succussa   scossa,   se- 
munl  s il bm onere  offrire,  belile  buluca  favilla. 

IV.  Dormire   diede   diiirmì  e  gurim  —  formica  fiìrniì 
—  *morire  miiri. 


U. 


63.  L'm  protonico  iniziale,  scoperto  e  in  posizione,  passa  a  ii. 
Es.:  a)  filma  fumare,  diira  durare,  liìra  giurare,  ,7/qa'  giudicare, 
sUsa  succhiare,  niìrì  nutrire.  —  /3j  iimii'r  umore,  Umide  umido. 
Urla  urlare,  imuiì  unione,  ilfilrie  usuraio,  iisie  usciere,  iizà'  *huc- 
care  gridare. 

OssEEVAZioNE,  —  Casi  di  iato  e  dittongo  per  caduta  di  conso- 
nante: tiià  fr.  tuer,  esuà'  afr.  essuer,  hiiel  budello,  pi.  hiiau  ; 
mianda  mutanda  capanne  dall'una  all'altra  delle  quali  i  pa- 
stori si  mutano  d'estate. 

Dittongo  AU. 

64.  Il  dittongo  aii  nella  protonica  iniziale  mutasi  normal- 
mente in  u.  Es.  :  aj  urei' e  orecchio,  umenta-  aumentare,  uton 
autunno,  w^rf'f  altore,  altezza.  —  §)  klufiire  clausura  siepe, 
ruba  rubare,  zufj  *germ.  kausjan,  fr.  choisir,  fiidiel  faldile, 
zHsie  e  al  ce  a  ria  scarpe,  zudifre  caldaia,  fuset  falcetto;  ulaiie 
avellana   nocciuola,    ulanie   nocciuolo  ;    uifel   avicellu  uc- 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  43 

cello.  —  In  li:  riltl  *germ.  raustjan  arrostire,  pieni.  riislL  — 
L'esito  oscilla  tra  au  ed  o  in  pauvaUnt,  povaUnt  *paucu- 
V  al  ente  uomo  di  poco  valore,  piem.  valpók. 

i3)  Interne. 
(Postsemitoniche). 

65.  L'evoluzione  delle  postsemitoniche  presenta  una  certa  ana- 
logia con  quella  delle  vocali  finali. 

66.  A.  Mutasi  in  e  come  nella  finale:  nrfelin  orfanello,  tren- 

tedà'  trentadue,  trentetré  trentatre,  karantedu  nanantedn'  ecc.  ; 

pareploje  parapioggia.  —  Casi  di  caduta  per  riduzione  di  iato: 
marzànt  mercatante,  afr.  marcheant,  menéìlt  media  nocte 
afr.  mienuit. 

67.  Palatali  e  labiali.  —  Le  vocali  palatali  e  labiali  latine  in 
protonica  interna  : 

1°  Caddero  nel  dialetto.  Es.:  e)  l'iura'  liberare,  abeurà'  ab- 
beverare, abeurùn  biberone  ;  —  vergiine  vergogna,  serve  l  cervello, 
tarvele  ter  ebella  succhiello;  —  beuta  beltà,  sandà  sanità,  lìiia 
giudicare,  blamà'  biasimare,  za)\à'  caricare,  feuilere  fi  li  cari  a, 
fr.  fougère.  —  i)  kiimensa'  cominciare,  preia  predicare,  refine 
radlcina,  fr.  racine. —  o)  kii:Ji'  collocare  mettere  a  letto; 
—  seìiibla  sembrare,  tramblà'  fr.  trembler.  —  u)  mm:^d' mangiare, 
kudUre  con  sutura,  fr.  couture, 

2°  Si  conservano  tuttavia  dinanzi  a  gruppi  consonantici,  ed 
in  generale  sotto  forma  di  i  dinanzi  a  /,  n,  e,  t  ^'i  in  iato. 
Es.:  guvernà'  governare,  guverndu  gubernatore  tutore,  jse- 
legrin  pellegrino;  —  parpil'ùn  papilione  farfalla,  turbil'im, 
fr.  tourbillon,  kaiina  fr.  caliner,  far  all'amore,  arisùn  *ericione, 
riccio  delle  castagne,  atifà'  fr.  attiser,  agufa    aguzzare. 


44  Alberto  Tiilmon, 

Fenomeni    attinenti   le   postsemitoniche 
conservate  per   l'azione  dell'analogia. 

68.  A.  —  Intatto  :  zenabiere  canapaia,  zandavol'  canapiculu, 
enzantà'  incantare,  enzamha  inceppare,  marzandijt'  mercanteg- 
giare; zantaréik  canterò,  pnrtaréik  porterò,  zantariuk  canterei, 
purtarluk  porterei. 

E.  —  Affievolito  in  e  in  sillaba  scoperta:  penzena  pettinare, 
sutent  sostenere,  revent  rinvenire,  s'aienul'à'  inginocchiarsi  —  ed 
in  posizione  estinta:  kafetiere  caffettiera,  s'aseta  assettarsi.  — 
Dinanzi  are  sempre  e:  remersm'  fr.  remercier,  enterumpre  in- 
terrompere. —  Per  kamarade  camerata,  zandah'e  candeliere,  Zan- 
dah'ere  Candelora  devesi  pensare  ad  un'assimilazione,  rensà'  re- 
centi are  sciacquare  è  dovuto  a  iato  per  caduta  del  e. 

I.  —  Intatto:  mfarina  infarinare,  muHnìe  mugnaio,  muHnà'^ 
mulinare,  ave/ina    avvicinare. 

0.  —  In  u\  duluru  doloroso,  defunu'r  disonore,  kutnnel  co- 
lonnello, rafunà'  ragionare,  zansunete  canzonetta,  mef miete  fr.mai- 
sonnette,  tefiiirete  tonsor  ietta  piccole  forbici,  d'ekundùn 
nascostamente. 

U.  —  In  li:  pertilfa  pertugiare,  etilrnà'  starnutare,  me/ura  mi- 
surare, figura    figurare,  eniurja'  ingiuriare,   asegilra    assicurare. 

Dittongo  AU.  —  In  ii:  enklufurà'  includere  con  siepe  [klu- 
filre),  enzusina  incalcinare,  endxirà'  indorare,  enklufurà ,  part. 
enzusind,  endurà. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  45 

II. 

O  O  N  S  O  N  A  ISI  T  I  S  IVI  O 

I.  Consonanti  iniziali. 

1)    Consonanti    semplici. 

Sintesi:   Le    consonanti    semplici    iniziali    rimangono    intatte, 
fuorché  C  -|-  a,  C  -j-  e,  i,  G  +  a,  e,  i,  e  J. 

a)  Esplosive  e  fricative. 

69,  Gutturali  e  palatali. 

I.  C.  —  Il  e  iniziale  diede  i  seguenti  riflessi: 

1)  C -}- 0?  u  rimane  intatto:  Jcgrde  corda,  koibe  colpo,  ku- 
rtme  corona,  kiide  gomito,  kukurde  cucurbita;  kilflne  cucina, 
kiìsin  cuscino,  keilt  cotto,  keuse  coscia. 

2)  C -|- a  passa  a  z:  zar  caro,  zaifi'r  calore,  zaval{s\].  a 
kavà'l)  cavallo,  zabre  capra,  zaut  caldo,  zati  cavolo,  zant  canto, 
zamp  campo  —  coi  quali  vanno  zuma'  calmare  riposarsi,  zusie 
e  al  ce  ari  a  sc2iv^e,  zudiere  caldaia,  2'o/e  cosa,  zeine  catena,  zeju 
cado,  —  Veri  e  proprii  piemontesismi  sebbene  in  buon  dato  ri- 
corrano nel  delfinese:  A;aW/m  carro,  Aranxfra'^  carnevale,  A:arc?aif^ 
cardatore,  kaise  cassa,  kantun,  canto,  lato,  ripostiglio,  kavese 
cavezza,  kav'a'l  cavallo,  kabase  gerla  di  vimini. 

o)  C -]- e,  i  passa  a  s:  sebe  cepa  cipolla,  s^rvè'l  cervello, 
séel  cielo,  sine  cena,  sire  cera,  serkle  cerchio,  sep  ceppo;  —  lat. 
volg.  *cinque  sitìk,  *c  inquanta  sinkante.  —  Ci  rea  re  è  di- 
venuto zarza    per  assimilazione,  cfr.  fr,  chercher. 

II,  G.  — Il  ^  semplice  iniziale  dà  i  seguenti  esiti: 


46  Alberto  Talmon, 

1)  G  +  o,  u  rimane  intatto:  gqne  gonna^  gor^e  *gòrga, 
ci.  gurges,  gola,  gule  gula  bocca,  giiverna  governare,  gurmànt 
ir.  gourmand.  guitre  ir.  goitre. 

2)  G  +  a,  e,  i  passa  a  ;;;  :  ~a^  gallo,  ialine  gallina,  lardhi 
giardino,  -ari  prov.  garri,  topo,  laune  galbanu  giallo,  imite 
gota;   —  i^nut  ginocchio,  ^ent  gente,  leniive  gengiva, 

III.  J.  —  Passa  ::;;  :  lanvle  gennaio,  tenebre  ginepro,  làve  gio- 
vane, luhre  aggiungere,  liìek  gioco,  ^an  Giovanni,  lita  jactare, 
sciamare.  —  Il  dialetto  di  Fenestrelle  k  e,  g  in  luogo  di  z,  i: 
cabre  c'dTpra,,  cahì'r  calore;  gal  gallo,  gafme  gallina;  ganvie  gen- 
naio, genehre  ginepro,  ecc. 

70.  Dentali.  —  Intatte  : 

T:  tai  tale,  tant  tanto,  tauie  tavola,  tenip  tempo,  tère  terra, 
turna    tornare,  titUe  tegola. 

D:  dal'  falce,  dent  dente,  dina'  desinare,  dire  dire,  dtìnu  dono, 
diir  duro. 

S:  san  sano,  sable  sabbia,  serpént  serpente,  sine  segno,  siià' 
sudare. 

L'unica  alterazione  appare  in  derbmi  talpone  talpa  (pur 
vald.  pieni,  delf.  lion.). 

71.  Labiali.  Intatte: 

P:  pai' e  paglia,  2?«^i  pallido,  ^e/re  pietra^  pile  pista,  i^ost  posto, 
punì  pomo. 

B:  barbe  barba,  bàtùn  bastone,  bai/a  baciare,  beure  bere^  hitmi 
bottone,  biki  bove. 

F  :  fa  fare,  ferma'  fermare,  fiure  febbre,  fare  fuori,  fàrn  forno, 
funi  finire,  fuvde  fibella  fibbia. 

V:  vaze  vacca,  verde  verde,  ve  vedere,  vei'd  vuoto,  vine  vigna, 
vi^ieie  vigilia.  —  L'unica  alterazione  appare  in  ferul'  se  è  da 
verruculu,  cfr.  Diez.  s.  verrou. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  47 

h)  Liquide  e  uasali. 

72.  Liquide.  Intatte. 

R:  rafthì  ragione,  rar  raro,  reh  rem  niente,  rensà'  re  cen- 
ti are  sciacquare,  rlre  ridere^  rgbe  roba,  rure  rovere. 

L:  lane  lana,  loìne  lama,  leire  leggere,  libre  libero,  liip  lupo,, 
lììne  luna. 

Appaiono  alterazioni  solo  in  l'iura   liberare  e  l'iure  libbra. 

73.  Nasali. 

M:  mar  mare,  man  mano,  maire  madre,  men  meno,  mil'ie  mi- 
liario, miglio,  mine  mina. 

N:  nà  naso,  nau  nove,  ìieble  nebbia,  néiit  notte,  nivu  nuvoloso^ 
ngìì  nome,  nuife  noce. 

L'unica  alterazione  appare  in  nis  livido  se  è  da  mitiu  (AGIt. 
XV  415),  e  non  piuttosto  da  ijnitiu  (Pieri,  AGIt.  XII  125, 
Salvioni,  ib.  416,  XVI  458). 

2)  Gruppi  consonantici. 

74.  Cons.  -{-  r:  —  La  consonante  rimane  intatta  ed  r  passa 
a  r.  Es.:  k-ru  croce,  kreire  credere,  grani  grande,  gran  grano;; 
trau  trave,  drap  drappo,  fraire  fratello,  fraise  frassino;  pra 
prato,  brame  branca,  briere  brughiera.  —  Gruppi  di  formazione 
romanza:  dreit  diritto,  dreisa    drizzare,  bril'a    brillare. 

Osservazioni.  —  Fragrare  diede  flaira  per  dissimilazione. 
—  Cr  scaduto  a  gr:  grà'  grasso,  grata  grattare,  gnip  groppo, 
granfi  crampo.   —  Pr  scaduto  a  hr:  brine  brina,   brina   prugne. 

75.  Cons.  -\-l.  —  I  gruppi  iniziali  di  cons.  -\-  l  rimangono 
normalmente  intatti:  klau  chiave,  klaveiire  chiavatura,  glaseirthi 
ghiaccinolo,  piante  pianta,  jilaje  piaga,  pletì  pieno,  bla  blata, 
grano,  blamà'  biasimare,  blimf  biondo,  flame  fiamma,  flgk  fiocco. 


48  Alberto  Talmon, 

76.  S  -\-  cons.  —  S  iniziale  seguito  da  consonante  cadde  nel 
dialetto,  ma  dopo  lo  sviluppo  d'un  e  prostetico.  Es.: 

aj  s  -\-  k:  ezàh  scala,  ezine  schiena,  ekgie  scuola,  ekuèle  sco- 
della, ekuha'  scopare,  ekù'  scudo,  ekrire  scrivere,  ekl^'p  schioppo. 

^)  s  -\-  p:  epale  spalla,  epese  spessa,  e^nne  spina,  epufà'  spo- 
sare, epii'-epufe  sposo-sposa. 

y)  s  -f-  ^  :  età'h  stagno,  etréit  stretto,  afr.  estreit. 
La  riduzione  di  "^esk-  *esp)-  "^est-  coincide  con  quella  delle  for- 
molo dov'è  etimologica  la  vocale  che  precede  a  s  -|-  cons.  :  eliiha 
exlong  lare,  allontanare,  erna  *ex  reni  care,  slombare,  afr. 
«rner;  ekundre  ascondere,  ekiìta'  ascoltare,  ekii'r  oscuro,  devia' 
sviare,  del'à'  slegare.  Notisi  ancora  emhie  prov.  esmirìo  ed  ita 
da  un  anteriore  *eita  estate  e  stato. 

77.  Ku-,  Gu-,  I  nessi  iniziali  Kn  {qu-  cu-  co-)  e  Gu  d'origine 
latina  e  germanica  si  ridussero  rispettivamente  a  k,  g.  Es.  : 

a)  Kii-  :  kard  quadrato,  karènie  quaresima,  kani  quando, 
hatre  quattro,  karante  quaranta,  kal'a'  coagulare,  kazà'  coacti- 
care,  fr.  cacher,  kinfe  quindici,  kel  quello,  kele  quella. 

/?)  Gu-:  gàfià'  guadagnare,  gàta  guastare,  gèpe  vespa, 
germ.  *wespa,  gére  guerra,  garda  guardare,  custodire,  garde 
guardia. 

Da  quinque  quinquaginta  e  quisque  diventati  già 
nel  lat.  volg.  *cinque,  *cinquanta,  *cisque,  si  ebbe  s?V?A-, 
sinkante.  zàku'n  *cisque-unus,  ciascuno. 

78.  Cons.-\-i.  —  1)  DI-  passa  a  ~:  lurn  giorno,  ~?^/-»4' gior- 
nata, -Mnul'^  giornale.  Il  gruppo  è  conservato  in  diameniè  di  es- 
domini ca  domenica.  —  2)  Lz-  mutasi  in  V :  l'aure  lepre,  l'ù 
legare,  l'àse  legaccio.  —  3)  iVV-  passa  a  h:  nà  nidiata,  iiaH  uovo 
nidiale. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  49 

II.  Consonanti  interne. 

1)   Consonanti    semplici. 

a)  Esplosive  e  fricative. 

Sintesi:  Ogni  sorda  digrada  a  sonora  :  nelle  esplosive  sonore, 
primarie  e  secondarie,  frequente  è  il  dileguo  ;  sono  conservate 
le  fricative  ;,  f,  v. 

79.   Gutturali  e  Palatali. 

I.  C.  —  Il  e  latino  intervocalico  dà  i  seguenti  esiti  : 

1)  C  -)-  0,  u  scade  a  g:  segùnt  secondo,  segii'r  sicuro,  agii' 
Sicnto,  plagu  *placutum,  i^ìaciuto,  hn gate  locusta,  a gùl' e  acu- 
cula,  ago,  guiensa  ed  agulensa  *aculentia,  frutto  &Q\\'agu- 
imsie.  rosa  canina. 

2)  C  (-)-  a),  preceduto  da  a.  e,  i,  passa  a  j:  pajà'  pagare, 
paje  paga,  hraje  braca,  emhraja  metter  le  brache,  dujén  decano, 
pria,'  pregare,  prie  prega,  urtie  ortica,  nà  *nià,  annegare.  Im- 
prestiti dal  prov.  :  fige  lieo,  figie  fico  (albero),  sigàle  cicala. 

3)  C  (+ a),  preceduto  da  o,  u,  dilegua:  Itià  locare,  affit- 
tare, avuà'  advocare.  chiamare,  rjià  giocare,  estìa' asciugare, 
leti'ie  lattuga,  belik  *beluca,  favilla,  veriie  verruca.  Imprestito 
dal  piem.  è  fugàse  focaccia. 

4)  C  (-|"  e,  i)  passa  a  /  e  -i^f:  plafé  piacere,  defemhre  di- 
cembre, difént  dicente,  fafént  Sfacente,  ve  fin  vicino,  ri/in 
*racimu,  fr.  raisin  ;  uifel  *avicellu  uccello.  —  ftirnai/e, 
nuife  da  fornati  a,    mi  ti  a  ^. 


^  [if  dopo  tonica  e  au-.  Cfr.  anche  n.  80.  furnai/§,  nui/§  anno  un  e  da  -a 
des.  femm.  analogica.     G.j 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  -i 


50  Alberto  Talmon, 

IL  G.  —  Il  g  hit.  intervocalico  presenta   i   riflessi    seguenti: 

1)  G  (-f- 0.  Il)  dilegua:  aiit  a.gosto,  fau  faggio,  Uuh  tegola. 
—  Dal  pieni.:  biggf  bigotto,  magùn  magone. 

2)  G  (-|-  a)  preceduto  da  a,  e,  i,  passa  a  /:  plaje  piaga,  pajén 
pagano,  zàtià'  castigare,  l'à  legare,  ^'<2se  legaccio,  rilna  rumi- 
gare,  ruminare. 

3)  G  (-f- a)  preceduto  da  o,  u,  dilegua:  sa wsmé;  sanguisuga, 
ruà  rugata,  serie  di  case,  duàne  dogana. 

4)  G  {-\- e,  i)  passa  a  /  che  si  combina  co'  suoni  attigui: 
feine  faina,  meitre  maestro,  mai  magis,  di  pili,  rei  re,  pai  paese, 
lek  leggeva.  —  Letterario  è  viiiele  vigilia  (ling.  eccl.). 

III.  J.  —  E  conservato:  trdje  troia,  majuse.  fragola,  majénk 
maggengo;  —  mai  maggio,  pei  peggio. 

Tra  e  ed  u  un  j  è  caduto  in  leiina  jejunare,  afr.  jeuner, 
\,eun  j  e  j  u  n  (i)  u ,  digi uno. 

80.  Dentali. 

-T-.  Dilegua:  rùa  ruota,  meilr  maturo,  rufa  rugiada,  mianda 
mutanda,  capanne  dall'una  all'altra  delle  quali  si  mutano  i 
pastori  d'estate,  tramila'  tramutare;  a-  ata:  zanta  csmisitOi,  purta 
portata;  ie  -ita:  /"//«/(^finita;  ile  -uta:  èatóf^  battuta.  —  Ma  l'an- 
tico t  si  mantiene  allo  stato  di  d  dove  per  antica  ellissi  venne 
a  succedere  ad  altra  consonante:  vuida  voci  tare,  vuotare, 
kukurde  cucurbita,  sandd  sanità,  lindà'r  limitare. 

-D-.  Dilegua:  niie  nuda,  siià  sudare,  jj?'^  pedata,  nà  nidiata. 
ve  vedere,  treni  tridente,  metde  midollo,  riunt  rotondo  ;  —  ma  è 
conservato  dopo  au  :  laudu  lodo.  Inda  lodare,  zaude  calda,  ezuda 
scaldare. 

-S-.  Scade  a  /:  zgfe  cosa,  ì'ofe  rosa,  epiife  sposa,  epufa  spo- 
sare, rafà'  rasare. 


Saggio  sul  dialetto  eli  Pragelato  51 

81.  Labiali. 

-P-.  Scade  a  b:  ribe  ripa,  lembo  di  prato,  saèé  sapere,  trubà' 
trovare,  nebù  nipote,  sabti'r  sapore,  zabètre  capestro,  kiibert  co- 
perte, abel'e  ape,  debana  dipanare,  ekuba  scopare,  zendbu  canapa. 
—  In  parpalùn,  parpilun  p  a  p  i  1  i  o  n  e,  farfalletta,  l'epentesi  pro- 
babilmente antichissima  di  r  conservò  il  p.  —  Però  :  savùn  sa- 
pone, sàve  sapa,    linfa. 

-B-.  Scade  a  v:  fave  fava,  prooe  prova,  iive'rn  inverno,  iamn 
tafano,  kuvà'  covare;  àvu  *abam,  zantàvu  cantavo,  pwrtótJM  por- 
tavo ;  avorta  abortire,  deve  debere,  il  dovere.  —  Voci  dotte: 
tabà'k  tabacco,  rebust  robusto. 

-F-.  Conservato:  refundre  rifondere,  versare  di  nuovo,  trafoV 
trifoglio,  defore  de  foris,   fuori. 

-V-.  Conservato:  avene  avena,  lava'  lavare,  saHve  saliva,  nuvèle 
novella,  notizia. 

h)  Liquide  e  uasali. 

Sintesi:  Le  liquide  sono  conservate  sotto  forma  di  -^  e  r  e  le 
nasali  rimangono  immutate: 

L  R  M  N 

t  r  m  n. 

82.  Liquide. 

-L-  :  baianse  bilancia,  saia  salare,  paidi  palazzo,  àie  ala,  téàie 
tela,  zandéàie  candela,  fiaià'  IBlare,  ekgie  scuola,  vuià'  volare, 
kuiur  colore,  duiu'r  dolore,  zaliX'r  calore.  —  I  pochi  casi  di  l 
in  r  sono  tutti  esempi  di  dissimilazione  :  esurel'à  esporre  al 
sole,  ekuril'a  scolature,  embrìV  ombelico. 

-R- :  aìnhre  amara,  arà'm  aeramen,  rame,  kurune  corona, 
parè't  pariculu,  paio,  para'  parare,  plufà'  plorare,  pian- 
gere, fiere  fiera. 


62  Alberto  Talmon, 

83.  Namll. 

-M-:  lame  lama,  amar  amaro,  onte  uomo,  puniie  pom  arili, 
melo,  tramuià'  tremolare,   karèrne   quaresima. 

-N-  :  lane  lana,  sentane  settimana,  f untane  fontana,  sunà'  suo- 
nare, duna'  donare,  avene  avena,  vene  vena,  'pène  pena  ;  —  r  per  n 
nel  solito  marmate  *m  ini  mali  a  (AGIt.  II,  366,  876),  piem. 
marmaja. 

2)  Gruppi  consonantici. 

a)  Cous.  -|-  r. 

Sintesi  :  Se  precede  vocale,  la  consonante  viene  in 
parte  trattata  come  a  formola  intervocalica:  ogni  sorda  scade  a 
sonora,  e  con  ulteriore  scadimento  le  sonore,  primarie  e  secon- 
darie, si  risolvono  vocalicamente,  le  gutturali,  palatali  e  den- 
tali in  /,  le  labiali  inw;  —  se  precede  altra  conso- 
nante la  cons.  intermedia  rimane  intatta;  —  r  passa  sempre 
a  f.  —  Gli  esiti  sono  indicati  nel  prospetto: 

CR       GR 

Postvocalico  igr  [ir]     i^r 

Postconsonantico     [kr)       {gr) 

84.  Gutturali  e  palatali  -f-  r. 

-CR-.  Postvocalico:  maigre  magro,  aigre  acre;  -ir  in  plaire 
piacere,  koire  cuocere,  dire  d  icore  dire,  h'i  venne  assorbito 
in  fa  fa  cere,  lilre  lucere,  kundiire  con  ducere. 

(Postconsonantico:  ankre  fr.  encre.) 

-GR-.  Postvocalico:  flaira  fragrare,  puzzare,  leire  leggere. 
D'infl.  letteraria:  fiiiìr.  fugare,  detriiire  destrugere;  — 
sono  voci  analogiche  su  altre  forme  in  -ie  -lere:  m'é  nigru, 
niere  n  i  g  r  a,  entie  i  n  t  e  g  r  U;  entlere  integra,  per  *mir,  *neire, 
*enteir,  *enteire. 


TR 

DU 

SR         PR        BR 

VR 

ir 

ir 

fr     ur{&br)    ur 

nr 

tr 

dr 

sr           pr          ir 

— 

Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  53 

(Postconsonantico:  maigrd  malgrado.) 

Osservazioni  :  I.  Nel  gruppo  complesso  e  d'origine  secondaria 
rk'r  la  palatale  diede  f  come  a  formola  intervocalica:  tor/re  tor- 
cere. —  II.  Nel  gruppo  ngr  pure  d'origine  secondaria  il  ng 
diede  n:  tenre  tingere,  piante  piangere,  compiangere. 

I 

85.  Dentali  -f-  r. 

-TR-.  Postvocalico:  paire  padre,  maire  madre,  fraire  fratre, 
fratello,  afaire  aratro,  peire  pietra,  areire  ad-retro,  indietro, 
preire  presbyter  prete,  luire  lontra  ;  —  aire  -  a  t  (  t  o  )  r  :  pe- 
zaire  peccator,  esclamazione  equivalente  al  fr.  hélas!^  kar- 
daire  *cardator  cardatore,  kalinaire  *caliniator  (fr.  ca- 
liner),  amante,  fidanzato.  —  D'infl.  letterario:  puri  fr.  pourri, 
nilr^L  fr.  nourrir,  bilre  fr.  beurre. 

Postconsonantico  :  autre  altro ,  fenètre  finestra ,  zahètre  ca- 
pestro. 

-DR-.  Postvocalico:  ekaire  squadra,  kaire  quadru,  angolo, 
ripostiglio;  zeire  cadere,  A;mre  credere,  r«r^  ridere;  cathedra 
diede  zeriere  seggio,  pulpito,  per  analogia  con  altre  forme  in 
-iere  (cfr.  afr.  chaiere,  vald.  cdiero  e  karéo).  —  D'origine  lette- 
raria: kadre  quadro,  karà  quadrato. 

Postconsonantico:  mordre  mordere,  perdre  perdere,  oendre 
vendere,  tundre  fondere,  fiindre  fondere. 

-SR-.  Postvocalico:  kufre  co(n) suore,  cucire. 

Postconsonantico:  esre  essere,  kreisre  crescere,  kunuisre  cono- 
scere. 

86.  Labiali  -\-  r. 

-PR-.  Postvocalico:  In  -hr  se  il  gruppo  è  originario  o  di  an- 
tica formazione  romanza,  in  -ur  in  altre  voci  di  formazione  pili 
recente.  Es.:  zahre  capra,  pére  opra,  lenebre  ginepro,  abriel  aprile, 
desif,bre  disopra,  obrt  aprire;  —  peure  piperò  pepe,  l'aure  lepre, 
paure  povero. 


54  Alberto  Talmon, 

Postconsonantico:  apre  aspro,  vepre  vespera,  sera,  me- 
prifà'  sprezzare,  si^ipre  solfo. 

-BR-.  Postvocalico :  dmre  deb(e)re  dovere,  beure  bib(e)re, 
bere,  feuri^  febbraio,  l'iure  libbra,  l'iurà'  librare,  liberare,  fiure 
febbre,  f^rie  *faurga,  *fabr(i)ca,  fucina. 

Postconsonantico:  aibre  albero,  umbre  ombra. 

-VR-  :  viure  vivere,  maure  muovere,  plaure  piovere. 

h)  Cons.  -f-  !• 

Sintesi  :  Se  precede  vocale  la  consonante  vien  pure  in 
parte  trattata  come  a  formola  intervocalica:  ci  e  gì  passano, 
per  risoluzione  della  gutturale  in  %  a  V  •.  pi  scade  a  bl,  e  è/,  fi 
sono  conservati;  —  se  precede  altra  consonante  i 
gruppi  rimangono  intatti  : 


CL 

GL 

PL 

BL 

FL 

Postvocalico 

/' 

r 

hi 

bl 

fi 

Postconsonantico 

kl 

gì 

pi 

— 

fi 

87.   Palatale -{- l. 

-CL-.  Postvocalico:  kal'e  quaglia,  abd'e    api  cu  la  ape,  «réZ'^ 
orecchio,  di'  occhio,    suiet    soliculu,    sole,    -enuV  ginocchio, 
fenili'  inocchio,  gril' e  graticola,  grit  graticulu.  ghiro,  ruiila 
r  odi  e  (u) lare,    rosicchiare.    —    D'origine    dotta:    avogle   abo- 
culu,  fr.  aveugle. 

Postconsonantico:  màkle  maschio,  àkle  ascia,  scheggia,  r«Ha' 
raschiare,  meklà'  mescolare,  serkle  cerchio,  imkle  avunculu, 
zio,  ènklaure  inclaudere,  ricondurre  il  gregge  all'ovile. 

-GrL-.  Postvocalico:  kal'à'  coagulare,  kàV  caglio,  kal'ùn^^gvwmo 
di  sangue,  ve/'a' vegliare,  oel'a  vegliata,  la  veglia,  vel'e  vi- 
gilia, giorno  precedente  (in  ling.  eccl.  è  viiieh). 

Postconsonantico  :  senglù't  *s  i  n  g  1  u  1 1  u  ,  singhiozzo ,  ungle 
unghia,  englutl  inghiottire,  senglà'  fustigare  colla  cinghia. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  55 

88.  Labiale  -f  l. 

-PL-.  Postvocalico :  duble  doppio,  etìihle  stoppia,  etihlun  gambo 
del  grano,  kuble  coppia.  —  D'origine  letteraria:  _pòp?e  fr.  peuple. 

Postconsonantico  :  aplika  applicare,  deplana  spianare^  esemple 
esempio,  empii  riempire,  simple  semplice. 

-BL-:  sìlblà'  sibilare,  neble  nebbia,  sable  sabbia. —  Provengono 
dal  Nord-Est  della  Gallia,  tauie  tab(u)la,  tavola  e  tgie  *taula, 
tabula,  lamiera,  latta. 

-FL-:  suflà'  soffiare,  enfia    enfiare. 

e)  Cons.  +  palatale. 

Sintesi:  Le  palatali  nell'interno  di  parola  dopo  consonante  ven- 
gono di  norma  trattate  come  consonanti  semplici  iniziali  : 

Cons.C  -f  a      Cons.C  -f-  e,  i      Cons-C  -}-  o,  U      Cons.Q  -f-  a,  e,  i      Cons.Q  -]-  o,  U 
z  S  k  X  9 

89.  Cons.Q  _j_  f^  __  £,'esito  normale  è  2;  se  il  gruppo  è  origi- 
nario o  di  antica  formazione  romanza:  vaze  vacca,  seze  secca, 
rgze  rocca,  klgze  *clocca,  campana,  arze  arca,  furze  forca,  ìnuze 
mosca,  planze  plancia;  nàze  natica,, per ze  pertica,  prezà'  predicare, 
ììiciza  masticare,  reverza  re  ver  ti  care,  rimboccare,  ekorzà 
scorticare.  —  In  un'altra  serie  di  voci  piti  recenti  l'esito  è  in- 
vece ~:  vejiia  vendicare,  minaci'  mangiare,  zarià'  caricare,  rj'iià' 
giudicare,  ber^ie  berbicariu.  afr.  bergier,  matiie  manica,  dia - 
men^e  domenica,  forze  *faurga,  *favriga,  fabrica,  fucina. 
Qui  per  un  ritardo  di  caduta  della  postsemitonica  il  e  trovan- 
dosi fra  vocali  scadde  a  ^  e  la  sincope  non  avvenne  che  in  se- 
guito:  berbicariu,  *berbigariu,  *berbigaria,  ber^ie. 

90.  ^°°^C-]-e,  i.  —  L'esito  è  s  se  il  gruppo  è  originario, /se 
è  di  formazione  romanza  (recente)  :    basin  *celt.  b  a  e  e  i  n  u ,   ba- 


56  .  Alberto  Talmon, 

cino,  niersi  mercede,  fr.  merci, /mrsf'Z  porcello,  ^wrs/f^  porcile, 
asfe  acciaio,  susise  salsiccia:  —  run/e  romice,  pg/e  pollice,  mat/é 
meleceto,  eklarfi  *exclaricire,  prov.  esclarcir,  imfe  undici,  di^ fé 

dodici kinfe  quindici,  se/e  sedici.  —  Si  ha  però  z  in  alcune 

voci  germaniche  d'introduzione  relativamente  tarda:  ezme  *skina, 
fr.  échine,  ezerpe  *kerpa,  fr.  écharpe,  dezira  *dis-kèrran 
fr.  déchirer. 

91.  Cons.Q  _|_  ^^  ,^^^  __  Intatto  :  ekundu  ascondo,  zàkù'n  ciascuno, 
faikùn  falcone,  bukun  boccone. 

92.  ^°^^G  +  a,  e,  i.  —  In  .;:  lar-e  larga,  ionie  lunga,  verie 
verga,  p'itrie  purga,  ariént  argento,  ariieh  argilla. 

93.  '^^'^^G -[- '^j  u.  —  Intatto:  étrangula'  strangolare,  engui  an- 
goscia, enguisd  angosciato. 

d)  Cons.  +  Deutale. 

Sintesi:  Nei  nessi  di  cons.  -|-  dentale  scompare  o  andò  sog- 
getto ad  alterazioni  il  primo  elemento  del  grappo  :  le  palatali 
si  vocalizzano  in  i,  le  labiali  cadono,  -ps-  risolvesi  in  is-,  —  ma 
si  rafforzò  di  regola  il  secondo  elemento,  che  non  andò  quindi 
soggetto  a  dileguo.  —  Gli  esiti  sono  indicati  nel  prospetto: 

MN 


CT 

NCT 

GD 

ce  (SC) 

GN  INGO 

PT 

BT 

PS 

it 

ne 

id 

is 

n 

t 

t 

is 

94.  Palatale  -{-  Dentale. 

-CT-:  fait  fatto,  lait  latte,  dreit  dritte,  leit  letto,  teit  tèctu, 
stalla,  etréit  stretto,  dlt  detto  ;  —  1'*  è  stato  assorbito  dal  dit- 
tongo di  ò  attraverso  gli  stadi  *ueit  (prov.  tiueit,  vald.  noit), 
*u^it,  indi  *eu(i)t:  neut  notte,  keiit  cotto,  keilte  cotta.  —  L'esito  e 
si  à  solo  in  oc  otto,  iicante  ottanta;  —  2;  in  pàze  patto.  Altro 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  57 

es.  di  z  si  avrebbe  in  kàze  (nell'espressione  kaze  kàze  ■=  quatto 
quatto)  se  fosse  da  coactu  (Mlssafia,  Rom.  Mund.  n.  169), 
ma  qui  è  piuttosto  da  vedere  una  forma  avverb.  derivata  dal 
part.  di  kaza  e  nkaza  coacticare,  fr.  caclier,  nascondere, 
appiattarsi. 

-NCT-  :  tene  tinte,  tenée  tinta,  une  unto,  unce  unta,  aitine 
aggiunto,  punc  punto,  punte  punta.  Analogici  su  questa  risolu- 
zione sono  kunb  conto,  A-7/wèa' contare.  —  D'in  fi.  letterario: 
seni  fr.  saint.  fentiìre  fr.  teinture.  santilre  fr.  ceinture. 

-GD-  :  fr^jde  fredda,  enfreidà  raffreddato. 

-CS  (e  SC):  —  a)  fraise  frassino,  teisre  tessere,  leisu  laxo, 
lascio,  seisante  sessanta;  keuse  coscia;  dileguo  della  spirante  in 
finale:  bui  bosso,  sei  sei.  —  b)  naisre  nascere,  kreisfe  crescere, 
kunuisre  conoscere,  faise  fascia, /ei.sfwf  e  ftsine  fascino;  dileguo 
della  spirante  in  finale:  fai  fascio. 

-GN  (e  NG')-:  a)  ane'l  agnello,  anau  agnelli,  siìie,  segno,  ensehe 
insegna,  piinà'l  pugnale,  piln  pugno.  —  b)  plahre  piangere 
compiangere,  tehre  tingere,  uhre  ungere,  perire  pungere,  diina' 
*exlongiare,  allontanare;  lon  longe,  lontano,  ten  tinge, 
pian  compiange. 

95.  Labiale  -\-  Dentale. 

-PT-:  rute  rotta,  ekrite  scritta,  azate  accaptat,  afr.  adiate, 
comdera,  bateme  battesimo,  enfu'  emp(u)tare,  innestare. 

-BT-  :  kude  cubi  tu,  gomito,  duta  dubitare,  dittu  dubito;  preire 
*pretre,  presbyter,   prete. 

-PS-:  kaise  cassa,  enkaisà'  incassare;  ils  gesso,  eniisà'  inges- 
sare. —  Preceduto  da  altra  consonante  il  p  cade:  kgrs 
corp(u)s,  afr.  cors. 

-MN-:  fene  fem{i)na.  moglie,  danà'  dannare,  kundana'  con- 
dannare; —  dàn  danno,  son  sonno;  —  autumnu  diede  uton 
(cfr.  vald.  autori).  —  Voce  dotta:  unie,  fr.  àme. 


68  Alberto  Talmon, 

e;  S  +  Cons. 

96.  S  -f-  esplosiva.  —  Nei  nessi  di  s  -\-  esplosiva  il  s  scomparve 
allungando  per  compenso  la  vocale  precedente,  e  l'esplosiva  ebbe 
il  trattamento  di  consonante  iniziale.  —  Si  anno  pertanto  gli 
esiti  : 

se  +  cons.         SC  +  o,  u        SO  +  a        ST        SP 
k  k  z  t  p . 

-SC -j- cons.- :  màkle  maschio,  àkle  *ascla,  scheggia,  ràkle 
raschio,  rakla    raschiare,  mekla'  mescolare. 

-SC-}-o,  U-:  ekundu  ascondo,  nascondo,  ekfitu  ascolto,  zakufi 
ciascuno,  bok  *germ.  bosku,  legno,  frek  fresco. 

-SC  -\-  a-  :  milze  mosca,  óze  prov.  osco,  intaglio,  ràze  prov.  rasco, 
tigna  delle  bestie,  pezà'  pescare,  buze  busca,  fuscello,  fVeze 
fresca,  leze  prov.  lesco,  fetta. 

-ST-:  fète  testa,  fete  festa,  tempète  tempesta,  kriite  crosta,  len- 
gìite  locusta,  zatp'l  castello,  pnte  pista,  èà^«*'»  bastone:  —  la  spi- 
rante rimane  però  in  qualche  voce:  furést  foresta,  besce  bestia. 

-SP-:  gèpe  vespa,  gèpie  vespaio,  vèpre  vespera,  sera,  repunse 
responsa  risposta;  —  è  però  ancora  conservato  s  in  krespe 
crespo,  krespa'  fr.  cresper. 

97.  S  ~\- Sonante .  — ^È  pur  normale  il  dileguo  di  s  dinanzi 
a  liquida  e  nasale,  con  conseguente  allungamento  di  com- 
penso della  vocale  precedente: 

SM  SN  SL 

in  n  l . 

-MS-:  batème  battesimo,  kareme  Quaresima. 
-SN- :  àne  asino,   omone  elemosina_,  d'ma    *disjunare  desi- 
nare. 

-SL-:  ile  iscla,  valet  *vassulittu    valletto. 


Saggio  sni  dialetto  di  Pragelato  59 

Osservazione.  98.  —  I  gruppi  in  cui  s,  in  seguito  alla  caduta 
d'una  vocale,  venne  a  trovarsi  dinanzi  a  r  non  subirono  alte- 
razioni tranne  l'affievolimento  di  s  semplice  in /e  di  r  in  r.  Es.: 

a)  -s'r-  in  /r:  ki//re  co(n)s(ue)re:  si/re  cis(e)ra. 

/?)  -s'r-  in  sr:  esfe  ess(e)re. 

y)  -cs'r-  in  isr :  maisre  nasc{e)re,  hT§isr§  cresc(e)re, 
kuniiisre  conoscere,  teisre  t  ex  (e)  re. 

f)  Nasale  e  Liquida  -j-  Consonante. 

1)  iV-}-  consonante.  99.  —  N  seguita  da  postpalatale  prende 
un  suono  velare  (n)  ;  seguita  invece  da  dentale,  n,  per  quanto 
indebolita,  par  conservare  la  sua  articolazione  dentale;  la  con- 
sonante è  trattata  come  all'iniziale.  —  Si  anno  pertanto  gli  esiti 
indicati  nel  prospetto: 

NC  +  a 


NC  -{-  cons. 

N6  ^-cons. 

NC  +  o, 

u 

NG  +  0,  u 

N( 

hk 

hfj 

nìc 

nz 

NG  +  a, 

e,  i        NC  +  e, 

i         NT 

ND        NV 

NF 

ni 

ns 

nd 

nd            nv 

nf. 

a)  NC-j-cows.-:  mìkle  avunculu.  zio,  enklaure  in  eia  u- 
dere,  rinchiudere  il  gregge  nell'ovile,  mklilme  fr.  enclume, 
incudine. 

-NG -|- cons.-:    ungle   unghia,    enghdi  inghiottire,  senglut  sin- 
ghiozzo, sengla!  fustigare  colla  cinghia. 

-NC -|- ^''.    U-:   blank   bianco,  hank  banco,  r^mìk   giunco;    enkéii 
*atque-li  anc-hodi  e,  oggi,  enkare  ancora. 

-NG -f- 0,    U-:    engui    angoscia,    etranguia    strangolare,    Ifnge 
lingua. 

h)  -NC -[-«-:  blanze  bianca^  brame  branca,  runza!  roncare 
il  terreno,  planze   pian  e  a. 

-NG-j-a,  e,  i-:  ifuiive  gengiva,  elwirj  allungare.  Ionie  lunga, 
anie  angelo. 


60  Alberto  Talmon, 

-NC  -\-  e,  i-:  baianse  bilancia,  lanse  lancia,  unse  oncia. 

-NT-  :  piante  pianta,  karnnte  quaranta,  sent~i  sentire,  menti  men- 
tire^  hiilente  bollente. 

-ND-  :  unde  onda,  manda  mandare,  vendrè  vendere,  répundre 
rispondere. 

-NV-:  enviu    invidioso,  avido,  envidi  invidia. 

-NF-:  enfern  inferno. 

100.  —  iVtra  due  consonanti  cade:  r^urs  diurn(o)s, 
giorni;  iivers  h  i  b  e  r  n  (o)  s,  inverni,  furs  f  u  r  n  (o)  s,  forni,  enfè'rs 
infern(o)s,  uomini  scapestrati. 

2)  M -\- consonante.  101.  —  M  dinanzi  a  labiali  non 
perde  mai  la  sua  articolazione  bilabiale  ;  venuta  a  trovarsi 
dinanzi  ad  altra  consonante  passa  a  n: 

a)  rampe  crampo,  tempète  tempesta,  rumpre  rompere;  zambe 
gamba,  defembre  dicembre,  kukumbre  afr.  cocombre,  cocomero, 
umbre  ombra. 

b)  linda'r    limitare,    soglia,  kunc  computo,  conto,  enta 
em(pu)tare,  innestare. 

102.  —  Nel  gruppo  secondario  m's  preceduto  da  altra 
consonante  (sempre  r)  m  mutasi  in  p:  verps  verm(e)s, 
vermi;  tra  due  r  è  passato  a  b  in  marbré  marm(o)r,  fr.  marbré. 

103.  —  Sviluppo  epentetico  di  b  nei  gruppi  di  for- 
mazione romanza  m'r,  m'ì:  za mbr e  ca.mer a,  tmmbr e  nnmevo, 
kumbla  cumulare,  semblà'  simulare.  Manca  però  l'analogo  sviluppo 
di  d  nei  gruppi  7i'r,  n'r:  tere  tenero^  seri  ceneri,  pladre  pian- 
gere compiangere,  t/nre  ungere,  pittìre  pungere. 

3)  R-\-  consonante.  104.  —  R  passa  ar  dinanzi  alle 
gutturali    e    labiali    (1"),    rimane    intatto    dinanzi    alle 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  61 

dentali  (2'');  la  consonante  viene  di  norma  trattata  come  all'ini- 
ziale. —  Gli  esiti  sono  indicati  nel  prospetto: 

1")    RC  +  o,u         RG  +  o,  u         RP         RB         RM 
rk  rg  rp  rh  rm 

2°)   RC  +  a         RG  +  a.  e,  i         RC  4- e,  i         RS     RT     RD     RN     RL 
rz  r^  rs  rs       rt       rd      rn       ri 

1°)  -RC-[-o,  II-  :  àrk  arco,  piierk  porco;  arkansiei  fr.  arc-en-ciel. 

-RG -j- 0,  U-:  vergune  vergogna,  urgo'l'  orgoglio^  gargqte 
gargotta. 

-RP-  :  arp^  arpa,  ezerpe  sciarpa. 

-RB-:  barbe  barba,  èrbe  erba,  marbré  marmo. 

-RM-  :  ferma    fermare,  gilrml  dormire,  arme  arma. 
2°)  -RC  -{-  a-:   arze  arca,  furze  forca,  marza  mercato,  zarza 
cercare. 

-RG  -{-a,  e,  i-:  tùi\e  *turiga,  sterile  (prov.  turgo),  ver~^e 
vei'ga,  armèni  argento,  ar-iele  argilla,  v'ier\e  vergine. 

-RC -|- e,  i-:  pursìei  porcile,  ersebre  ricevere^  mersl  mer- 
cede, fr.  merci. 

-RS-:  versa!  versare,  burse  borsa. 

-RT-  :  [)Qrte  porta,  parti  partire,   marte  l  martello. 

-RD-:  verde  verde,  perdre  perdere. 

-RN- :  ilvernal'e  hibe malia  invernata,  lanterne  lanterna. 

-RL-:  parla    parlare,  merle  merlo. 

4)  L  -{-  consonante.  105.  —    L  mutasi  in  h   dinanzi  a  la- 
biale, in  u  dinanzi  a  dentale.   Es. : 

1°  Dinanzi  a  labiale:  kù^be,  colpo,  puipe  polpa,  aip  alpe, 
siflpre  solfo,  sahe  salvo,  maìpe  malva,  salvi  salvia,  salvale  (ali.  a 
suvaif)  selvaggio,  seive  selva;  pahne  *  celi,  bai  ma,  caverna,  ri- 
paro contro  l'acqua  o  il  vento  formato  da  rocce  cave  o  pro- 
tendentisi. 


62  Alberto  Talmon, 

2°  Dinanzi  a  dentale:  bauze  *balca,  erbetta  {c,&\t.),feuie 
felce,  feuiiere  filicaria,  a^ir.  teugiere,  zause  csdza,  zusìne  ^zan- 
slne  calcina,  susise  *s  a  usi  se  salsiccia;  zaut  caldo,  zaude  calda, 
zudì'ere  *zaudierè,  caldaia, /aw  falso,  fatise  falsa;  fau  folles, 
folli,  kavàu  caball(o)s;  nu  -ellos:  nuvdu  novelli,  ^ja^aw  cap- 
pelli, vati  vitelli  (ali.  a  nuveaus,  nuviaus  ecc.);  dopo  i,  u,  il  u 
venne  assorbito:  duse  dolce,  putite  poltiglia,  mùtun  *moltone, 
montone,  lajùtre  illac-ultra;  là  oltre,  ktiri^a  collocare  met- 
tere a  letto;  fisele  fil(i)cella,  funicella. 

106.  —  Si  oscilla  tra  ^  e  r  in  valgé  valere,  part.  valgu  cong. 
impf.  valgese  e  vargé,  vargù' ,  vargese  e  vuigé  volere,  part.  vulgù\ 
cong.  impf.  ouigese  e  viirgé,  vurgu  ,  vurgese.  Sempre  r  in  derbun 
tal  pone,  talpa,  e  par  pala  palpo  tuia,  sopracciglio. 

g)    CoilS.  +  i. 

a)  Esplosive  e  fricative  -\-  i. 

Sintesi:  Le  esplosive  e  fricative -f- X  presentanogli  esiti  indi- 
cati nel  prospetto: 

CI        Gì       TI       DI        SI        PI        BI        VI 


Postvocalico  : 

s 

J 

f  ^  if    3 

ij 

Postconsonantico  : 

s 

9 

s          l 

is 

107.   Palatale  -f  i. 

-CI-  Postvocalico:  a  fase  io  faccia,  bràse  braccio  (misura  di 
lunghezza),  l'àse  legaccio,  arisùn  he  ri  ciò  ne,  riccio  delle  ca- 
stagne, arisà'  arruffare,  aizzare,  glase  *glacia  specchio,  susise 
salsiccia, mewasa' minacciare  maltrattare;  -fse- *icia  (ci.  -iti a): 
tristèse  tristezza,  kafese  carezza,  parèse  pigrizia;  vese  veccia. 

Postconsonantico:   zause  calza,  zusa  calzare,  halanse  bilancia, 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  63 

lanse  lancia,  unse  oncia.  —  Il  part.  fafént  risale  al  lat.  volg. 
'■"facente  (ci.  f adente). 

-Gì-  Postvocalico:  kureje  correggia,  esaja  assaggiare;  esai 
assaggio. 

Postconsonantico:   epuhge  spugna. 

108.  Dentale  -f- e. 

-TI-  Postvocalico:  rafun  ragione,  aguja!  aguzzare;  sé/«*germ. 
satjan,  fr.  saisir,  ^^j/j/m^ì  potione  veleno,  fu7'naif e  *fornatia, 
fornace  [V.  n.  79,  4i]. 

Postconsonantico:  forse  forza,  usa  alzare,  plàse  piazza,  nese 
neptia,  nipote^  ngsa  nozze,  zasa  cacciare;  fasùn  fa  et  ione, 
fr.  fagon,  trasa'  tracciare;  linso' i  \enz\ì.o\o,  rensa'  recentiare, 
sciacquare. 

Postconsonantico:  joì\e  orzo,  ver^ie  viridiariu,  verziere. 
—  Alla  sorte  del  gruppo  -dv-  si  riattacca  quella  dell'importante 
suffisso  -aticu,  che  diede  -a^e  attraverso  alle  trasformazioni 
*adigu  "^adiu  *adie:  frumaie  formaggio,  via^aie  villaggio; 
kuraie  coraggio,  lavale  lavaggio.  Qui  pure:  aiiìa  ad  lutare, 
aiutare^  a~Jiek   adiutu,  aiuto. 

-SI-  Postvocalico:  bai/a'  baciare,  gldfe  ecclesia,  chiesa, 
sireife  ciliegia,  zamlfe  camicia,  tuifùh  to(n)sione  vello;  in 
protonica:  mefnii  (vald.  mei/uh),  fr.  maison,  fefoi  fagiolo  (vald. 
feifòi). 

Postconsonantico  (Gruppi  SSI  e  STI):  a)  baisa!  abbassare,  baise 
luogo  abbassato,  mesùn  *meìsun  (vald.  meisùh)  messione, 
mietitura.  —  b)  ehguisa  angosciare,  fruisà'  frusti  are,  fr.  froisser, 
soffregare,  bruisa  (prov.  broustar,  fr.  brouter)  mangiare  come 
bruti;  —  d'origine  letteraria:  besce  bestia. 

109.  Labiale  -\-  i. 

-PI-:    apruza    approcciare,  pVQze   fr.  proche.   —   Sono   veri  e 


64  Alberto  Talmon, 

propri!  piemontesismi  :  api  accetta,  *germ.  ha  pia,  krópi  greppia, 
asapie  io  sappia. 

-BI-:  gu-uh  gobione,  fr.  goiijon,  tiie  tibia,  il  gambale  di 
uno  stivale,  saie  *sabiu,  saggio,  sapiente,  alu-a  alloggiare:  — 
piniùh  pibione,  fr.  pigeon,  zanià'  cambiare.  —  In  -j-:  ruje 
ru(b)ea,  rui  ru(b)eu,  rossa,  rosso:  aje  ha(b)eam^  a/i  ha- 
(b)eas,  aje  ha(b)eat,  a.jah  ha(b)eamus  etc.  —  Piemonte- 
sismi  :  rahi  rabbia,  lobi  loggia. 

-VI-:  delù-e  diluvio,  le^ie  leviariu,  leggiero,  ahreid  abbre- 
viare, seriént  serviente,  sergente;  —  plóje  risale  al  lat.  volg. 
*ploja  (ci.  pluvia).  —  Piemontesismi:  ^abi  gabbia,  eibi  alveu, 
trogolo,  sa-toi  salvia. 

j3j  Sonaute  -|-  «• 

Sintesi:  Le  liquide  e  nasali -j- i  danno  i  seguenti  riflessi: 
RI            LI            MI            NI  MNI 

XY  ^'  **  **  ni,xm. 

110.  Liquida -\- L 

-RI-  Trasposizione  di  i  nella  sillaba  precedente:  le  -ariu,  tefe 
-aria:  priimie -priimiere  primario  -  primaria,  primo,  prima, 
taiatie  -  talatiere  telata  rio  -telata  ri  a,  tessitore,  tessitrice  ; 
lanvie  gennaio,  f eurie  febbraio;  matiere  materia,  fiere  fiera,  aire 
(ali.  a  lere)  area,  aia. 

-LI-:  pai' e  paglia,  tal' a'  tagliare,  fil'e  figlia,  famil'e  famiglia, 
fol'e  foglia,  mei' tir  migliore,  bui' uh  bullione  brodo;  hi'  aglio, 
tal'  taglio,  mei'  meglio,  f6l'  foglio,  dot  doliu,   lutto. 

111.  S asale  -\- X- 

-MI-:  riina  rumi(g)are,  ruminare,  eparna  risparmiare.  In 
vénderne  vendemmia  o  1'/  fu  attratto  o  si  partirà  qui  da  un  m 
semplice.  —  Piemontesismo  è  sùmi  scimmia. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  65 

-NI-:  muntane  montagna,  hana  bagnare,  a  vene  io  venga,  a 
tene  io  tenga,  viìie  vigna,  piiié  pigna,  /h «me  mon(i)ca,  monaca. 
kampahe  campagna,  ararla  ragnatela;  kùh  cuneo,  ekrlh  scrigno; 
-à'n-  aniu:  ara'h  ragno,  kava'h  cesto.  -N(D)I-:  verguhe  vergogna. 
—  Es.  di  «  in  -:  grande  granea,  fr.  grange,  lin::;e  lineu. 
biancheria. 

-MNI  [e  MMI)-:  sunia  somniare  pensare,  kun^J  e  o  ra- 
me atu,  congedo;  —  suini  somniu,  sogno  (vald.  som),  siiima 
somniare  sognare  (vald.  sdima). 

h)  Cons.  +  u. 

Sintesi:  Norma  è  la  caduta  dell'elemento  labiale  ii  e  la  con- 
servazione della  consonante:  però  u  si  conserva  e  passa  a  v 
dopo  dentale  semplice.  —  Grli  esiti  sono  indicati  nel  prospetto: 

Coas.  4-CU         Voc. +  CU         GU         Deiit.  sempl. -[- « 
le  g  g  V 

112.  Palatale  ^u. 

-Cons. -|- CU  (Qu)-:  Pàka  Pasqua,  sihk  cinque,  sinkante  cin- 
quanta. 

-Voc.  -|-  CU  (Qu)-:  aige  acqua,  afr.  aigue,  aigle  aquila;  egà'-l 
uguale,  egaia    uguagliare,  segre  sequere,  seguire. 

-GrU-:  lehge  lingua,  uhgént  unguento,  angiele  anguilla;  riu- 
scito finale  il  g  passa  alla  sorda  corrispondente:  sank  afr.  sane, 
sangue.  Dilegua  in  sana'  san(gu)i  (n)are,  salassare  e  perder 
sangue,  e  sakìve  fr.  saignée. 

113.  Dentale  -\-  ii.  —  1)  Es.  di  u  caduto  già  nel  lat.  volg.  dopo 
dentali  in  gruppi:  batate  battaglia,  hatu  batto,  hatre  battere; 
kìisre  *cosere  (ci.  consuere)  cucire,  kufu  *coso.  mori  morto, 
morte  morta,  feurlé  febbraio;  —  inoltre:  se  fytre  futuere  can- 
zonare, infischiarsi. 

Archivio  glottol.  ital  ,  XVllI.  '  5 


66  Alberto  Talmon, 

2)  Dopo  dentale  semplice:  reve  vidua  afr.  veve,  m-a^e  ve- 
dovanza ;  lanvie  j  a n  u a  r  i  ii  ;  eparoi'e  *germ.  s  p  a  r  w  a  r  i  u  rete 
per  la  pesca. 

ij  Consonanti  I ungilo. 

aj    Esplosive    e   fricative. 

Sintesi:  Le  esplosive  e  fricative  doppie  vengono  scempiate  ed 
in  seguito  trattate  come  consonanti  semplici  iniziali: 

CC  +  o,u        CC  +  e,i         CC  +  a        TT        SS        PP        BB 
k  s  z  t  fs  p  h 

114.  Gutturali  e  Palatali. 

-CC -)- 0,  U-:  hukùn  boccone,  bbike  buccola,  seh/se  succussa, 
scossa,  ikéiì  eccu-hoc-inde    quella  cosa  là. 

-CC -|- e,  i-:  ise't  eccistu,  isete  eccista,  afr.  icest,  iceste. 
isg'n  ecce-hoc-unde,  questa  cosa  qui. 

-CO -f- «- :  vaze  vacca,  seze  secca ^  klgze  ciocca  campana, 
ilzà'  huccare  urlare,  jjezà  peccato. 

115.  Dentali. 

-TT-:  fil'ete  figlietta,  zabrete  capretta,  giite  gutta  goccia, 
kaire  quattro,  Idre  lettera,  ti^te  tutta. 

-SS-  :  lo  scempiamente  della  doppia  produce  sempre  l'allunga- 
mento della  vocale  precedente:  gvàse  grassa,  base  bassa,  epese 
spessa,  gfóse  grossa,  fase  fossa. 

116.  Labiali. 

-PP-  :  klape  chiappa,  tri^ye  trippa,  trupe  truppa,  (/fiipà'  aggrop- 
pare, gnipu  aggroppo. 

-BB-:  gijbe  gobba,  libu    gibbosu  gobbo,  libù/e  gibbosa. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  67 


§)   Liquide    e    Nasali. 


Sintesi:  Le  liquide  e  nasali  doppie  vengono  pure  scempiate, 
ed  in  séguito  trattate  come  le  semplici  iniziali,  tranne  /  dopo 
vocale  lunga:  v 

LL  RR  MM  NN 

/,  i  r  m  n . 

117.  Liquide. 

-LL-:  1)  In  l  dopo  vocale  breve:  bele  bella,  seZg  sella,  fisele 
funicella,  etele  a  s  t  i  1 1  a,  asta  di  legno  da  ardere  ;  2)  dopo  vocale 
lunga,  essendo  stato  ridotto  a  l  già  nel  lat.  volg.  della  Gallia, 
passa  a  i:  etéàh  stella,  pieh  *pila,  pilla,  colonna  d'appoggio, 
vieh  villa^  angieie  anguilla. 

-RR-:  tère  terra,  fere  ferro,  gère  guerra,  kureje,  correggia,  kifre 
correre. 

118.  Nasali. 

-MM-  :  fiume  fiamma,  mamela  mammelle,  fléme  flemma. 
-NN-:  kane  GSinnsi,  zenabii  cannabus  canapa,  ème  *celt.  benna 
cesta  di  vimini,  fr.  banne. 


III.  Consonanti  Anali. 

1)  Fiuali  latine. 

119.  Esplosive.  —  T,  D.  Dileguano  senza  lasciar  traccia  di  sé 
nei  polisillabi  e  monosillabi,  dopo  consonante  e  dopo  vocale. 
Es.:  Polisillabi:  -e  -at,  zante  canta,  min:ie  mangia;  ave  -abat, 
zantcive  cantava,  miniare  mangiava;  an  -ant,  zantan  cantano, 
miniuìì  mangiano;  -avuti-  abant,  zantàvan  cantavano,  min'Jcivan 


68  Alberto  Talmon, 

mangiavano;   abi'i   apud,  con.  —  Monosillabi:   Ite   stat,  é  est, 
e  et,  siin  sunt,  ke  quid. 

-C.  Passa  a  ^|:  fai  fac,  isài  ecce-hac  da  questa  parte,  ilài 
ecce-illac  da  quella  parte;  —  ma  si  sic,  ni  ne  e. 

120.  Fricative.  —  -S.  L'-s  finale  originario  dopo  vocale  è 
caduto  nei  polisillabi  e  monosillabi  (a),  ma  rimane  normalmente 
dopo  consonante  (è).  Es.: 

a)  Polisillabi:  porta  portas,  va  za  vaccas;  i  -as,  zanti 
cantas;  ari -abas,  zantàvi  e  a.  ni  ah  as;  i -es,  voH  voìes;  ^ -is, 
gdrmi  dormis.  —  Monosillabi:  fa  fas  facis,  va  vas  vadis, 
mai  magis,  sei  sex,  ^^/rt  *plui  plus,  ^r^tres,  »mnos,  cìixob. 

b)  i}rs  -or(e)s:  duUl'rs  dolori,  zalìi'rs  calori,  flifrs  fiori: 
Itdps  lup(o)s,  verps  verm(e)s,  miirs  mur(o)s,  rjirs  diurn(o)s, 
ilvers  hibern(o)s;  —  dopo  semivocale  è  caduto  a  Pragelato, 
e  conservato  presso  Fenestrelle:  prag.  bau  bell(o)s,  vau  vi- 
tell(o)s,  fen.  beaus  e  biaus,  veaus  e  viaus. 

Inoltre  il  -s  di  flessione  latina  s'ode  ancora  allo  stato  di  so- 
nora (/)  dinanzi  ad  iniziale  vocalica  nei  riflessi  di  nos,  vos, 
illos-illas,  meos-meas,  tuos-tuas,  suos-suas,  nostros- 
nostras,  vostros-vostras.  Es.:  nus  avén  noi  abbiamo,  vuf 
ava  voi  avete;  luf  eu  gli  occhi,  laf  urel'a  le  orecchie;  muf  amiks 
i  miei  amici,  maf  ami/a  le  mie  amiche;  tuf  amìks,  su/  amfks 
i  tuoi,  i  suoi  amici,  ecc.  —  Ma  dinanzi  ad  iniziale  consonantica 
questo  -s  dilegua  lasciando  tracce  di  sé  nell'allungamento  della 
vocale  precedente:  la  porta  le  porte,  Iti  lìips  i  lupi;  miì,  tu,  su, 
ben  i  miei,  i  tuoi,  i  suoi  beni:  ma,  ta,  sa  sore  le  mie,  le  tue,  le 
sue  sorelle,  ecc. 

121.  Liquide  e  Nasali.  —  Caddero  in  età  più  o  meno  an- 
tica nei  polisillabi:  zavà'l  caballu{m),  zant  cantu(m);  non 
nome(n);  ensémp    insimul    apud;   —   per  r  finale   kiìrà    cu- 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  69 

rator,  it.  curato,  si  uniforma  alla  norma  generale,  ma  in  sor 
sor  or,  prov.  sor,  può  esser  dubbio  se  r  sia  caduto,  o  se  i  due  r 
si  siano  fusi  insieme,  —  nel  suff.  -a  t  (o)  r  s'ebbe  -tre  :  kaiinaire 
*caliniator  (fr.  caliner),  vagheggino,  fidanzato. 

Nei  monosillabi: 

-M  rimane  come  n:  ren  rem  niente,  niun  *mum  (ci.  meum), 
ftm  *tum  (ci.  tuum),  snn  *sum  (ci.  suum).  —  E  caduto  in  io  jam, 
ke  quem;  in  quanto  alla  1"  pers.  su({k}  io  sono,  si  può  supporre 
che  risalga  a  *so  (ossia  a  *som  per  sum)  divenuto  *sojo,  indi 
siu  sotto  l'influenza  di  *ajo  (ci.  habeoj  divenuto  ei{k)  (Cfr.  fr.  suis, 
afr.  sui,  e  ai)  [V.  anche  Orig.  ditt.  rom.  38]. 

-N  rimane  come  n:  non  non,  en  in.  -L  rimane  sotto  forma 
di  i:  sài  sai,  méel  mei,  féel  fel.  -R  rimane  affievolito  in  r: 
kdr  cor,  per  per-  Per  *sale,  *mele,  *fele  v.  Arch.  XVII 
560  ;  gli  altri  sono  proclitici. 

2)  Fiuali  romanze. 

aj    Esplosive    e    fricative. 

122.  Gutturali  e  Palatali. 

-C  +  o,  il,  a.  Di  ogni  c-\-ti  in  parossitono  rimane  -k:  luek  gioco, 
fiiek  fuoco,  luek  luogo,  ^x<?iA;  poco,  samblù'k  sambuco;  —  àrk 
arco,  bank  banco,  blank  bianco,  bók  bosco,  ffek  fresco,  sàk  sacco, 
sek  secco,  bck  becco,  buk  becco,  caprone.  Proviene  da  forme  in 
-ca  il  z  di  ranz  ramo,  bùz  *buscum  macchia,  fr.  broussaille,  e 
bìlz  (nella  dizione  ita  buz,  star  bocconi).  —  Proparossitoni  : 
aticu,  -aie:  vùilaie  villaggio,  suixiie  selvaggio,  kuraie  coraggio; 
—  sono  piemontesismi  :  mani  manico,  j?erse  persico,  tósi  tossico, 
porti  portico,  dumeti  domestico. 

-C  -j-  e,  i  dilegua  nei  parossitoni  lasciando  tracce  di  sé  nel- 
l'allungamento della  vocale  precedente  :  pe  pece,  de  dieci,  perdri 
pernice,  pà  pace,  vii  voce,  kra  croce.  —  In  sili,  finale  di  propa- 


70  Alberto  Talmon, 

rossitoni  sincopati  diventa  /:  runfe  romice,  pofe  pollice,  unfe 
undici,  diife  dodici,  trefe  tredici sefe  sedici. 

-G  -f-  0  u,  resta  nel  solo  caso  che  sia  preceduto  da  altra  con- 
sonante ed  allo  stato  di  sorda  {k)  :  Iqiìk  lungo,  rank  rango 
afr.  rane,  sank  sangue  afr.  sane,  lark  largo,  gììrk  gorgo.  — 
In  lu  jugu  e  fan  fagu,  cadde  la  gutturale  e  Yu  si  combinò 
colla  vocale  precedente.  Mancano  esempì  di  -ga.  —  Le  forme 
verbali  in  -ngo  come  piango  tingo,  diedero  piami,  temi  per 
analogia  cogl'inf.  plakre,  tehre  e  simm. 

-G -|- e,  i  si  risolve  in  k  rei  rege,  lei  legit,  burài  borrago 
off  icinalis. 

123.  Dentali. 

-T.  Cade  se  preceduto  da  vocale  (a),  ma  resta  se  preceduto 
da  consonante  [b).  Es.:  —  a)  a  -atu:  zantà  cantato,  minzà  man- 
giato; —  i  -itu:  funi  finito,  nilri  nutrito;  io  -utu:  hatii  bat- 
tuto, kreisu  cresciuto;  pra  prato,  bla  blata,  grano,  hiU  boleto, 
nebù  nipote,  sandd  sanità,  vertu  virtù.  —  b)  pàrt  parte,  fait 
fatto,  leit  letto,  zàt  gatto,  tut  tutto,  fil'e't  figlietto,  dìinànt  do- 
nante, bìil'ént  bollente,  vini  venti,  punt  ponte.  —  Imprestiti: 
niuet  muto,  apetit  appetito,  voci  pur  delfinesi. 

-D.  Cade  dopo  vocale  (a),  ma  resta,  però  allo  stato  della  sorda 
corrispondente,  dopo  consonante  [b).  Es.:  a)  nù  nudo,  krù  crudo, 
pe  piede,  mersi  mercede  grazie.  —  b)  tari  tardo,  Ifirt  lardo, 
zaut  caldo,  freit  freddo,  veri  verde,  rekort  fenum  cordum, 
secondo  fieno,  grani  grande,  aglànt,  ghianda,  funi  fonde. 

-S.  Cade  se  è  preceduto  da  vocale  o  proviene  da  ss  e  ei  (a), 
ma  rimane  allo  stato  di  sorda,  se  è  preceduto  da  consonante  (b). 
Es.  :  a)  rà  raso,  nà  naso,  ri  riso,  fu  fuso  ;  —  gfà  grosso,  bà 
basso,  epe  spesso,  grò  grosso  ;  —  brà  braccio,  là  laccio,  già 
ghiaccio.  E  da  osservare  che  la  caduta  di  -s  produce  l'allunga- 
mento della  vocale  precedente.  —  h)  itrs  orso,  kurs  corso,  skàrs 
scarso. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  71 

124.  Labiali. 

-P.  Rimane  dopo  vocale  e  dopo  consonante:  lùp  lupo,  sàp 
*sapit  sa;  —  zainp  campo,  drap  drappo,  trqp  iroppo,  a^p  alpe. 

-B.  Si  vocalizza  in  u  dopo  vocale  (a),  passa  alla  sorda  corri- 
spondente dopo  consonante  [b): 

a)  trau  trave,  deu  deve,  ben  beve. 

b)  kuhhnp  colombo,  plump  piombo,  gap  gobbo. 

-V.  Passa  a  u  dopo  vocale  (a),  rimane  intatto  dopo  conso- 
nante (b).  Es.  : 

a)  klau  chiave,  nau  nove.  id.  nuovo,  piati  piove,  mau  muove, 
neu  neve,  ìHu  rivo,  vili  vivo. 

b)  serv  serve. 

b)    Nasali   e    Liquide. 

125.  Licpuide. 

-R.  La  vibrante  R  riuscita  finale,  semplice  e  proveniente 
da  BR,  si  conserva  sotto  forma  di  r:  fhir  fiore,  duiur  dolore, 
zar  caro,  ama  r  amaro,  pilr  puro,  milr  muro;  —  tur  torre.  Ma 
tace  V r  degl'infiniti  e  del  suffisso  -ariu  e  delle  voci  analogiche: 
-è -are  ««ntò' cantare,  -f'-ére  5a^'*sapere,  -i  -i  r  e /"«mi  finire  ; 
■ie  -àriu:  pr  a  III  le  primariu,  ìeiie  leviariu,  ^?</w/e  pomariu, 
lanvte  gennaio,  sursle  sor  ti  ariu  fattucchiere;  —  metie  mestiere, 
entie  intero. 

Osservazione.  —  In  alcune  località  della  bassa  valle  (Fayet 
di  Roure)  Vr  degl'infiniti  rimane  affievolito  m  V-  cantar  can- 
tare, ati^r  andare,  sabè'r  sapere,  fiimr  finire. 

-L.  Riuscito  finale  l  passa  a  /  («)  ed  II  riducesi  a  //  {b). 
Es.  :  a)  tài  tale,  mal  male,  pài  palo,  séel  cielo,  péàl  pelo,  fiel 
filo,  abriel  aprile,  Unso'i  lenzuolo,  sai  suolo.  —  b)  /cavà'l  ca- 
vallo, pel  pelle,  bel  bello,  nuvè'l  novello,  kgl  collo,  mol  molle, 
mil  mille. 


72  Alberto  Talmoii, 

126.  Nasali. 

-M.  rimane  intatto  nella  tonica  originaria  («),  ma  passa  ad  n 
nella  postonica  e  nelle  forme  verbali  ossitene  romanze  (b).  Es.: 
a)  fàni  fame,  arà'm  a  era  me  rame,  lèm  geme,  pfon  pomo. 
film  fumo;  — fèrm  fermo,  (jorm  dorme. —  b)  -àvan  -abamus: 
zantàvan  cantabamus  :  -ian  -e b a m ii s  :  tenian  t e n e b a m u s  ; 
—  zantén  cantamus,  vendén  v  end  emù  s,  avéiì  habemus. 

-N.  Dopo  vocale  passa  a  n  velare  [n]  tanto  nella  tonica  che 
nella  postonica  [a);  —  ma  rimane  di  regola  intatto,  con  pro- 
nunzia dentale,  dopo  consonante,  come  pure  il  n  continuatore 
etimologico  di  nn  (b).  Es.  :  a)  pan  pane,  man  mano,  gran  grano, 
ben  bene,  ten  tiene,  vifì  vino,  sun  suono,  ti/un  tizzone,  mefùn 
ma(n)sione;  —  -an  -ant,  ^antow  cantant  ;  —  araw -abant, 
zantàvan  cantabant.  —  b)  zàrn  carne,  afr.  charn,  ilvern  in- 
verno, enfè'rn  inferno,  seni  cernit  sceglie,  furn  forno,  kqrn 
corno,  afr.  coni;  — pan  panno,  bren  pieni,  brenn  crusca.  Però  an 
anno.  fr.  an. 


ni. 

ACCENTÒ     E     QUANTITÀ 

126^'^.  Accento.  —  L'accento  è  quello  del  latino  volgare  con 
le  deviazioni  comuni  al  francese  e  al  provenzale. 

a)  Accento  ritratto:  —  zeine  catena,  felne  fagina,  meilr 
maturu,  selik  sabucu,  j^gw/' p  educhi,  rm^  *agustu.  Es.  d'ac- 
cento ritratto  ci  offre  ancora  la  flessione  verbale  negl'inf.  della 
2*  coniug.  con  lat.  in  ere;  godre  godere,  pusedre  possedere, 
pruoedPe  provvedere. 

b)  Accento  protratto  :  —  epinule  s  p  i  n  u  1  a,  zenabu  e  a  n- 
nabu  canapa.  Vocaboli  sdruccioli  d'origine  letteraria  son  fatti 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  73 

parossitoni  od  ossitoni  secondo  i  casi  :  fasile  facile,  trihiile  tri- 
bola, kapite  capita,  niufike  musica,  fahrike  (ali.  a  forie  d'orig. 
popolare);  —  auidus  angelus,  baslikg'  basilico.  In  genere  i  verbi 
d'origine  popolfire  estesero  la  parossitonia  al  sing.  e  alla  3^  plur. 
del  pres.  indicativo  e  congiuntivo  :  a  semmu  io  semino,  k'a  se- 
mme ch'io  semini,  penzpiu  pettino,  penzène  pettini  —  semènan 
seminino,  penzenan  pettinino. 

127.  Quantità.  I.  Vocali  toniche.  I  fatti   più  generali  si  pos- 
sono cosi  riassumere  : 

a)  In  finale.  —  1)  Sono  brevi:  a)  Le  vocali  in  finale  asso- 
luta di  data  antica  (ossitoni  originari  in  vocale  e  di  formazione 
romanza  per  caduta  di  momentanea):  scinda  sanità,  metà  metà, 
nebù  nipote,  vertu  virtù,  velu  velluto;  a  -a tu,  zatità  cantato, 
/  -itu,  fiini  finito;  ù'  -utu,  batù'  battuto.  —  /?)  Le  vocali  dinanzi 
a  M  0  w  -{-  consonante:  pan  pane,  deman  domani,  fen  fieno,  zantén 
cantiamo,  vendén  vendiamo;  —  t'urmént  tormento,  grani  grande, 
tant  tanto.  —  2)  Sono  lunghe:  a)  Le  vocali  riuscite  finali  per 
caduta  di  ò-  originario  e  secondario:  nù  noi,  vn  voi,  grò  grosso, 
pà  passo,  hrà  èraccio,  là  laccio  (laqueu)  —  tre  tre,  epe 
spessa.  —  /?)  Le  vocali  riuscite  finali  per  caduta  di  C -f- ^.  «• 
pà  pace,  pe  pece,  perdri  pernice,  vìi  voce.  —  y)  Le  vocali  degl'in- 
finiti: -a  -are,  2;«wtò' cantare, -e  -ere,  saèt' sapere,  -/  -ir e,  f Unì 
finire.  —  ó)  Le  vocali  in  finale  libera:  ama  r  amaro,  tòltale,  Ifip 
lupo,  amik  amico.  —  e)  Le  vocali  dinanzi  a  consonante  semplice 
per  riduzione  di  cons.  doppie  e  gruppi  di  s  -j-  cons.  bilrà't  buratto, 
sàk  sacco,  bèk  becco,  sek  secco  ;  ^àl  gallo,  karà'l  cavallo,  bfl  bello, 
nuve'l  novello  ;  —  bok  *bosku,  frek  *friscu.  —  ^)  Le  vocali  in 
posizione  palatina:  al'  aglio,  tal'  taglio,  vel'  vecchio,  siUe'l'  so- 
liclu,  fil'  figlio,  fjl'  occhio,  lenul  ginocchio;  —  bàn  bagno,  etah 
stagno,  empen  impegno,  kuh  cuneo,  piìk  pugno.  —  rj)  Le  vocali 
dinanzi  a  r  -\-  cons.  :  tàrt  tardi,  pari  parte,  Icìrt  lardo,  lurf  lordo, 


74  Alberto  Talmoii, 

]\Mrt  corto  :  ilrp'ni  inverno,  enfp'rn  inferno,  f<jrm  fermo  ;  —  urs- 
o  r  (  e  )  s,  fitjr^  f  1  o  r  e  s,  dulii'ì's  d  o  1  o  r  e  s,  zaiu'rs  e  a  1  o  r  e  s . 

b)  Nella  penultima.  —  1)  Sono  brevi:  a)  Le  vocali  in  posi- 
zione (forte  e  debole):  azate  accaptat,  aibre  albero,  r^r^éi  verga, 
Pfl§  p  e  dica  calcio,  sebe  cepa,  file  figlia,  kin/e  quindici,  ryte 
rotta,  siirse  sur  sa,  pùr:ie  purga.  —  ,<?)  Le  vocali  dinanzi  a  mo- 
mentanea libera:  rabe  rapa,  sabu  so,  ersebu  ricevo,  litbe  lupa, 
ribe  ripa.  —  2)  Sono  lunghe:  a)  Le  vocali  dinanzi  a  nasale  li- 
bera: semàne  settimana,  f untane  fontana,  piène  piena,  avene  avena, 
ve/me  vicina.  —  /3)  Lunghe  le  vocali  originariamente  dinanzi 
a  ss,  s^cowè.  e  7'r:  bd.se  bassa^  epese  spessa,  mese  messa;  — 
ràze  nprov.  rasce,  tigna  delle  bestie,  oze  osca,  intaglio,  mùze 
mosca;  aréte  arista,  tète  testa,  lengfde  locusta;  —  tere  terra, 
(/ère  guerra. 

IL  Vocali  atone.  Nelle  atone,   generalmente   brevi,  è  difficile 
notare  le  lievi  differenze    di   quantità.   Son  tuttavia  lunghe  per 
compenso    le  atone  originariamente  dinanzi   a   s  4- consonante  :      I 
maza    masticare,    li-htà'  costare,    meklà'   misculare,    pezà' 
pi  s  care. 


IV. 


APPENDICE 

Foiioinenì  particolari. 

128.  Assimilazione.  Di  vocale:  È  frequente  dinanzi  a  liquida  : 
marza  mercato,  zarzà  cercare,  par  pai' a  p  a  1  p  e  t  u  1  a  palpebre  ; 
laìà'  gelare,  balanse  bilancia,  talatie  t  e  1  a  t  a  r  i  o  tessitore, 
Silvane  selvatico,  da  precedenti  *sauvaze,  *salvaze; 
nanante  nonaginta,  amande  *amendola.  Di  voce  a  voce: 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  75 

uiane  avellana,    assimilato    a    zàtane    castanea,    come 
pure  ukmie  a  zàtanie. 

129.  Dissimilazione.  L  in  R:  emhril'  u  m  b  i  1  i  e  (  u  )  1  u,  eku- 
rila  excolic(u)la  scolature,  parpal'e  palpetula,  der- 
hùn  t  a  1  p  0  n  e  talpa ,  ènvurtul'a  involtolare,  esiird'a 
esporre  al  sole  (ali.  a  esulel'à).  —  R  in  L:  flaira  fragrare 
puzzare,  albre  a  r  b  o  re. 

130.  Dilegui.  Vocali  atone  (finali,  labiali  e  palatali,  prose- 
mitoniche  e  postsemitoniche).  —  Consonanti  intervocaliche. 

131.  Aggiungimenti.  —  Prostesi:  E  prostetico  dinanzi  a 
s-j-cons.:  ezàh  scala,  ekgh  scuola,  età'n  stagno,  eptt^  sposo, 
epe'  spesso. 

Epitesi:  E  epitetico  dopo  nessi  consonantici,  specialmente 
dopo  quelli  che  terminano  con  l,  r,  e  in  finale  dei  proparossitoni  : 
paire  p  a  t  r  e,  fraire  f  r  a  t  r  e,  diible  d  u  p  1  u  :  —  fraise  f  r  a  - 
X  i  n  u.  l'aure  lepore,  aufre  a  1  t  e  r  u,  koibe  e  o  1  a  p  h  o,  a~e 
-a  t  i  e  u  erbate  h  e  r  b  a  t  i  e  u  ,  malate  m  a  1  e  -  h  a  b  i  t  u.  —  Inoltre 
si  sviluppa  talvolta  un  e  finale  dopo  labiale  e  dopo  t,  r:  plampje 
(ali.  a  plump)  p  1  u  m  b  u  ,  uhne  u  1  m  u  ,  saloe  s  a  ]  v  u  ;  — 
'  m  u  n  d  u  diede  munte  nel  senso  di  universo,  e  munde  nel  senso 
di  gente,  persone:  fu  le  munte  =  tutto  l'universo,  tu  le  munde 
=  tutta  la  gente  (fr,  tout  le  monde);  —  fere  f  e  r  r  u,  ali.  a  fer, 
sgre  s  o  r  o  r,  ali.  a  sor.  —  Sviluppo  epitetico  di  nasale  in  sen 
sete:  —  di  A:  nella  P  ps.  dei  verbi  terminante  in  dittongo,  di- 
nanzi a  iniziale  vocalica  e  in  posizione  di  forte  risalto:  a  vauk 
a  la  f/ere=vRdo  alla  fiera;  —  a  ouliuk  ['me  flùr  =  vo]evo  un 
fiore;  —  ebén  a  fé  faréik  =  ebbene  lo  farò. 

Epentesi:  Sviluppo  epentetico  di  v  tra  vocali:  samve  fr. saignée, 
salasso,  auvì  fr.  ouir,  aluvete  e  uUvete  fr.   alouette.  —   Epentesi 


76  Alberto  Talmon, 

di  nasale:  p^nze  pettine,  sementòri  cimitero,  trampina  fr.  trépigner, 
mtramha  fr.  entraver,  ìencjttte  locusta,  pin-uii  fr.  pigeon,  hum- 
hanse,  fr.  bombance.  —  Epentesi  di  h  nei  gruppi  M'L,  M'R  di 
formazione  romanza:  semhla  s  i  m  (  u  )  1  a  r  e,  zamhre  cam(e)ra, 
numhre  num(e)ru,  kukunibre  e  u  e  u  m  e  r.  Manca  però  l'ana- 
loga epentesi  di  d  in  N'R.  —  Epentesi  di  r  in  parpil'uh  p  a  p  i- 
1  i  0  n  e.  —  Epentesi  tra  noce  e  voce:  —  di  /:  hdre-f-omi  = 
quattro  uomini;  —  di  n:  a-n'iine  =  ad  una,  a-n-ìì/i  =  ad  uno, 
a-n-elé  = 'à  lei,  ad  essa,  a-n-el  =  r  lui. 

—  Il  /?  di  vèrp  *vermp,  *verm  verme,  e  di  ensémp  insi- 
mul  insieme,  è  anche  n.  prov.  (AGIt.  I,  533).  TJisénk  da 
a  b  s  e  n  t  i  u,   è  un  vero  pervertimento. 

132.  Agglutinazione.  Fusione  dell'articolo  determinato  coll'ini' 
ziale  vocalica  seguente:  le  lendemdh  (le  lendemain)  per  l'endemàn^ 
la  lima:^e  (l'image)  per  l'ima- e.  Talvolta  è  Va  solo  dell'art,  la 
che  s'è  incorporato  nella  voce  seguente:  Vaiamele  (l'alumelle) 
per  la  lamele,  Vaglànt  (le  gland)  per  la  glande  (con  mutazione 
del  genere).  —  Fusione  di  un  sostantivo  con  un  aggettivo:  lu- 
garùh  (loup-garon).  —  Fusione  di  pili  voci:  karati/à  =  car  à  toi, 
soprannome  disprezzativo  d'origine  storica:  i  calvinisti  di  Pra- 
gelato  (sec.  XVII)  recitavano  preghiere  che  terminavano  cosi: 
car  à  toi  ecc.  onde  si  procurarono  il  soprannome  di  karatoi,  che 
si  dà  tuttora  per  disprezzo  nell'alto  Pragelato  a  coloro  che  si 
lasciano  sfuggire  proposizioni  che  risentano  di  calvinismo. 

133.  Metatesi.  —  eklupè'l  scalpello,  frmna~j  formaggio,  tra 
torsolo,  sehgliì't  s  i  n  g  u  1  t  u,  trbl'  t  o  r  e  u  1  u  fr.  treuil,  truhla 
turbulare  fr.  troubler,  etriisa  *thursare,  fr.  trousser;  —  da 
sillaba  a  sillaba  :  regiliise  1  i  q  u  i  r  i  t  i  a,  tavergàn,  termine  din- 
giuria  da  Tervagan  (un  dio  dei  Maomettani  nella  "  Chanson  de 
Roland  .,). 


Saggio  su]  dialetto  di  Pragelato  77 

134.  Attrazione.  —  Di  vocale  :  trasposizione  di  /  dei  nessi  ri, 
ti,  si  (e  di  sti  ssi)  nella  sillaba  precedente;  -fé  -a  r  i  u.  iere 
-aria,  priimle,  priìmiere;  «in; -oria.  7ffkluire,  mazuire;  — paiai 
p  a  1  a  t  i  u  ,  en(/tn  angustia;  —  hai/a'  h  a  s  i  a  r  e  ,  baisa 
b  a  s  s  i  a  r  e.  —  Di  consonante  :  plege  pegola,  blifke  buccola, 
pur  nprov.  fr.  boucle,  fermaglio,  krobì  coprire,-  fri'f§  *t  u  f  e  r  e  ni; 
afr.  tufre.  fr.  m.  truffe. 


Alberto  Talmon, 


Capo  III. 
Appunti    di    morfologia. 

1.  Sostantivo. 

135.  Derivazioni.  I.  Maschili  di  formazione  analogica 
sull'antico  tipo  in  -io  {odio,  giudizio):  neroi  nervo:  soldi  soldo; 
bahi  rospo;  :{/:tri  (nprov.  gari)  topo;  grill  chicco  di  grandine; 
'liaH  uovo  nidiale.  —  Femminili  di  formazione  congenere:  fraudi 
frode;  krence  da  *ki-entia.  fr.  crainte. 

IL  Suffissi  notevoli  per  forma  e  funzione  (comuni 
però  col   delf.  e  in  parte  anche  col  pieni.): 

1.  i  e  :  surdie  sordità,  Inrdie  ubbriacatura  :  —  ed  -ine: 
esiitlne  siccità,  famlne  fr,  famine. 

2.  -al' e  (da  -a  cu  la):  pelate  buccia;  ekundal'e  gioco  a  na- 
scondersi; endevinaì- e  ìndovìneMo  \  semmai' e  fr.  semaille;  tripal'e 
fr.  tripaille;   djxiural'e  diavoleria. 

3.  -Il'  -il' e;  màzil'  chi  mastica  parole,  sciocco;  nufil'  ciò 
che  resta  delle  noci  dopo  che  furono  schiacciate  e  spremute 
dell'olio;  funfil\  funfil'a  ciò  che  resta  in  fondo  a  bottiglie,  vasi; 
perile  pietruzza;  rawj7'<;  piccola  frasca  :  ^Z(a'i7'e  piccola  scheggia, 
scheggiarne  minuto. 

4.  -arie:  gurgane  pieno  un  gorgo  {=gurk)\  pìtane  pestata 
{pìta'  pestare);  pikane  {pika  picchiare)  hrimhe  pasto  bollito  per 
il  maiale  [hruà'  lessare). 

5.  -iim:  remasil'm  spazzatura;  urdu'ni  l'ordito,  teisum  il 
ripieno,  la  trama  ;  enlevil'm  bestiame  d'allevamento. 


I 


Saargio  sul  dialetto  di  Pi-ai,'elato  79 

III.  Suffissi     diminutivi,     accrescitivi,    disprez- 
zativi: 

1.  -d'i:  r/o/^  viottolo;  /f/ó'i^  figlioccio;  é'a'iVo'/ scoiattolo;  fur- 
nero'l  uccello  f o r n a i o  1  o  balestruccio  ;  —  eroi  somma  di 
covoni  stesi  sull'aia;  pero't  paiuolo  ;  —  femm.  filo'h  figlioccia; 
fèrole  tela  rara,  stauìigna. 

.■co  '  o 

2.  -én  :  pul'én  puledro. 

3.  -èft,  frequente:  fil'è't  Aglietto;  prajet  piccolo  prato;  bune't 
berretto  —  femm.  -ete:  fH'ete  fìglietta,  mefunete  casetta,  maigr^te 
un  po'  magra,  zabrete  capretta;  —  ali.  a.  zahriit  capretto,  pezlt, 
pebot  fr.  petit,  femm.  pecote. 

4.  à's  :  vazà's,  vazà'se  vaccaccia,  bescà'se  bestiaccia,  umenà's 
(omaccio,  teifà's  stallaccia. 

5.  -o't:  l'aiiró't  leprotto,  vazot  piccola  vacca,  numjgt  pic- 
cola manza,  zahrot  capretto. 

6.  -ùìl  :  ezaliìit  piccola  scala,  scala  a  pinoli,  glaselràh  pezzo 
(li  ghiaccio,  miLzit if'n  moscherino,  zatuii  gattino. 

IV.  Altri  suffissi  molto  in  uso: 

1.  -art:  ohàrt  bravaccio,  bral'àrt  fr.  braillard,  biìfklrt 
(ali.  a  inantor). 

'1.  -ik,  -il'k,  -il'k  :  pullk  pulcino,  ilfellk  uccellino  —  -ald'k 
galluccio  —  rebiji'k  canavaccio. 

3.  -éiik  -énze  {-Ingo  -inga)  nei  gentilizi:  Fraiaié/ik  uomo 
di  Pragelato,  PraicUenze  donna  di  Pragelato;  Rurénk,  Rurenze 
di  Roure;  Martinéhk,  Martinenze  di  S.  Martino;  —  ali.  a  Fin- 
trdi/'i,   Fintrelme  di  Fenestrelle;  Péru/in,   Perufine  di  Perosa. 

4.  -U\(^,  (da  -otico  analogico  su  -aticu):  ferule  feroce,  iioer- 
iiyi<^  i  n  V  e  r  n  o  t  i  e  0.  Cfr.  n.  prov.  dernieiruge. 

136.  Flessione.    Esistono  due  soli  tipi  di  declinazione:  I.  De- 
clinazione femminile  in  -(/   (mutatosi  in  -e).  —  II.  Declinazione 

maschile  distinta  in  due  classi:  a)  sostantivi  in  consonante  (per 


so  •  Alberto  Talmon. 

caduta  della  vocale  finale).  —  b)  sostantivi  in  -e  (finale  di  an- 
tichi proparossitoni  e  dopo  gruppi  consonantici  di  muta  -|-  li- 
quida). 

I.  h'-e  della  1^  deci,  si  fa  pressoché  normale  per  gli  altii 
femminili.  Es.  comuni  di  metaplasmo:  Dalla  5^  deci.  lat.  :  fase 
facies,  glàse  g  1  a  e  i  e  s  ,  matiere  ni  a  t  e  r  i  e  s.  —  Dalla 
3*^  deci,  lat.:  felice  fi  1  i  ce,  fiure  f  e  bre,  naif  e  nuce,  fumai/ e 
fornace,  limase  1  i  m  a  e  e,  lima.ie  i  ni  a  g  i  n  e. 

Di  rincontro  i  femminili:  mait  madia,  fiirml  formica  per 
anal.  coi  sost.  in  -?'  e  e  :  perdrt  pernice. 

IL  Per  la  caduta  della  vocale  finale  venne  a  comprendere, 
oltre  qnelli  della  seconda,  i  maschili  della  3^  e  4^  deci.  Esempi 
pili  comuni  di   metaplasmo: 

Dalla  3^*  :  pan  pane,  dent  dente,  punt  ponte,  nnil'r 
h  0  n  0  r  e,  non  n  o  m  e  n.  lait  1  a  e  t  e.  Dalla  4^:  kùrs  e  u  r  s  u. 
koni  e  0  r  n  u.  zant  e  a  n  t  u,  gut  g  u  s  t  u,  saut  salto. 

In  -f  :  7Ja^V(;  p  a  t  r  e,  fraire  f  r  a  t  r  e  ;  l'aure  lepore,  àne 
a  s  i  n  u,  fraise  f  r  a  x  u  n,  oktlaie    v  i  1 1  a  t  i  e  u. 

137.  Scambio  di  genere.  Neutri  plur.  diventati  femm.  sing.  : 
arme  a  r  m  a,  fol'e  folla,  fele  festa,  ensene  i  n  s  i  g  n  i  a,  ba- 
tate battualia,  mervel'e  *m  e  r  i  b  i  1  i  a,  ilvernal'e  h  i  b  e  r  - 
n  a  1  i  a,  mitrai' e  m  u  r  a  1  i  a. 

Genere  mutato:  Neutri  diventati  femminili:  mar  mare,  sai 
sale.  prev.  la  mar,  la  san.  —  Maschili  diventati  femminili:  — 
molti  astratti  in  -or:  zalù'r  calore,  dulii'r  dolore,  vaili' r 
valore:  —  flùr  flore,  dent  dente,  l'aure  lepore;  —  con 
cambiamento  della  desinenza  latina:  frilte  *fructa,  fige  *fica, 
ramt^  *rama.  Pur  femm.  è  zenai  canale  doccia  di  gronda.  — 
Femminili  diventati  maschili:  aibre  arbore,  e  i  nomi  della 
maggior  parte  degli  alberi;  aglànt  glande  ghianda,  sgrs  sors 
(ali.  a  la  sorte). 


Saggio  sul  dialetto  di   Pragelato  81 

138.  Formazione  del  plurale.  Rimangono  tracce  dell'antica 
deci,  volgare  nella  distinzione  tra  singolare  e  plurale  per  mezzo 
di  un  -s  di  flessione  o  di  una  differenza  di  desinenza. 

I.  Declinazione  femminile:  sing.  -e.,  pi.  a:  la  porte  —  là 
porta,  la  zahre  —  là  zabra,  la  vaze  —  la  vaza,  la  fol'e  la  fola. 

II.  Declinazione  maschile.  —  a)  Sostantivi  in  consonante. 
L'-s  dell'obliquo  plurale  è  generalmente  conservato,  fuorché 
dopo  n.  Es.:  sing.  Ifip  lupo,  pi.  lups:  —  sing.  vèrp  verme,  pi.  verps\ 
sing.  flilr  fiore,  pi.  fblrs,  sing.  zalfi'r  calore,  ^\.  zala'rs;  —  sing. 
miìr  muro.  pi.  mùrs;  —  sing.  ;urn  giorno,  pi.  .;^rs;  —  sing.  i'wè'rn 
inverno,  pi.  iivr'rs;  —  sing.  fefoi  fagiolo,  pi.  fèfg'ls;  sing.  pnm 
pomo,  pi.  pìinis.  —  Dopo  n  dilegna  nel  pragelatese  vero  e  pro- 
prio (a),  rimane  nel  dialetto  di  Fenestrelle  (/?):  a)  la  dent  il 
dente,  la  den  i  denti  —  le  punì  il  ponte,  lìi  putì  i  ponti  —  le 
non  il  nome,  In  non  i  nomi  —  ibi  an  un  anno,  di'i  an  due  anni  ; 

—  ;5)  sing.  dent,  pi.  dens  —  sing.  punt,  pi.  puns  —  sing.  ngn, 
pi.  nons  —  sing.  an,  pi.  ans. 

h)  Sostantivi  in  -e.  Il  plurale  è  in  -/.  Es.  :  le  paire  il  padre. 
là  patri  i  padri  —  l'gnie  l'uomo,  luf  gtni  gli  uomini  —  le  fraire 
il  fratello,  Ifi  fraisi  i  fratelli  —  le  fraise  il  frassino,  lU  fraisi  i 
frassini. 

139.  Reliquie  della  flessione.  1.  Sono  figure  nominativali: 
-aire  -at(o)r:  kaHnaire,  kardaire,  pezaire;  —  sor  (e  sgre),  s  o  r  o  r; 

—  puh  p  n  1  V  i  s  :  —  sgrs  s  o  r  s  ;  —  kgrs  corpus;  —  pintre 
p  i  n  e  t  0  r  :  —  seìie  senior.  —  L'-s  del  genitivo  è  in  di-màrs 
d  i  e  s  -  m  a  r  t  i  s,  e  nell'analogia  di-lù'ns  [dm],  di  Fenestrelle), 
Prag.  di'lù' à. 


.Vi-chivio  glottol.  ital.,  XVTIl. 


82  .  Alberto  Talmon, 

2.  Aggettivo. 

140.  Gli  aggettivi  confluirono  tutti,  come  i  sostantivi,  in  due 
soli  tipi  di  declinazione,  i  femminili  nella  T'  ed  i  maschili  nella  2*. 

141.  Formazione  del  femminile.  Per  quanto  concerne  la  for- 
mazione del  femminile  gli  aggettivi  si  possono  distribuire  in  tre 
gruppi:  I.  Aggettivi  terminanti  in  consonante  e  che  al  femmi- 
nile aggiungono  semplicemente  un  e:  klàr  e  1  a  r  u,  klàre  ci  ara, 
segii'r  s  e  e  u  r  u,  segiire  s  e  e  u  r  a,  him  b  o  n  u,  hfine  bona. 
JI.  Aggettivi  terminanti  in  -e  tanto  al  maschile  che  al  fein mi- 
nile: di^hle  d  u  p  1  u,  duhle  dupla,  tère  t  e  n  e  r  u,  Ure  tenera, 
jyusible  possibile,  masch.  e  femm.  III.  Aggettivi  terminanti 
in  vocale  per  caduta  della  consonante  finale,  che  è  rimasta  da- 
vanti V-e  del  femminile:  prilmie-priimiere,  gro-grqse,  grà-gràse. 

Molti  aggettivi  di  una  sola  desinenza  rimangono  ancora  uni- 
formi nel  dialetto:  Un  qme  grani  un  uomo  grande  —  un  fiel  fori 
un  filo  forte  —  Une  korde  fóri  una  corda  forte  —  aiqe  kurént 
acqua  corrente  —  a  Vaige  pendént  acqua  pendente,  versante. 

142.  Comparazione.  —  Mèl'u'r  migliore,  mei  meglio;  'pliifiù'rs 
parecchi,  pl'ùfiiira  parecchie.  Pel  comparativo  perifrastico  non  si 
ricorre  a  m  a  g  i  s  (che  sarebbe  ma%  usato  in  altro  senso,  cioè 
nel  senso  di  '  più  '  :  a  nen  oqhi  pa  mai  non  ne  voglio  più),  ma 
a  più  plus,  fr.  plus:  le  plii  bel  il  più  bello,  la  plil  bele  la  più 
bella. 

3.  Numeri. 

143.  Cardinali  :  un,  du,  tre,  katre,  sink,  sei,  set,  oc,  nau,  de, 
linfe,  dufe,  tre/e,  katgrfe,  kinfe,  sefe,  darfét,  dufoc,  dufnàu,  vini, 
trente,  karante,  sinkante,  séisante,  stante,  iicante,  nanante,  sent; 
m'd  (e  mile)  mille. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato 


83 


144.  Ordinali:  prilmie,  segùnt,  truafipne,  katrieme,  sinkieme, 
sifieme,  setietne,  ìitieme ,  nauvieme,  difieme,  unfieme,  dufieme, 
trefieme,  katorfieme vintieme. 


4.  Articolo. 

145.  Articolo  determinato. 

Singolare. 


Dinanzi  a  consonantk 

Maschile  Femminile 
Noni.       le  la 

Genit.     dà  d'ia 

Dat.         à  a  la 

Acc.         le-  la 


Dinanzi  a  vocale 


Plurale 

Dinanzi  a  consonante 

Maschile           Femminile 

Nom. 

là                         là 

Genit. 

dà  {*de  lù)          d'  là 

Dat. 

à                           a  là 

Acc. 

lù                         là 

rticelle 

conjj-iuntive  :  de,  d',  a. 

Dinanzi  a  vocale 

Maschile  Femminile 
Ih/  la/ 

da/  (*de  lu/)  d'  la/ 

a/  (afr.  as)  a  la/ 

lu/  laf 


146.  Articolo  indeterminato. 

Nom.  Genit.  Dat.  Acc. 

Maschile  J^iw,  ihi         d'un,  un         a-7iùn.  Un  uh,  un 

Femminile         une  d' ilne,  a-nun§  une 

Osservazione.  —   Un  s'usa  dinanzi  a  vocale  :  iìn  gme  un  uomo 
(Cfr.  n.  :^,5). 


Alberto  Talmon, 


5.  Pronome. 


147.  Pronomi  personali. 


Soggetto 


Singolare. 

Forme  toniche 

Oggetto 


Forme  atone 


Soggetto       Oggetto 
diretto 


Oggetto 
indiretto 


1*  pers.  sing.    [mi]  )ni{(iemi,  ami)  [wn]  me,m'  me,  in' 

2*  pers.  sing.    tu  tu  (de  tu,  a  tu)         tu  te,  f  te,  t' 

3*  pers.  sing.    eZ  (ille),  f?e  (illa)     el,  eie  (d'el.  d'eie,  él,  eie  le,  la  Z'e(m,e  f.). 

a-n-el,  a-nele) 

Osservazioni.  —  Il  riflesso  di  ego  s'incontra  solo  in  prop. 
inteiT. :  zantu-k-ìe?  canto  io?  eik-ie  da  zantà'?  ò  io  da  cantare? 
—  I  pron.  pers.  atoni  me,  ie,  le,  l'è  precedono  il  verbo,  ma  lo 
seguono  all'imperativo,  e  allora  sono  rispettivamente  me,  te,  hi.,  l'i: 
tua-mé  uccidetemi  —  suvén-té  ricordati  —  tiia-lù  uccidetelo  — 
dunà-l'i  dategli  e  datele. 


Plurale. 


'  ORME    TONICHE 


Forme  atone 

Soggetto        Oggetto  diretto    Oggetto  indiretto 
!  nù  nù 

ì  vù  vù 


Soggetto  Oggetto 

l*  pers.  pi.  nù  nù  [de  nù,  a  nù) 

2*  pers.  pi.  vù  vù,  [de  vù,  a  vù) 

S'*  pers.  pi.  ehi,  eia     ehi,  eia  [d'elu,  d'eia,     t  (m.),  «  (f.)      lù.  là       lùr  (m.  e  f.). 
a-n-ela,  a-n-ela) 

Dinanzi  a  vocale  :  nuf,  viif;   uf,  luf,  laf. 

Riflessivo  sing.  e  pi.  :  se  dinanzi  a  cons.  s'  dinanzi  a  vocale. 

Osservazioni:    I.    I  pronomi  personali  me,  te,  se,  le  preceduti 
da  voce  terminante  in  vocale  e  seguiti  da  iniziale  vocalica  per- 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  85 

dono  Ve  e  diventano  enclitiche.  Es.  :  U  l'  sima  =  u  le  suna,  voi 
lo  chiamate;  s' am'  vo  kreire  =  s'a  me  vo  kreire,  s'egli  mi  vuol 
credere;  as'  bùie i^erdrè  ■=  e'  si  dà  alla  perdizione;  fait'  [=faite) 
pr^n§  fatti  prendere.  — ■  Ugual  riduzione  subisce  talvolta  l'art,  le 
nel  contesto  della  frase:  tul'  [^  tu  le)  munde,  fr.  tout  le  monde. 
II.  Nil,  Vìi  dopo  un  verbo  interrogativo  perdono  n  e  v  e  di- 
ventano enclitiche.  Es.:  Vnt  ciìiau  {^=  mia  vu)?  dove  andate  voi? 
—  Aniììuì' {=:  anin  nfi')?  andiamo  noi?  —  Quando  nù,  vfi.  pre- 
cedono il  verbo,  perdono  n  e  v  ma  restano  liberi:  u  vena  voi 
venite,  fi  perdén  noi  perdiamo.  —  Infine  quando  nà^  vii  prece- 
dono il  verbo  e  seguono  a  finale  vocalica  si  può  elidere  Vu  e 
fare  n\  v'  enclitiche.  Es.  :  Ari  (;=  r/  nù)  fai  atendre,  e  ci  fa  aspet- 
tare; —  an  (  =  a  nn)  di  lamai.  ren  egli  non  ci  dice  giammai 
nulla;  —  ao' {=  a  vfi)  vghi  pà  ahu  mi  non  vi  voglio  con  me. 

148.  Il  pronome  impersonale  è  la  pur  delfinese:  la  fai  he  temp 
fa  bel  tempo:  —  te  plai-là?  ti  piace? 

149.  Possessivi. 

a)  Forme  toniche:  Sing.  masch.  meu  mio,  teu,  tuo.  seu  suo, 
femm.  mie  mia,  tue  tua,  sue  sua.  Plur.  masch.  nieu  miei,  teu  tuoi, 
seu  suoi,  femm.  ìnia  mie,  tua  tue,  sua  sue.  —  Sing.  masch.  ngtre 
nostro,  vgtre  vostro,  femm.  ngtre  nostra,  ogtre  vostra  —  plur. 
masch.  ndtri  nostri,  votri  vostii,  femm.  notra  nostre,  \otra  vostre. 

b)  Forme  atone  (proclitiche):  Sing.  masch.  niun  *mum,  tun 
*t  u  m,  smì  *s  u  m  —  femm.  ma  *m  a,  fa  *t  a,  sa  *s  a  dinanzi  a 
cons.  e  tnun,  tun,  siin  dinanzi  a  voc.  —  Plur.  masch.  mù  *m  o  s, 
tu  *t  0  s,  sii  *s  0  s  din.  a  cons.  e  rnuf,  iuf,  suf  din.  a  voc.  — 
femm.  nuì  *m  a  s,  ta  *i  a  s,  sa  *s  a  s  din.  a  cons.  e  maf,  taf,  saf 
din.  a  voc.  —  Sing.  ngtre  nostro  e  nostra,  vgtre  vostro  e  vostra; 
plur.  masch.  ngtri  nostri,  vétri  vostri  din.  a  cons.  e  ngtrif,  vgtfif 
din.  a  voc.  —  femm.  tigtra  nostre,  vgtra  vostre  din.  a  cons.  e 
ngtraf,  vgtraf  din.  a  vocale. 


86  Alberto  Talmon, 

150.  Dimostrativi.  Del  lat.  h  i  e  è  rimasto  esclusivamente  il 
neutro  nella  part.  affermativa  ai  afr.  o  je  (hoc  ego)  che  per- 
siste intatta  nella  bassa  valle  {gje  =  si)  e  in  ui  fr.  oui. 

Pronomi  composti  con  ecce,  e  e  cu,  iste,  i  1  1  e. 


Singolare 


Plurale 


Maschile  Femminile  Maschile  Femminile 

isè't  (ecce-istu)      isete,  sete  (ecce-ista)         seti  (ecce-istos)        s('ta  (ecce-istas) 
kèl  (eccu-illu)        keìe  (eccu-illa)  keln  (eccu-illos)       kela  (eccu-illas) 


In  proclisi 


Singolare 


Maschile 
st'gme  quest'uomo 
k'Vome  quell'uomo 
se  garsuh  questo  garzone 
kè  garsàn  quel  garzone 


Femminile 
st'ahel'e  quest'ape 
k'Vahel'e  quell'ape 
set'  fette  questa  donna 
keV  fette  quella  donna. 


Plurale 


Maschile 
sin/ orni  questi  uomini 
Uluf  orni  quegli  uomini 
stu  yarsàh  questi  garzoni 
k'iù,  (jarsìin  quei  garzoni 


Femminile 
stafahf'l'a  queste  api 
kln/'abd'a  quelle  api 
sta  fena  queste  donne 
k'ià  fena  quelle  donne 


Neutro  :  isq'n  (ecce-hoc-unde)  questa  cosa  qui,  ike'h  (eccu-hoc-inde) 
quella  cosa  là.  -  Neutro  proclitico  :  fé.  Es.  :  U Je  fofe'n  =  noi  lo  facciamo  ; 
itn  pò  j)à  fé  fa  =  non  lo  si  può  fare. 

151.  Interrogativi  e  relativi.—  Zi?  chi?  —  ke?  che?  —  ke  ì\ 
quale.  Neutro  assoluto  ed  interrogativo  assai  notevole  è  sok 
*(  e  e  )  e  e  -  h  o  e,  p.  e.  :  sqk-fà-tù?  che  cosa  è  che  fai  tu  ?  che  fai? 
—   sok  é-V  ikén   zi?   che  cosa  è  quella   cosa   là?    —  a  sabu  pu 


I 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  87 

sok  l'è  non   so   che    cosa    sia.    Inoltre:    gaire   (germ.    weigaro)? 
quanto?  quanti? 

152.  Indefiniti.  —  knkiì'n  qualcuno,  kàkiine  qualcuna;  pà-nùù 
nessuno;  zakù'n  ciascuno,  zàkilne  ciascuua,  in  proclisi  zàkc 
fr.  chaque;  un  fr.  on  ;  dù -tr e  àwe  o  ir b\  tilt  in  proclisi  ^j<.  tutto  : 
tìite  tutta,  id.;  tiUi  [tilt  e  tiic),  in  proclisi  tii  tutti;  h/ta  in  pro- 
clisi tu  tutte  {tid'  munde  tutto  il  mondo,  tu  la  Franse  tutta  la 
Francia  —  pi.  tii  la  n}rs  tutti  i  giorni,  tti  la  fena  tutte  le  donne): 
refi  reni,  niente  (ali.  a  rlen  d'infl.  letterario),  pà-rm  niente: 
;7  nprov.  ges  punto,  affatto;  gaire  pur  delf.  e  nprov.,  molto,  ^^ci:- 
gaire  poco. 

6.  Verbo. 

153.  Derivazioni.  —  Numerosissime  le  derivazioni  per  -j-: 

1.  -^«'  :  eserbia  estirpare  le  erbe,  sengliitià'  singhiozzare. 
ribqtia'  fare  ribotta,  hlesja'  fr.  blesser,  kerent'ia  *quaerentiare; 
kuncà'  contare;  nica    nettare. 

2.  -a  ti  a':  knratia'  scorrazzare,  filnatia    fintacchiare. 

3.  -i  l' à',  -ina,  iterativi  vezzeggianti  :  frifil'à'  sbriciolare 
(da  fri/il' e  dim.  di  fri/e  briciola)^  mazU'a  masticacchiare  fr.  ma- 
chonner,  rii-H'a  rosicchiare;  —  trampinfi'  fr.  tvépìgnev,  plovina' 
fr.  pleuviner,  robina    rubacchiare. 

4.  -H  V  a  :  baind'a  far  bava,  gemi' a  guerrigliare,  trantuVa 
traballare. 

5.  -a  s là' :  plurasia  piagnucolare,  dentaria  morsicchiare, 
egasia  sciacquale,  sciaguattare,  rapasià'  andar  rubacchiare  qua 
e  là.  bramasià'  sbraitare,  bekasia'  dar  beccate. 

154.  Flessione.  I.  Radice.  La  radice  assume  diverse  forme 
secondo  gli  elementi   fonetici    della   flessione   e   la   collocazione 


88  Alberto  Talmon, 

dell'accento.  Cosi:  a  pgrtu  io  porto,  piirtà'  portare;  a  voht  io 
voglio,  vuigé  volere;  a  gormu  io  dormo,  glirmt  dormire;  a  ìaudu 
io  lodo,  luda  lodare;  a  mipru  io  muoio,  miìri  morire,  mort  morto; 
a  mgvu  io  muovo,  mau  muove,  maure  muovere,  mugù'  mosso; 
a  pgjti  io  posso,  pngé  potere,  pugù'  potuto. 

IL  Terminazioni. 

155.  Infinito.  E  scarsa  la  coniiig.  in  ere  pei  tralignamenti 
consueti  {sahé  sapere,  ve  vedere,  vuigé  volere,  valgé  valere  e 
pochi  altri).  Ali.  a  plagé  piacere  sta  plaire,  per  s  u  m  m  o  n  è  r  e 
s'à  semufii,  per    movere   maure,    per    tenére    f.enl. 

La  coniug.  in  -7  è  quasi  tutta  formata  di  verbi  incoativi  più 
0  JTieno  recenti:  funisii  finisco,  funi  finire;  fralsìi  tradisco,  irai 
tradire  :  kunvertlsu  converto,  kunverti  convertire,  ecc.  ali.  a  krohu 
copro,  kròhl  coprire:  ohru  apro,  óhrl  aprire;  gormu  dormo,  giirmi 
dormire,  e  qualche  altro. 

Gl'inf.  anticamente  sdruccioli  sono  sincopati:  esre  essere,  kufre 
consuere,  naisre  nascere,  kreisre  crescere,  teisre  tessere, 
kunuisre  conoscere;  planre  piangere  compiangere,  tenre  tìn- 
gere, krenre  fremere,  fr.  craindre,  lunre  j  u  n  g  e  r  e,  piinri^ 
pungere:  ékrlre  scrivere,  frtre  (ali.  a  freiì)  friggere,  plaire  pia- 
cere, leire  leggere,  beure  b  i  b  e  r  e,  plaure  piovere,  maure  muo- 
vere, viure  vivere,  ekundre  ascondere,  tundre  tendere  ;  a 
questa  serie  appartiene  probabilmente  anche  kiìre  correre. 

Paradigma. 

1*  coniugazione.  —  a  -are:  zantà'  cantare. 
2*  ,  —  é  -ère:  sabé  sapere. 

3*  „  —  re  -ère:  vendre  vendere. 

4*  „  —  T  -i  r  e  :  filni  finire. 

156.  Participio.  —  Due  tipi  di  part.  perf.  come  nel  provenzale, 
di  tipo  forte  e  di  tipo  debole.    Di   tipo  forte:  ilhè'rt  aperto,  vU 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragidato  89 

visto,  senui't  npiov.  semoust,  offerto,  tene  tinto,  a:^imc  aggiunto, 
dir  (ietto,  ekrlt  scritto,  fait  fatto  :  zeiit  (da  zeire  cadere)  è  ana- 
logico su  qualche  antico  esempio  in  -uf  -et  (cfr.  §  12,2)  e  §  94). 
Di  tipo  debole:  tengu  tenuto,  agl'i'  avuto,  pliigu  piovuto,  vengit 
veinito,  plagu  piaciuto,  pugù'  potuto,  degù'  dovuto.  Questo  g  in- 
tercalare (proveniente  dai  perf.  dei  verbi  forti  che  in  lat.  ter- 
minavano in  -ni)  raggiunse  anche  qualche  infinito:  agé  avere, 
rìilgé  volere,  vaigé  valere,  plagé  piacere. 

Paradigma,  a)  Part.  passato. 

P  coniug.  —  d  -a  t  ii  :  zantà  cantato  ;  a  -a  t  a  :  zantd'  cantata. 
2"'       „         —  w'  -utu:  sabù'  saputo;  il'e  -ut  a:  sabil'e  saputa. 
3^        „         —  ù'  -utu:   vendù'  venduto;  il' e  -ut a:  vendii'e  venduta. 
4*        ,  —   /  -itu:  fiini  finito;   /f  -ita:  filnte  finita. 

b)  Part.  presente. 

La  terminazione  -ént  è  stata  estesa  a  tutti  i  participi  pre- 
senti :  zanUnt  cantante,  sahént  *sapente,  vendént  vendente,  gilr- 
mént  dormiente.  Pel  part.  pres.  della  1^  coniug.  la  terminaz.  -ént 
coesiste  ali.  alla  terminazione  più  antica  -dnt:  zantént-zantdnt, 
miniéìit-min.idnt.  —  Il  gerundio  si  forma  ponendo  la  prep.  en  din- 
nanzi al  participio  :  en  zantént,  en  vendént,  en  giirmént. 

157.  Indicativo.  —  1)  Presente.  Accento  mutato  per  ripu- 
gnanza dello  sdrucciolo:  semè'nu  semino,  jjmzenu  pettino,  tra- 
mulu  tremolo,  meritu  merito.  Voci  analogiche:  sezu,  inf.  seza  sec- 
care, reverzu  inf,   reverza'  r  e  v  e  r  t  i  e  a  r  e,    ekorzu  inf,  ekorza 

/or-  oc-  ■        ■      e  -e 

scorticare;  plaju  inf.  plaire  piacere,  kreisu  inf.  kreisre  crescere, 
kunuisu  inf.  kunuisre  conoscere,  kreju  inf.  kreire  credere,  zeju 
inf,  zeire  cadere,  krenii  inf.  krenre  t  r  e  m  e  r  e,  fr.  craindre, 
etiirnu  inf.  etilrna  starnutare,  tPnu  inf.  tenì  tenere,  vmu  inf.  veni 
venire,  sabu  inf.  sahé  sapere. 


90  Alberto  Talmoii, 

L'-ìi  della  !•*  ps.  comune  al  piem.  e  delf.  può  tacere  se  gli 
preceda  j:  ei,  eik  (non  pili  ajii),  ò,  ali.  a  pqjii  posso,  zejii  cado, 
krfju  credo. 

La  1»  e  "ò^  p.  pi.  sono  sempre  identiche  in  tutti  i  tempi  e 
modi. 

Paradigma. 

P  coniugazione  : 

canto,    cantas,    cantat,    cantamus.    cantatiis.    cantaut 
zantii  zanti  zante  zante'h  zantd  zantan. 

2*^  e  3*^  coniugazione  : 

vendo,    vendes,    vende  t,    venderaus,    vendetis,    vendent 
venda  vendi  veni  vende'h  venda  vendaii. 

4"  coniugazione  : 

d  0  r  ni  i  0  ,    d  o  r  m  i  s  ,    d  o  r  m  i  t ,    d  o  r  m  i  m  u  s  ,    d  o  r  m  i  t  i  s ,    d  o  r  ni  i  u  n  t 
gormu  gOrmi  gljrm  gilrme'n  gurmd  gormah. 

2)  Imperfetto.  —  l-"*  Coniug.  La  1^  pers.  sing,  à  adottato  Yu 
analogico  della  1^  sing,  del  pres.  ;  le  desinenze  della  2^  e  3*  sing. 
provengono  regolarmente  da  -a  b  a  s  -a  b  a  t,  e  quella  della  3='  pi, 
da  -a  b  a  n  t.  Nella  1'  e  2^  pers.  pi.  v'è  ritrazione  d'accento  per 
analogia  colle  altre  forme  in  cui  la  sillaba  tonica  segue  imme- 
diatamente al  tema,  —  2^',  3"  e  4''  coniug.  L'-m{]c)  -la  -ie  ecc. 
proviene  dalle  terminazioni  e  (  b  )  a  m  -e  (  b  )  a  s  -è  (  b  )  a  t,  ecc, 
con  mutamento  dell'c  in  iato  in  i  per  la  2^  e  3'^  coniugazione. 
La  1*  pers.  sing.  à  pure  adottato  Vu  analogico  della  l'^  pers, 
sing.  del  presente:  inoltre  è  da  notare  lo  sviluppo  epitetico 
del  k  dinanzi  a  vocale  e  in  posizione  di  risalto.  Analoga  ritra- 
zione d'accento  nella   1"  e  2«  pi. 


L 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  91 

Paradigma. 

l''  coniugazione  : 

e  a  n  t  a  b  a  m  ,    -a  b  a  s  ,    -a  b  a  t ,    -a  1)  a  m  u  s  .    -a  b  a  t  i  s  ,    -a  b  a  n  t 

zantrivu  -avi  -ave  -àra'n  -hvi  -àvah. 

2*  e  3*  coniugazione  : 
vende(b)am.    -e  (b)  a  s  ,    -e  (bì  a  t ,    -e(b)amus,    -e(b)atis,   -e(b)ant 


rendÌH(k) 


-tan. 


4^  coniugazione  : 

dormi(b)am,    -  i  (b)  a  s  ,    -  i  (b)  a  t ,    -i(b)amus,    -i(b)atis,    -i(b)ant 

gormii({h)  -la  —te  -tan  -ia  ian. 

3)  Perfetto.  —  Non  à  pili  vita  propria:  gli  sottentra  la  so- 
lita perifrasi.  Ma  ne  rimangono  tracce  cospicue  nell'imp.  cong. 
(Cfr.  -ése  -ésl  -ése  -ésan  -ési  ésan  lat.  -a  s  s  e  m  -àsses  -àsset 
-a  s  s  é  m  u  s  -a  s  s  é  t  i  s  -a  s  s  e  n  t  ;  -i  s  s  e  m  -i  s  s  e  s  -i  s  s  e  t , 
etc.)  continuatore  dell'antico  piuccheperfetto,  nel  part.  pass,  di 
tipo  debole,  culgu  ,  yugù'  -plagu  etc.  vuiyese,  pugese,  plagese  etc. 
e  talvolta  nell'inf.,  agé  avere,  vulgé  volere,  valgé  valere. 

4)  Piuccheperfetto.  —  Del  piuccheperfetto  ind.  rimangono 
due  soli  cimeli  della  coniug.  di  esse  e  di  habere;  i  quali  anno 
però  preso  il  significato  di  futuro  esatto  :  fìirii  sarò  stato,  ecc. 
fùran  saranno  stati  :  agerii,  ageri,  agere,  ecc.,  avrò  avuto,  avrai 
avuto,  avrà  avuto,  ecc.,  usato  anche  nelle  proposizioni  condizio- 
nali. Es.:  Ageru  sink  aiì  kant  niun  paire  é  niprt  =  Sivrò  avuto 
cinque  anni  quando  mio  padre  è  morto;  —  a  n  ageru  prii  min-à, 
ma  aviu  pa  mai  d'aptlt  =  ne  avrei  ben  mangiato,  ma  non  avevo 
più  appetito. 

5)  Futuro.  —  Accanto  al  fut.  perifrastico  si  usa  assai  diffu- 
samente il  pres.  ind.  seguito  dall'avv.  joe/r:  miniu  peii  demàn  = 
mangerò  domani;  vau  peii  =  Siì^drò. 


92  A  liberto  Talmon, 

Paradigma. 

!"■  coniugazione  : 
zun/are'i{k)  ,      zantar{'' ,       zantare' ,       zantarén ,      zantarf ,      zantar^'n 
canterò  canterai        canterà       canteremo     canterete     canteranno. 

2"  e  3*  coniugazione  : 
rendare'iyk)  ,      rendare',       vendare' ,       vendare'n,      rendarf,      rendar</n 
venderò  venderai       venderà       venderemo    venderete    venderanno. 

4"  coniugazione  : 
gurmire'i{]c) ,      gurmirè' ,      gtlrmire' ,      gilrmire'h  ,     yì'lrmirf,      gurmire'h 
dormirò  dormirai       dormirà      dormiremo    dormirete   dormiranno. 

I  verbi  in  -re,  come  vendre,  rumpre,  mostrano  qui,  come    gli       j 
altri  tipi  di  coniug.,  intera  la  forma  dell'infinito:  il  mutamento 
dell'e  in  a  dinanzi  al  r  è  per  analogia  colla  l-""  coniug, 

158.  Congiuntivo.  —  1)  Presente.  Sono  conguagliate  le  desi- 
nenze dei  tre  tipi  di  coniugazione;  ritrazione  d'accento  nella  1^ 
e  2^  pers.  plur. 

1'''   coniugazione  : 

eantem,    cantes,    cantet,    cantémus,    cantétis,    cantent 
zante  zanti  zante  zùntah  zànti  zantan. 

■2*  e  8''  coniugazione  : 

vendam,    vendas,    vendat,    vendaraus,    vendatis,    vendant 
vi'nde  vendi  vende  ve'ndan  ve'ndi  ve'ndan. 

4*  coniugazione  : 

dormiam,   dormias,    dormiat,   dormiamus,    dormiatis,  dormiant 

giirme  giìrmi  gorf^'fr  go'rman  gormi  gorman. 

2)  Imperfetto.  —  L'impf.  cong.  è  il  continuatore  dell'antico 
piuccheperfetto:  qui,  come  nel  pres.  cong.,  sono  conguagliatele 
desinenze  dei  tre  tipi  di  coniugazione.  Ritrazione  d'accento  nella 
l"''  e  2^  pi. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  93 

Paradigma. 

1"   coniugazione  : 

cantasse  m,    -asses,    -a  ss  et,    -assémus.    -assétis,    -assent 
zantesf  -est  -fse  -e'san  -e'si  -esan. 

2^^  e  3*  coniugazione  : 

V  end e(di)s s e  m  ,    -isses,    -isset,    -issémus,   -isseltis,   -issent 
vendese  -esi  -ese  -e'san  -e'si  -esah. 

4'-  coniugazione  : 

dormi  ssem,    -isses,    -isset,    -issémus,    -issétis,    -issent 
(jurmese  -est  -ese  -e'san  -e'si  -esan. 

159.  Condizionale.  —  Presente.  Le  terminazioni  sono  quelle 
dell'impf.  di  h  a  b  e  r  e  :  Sing.  aviu[k)  -aria  -avie,  Plur.  avian 
'Civia  -avian. 

Paradigma. 

P   coniugazione  : 

zantariii(k)  canterei,    zantaria  canteresti,  zantarle  canterebbe, 
zantariah  canteremmo,  zantaria  cantereste,  zantarian  canterebbero. 

2*  e  3"  coniugazione  : 

vendariu(k)  venderei.         rendaria  venderesti,    vendarie  venderebbe, 
vendarlah  venderemmo,    rendaria  vendereste,    vendarian  venderebbero. 

é''  coniugazione  : 

gilr marinile)  dormirei,       gilrmaria  dormiresti,  ijiirmarie  dormirebbe, 
gilrinariah  dormiremmo,  giirmaria  dormireste,  gilrmarian  dormirebbero. 

Per  Va  dinanzi  ad  r  di  flessione  è  evidente  l'influsso  della 
1*  coniugazione. 

160.  Imperativo.  —  La  2^  pers.  sing.  è  foneticamente  rego- 
lare, come  pure  la  2'''  plur.  della  1=*  coniug.:  le  terminazioni 
della  2«  plur.  della  2**,  3^  e  4*  coniug.  sono  analogiche  a  quelle 
della  1'*  coniugazione. 


94  Alberto  Talmon, 

Paradigma. 

canta,    cantate,      vendi,    vendete,      dormi,    dormite 
zanfe,  zantà,  v^nt,  venda,  goV'^i  ffurmà. 

161.  Tempi  composti.  —  Si  formano  col  verbo  agé  avere,  e,  in 
qualche  verbo  intransitivo,  col  verbo  esre  essere  e  col  part.  pass.: 
il  perf.  perifrastico  {ei  zantà,  ei  rendù' ,  eik  agù'),  il  pperf.  ind. 
e  cong.  {aoiu  zantà,  agese  zantà)  —  il  fut.  ant.  {urèi  zantà)  — 
e  il  cond.  pass,  {iiriu  zantà,  ageru  zantà). 

Il  pass.  lat.  è  sostituito  da  esre  col  part.  passato. 

162.  Elenco  di  oerhi  notevoli. 

"  Hahere  ,,.  —  Inf.  agé,  part.  pass,  agii  .  —  Ind.  pr.:  sing.  ei{k), 
a,  a,  plur.  at'én^  ava,  an:  impf.  aon({k):  — Cong.  pr.  :  sing.  o/e, 
a'i,  aje,  plur.  ajan,  ai,  ajan;  impf.  agese:  —  Cond.  pr.  iirin[k) 
[pass,  ageru].  Manca  l'imp. 

"  Esse  „.  —  Inf.  esre  [ita  stare],  part.  Ita.  —  Ind.  pr.  :  sing. 
siii{k),  sa,  e.  pi.  sen,  sa,  sun:  impf.  èru,  eri,  ere  —  èran,  eri. 
eran:  fut.  saréiik).  —  Cong.  pr.  sie,  sia,  sie  —  sian,  sia,  stan:  impf. 
fuse,  fusi,  fuse  —  fusan,  pisi,  fiisan.  —  Cond.  pr.  sarlu{k).  — 
Fut.  esatto  (riflesso  del  pperf.).  firn,  furi,  fare  —  fnran,  furi, 
furan.  Manca  l'imp. 

"  Stare  „.  — Inf.  Ita ,  part.  pass.  Uà  —  Ind.  pr.  ìtu.  Iti,  Uè  — 
Uén.  Uà,  Uan:  imp.  Uàvu:  fut.  Uaréi{k).  —  Cong.  pr.  Uè:  imp.  Uese. 
—  Cond.  pr.  Uariu{k).  —  Imp.  Uè  sta,  Uà  state. 

"  Vadere  e  andare  ...  —  Inf.  ana.  part.  pass.  anà.  —  Ind.  pr. 
vaìt{k),  va,  vai  —  anin,  anà,van;  impf.  awar?/:  fut.  anaréi{k). — 
Cong.  pr.  àne:  impf.  anese.  —  Cond.  pr.  anarìu[k).  —  Imp.  vai,  anà. 

"  Pos.se  „.  —  luf.  pugé,  part.  pass,  pugu  .  ~  Ind.  pr.  poju,  poi, 
pò  —  pujén,  pujà,  pgjan;  ìm^^i.  puhi{k):  fut.  puréi{k).  —  Cong.  pr. 
pace:  impf.  pugese.  —  (Jond.  pr.  puriu{k). 

"  Velie  „.    —    Inf.  vuigé,  part.  pass,  vutgù' .  —   Ind.  pr.  vdhi: 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  95 

impf.  ruh'u{k):  fut.  viiréi{k).  —  Gong.  pr.  voi' e:  impf.  oiUgese. — 
Cond.  pr.  vurin{k). 

"  Debere  „.  —  Inf.  chure,  part.  pass,  deiju  .  —  Ind.  pr.  deru: 
impf.  devht{k):  fut.  deuréi{k).  — Cong.  pr.  detf^;  impf.  degese.  — 
Cond.  pr.  deuriu[h),  pass,  degerii. 

"  Sapere  „.  —  Inf.  sabé,  part.  pass,  sabù'  e  saupù'.  —  Ind.  pr. 
sabu;  impf.  sabiu[Jc);  fut.  suréi{k).  —  Cong.  pr.  sapi:  impf.  sabese. 

—  Cond.  pr.  sur'm[k). 

"  Videre  „.  —  Inf.  ve,  part.  pass,  vH.  —  Ind.  pr.  veu{k)  e  veju, 
vei,  ve  —  vijén,  vijd,  vejan:  impf.  ri(u{k):  fut.  oeréi{k).  —  Cong.  pr. 
veje:  impf.  vegese.  —  Cond.  pr.  veriii{k).  —  Imp.  ve,  ve. 

"  Piacere  „.  —  Inf.  plagé  e  plaire,  part.  pass,  plagù' .  —  Ind. 
pr.  plaju,  piai,  piai  —  plajp^i  P^^j^^  plajan:  \m.])i.  plahi{k)\  fut. 
plairéi{k).  —  Cong.  ^r.plaje:  impf .  plagese.  —  Cond.  pres.  plairiu{k). 

"  Valere  ,,.  —  Inf.  valgé,  part.  pass,  vaigù' .  — Ind.  pr.  và-tu; 
impf.  vahu{k):  fut.  caréi(k).  —  Cong.  pr.  cal/e\  impf.  valgese. — 
Cond.  pr.  variu{k). 

"  Tenere  „.  —  Inf.  tenl,  part.  pass,  tengù' .  —  Ind.  pr.  tmu; 
impf.  tenluik):  fut.  tenréi{k).  —  Cong.  pi-,  tene,  impf.  tengese.  — 
Cond.  pr.  tenrin{k).  —  Imp.  ten,  tena. 

"  Venire  „.  —  Inf.  veni,  part.  pass,  vengù' .  —  Ind.  pr.  vènii; 
impf.  véHÌu{k)  :  fut.  venréi{k].  —  Cong.  pr.  vene:  impf.  vengese.  — 
Cond.  pr,  venriu{k).  —  Imp,  ven,  vena. 

"  Movere  „.  —  Inf.  maitre,  part.  pass,  mugii'.  —  Ind.  pr.  mgvu: 
impf.  nmviu{k):  fut.  nìurei{k).  — •    Cong.  pr.  move:  impf.  mugese. 

—  Cond.  pr.  ìnnriu{k).  —  Imp.  mau,  miiva. 

"  Piovere  „.  —  Inf.  plaure,  part.  pass,  plugu.  —  Ind.  pr.  plau: 
impf.  pluvie:  fut.  plauré.  —  Cong.  pr.  piove;  impf.  iilug^e.  — 
Cond.  pr.  plaurie. 

"  Bibere  „.  —  Inf.  beure,  part.  pass,  begli .  —  Ind.  pr.  bevu: 
impf.  bevlu{k):  fut.  beuréi{k).  —  Cong.  pr.  beve:  impf.  begese. — 
Cond.  pr.  beuriu{k).  —  Imp.  bea,  beva. 


96  Alberto  Talmon, 

"  Vivere  „.  —  Inf.  rix.re,  part.  pass,  vtkii' .  —  Ind.  pr.  vìeu: 
impf.  viriu{k);  flit.  viuréi{k).  —  Gong.  pr.  vive;  impf.  vivese.  — 
Cond.  pr.  viurhi(k).  —  Imp.  viu,  viva. 

"  Facere  „.  —  Inf.  fa,  part.  pass.  fait.  —  Ind.  pres.  fau{k),  fu, 
fai  —  fcifén,  fafà,  fan;  impf.  fafiu{k);  fut.  faréi{k).  —  Gong.  pr. 
fase;  impf.  fa/ese.  —  Gond.  pr.  farm{k).  —  Imp.  fai^  fa/à. 

"  Dicere  „.  —  Inf.  dire,  part.  pass.  dit.  —  Ind.  pr.  dìfu;  impf. 
difin(Jc);  fut.  diréi(k).  —  Gong.  pr.  dì/e;  impf.  difese.  ■ —  Gond.  pr. 
diriu{k).  —  Imp.  di,  difà. 

"  Credere  „.  —  Inf.  kreire,  i^Rvt.  pass,  krejii'.  —  Ind.  pr.  kreju: 
impf.  krezii{k);  fut.  hreiréi(k).  —  Gong.  pr.  kreje;  impf.  krejese.  — 
Gond.  pr.  kréiriuik).  —  Imp.  kre,  krejà. 

"  Cadere  „.  —  Inf.  -zeire,  part.  pass,  zetlt.  —  Ind.  pr.  zeju; 
impf.  zejese.  —  Gond.  pr.  zeiriuilì). 

"  Excludere  „  (schiudersi,  fr.  éclore).  —  Inf.  eklilre,  part.  pass. 
eklil't.  —  Ind.  pr.  eMiì!  ;  impf.  ekluie;  fut.  eklilré.  —  Gong.  pr.  ekluje: 
impf.  eMìljese.  —  Gond.  pr.  eklilrie. 

"  Morire  „.  —  Inf.  milr'i,  part.  pass.  m^rt.  —  Ind.  pr.  midrii: 
impf.  milriu{k);  fut.  milriréi{k).  —  Gong.  pr.  mipre:  impf.  ìnior- 
gese  e  miprese.  —  Gond.  pr.  milririu[k).  —  Imp.  mipr,  miorà. 

7.  Avverbio. 
a)   Avverbi  priiiiìtivi. 

163.  1)  Avverbi  di  luogo.  —  Unt  u  n  d  e,  dtmi  de- 
nudo, dove;  ist  e  e  e  e  -  h  i  e,  qui  :  isai  ecce-hac,  da  questa 
parte,  ilài  e  e  e  e  -  i  1 1  a  e,  da  quella  parte,  e  sai,  desdi  da  questa 
parte,  lai,  delài  da  quella  parte;  izi  e  e  e  u  m  -  h  i  e,  costi,  là; 
pi  inde,  ne,  e  ne  i  d..  id.,  n'en  ne  [oait  w'ew  =  vattene):  lon 
1  0  n  g  e  lontano,  pré  p  r  e  s  s  u  m  presso,  vicino,  apre  appresso  ; 
dapé  d  (e)  a  d -  p  e  d  e  ,  vicino  ;  kuntre  e  o  n  t  r  a,  contro  ;  enkuntre 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  97 

incontro  :  dedlnt  de-de-intus  dentro;  fare  fora  s.  fuori, 
defore  d  e  -  f  o  r  a  s,  di  fuori  ;  (indnf  i  n  -  a  n  t  e,  avanti,  drant  e 
dénànt  de-ìn-ante  dinanzi  :  areire  a  d  -  r  e  t  r  o,  dareìrr  de- 
retro dietro,  di  dietro;  si/brf;  supra  sopra,  desiihrc  de- 
supra  disopra;  su  s  u  b  t  ii  s  sotto,  desìi  de-subtus  di- 
sotto; dekaire  de    quadru,  a  lato,  alavirùn  all'intorno. 

2)  Avverbi  di  tempo.  —  Kfire  qua  bora  quando; 
kant  quando;  sucént  sovente;  ti{:Ji'rii  totum  diurnu  fr. 
toujours;  io  j  a  m,  già;  lamai  giammai;  ahlre  allora;  enJcàre, 
eìiMi'  ancora;  peii  poi  ;  du/eiire  de-hac-hora  d'ora  innanzi, 
ormai,  eiìre  ora,  prov.  aro;  ie  ieri,  enhéil  atque  hanc 
li  o  d  i  e  oggi ,  demàn  domani  ;  emhek  in  ben  che  mentre, 
delf.  òo/i^,  pieni,  mali. 

3)  Avverbi  d  i  m  a  n  i  e  r  a  e  qu  antit  à.  —  Kiimó 
q  u  o  m  o  d  0.  fr.  coniment;  ben  bene,  mai  male,  viduntie  vo- 
1  u  n  t  a  r  i  u  volentieri  ;  iambén  t  a  m  bene  prov.  tambén  ; 
ensémp  insimul  apud  insieme;  Jcant  quanto,  tanf  tanto, 
otànt  ali -tantum,  fr.  autant;  mai  m  a  g  i  s,  di  più,  ancora: 
frój)  troppo,  pauli  poco,  a)nén  almeno;  blpì  de  molto  di.  ^;r(f 
prò  assai,  abbastanza,  ren  rem.  niente,  pà  *passum  niente, 
(/aire  *germ.  weigaro?  quanto?  pia-gaire  poco;  ^i  *genus 
prov.  ges,  affatto,  pà-^i  *passum-genus  niente,  nessuna 
specie,  ali.  a  pa-la-ràse  di  ugual  significato. 

4)  Avverbi  d'affermazione  e  d  i  n  e  g  a  zi  o  n  e. 
—  La  particella  d'affermazione  è  la  fr.  oui,  ali.  a  oi  (hoc),  afr. 
oje  (hoc  ille),  che  rimane  intatto  nella  bassa  valle  [oje)  ;  per  la 
negazione  vale  nmì.  Per  ecco  s'impiega  la  2='  sing.  ind.  pr.  di  ve 
vedere:  re-t'a-izi  = -v^àì  qui,  ecco  qui,  ve-Ui-iz i  ■=  veàetaXo  qui, 
eccolo  qui  (cfr.  fr.  voici).  Inoltre:  segfl'r  sicuramente. 

5)  Avverbio    di    e  a  usa:  PerJcé  =  perché? 

164.  Avverbi    di   maniera.   —    Poco   usitato   l'avv.  in 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  7 


98  Alberto  Talmon, 

-ente:  raroniént  raramente,  (/randomént  grandemente,  maiamént 
malamente.  In  certe  lociiz.  è  impiegato  come  avv.  il  neutro  degli 
agg.  :  senti  hun  sentir  buono;  parl<i\  zantà'  nut.  parlai-e,  cantare 
ad  alta  voce;  parla',  zanta  ha  parlare,  cantare  a  bassa  voce; 
semenà  epe'  seminare  spesso  ;  anà'  tira,  se  tèni  dreit,  andare,  ti- 
rare, tenersi  dritto:  zanta  fan  cantar  falso;  pika',  zantà'  lùst 
picchiare,  cantare  giusto. 

b)  Gradazione. 

La  comparazione  degli  avv.  si  foima  come  quella  degli  agget- 
tivi. —  Comparativi  formali:  ben  bene,  mài  male,  mei'  meglio, 
pauk  poco,  pei  peggio,  plii  mài  pili  male,  de  mai  di  più,  men 
meno,  le  mei'  il  meglio,  le  pei  il  peggio,  le  plil  mài  il  più  male, 
le  mai  il  più,  le  metì  il  meno. 

e)  Locnzioiii  avverbiali. 

165.  —  A  la  fin  alla  fine,  a  la  leste  prestamente,  avant-ie 
fr.  avant-hier,  d'abort  fr.  d'abord,  de  bun'ure  di  buon'ora^  pauk 
a  pauk  poco  a  poco,  luntémp  fr.  longtemps,  de  niafin  al  mattino, 
sili  koibe  sul  colpo. 

8.  Preposizioni. 

166.  —  1)  Antiche  preposizioni  latine:  de,  d\ 
di;  eh  in;  entre  fra;  abn  a  p  u  d,  con;  subre  s  u  p  r  a,  sopra; 
kimtre  contro;  per  per;  sense  senza,  segànt  secondo  die.  Per  è 
sovente  sincopata:  pia  fena=^'^ev  le  donne,  pi'  munde  = -^ev  \\ 
mondo. 

2)  e  0  in  p  0  s  t  e    e  o  n   p  r  e  p.    l  a  t.  :    desubre    d  e  -  s  u  p  r  a, 
sopra,  desH    d  e  -  s  u  b  t  u  s,  sotto.  j 

3)  sostanti  v  i,   aggettivi    o  avverbi    latini  d  i- 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  99 

'"  e  n  u  t  i  p  r  epos  i  z  i  o  n  i  :  fdre  f  o  r  a  s,  fuori,  mnlgra  m  a- 
1  u m    g  r  a  t  u  m,  fr.  raalgré,  kant  a  quantum   ad,  quanto  a. 

\)  e  0  m  p  0  st  e  d  i  p  r  e  p.  latine  con  s  o  s  t .  ,  a  g  g  . 
o  a  V  e  e  r  h  ì.  dareire  de  retro,  dietro  ;  endedint  in  d  e  -  d  e- 
i  n  t  u  s,  dedhit  de-de-intus,  dentro  ;  apre'  ad  pressura, 
appresso,  defore  de    f  o  r  a  s,  di  fuori. 

5)  Locuzioni  prepositive  composte  di  s  o  - 
s  tant  i  V  i,  verbi  o  avverbi:  a  Uaufe  de  a  causa  di  ;  a 
dreite  de  a  dritta  di;  a  prepau  de  a  proposito  di;  atravers  attra- 
verso; tuV  lofik  fr.  tout  le  long;  veizi  fr.  voici.  voilà. 

9.  Cougìiinzioni. 

167.  a)  Coordinative.  1)  copulative:  é  e;  enkàre, 
éììkà' ,  inai  enkare  ancora:  ni  ni,  né  né;  he  (quod)  che.  —  2)  Av- 
ver  satire:  ma  ma;  o  kuntrere  fr.  au  contraire.  —  3)  Cau- 
sative:   dtinke  dunque. 

b)  S  u  b  0  r  d  i  n  a  t  i  v  e.  —  Se  se  ;  kant  quando  ;  kuma  come; 
per-sgk  per  ciò  che;  tambén  ke  sia  pure  che;  a  mefiire  A;e  a  mi- 
sura che;  segùnt  ke  secondo  che;  drant  ke  primo  che;  fin  he  fino 
a  che;  a  men  ke  a  meno  che;  per  pan  ke  per  poco  che;  de 
krence  ke  fr.  de  crainte  que;  baste  ke  purché;  kfire  ke  a  qua- 
lunque momento. 

10.  Interiezioni. 

168.  —  Interiezioni  propriamente  dette:  ah  ! 
ahi!  oh! 

Locuzioni  interiettive:  bun  dia  buon  dio  !  —  pezaire 
p  e  e  e  a  t  0  r,  prov.  pecaire  =  fr.  hélas  !  —  demùn!  diamine!  — 
diantre  fr.  diantre!  —  alo'ìi  fr.  allons  — brave  bravo! 


100  Alberto  Talmon, 


Capo  IV. 
Appunti  sintattici. 

169.  —  Occorrono  frequentemente,  come  in  gran  parte  dei 
dialetti  piemontesi,  i  pleonasmi  prono  in  inali  a  (masch.) 
ed  i  (femm.)  dinanzi  alla  3'^  pers.  singolare,  ed  a  (femm.)  ed  i 
(masch.)  dinanzi  alla  S'"*  pi.  d'ogni  tempo:  èl  a  zantr  egli  canta, 
eie  i  zante  essa  canta;  eia  a  zantan  esse  cantano,  ehi  i  zantan 

con  'e  '      C 

essi  cantano.  Occorre  inoltre  costantemente  il  pleon.  pron.  a 
(masch.  e  femm.)  dinanzi  alla  1^  pers.  sing.  dei  tempi  semplici: 
mi  a  zantii  io  canto,  ini  a  vuHu  io  volevo;  h'a  zante  che  io  canti, 
h'a  zant^,se  cantassi, 

170.  —  Costante  \'u  so  riflessivo  dei  verbi  per  i o 
desino,  io  ceno,  io  ho  desinato,  io  ho  cenato: 
mim'  dlnu,  mini'  sìnu,  am'  sin  dina,  ain  sin  sino.  Inoltre:  mini' 
kefu,   tilt'  kefi,  el  as'  kefe,  io  mi  queto,  tu  ti  queti,  ei  si  queta. 

171.  —  Uso  i  mp  e  r  s  on  a  l  e  ,  in  certi  casi ,  del  verbo 
essere,  p.  e.:  l'è  mi  fr.  c'est  moi,  l'é-tù  c'est  toi,  l'é-f-el  c'est 
lui,  è  lui,  Vé-nfi  c'est  nous,  Vé-vn  c'est  vous;  Ve  mun  amìk  c'est 
mon  ami,  è  mio  amico,  l'è  de  ladri  sono  dei  ladri,  l'é-f-ita  k'ia 
fena  sono  state  quelle  donne.  Interrogativamente  si  dice:  éV  mi? 
sono  io?  —  él'  tu?  sei  tu?  —  él'  el?  e  lui?  —  él'  mi?  siamo 
noi?  —  él'  Vii?  siete  voi?  —  Inoltre:  la  l'è  vai  de  furetie  ci  vanno 
dei  forestieri:  la  l'è  veh  de  fena  ci  vengono  delle  donne;  la 
l'  'arihe  de  mena'  arrivano  dei  ragazzi  ;  la  t 'a  agù'  de  degrasijx  ci 
sono  state  delle  disgrazie;  t'a  tanti-f-an  ci  sono  tanti  anni. 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  101 

172.  —  Per  la  perifrasi  del  passi  v  o  c'è  oltre  al 
modo  italiano:  ìas'  fai  pà  ren  non  si  fa  niente  —  l'uso  pur  vi- 
gente altrove,  come  già  in  latino,  delia  3*  pi.  :  i  l'an  pà  trubd 
ren  non  anno  trovato  nulla,  per:  non  s'è  trovato  nulla;  —  sok 
difan  i  de  mi?  che  cosa  dicono,  che  cosa  si  dice  di  me?;  — e 
finalmente  l'uso  francesizzante:  im  fai  ben  si  fa  bene,  im  faipà 
reti  non  si    fa   niente,  sok    un  pò  la  fa?  che  cosa  si  può  fare? 

173.  —  Oscillazione  tra  ''essere'  ed  '  avere  ' 
nella  perifrasi  del  perfetto:  ei  kuru  ò  corso,  sin 
oengii'  sono  venuto;  i  l'an  kreisii  sono  cresciuti,  i  sun  kreisii' ; 
la  l"à  agii  Une  fete,  la  l"é-f-ltà  ime  fète  c'è  stata  una  festa; 
la  ììia  plaga',  la  me  plagii  m'è  piaciuto.  Ma  è  fermo  '  avere  ' 
nelle  indicazioni  di  tempo:  la  l"à  ibi  ah  c'è  un  anno,  la  V'à 
tanti- f-aìì  ci  sono  tanti  anni. 

174.  —  Frequente  la  p  e  r  ifr  a  si:  isi,  izi  niun  fìl' 
—  isf,  iz'i  ma  mefùn,  per:  questo   mio   figlio,  questa  mia  casa. 

175.  --  Ripetizione  della  particella  en  (inde): 
is'  n'en  van  sen'  vanno,  so  ne  vanno;  as'  neri  turnàve  egli  se 
ne  tornava;  vait'  nèh  vattene;  anavnn'én  andatevene. 

176.  —  Uso  continuo  della  particella  de  con  valore 
partitivo  in  espressioni  di  tempo,  spazio,  quantità:  gaire  d'an? 
quanti  anni?  —  pà-gaire  de  ;p^  poca  gente;  —  bien  de  fastude 
molti  fastidì. 


102  Alberto  Talmon, 


Capo  V. 
Saggi  letterari  in  grafia  fonetica. 

I.  —  Parabola  del  flgliuol  prodigo. 

Un  qme  avie  dà  garsi'in.  E  le  plii  ::^ùve  a  dìt  a  sun  paire  :  Duniime'  hi 
pursijin  dà  ben  lem'  veh.  E  le  paire  lùr  à  divi/ci  sun  beh.  Pauk  de  x^^rs 
apre'  kant  le  plil  ^wre  dà  garsun  à  agii'  rebàtà  tute  sa  pursii'm,  as'  n  é-f-anù 
viija\'à'  din/  un  pai  ben  lon,  dunt  a  l  à  disipà  tu  suh  beh  pive'nt  dih  luf 
exe'  e  là  debaUza.  Jy  apre'  k' a  V  ci  agii'  minia  tut,  Vé-f-aribà  une  grande  fa- 
mine  dih  Ice  pai  e.  a  kumensàve  a  fsre  dih  la  mi/fre.  Alùre  a  Vé-f-and  s'bìità' 
eh  sfrvise  abu  Un  abitnnt  dà  pai  ke  l'à  manda  a  sa  mejuh  de  kamjxine  per 
gardà'  su  kurih.  A  defirave  df  rampli  suh  ventre  da/  aglàh  ke  IH  kurlii 
mal'avah  e  pa-nùh  a  n'eù  dunnve.  Ma  ese'nt  rintrd  din/ el  meme  a  l'à  dit  : 
Gaire  de  tale'  dih  la  mefiih  de  mah  paire  ah  de  pah  tah  k'  l  vQlaii  e  mi  a 
mipru  isi  de  fam!  Am'  levare'ik  e  anarf'i^  truba'  muh  paire  e  a  l'è  dire'ik: 
Papà,  ei^  pezó  kuntre  le  slel  e  kuntre  vìi:  siu  ph  max  <ii^§  d'f^Vf  i^'ptre 
garsiih,  trata-me'  kumà  uh  dà  vQtri  vale'  !  ^  Alùre  a  l'è  parti  e  vehgìi'  trubà' 
suh  paire.  A  l'ère  'hkà'  ben  lijn  kant  suh  paire  l'à  vìi,  e,  purtà  de  kumpa- 
si^ùh,  a  l'  é-/-anà  rahkuntre,  s'è  tapà  a  stth  kpl  e  a  l'à.  bai/d.  Le  garsùh  l'à 
dtt:  "'Papà,  ei  pezà  kuntre.  le  siet  e  kuntre.  vii.  siu  pa-mai  dine  d' esre  vQtre 
garsàh  !  „  Alùre  le  paii-e  a  dìt  a  su  vàie'  :  "  Purtù-me  inte  la  plil  bfle  robe, 
abilà-lu,  biità-l'i  Une  rlre  à  de,  e  de  zusie  à  pe  :  mena  uh  rei  grà,  fuali'i, 
minie'n-hi  e  reitnse'nnU.  Perke'  isi  mun  garsuh  ere  mprt  e  a  Ve  resilsitd,  a 
l'ère  perdi*  e  a  s'è  retruhn  „.  E  i  V ah  kumensà  a  fa  la  nòse.  Ma  le  garsùh 
pia  vèl' ère  e«  kampane  e  'mbe'k  as'  neh  turnàve  e  k\t  s'apruzàve  de  la 
mejùh  a  l'à  'ntendù  le  suii  daf  instri'ime'h  e  le  tapa:ie  dà  bai.  A  l'à  demanda 
uh  dà  vàie'  e  a  l'à  'nteruid  sgk  ère  tu  keh.  Le  vàlè't  l"  a  répundii'  :  "'Vòtre 
fraiì'e  è  vehgii'  e  vòtre  papà  à  tua  uh  rèi  grà  perke'  a  l'à  retrubà  eh  bùne 
sandà  „.  L^^o'h  si  l'à  fait  munta'  eh  kulfre,  e  a  vuh'e  pà  infra'  dih  la  me/iih, 


Saggio  sul  dialetto  di  Pragelato  103 

ma  le  ixii^re  é  surf!  e  a  s'è  biit/t  a  le  priji  d'intrh'.  Ma  le  garsùh  l" a  re- 
piindù'  :  "  Papà,  la  l"  a  ^g  tanti-f-ah  k(  vU  serva,  vii/  e\  lamai^  de/ube!  eh 
reh,  e  pUre  ù,  ni  ava  :{ama\  duna  un,  zabrin  per  me  i-eiiii  abù  muf  amiks. 
E  eure  Ice  voft-'autre  garsiin  k'à  min^à  tu  suii  ben  uba  là  fauda  é  reveiigii' 
nf  ava  tiia  uh  vH  grà  per  el  „.  Ma  le  paire  l"  a  dìt  :  '^  Mah  garsiin,  ù  sa 
ttii^^'m  obli  mi,  e  tu  mù  ben  sun  per  vù.  La  ventare  beh  fa  uh  bah  repà't 
e  hit  re-lui  pfrke  isi  vQtre.  fraiì'e  a  Vere  mòri  e  a  l'è  resiìsita,  a  l'ère  perdù' 
e  a  s'è  retrubà  .. 


II.  —  Novella  IX,  giornata  I,  del  Boccaccio. 

U  deva  duhke  sabè  k'à  tfmp  dà  priimie  rei^  de  Sipre,  kant  Gufre'  de 
Bul'uh  a  agii'  fait  la  kunkète  d'ia  Tfre  Sente,  l'é/aribà  k'une  dam^  ngblf 
de  Gaskgne  d  rulgii'  anà'  eh  pelegrina:[e.  a  la  tumbe  de  NQtre  Sind'r  ^e/ii 
Krist.  'Mbeh  is'  neh  turnàve  de  lajntre,  apre'  k'i  Vé-farihà'  a  Sipre,  kaki 
mari  orni  l" ah  dlt  e  fait  d' ufrali  de  tate  sorte.  La  ^JaM/'f  dame  pule 
pàs'dunà'  j)à  d'ikf'h,  e  la  l" è  rehgii'  eh  meni  d' anà'  ve  le  re{  de  Sipre  e 
demanda'  k' a  l'è  fafese  -iìstise.  I  l" ah  dìt  he  l'ère  tfmp  perdù',  perke  le 
rd  a  l'ère  tah  paUvale'nt  ke  beh  fon  de  fa  ;iistlse  a/  antri  a  fa/fe  envi(iii-e 
de  reh  kant  il'  maltratdvan  et.  De  maniere  he  kant  kakii'h  avie  la  rabi 
kuntre  d'Un  a]i^tre  as'  ven^àve  sii  d'el.  KeV  sinure  kant  i  Va  'ntendù'  ike'n 
i  Va  vulgii  ame'h  se  prfne  le  pla/è  des'  futre  de  ke  rft  si  fenànt.  I  vai  S 
palai  e  is'  preffnte  à  rft  e  abù  V  aigc  a/  eu  i  l'è  d)  :  Majeste',  a  rèmi  pà 
isi  draii  vù  pfrke'  a  spère  d' arsfbre  liisttse  d'  la/  eniiiria  ke  kàkii'n  de 
vQtri  siile'  m' ah  fait,  ma  a  de/ir u  meke'  k'  tim'  dùni  la  satisfasiùh  de  me 
mùtrà'  kumà  ù  fa/à  vù  a  siipurtà'  eh  sente  pà  tìl  lu/  utrdiì  ke,  d' apre'  sgk 
fntendu,  tii  vQtri  siile'  vù  fah  til  hi  mume'h  :  perke  parie,  segunt  vòtre 
fxemple,  a  poce  d'  kg  mi  siipurtà'  sgk  i  m' ah  fait  a  mi.  Le  re{  ke  fin  alùre 
ère  ita  fehdnt  e  bfsce,  apre'  k'  a  Va  'ntendù  keV  fé  ne  parla'  d'  kele  maniere, 
la  semble  k'  as'  sie  arvd'à  d'  im  gran  s'/n,  e  a  Va  kumensà  a  duna'  satisfa- 
sii'i'i  a  n-ele  e  a  s'è  biitd  a  zàt[a'  sfnsf  l'i  de  kxmpasijih  tii  kfht  ke  fa/iaii 
utra^e  a  sa  kurùne. 


104  Alberto  Talraoii,  Sas^gio  sul  dialetto  di  Pragelato- 


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Pag.  11,  linea  9  (nota)     Prazidà     si  legga  Fr(t\(dh' 


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, 

min-à 

n 

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23 

malati 

malati 

41 

n 

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, 

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49 

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15 

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51 

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14 

sul  ivt; 

„ 

salive 

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, 

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nuvèle 

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•,i 

naisre 

63 

, 

3 

esai 

^ 

esai 

64 

29 

sÙtìli 

^ 

siimi 

B.  A.  TERRACINI 

IL  PARLARE  1)  USSEGLIO 

(CoiitinìidziotiP.  vedi   Volidiie  Xì'Il). 

Appendice  L 
La  varietà  nel  parlare  di  Usseglio. 


Coll'aver  condotto  a  termine  la  fonologia  di  Usseglio.  cessa 
per  noi  l'ntilitk  di  restringerci  alla  semplice  esposizione  descrit- 
tiva di  una  sola  parlata;  il  gruppo  di  fatti  morfologici  e  lessi- 
cali che  imprenderemo  ad  esaminare  è  di  tal  natura  che  può 
essere  sistematicamente  studiato  su  di  un  vasto  territorio  senza 
la  premessa  di  alcuna  minuta  descrizione  particolare.  Quindi, 
introducendo  una  lieve  modificazione  al  piano  primitivo  di  questo 
lavoro  1,  noi  cesseremo,  nei  paragrafi  seguenti,  da  fare  d'Usseglio 
l'oggetto  speciale  del  nostro  studio. 

Ma,  prima  d'abbandonarlo  definitivamente,  ci  proponiamo  di 
esaminare  nei  suoi  minuti  dettagli  un  tratto  che  nella  precedente 
esposizione  s'ebbe  appena  occasione  di  sfiorare:  il  movimento  e 
la  varietà  del  parlare.  Lasciando  da  parte  tutti  quegli  elementi 
che  in  questo  istante  appaiono  uniformi  ed  immobili,  coll'esporre 


'■    In  altre   parole,  i  §§  2  e  8    (ofr  voi.  XVIT.  p.  198)    saranno    «onz'altro 
incorporati  nella  P.   II. 


106  Terracini, 

tutto  quanto  di  vario,  di  oscillante,  di  liiiido  la  parlata  oggi 
presenta  sotto  la  sua  apparente  unità  e  saldezza,  cercheremo  di 
districare  il  multiforme  groppo  di  fili  onde  s'intesse  il  suo  at- 
tuale divenire.  Cercheremo  insomma  di  cogliere,  limitandoci  a 
strettissimi  limiti  di  spazio  e  di  tempo,  attraverso  la  mobilità 
•del  parlare,  la  varia  natura  dei  suoi  mutamenti  che.  nei  ca- 
pitoli che  seguiranno,  tenteremo  invece  di  lintracciare  e  di  spie- 
gare per  più  larga  estensione  geografica  e  per  più  lungo  periodo 
di  tempo. 

Per  ogni  singola  innovazione,  si  comincerà  col  descriverne  il 
processo  di  espansione,  col  djie  cioè  dove  e  come  sia  nata  e  in 
che  modo,  nel  corso  di  poche  geneiazioni,  abbia  preso,  di  serie 
in  serie,  sempre  più  vaste  proporzioni  sino  a  guadagnare 
l'odierno  grado  di  generalità  e  di  coerenzn.  Questa  descrizione 
ci  permetterà  di  studiare  molte  particolarità  della  fonetica,  spe- 
cialmente sintattica,  e  della  morfologia  che  in  una  trattazione 
generale  non  possono  venire  minutamente  illustrate.  Avremo 
inoltre  occasione  di  descrivere  tutti  gli  episodi  secondari  che 
in  vario  senso  intralciano  il  diffondersi  di  un  fenomeno:  le  rea- 
zioni particolari  che  esso  può  aver  cagionato,  le  novità  soffocate 
in  sul  nascere,  gl'imperfetti  adattamenti.  Propiio  in  questo 
campo  s'avrà  occasione  di  stringere  da  vicino  la  premuta  e 
combattuta  attività  individuale,  se  non  come  immediata  crea- 
zione di  singole  pei'sone,  che  questa,  tranne  casi  fortuiti,  è 
cosa  inafferrabile  e  sfugge  all'ambito  di  una  ricerca  storica  quale 
la  nostra,  almeno  come  peculiarità  di  pochi  individui  che  la 
conservano  quando  essa  è  tuttavia  vicinissima  al  suo  punto  di 
origine.  ,™ 

Ma  soprattutto  cercheremo  d'impostare  queste  ricerche  sotto 
un  punto  di  vista  geografico,  indagando  in    qual    misura    siano     m 
accolte  le  innovazioni  provenienti  dai  paesi  vicini  e  attraverso 
■quali  vicende  esse  vadano    adattandosi    alle    nuove    condizioni. 


Il  parlare  d'Qsseglio  107 

Accanto  a  questo  ci  porremo  il  problema  contrario:  si  cercherà 
di  isolare  innovazioni  che  siano  sorte  primamente  nel  paese 
stesso  e  di  determinare  in  che  senso  esse  possano  ritenersi 
locali  e  di  studiare  come  si  espandano,  non  più  genetica- 
mente e  cronologicamente  attraverso  le  varie  generazioni,  ma 
topograficamente  per  le  varie  parti  del  villaggio.  Per  quest'ul- 
timo punto.  Usseglio  si  presenta  in  condizioni  assai  favorevoli  : 
per  solito  i  comuni  rustici  consistono  di  un  borgo  e  di  una  co- 
rona di  piccole  ville  che  pili  o  meno  subiscono  l'influenza  del 
centro;  a  Usseglio  invece  le  cinque  principali  borgate  sono  di- 
sposte in  modo  che  quelle  giacenti  nel  mezzo  del  piano,  per 
quanto  più  importanti,  non  costituiscono  un  nucleo  fisso  e  pre- 
ponderante e  quelle  delle  estremità  possono,  pel  loro  relativo 
isolamento,  conservare  una  certa  spontaneità  di  vita,  special- 
mente nei  loro  rapporti  coi  paesi  confinanti.  —  Con  questi  poi 
il  villaggio  non  è  legato,  come  accade  altrove,  da  una  quasi 
ininterrotta  continuità  dell'abitato;  al  contrario:  per  tre  parti 
ne  è  separato  da  catene  di  monti;  a  valle  poi  la  prima  borgata 
della  prossima  Lemie  giace  sei  chilometri  distante  ^  Donde  un 
cumulo  di  circostanze  favorevoli  perché  la  lotta  di  cui  vogliamo 
indagare  le  vicende,  sia  più  che  mai  viva  e  varia  e  tuttavia 
si  possa  delineare  a  tratti  netti  e  relativamente  facili  ad  es- 
sere colti. 

Il  materiale  di  cui  possiamo  disporre  è  tutfaltto  che  com- 
pleto, ma  per  lo  meno  sufficiente  a  darci  dei  risultati  approssi- 
mativi :  ogni  fatto  che  nella  parlata  si  mostri  comunque  oscillante 
fu  appositamente  studiato  e  controllato  su  un  numero  di  fonti 
tale  da  fissare  almeno  le  tappe  principali  del  suo  svolgimento  -. 


'  V.  p.  200  e  sgg. 

^  Oltre  a  quello  raccolto  sulle  fonti  indicate  a  p.  207,  i  punti  soggetti  a  va- 
I        riazioni  furono  controllati  con  liste  pili  o  meno  lunghe  (da  130  a  60  parole) 


108  Terracini, 

Le  parlate  di  tutti  i  paesi  confinanti  ci  sono  sufficientemente 
noto  perché  si  possa,  ad  ogni  occasione,  rintracciare  l'origine  e 
la  conseguenza  di  ciò  che  succede  a  Usseglio. 

Parimente  noto  è  l'ultimo  elemento  a  contatto  del  quale  si 
svolge  la  nosti'a  parlata  per  via  di  lapporti  che  rivestono  una 
fisionomia  tutta  speciale.  Per  Usseglio,  come  per  tanti  altri 
villaggi  di  questa  zona,  il  piemontese  era  rimasto,  sino  ad  una 
trentina  d'anni  fa,  una  lingua  relativamente  straniera,  spesso 
ignorata,  il  cui  influsso  doveva  giungeie  alla  montagna  quasi 
soltanto  attraverso  una  lunga  e  lenta  serie  di  tappe.  Ma  gli 
ultimi  anni,  assieme  ad  un  profondo  rivolgimento  di  cose  e  di 
costumi,  anno  portato  il  piemontese  direttamente  alla  montagna 
ed  oggi  il  suo  uso  non  è  solo  necessario  pel  continuo  contatto 
coi  pianigiani,  ma  s'impone  anche  per  tutti  i  complessi  elementi 
della  vita  nuova  che  l'antico  dialetto  è  incapace  d'esprimere. 
Il  piemontese  dunque,  divenuto  la  lingua  civile,  se  non  lette- 
raria, di  queste  popolazioni,  rompe  ormai  il  corso  della  con- 
tinuità geografica  e  incombe  direttamente  anche  sui  pili  re- 
moti punti  del  suo  vasto  teiritorio  d'influenza.  Avviene  cosi  che 
a  Usseglio  nessuno  pili  l'ignori  ^  che  anzi,  per  alcuni  elementi, 
specie  lessicali,  cui  il  dialetto  non  può    sopperire,  gli   alpigiani 


su  altri  individui,  secondo  i  casi,  ora  in  generale,  ora  nelle  borgate  e  nelle 
generazioni  dove  era  necessario.  II  numero  delle  testimonianze  è  quindi 
oscillante  e^,  pei  fatti  più  importanti,  la  media  si  aggira  sulla  cinquantina. 
Seguendo  il  noto  esempio  del  (ìauchat,  divido  la  popolazione  in  genera- 
zioni: V  (da  90  a  60  anni),  2"-  (da  59  a  30  anni\  3^  (da  29  anni  in  giii).  - 
I  numeri  entro  parentesi  cjuadra  indicano  gli  anni  delle  fonti,  quelli  in 
corsivo  si  riferiscono  a  donne.  —  Sul  modo  con  cui  furono  utilizzati  mate- 
riali e  fonti,  v.  la  Nota  addizionale  in  fine  di  questa  Appendice. 

'  Lo  parlano,  contrariamente  a  ciò  che  avviene  in  altri  villaggi  pili  arre- 
trati, tutti  i  vecchi,  e  sino  i  ragazzini  di  una  decina  d'anni,  se  non  se  ne 
servono  ancora,  possono  "già  comprenderlo. 


' 


Il  parlare  d'Usseglio  109 

vi  ricorrano  ormai  come  alla  loro  propria  lingua,  mentre  altri 
elementi  che  anno  nel  mateiiale  indigeno  robusta  corrispondenza, 
sono  respinti  come  cosa  straniera.  Vi  sono  dunque  casi  in  cui  il 
piemontese  può  essere  addirittura  considerato  come  materia 
indigena,  altri  invece  no;  e  in  quest'ultimo  caso,  il  processo 
d'assimilazione  cui  il  piemontese  è  sottoposto,  salvo  qualche 
riserva,  può  considerarsi  dallo  stesso  punto  di  vista  sotto  cui 
si  studia  quello  subito  da  una  qualunque  parlata  confinante. 

Quanto  all'ordinamento  di  questa  Appendice,  per  amore  di 
chiarezza,  fu  seguito  un  criterio  eminentemente  pratico  :  si  co- 
mincia dall'esposizione  dei  casi  più  semplici  per  salire  via  via 
ai  pili  complessi,  rimandando  ad  un  capitoletto  riassuntivo  ogni 
osservazione  d'indole  generale  ^ 


I. 


E  assai  difficile  dare  un'idea  adeguata  di  ciò  in  cui  consiste 
la  varietà  del  lessico,  p^'ché  questo,  come  fu  già  da  molte  parti 
osservato,  muta  in  notevoli  proporzioni  a  seconda  delle  speciali 
relazioni  e  occupazioni  dei   singoli    individui  -.  Ma  se,    prescin- 


^  Sian  qui  ricordati,  una  volta  per  tutte,  i  due  classici  lavori  che  servi- 
Tono  di  guida  a  quest'Appendice:  Rousselot,  Les  modifications  phonétiques 
dans  le  patoh  d'xne  famille  de  Cellefrouin.  Macon.  1891  ;  Gauchat,  L'unite 
phonétique  dans  le  putois  d'une  cotnmune,  in  Festschrifl  Morf.,  1905,  p.  174  sgg. 

'  In  questo  schizzo  sommario  si  prescinde  dunque  da  tutto  ciò  che  possa 
formare  un  vocabolario  speciale,  dalle  parole  più  o  meno  tecniche,  dal  fatto 
che  alcuni  individui,  p.  es.  l'oste,  la  guida,  posseggano  un  numero  di  voca- 
boli prettamente  piemontesi,  estraneo  agli  altri,  e  si  trascuran,  nei  vecchi, 
tutti  i  termini  riflettenti  cose  andate  in  disuso  od  una  maniera  d'osservare 
ormai  tramontata,  termini  che  essi  possono  ricordare,  ma  che  in  realtà  non 
ailoprano  pili.  Si  e  poi  dovuto  lasciare  da  i)arte,  perché  troppo  difficile  era 
raccogliere  dati  sicuri,   un    campo   di    studi    che   deve  essere  assai  interes- 


110  Terracini, 

dendo  da  questa  sorta  di  differenze,  ci  atteniamo  al  lessico 
colmine,  l'oscillazione  odierna  non  è  forse  cosi  forte  come  nel 
campo  grammaticale,  perché  assai  minore  è  la  resistenza  op- 
posta dall'elemento  arcaico  dinanzi  all'innovazione,  mancando 
di  questa  resistenza  la  condizione  principale,  cioè  che  la  parola 
appartenga  ad  una  serie  pili  o  meno  coerente.  Quindi  un  ter- 
mine nuovo,  per  poco  forte  che  sia,  à  assai  rapidamente  ra- 
gione- dell'antico.  Anche  la  recente  invasione  del  piemontese  che 
dovrebbe  potentemente  contribuire  a  questa  varietà  è  ormai 
cosi  avanzata  che  ogni  nuova  voce  è  da  tutti  molto  facilmente 
adottata  ;  si  che,  per  quanto  i  cambiamenti  pili  svariati  siano 
incessanti,  il  periodo  di  lotta  che  a  noi  interessa  è  brevissimo 
e  privo  di  vicende  notevoli.  Tuttavia,  con  una  breve,  ma  op- 
portuna scelta  di  termini  non  è  difficile  intravvedere,  svolgen- 
tisi  nel  cuore  stesso  del  paese,  alcuni  dei  procedimenti  secondo 
cui  il  lessico  suole  mutarsi  ^ 

1.  Gli  abitanti  del  luogo,  per  mostrare  le  differenze  di  lin- 
guaggio che  corrono  da  borgata  a  borgata,  le  caratterizzano 
spesso  coU'attribuire  ora  all'una,  ora  all'altra  l'uso  speciale  di 
qualche  parola^;  l'osservazione  non  manca  di  fondamento:   in- 


sante: la  semantica,  in  quanto  studia^  non  i  generali  mutamenti  di  signi- 
ficato d'una  parola,  ma  la  diversità  di  estensione  e  di  valore  che  alcune 
parole  possono  contemporaneamente  assumere  per  i  diversi  parlanti.  P.  es. 
a  "  resina  ,  mi  fu  risposto  :  larfe,  alfe,  turmentina;  ora  non  è  un  caso  se 
riscontrai  questi  tre  stadi  solo  tra  gli  uomini,  mentre  le  donne  furono  tutte 
concordi  nel  darmi:  alfe;  per  esse  la  "  resina  ,  deve  soprattutto  indicare  la 
sostanza  in  uso  nella  medicina  empirica  locale,  accezione  in  cui  la  parola 
deve  essere  particolarmente  al  coperto  da  ogni  innovazione. 

'  Queste  ricerche  lessicali  furono  condotte  su  una  quindicina  di  individui 
soltanto  —  poiché  tanti  parvero  bastare  a  fornire  un  materiale  sicuro  — 
ed  estese  ad  ogni  generazione  e  ad  ogni  borgata. 

-  Senza  aver  fatto  ricerche  apposite,  raccolsi  le  seguenti  testimonianze  : 
óra  (adesso)  è  proprio  di  Mai-gone  di  contro  a  urei',  v.  n.  230,  barnagu  (pa- 
letta), pruni  (sottile)  sono  attribuiti  al  Cortv. 


Il  parlare  d'Usseglio  111 

fatti  anche  la  resistenza  di  alcune  parole,  cioè  rultima  fase  del 
loro  uso,  si  determina  sopravvivendo  in  un  punto  più  a  lungo  ch& 
in  un  altro:  p.  es.  il  vecchio  termine  pian  (corteccia)  a  dovunque 
ceduto  a  ploii  ^,  ma  la  1**  gen.  al  Py.  ^,  e  alle  Pz.,  conserva  ancora 
la  vecchia  voce  ;  cosi  alfe  (resina)  si  conserva,  con  pochissime 
eccezioni,  dappertutto  meno  che  alle  Pz.,  dove,  sin  dalla  pili 
vecchia  geneiazione,  è  sostituito  da  turmentina  ^  ;  ancora  alle 
Pz.  resiste  un  po'  meglio  nella  1^  gen.  e  net  (nevica)  di  fronte 
a  e  viti  ci  nei  che  altrove  à  quasi  completamente  trionfato  ^,  e 
qui  sempre  è  per  tutti  vegeto  pa  grò  (nonno),  nelle  altre  bor- 
gate conosciuto  soltanto  dalla  P  gen. 

2.  Questa  specie  di  spezzettature  in  piccoli  centri  rende  men 
chiara  forse,  ma  è  ben  lontana  dal  velare  completamente  la 
graduale  opera  innovatrice  delle  successive  generazioni,  come 
già  si  è  potuto  vedere  dagli  esempì  sopraccitati  cui  è  agevole 
aggiungerne  altri  :  plon  (corteccia)  comincia  a  cedere  al  piem. 
skorsa  soltanto  nella  3^  gen.;  iskola  (stoviglia),  di  fronte  a p/a^, 
è  una  prerogativa  della  1"  gen.;  kua  (coda)  invece  è  un  neolo- 
gismo che  non  oltrepassa  la  2'"*  ^. 

3.  Risulta  poi  ovvio  che  la  principale  spinta  al  mutamento 
del  lessico  è  l'importazione  da  paesi  più  progrediti  ;  anche   nel 


^  Si  tratta  veramente  di  un  mutamento  di  suffisso,  ma  poiché  il  caso  e 
unico,  può  venir  studiato  come  un  cambiamento  lessicale. 

-  Pei  nomi  delle  varie  borgate  onde  consiste  Usseglio,  il  lettore  voglia 
tener  presenti  le  seguenti  abbreviazioni:  Pz.  (Piazzette),  Py.  (Piane), 
Cortv.  (Cortevizio),  Vili.  (Villaretto\  Pr.  (Perinera),  Mrg.  (Margone),  disposte 
qui  secondo  l'ordine  della  loro  giacitura,  per  la  quale  cfr.  lo  schizzo  to- 
pografico I  ;  p.  201. 

'  È  la  sola  voce  nota  alle  quattro  fonti  interrogate,  tra  cui  il  conserva- 
tivo A;  furmentina  è  pure  di  due  uomini  [43,  63]  del  Vili. 

*  Di  cinque  casi  in  cui  f  nr-i  si  conserva,  tre  appartengono  alle  Pz. 

"  La  sostituzione  di  pictt  a  sk(fla  dà  una  buona  idea  di  come  procedano 
incerti,  nei  particolari,  questi   passaggi  lessicali;   mi  fu  risposto  iska-ìa  da 


112  Terracini, 

piccolo  mimerò  di  paiole  cui  ò  ristretto  il  mio  esame,  si  mani- 
festa chiara,  come  avremo  campo  di  constatare  tante  altre  volte, 
l'influenza  continua  dei  limitrofi  paesi  della  V.  di  Susa;  d'ac- 
cordo con  questi,  procede  la  sostituzione  di  plon  a  jdan  ^,  di  ce 
a  pa  f/ro  ^,  di  vhì  d  nel  ^  ^  ^^d  ^i  di  miilhu't  (macinare)  a  monde  ^, 
l'allargato  significato  di  skada  a  "  scodella  e  piatto  „  '^  \  prova 
diretta  di  questo  influsso  è,  oltre  alla  continuità  geografica,  fino 
ad  un  certo  punto  il  fatto  che  il  Py.  e  le  Pz.,  cioè  le  borgate  in 
nien  diretto  contatto  con  la  V.  di  Susa  '%  non  le  anno  assorbite 
ancora  tutte,  mentre  le  Pz.  per  loro  parte  offrono  un  caso  corri- 
spondente, porche,  si  tratti  di  neologismi  o  d'arcaismi,  procedono 
talvolta  d'accordo  colla  confinante  Lemie  ^. 


cinque  vecchi  [6i,  90,  65,  66,  63],  ma  anche  sino  da  [27  Pz.];  ebbi  pi^af  da 
nove  fonti  [30,  43,  47,  20,  61,  64,  24,  58,  66].  E,  tra  queste,  tre  (90,  63,  66) 
corressero  poi  la  prima  risposta  coU'altra.  Kiira  [[30,  20,  43]  su  quindici 
fonti)  stenta  assai  a  farsi  strada. 

^  Ploii  è  di  Mo.  e  Chian.  (tenere  sott^occhio  per  tutto  quanto  segue,  lo 
schizzo  cartografico  II,  v.  XVll,  202);  in  vai  di  Lanzo  lo  si  à  solo  nell'isolata 
Forno. 

^  ée  "  messere  ,,  propriamente  :  "  il  capo  di  casa  ,  cfr.  RILomb.  XXX, 
1512,  è  di  Mo.  oltre  che  di  Co. 

^  Il  tipo  e  w^i^  si  può  dire  completamente  caduto  in  V.  di  Susa  (unica 
•eccez.:  Ven.),  mentre  resiste  ancora  in  V.  di  Vili  e  a  Mondrone;  mi  d  nei^ 
■è  di  Me.  Momp.  ed  era  probabilmente  di  Cliian.,  Mo.,  che  ora  il  pieni. 
«  fiok"  ha  ricoperto. 

*  Anche  monde  in  V.  di  Susa  non  esiste  pili,  tranne  che  a  Mo.  ;  vive  in- 
vece, sebbene  in  lotta  con  ntillin't,  in  tutta  la  V.  di  Lanzo. 

^'  Lo  stesso  passaggio  a  Mo.  ed  anche  però  a  Lemie.  L'estensione  è  do- 
vuta al    fatto    che    la   stoviglia    rustica   più   adoperata  e  la  scodella;    e  il 

piatto  „,  introdotto  piti  di  recente,  non  ne  è  ancora  propriamente  distinto 
(cfr.  ALF.  (64)  assiette  al  p.°  73:  è'tyùldt;  al  297:  é'kwel  "  assiette  grossière  „). 

®  Il  séguito  di  questo  lavoro  proverà  ampiamente  che  le  borgate  in  con- 
tatto pili  intimo  colla  V.  di  Susa  sono  Mrg.,  Pr.,  Vili.,  poste  in  fondo 
al    piano. 

'  Dei  casi  segnalati  al  n.  1  come  speciali  di  Pz.,  concordano  con  Lemie  : 
f  ^H'i-  P^  ff>'(>y  tinmentina,  (luest'ultimo  anzi  è  una  voce  caratteristica  di  Le. 


Il  parlare  d'Usseglio  113 

4.  Ma  tutto  ciò  è  ben  lontano  dal  significare  che  il  paese  si 
limiti  al  semplice  lavorio  di  accettare  ciò  che  viene  dal  di  fuori: 
le  ragioni  che  portarono  altri  paesi  delle  nostre  vallate  ad  un 
nmtamento  si  fecero  naturalmente  sentire  anche  qui  e  la  par- 
lata non  mancò  di  correre  al  riparo  valendosi  di  mezzi  proprii; 
qua  e  là  infatti,  entro  alla  parlata,  si  possono  rintracciare  ten- 
tativi d'una  creazione  particolare  solo  a  Usseglio  ^  e  isolata  in 
modo  che  essa,  di  qualunque  origine  siano  gli  elementi  di  cui 
si  compone,  può  nel  complesso  ritenersi  nata  sul  luogo.  Le 
tracce  pure  e  nette  di  simili  procedimenti  che  per  la  forza 
delie  cose,  anche  nel  paese  stesso,  anno  per  solito  una  minima 
cerchia  d'espansione  e  sono  facilmente  sopraffatti  dalle  novità 
forestiere,  non   mancano,  per  quanto  siano  rare. 

Brgise  pi.  (rosume)  è  in  tutto  il  territorio  ormai  un  ar- 
caismo, esso  tende  ad  essere  sostituito  da  equivalenti  i  quali 
si  distinguono  per  la  loro  grande  varietà,  si  anno  cioè  delle 
creazioni  locali  simultanee  ;  a  Uss.  si  ricorse  a  biibn  -  che 
non  à  riscontro  altrove;  ad  vma  condizione  generale  si  è  dunque 


'  L'apparizione  isolata  di  un  medesimo  fatto  linguistico  in  punti  sepa- 
rati del  nostro  territorio  deve  essere  interpretata  caso  per  caso.  Y.  P.  II. 
È  ovvio  però  che  in  generale  valga  il  seguente  criterio:  se  i  punti  concor- 
danti sono  separati  da  correnti  innovatrici,  è  assai  probabile  che  essi  raj»- 
presentino  gli  sparsi  resti  di  un'antica  nnità,  se  invece  i  punti  isolati  danno 
un'innovazione  e  specialmente  un'innovazione  recente,  allora  è  possibile 
che  essi  siano  indipendenti  tra  di  loro,  quando  la  concordanza  abbia  luogo 
tra  paesi  che  non  abbiano  attualmente  un  forte  scambio  di  relazioni.  Cosi 
Uss.  si  potrà  ritenere  isolato  p.  es.  da  Coazze,  o  da  Venaus,  od  anche  da 
centri  importanti  come  Chial.,  Ceres,  non  però  da  Viu.  Si  tratta  di  una  sem- 
plice possibilità,  perché  contatti  con  tali  luoghi  sono  tutt'altro  che  assolu- 
tamente esclusi,  ma  essi  sono  certo  infinitamente  meno  forti  di  quelli  con 
altre  località. 

^  In  qual  modo  il  materiale  piemontese  possa  essere  co]isiderato  come 
elemento  di  questa  attività  locale,  si  è  detto   nell'introduzione. 

.•\.rchivio  glottol.  ital.,  XVIIl.  "^ 


114  Terracini, 

provveduto  immediatamente  sul  luogo;  ora  in  V.  di  Susa  si  va 
formando,  attraverso  le  diverse  neo-formazioni,  un'area  con 
pusa  ',  un  nucleo  che,  quanto  pili  cresce,  tanto  più  facilmente  à 
modo  di  estendersi  e  che  forse  tra  poco,  se  non  prevarrà  qualche 
voce  schiettamente  piemontese,  potrebbe  aver  ragione  dell'isolato 
bììiin^.  Questo  caso  si  verifica  nella  storia  dì  jm  grò  (nonno):  tra 
le  mie  fonti,  una  vecchia  [64]  testimonia  ancora  come,  prima  che 
sopraggiungesse  ce  dalla  V.  di  Susa,  si  era  ricorso,  fra  i  vari 
termini  offerti  dal  piemontese,  a  grani,  in  cui  si  doveva  sentire 
quasi  una  traduzione  dell'invecchiato  grò  ^.  Parimente  nella  so- 
stituzione quasi  completa  del  generico  fare  la  teila  a  teise,  Uss. 
non  è  che  un  punto  immerso  in  una  zona  abbastanza  vasta  *r 
ma  tra  i  due  stadi  s'innesta  cronologicamente  la  traccia  di  un 
isolato  ilrdi  ^  (ordire)  a  dirci  che  elementi  di  origine  locale  in- 


'  Ambedue  le  parole  sono  anche  piemontesi.  Questa  voce  fu  occasione 
d'una  discussione  tra  i  presenti,  come  sogliono  sorgere  in  caso  di  simili 
oscillazioni;  avendo  una  giovane  donna  risposto  alla  mia  domanda  con  biìiin. 
altri  corressero  hroise  e  disputarono  tra  di  loro  sinché  un'altra  donna  volle 
stabilire  una  differenza,  che  ò  ragione  di  credere  fittizia:  bijbn  sarebbe  il 
resumé  meno  minuto. 

-  Ecco,  a  chiarimento,  lo  stato  di  tutto  il  territorio  (i  paesi  sono  disposti 
in  ordine  schematicamente  geografico,  il  tratto  indica  l'innovazione): 


Chio.    bro^s-       Yen.     pu^a  du  /"**«**  |  Uss.        broise 
Già.     pus'^s 


Monp.  rtimXure  'Le.         pruvih  t  fen 

Grav.  restol'e      Chian.  pus  e   du   fV^en    Viù         pruvih 
Me.      pusa     ,  Moc.      brìi  se  '  C.  S.  G.  broisu  Chial.  pusa 


Mondr.  pruuin 
Cer.        brunsi^s 


For.      bruis"-s 


^  Facilitata  dall'esistenza  dell'accoppiamento  usuale:  grani  e  grò;  il  ce- 
dere di  grò  dinanzi  a,  grand  pere  è  del  resto  generale  in  Francia;  la  vecchia- 
espressione  è  ormai  confinata  nel  Vallese,  cfr.  ALF  (663)  grand  pére. 

*  Essa  è  ormai  la  forma  prevalente  in  tutto  il  nostro  territorio,  che  da 
una  parte  si  confonde  colla  Savoia  (cfr.  ALF  1805)  tisser  e  dall'altra  col 
resto  del  Piem.  (cfr.  Gavuzzi  s.  tessere). 

^  [64]  ilrdi  aveva  su  teise  il  vantaggio  di  essere  un  verbo    di   forma  de- 


i 


Il  parlare  d'Usseglio  115 

terveniiero  in  questo  passaggio.  Ancora:  mentre  p/a/«' cominciava 
a  cedere  a  ploii  par  che  vi  sia  stato  qualche  tentativo  isolato 
di  ricorrere  al  termine  generico  pél  ^  Questo  processo  seman- 
tico che  tende  a  sostituire  certe  voci  con  equivalenti  di  valore  più 
generale  e  pili  vago,  sembra  uno  di  quelli  che  si  presentano  più 
spontanei  allo  spirito  dei  parlanti  ^•.  vivo  e  vegeto  è  p.  es.  il 
verbo  saii  (uscire),  ma  in  tutte  le  generazioni  ^  ò  esempì  di 
perifrasi  del  tipo:  ala  via;  l'antico  verbo,  pel  suo  tema  isolato 
e  per  la  sua  odierna  mancanza  nel  piemontese,  à  tendenza  a  ca- 
dere, si  salva  però  finora  perché  la  voce  chiamata  a  sostituirlo 
manca  della  precisione  necessaria  a  questa  espressione  •^. 

5.  Questi  tentativi  inducono  a  veder  meglio  addentro  ai  casi 
di  innovazioni  che  non  sono  geograficamente  isolati  :  monde  ma- 
cinare sta  qui  per  essere  sopraffatto  da  mulina  ;  la  frase  do- 
mandata "  porto  il  grano  a  macinare  „,  una  di  quelle  in  cui  il 


bole;  esso  compare,  sempre  isolato,  a  Mondr.,  Forno,  Momp.,  cosi  come  fa 
capolino  in  punti  assai  sparsi  della  Provenza  (ALFj;  dal  lato  semantico 
sembra  però  che  questa  innovazione  fosse  difettosa,  indicando  il  verbo 
un'azione  tecnicamente  troppo  determinata  per  essere  suscettibile  d'un  al- 
largamento di  significato. 

'  [63]. 

~  Su  questo  cosi  frequente  processo  di  generalizzazione  con  cui  vengono 
sostituite  parole  che  per  una  qualsiasi  ragione  scompaiono  rapidamente, 
cfr.  le  numerose  osservazioni  in  Gilliéron  et  M.  Roques,  Etwies  de  géogra- 
phie  lingiiistique.  Paris,  1912,  p.  12  sgg. 

•^  ala  via  [30,  24,  58,  66]. 

■*  Per  questo  verbo  cfr.  K.  8284;  ora  è  ignoto  al  Pieni.:  se  ne  anno 
tracce  invece  in  tutto  il  franco-prov.  (Costantin,  Cerlogne,  Puitspelu,  Odin^)  ; 
dove  però  esso  subisce,  come  à  subito  un  tempo  in  Piem.,  la  concorrenza 
di  siirtt.  11  verbo  si  mantiene  straordinariamente  compatto  in  tutta  la  V.  di 
Lanzo  ed  a  Coazze;  la  zona  di  surti  in  V.  di  Susa  sarà  quindi  da  attribuire 
piuttosto  alla  Savoia  che  al  Piemonte;  ed  anche  i  tentativi  di  sostituzione, 
come  quelli  di  Uss.,  non  sembra  che  per  ora  siano  dovuti  all'influsso 
piemontese. . 


116  Terracini, 

verbi)  ticoire  pili  facilmente,  raccolse  però  molte  risposte  del 
tipo  "  porto  il  grano  al  mulino  „,  episodio  intermedio  che  ci 
mostra  di  quale  elemento  consista  principalmente  la  fortuna  di 
mulina.  A  Uss.  abbiamo  dunque  contemporaneamente  tre  stadi 
diversi  che  si  riscontrano,  anche  pili  marcati,  in  V.  di  Susa;  si 
può  dire  senz'altro  che  essi  rispecchiano  semplicemente  tre  di- 
versi momenti  di  importazione?  Si  noti  che  millinà  grava  natu- 
ralmente su  Uss.  perché  è  anche  piemontese  \  che  esso  comincia 
ad  occupare  qualche  punto  isolato  nell'area  di  monde  in  V.  di 
Lanzo,  e  che  Mocchie,  uno  dei  paesi  di  V.  di  Susa  che  più  in- 
fluiscono su  Uss.,  à  ancora  mole;  e  si  dovrà  conchiudere  che  la 
nascita  e  l'estensione  di  millinà  a  Uss.  è  in  parte  qualche  cosa 
di  locale.  Ancora  :  l'arcaico  gode  (attaccare)  è  qui,  come  ovunque, 
sostituito  da  giinta,  ma  accanto  e,  pare,  più  recenti  si  trovavano 
grupa.  taka,  forme  che  compaiono  pure  isolatamente  sparse  sul- 
l'intero territorio;  insomma  si  rispecchia  entro  a  Uss.  tutta  l'in- 
certezza che  regna  nell'intera  zona  per  dare  all'antico  verbo  un 
adeguato  successore;  ora  la  varietà  stessa  delle  forme  esclude 
che  questa  incertezza  a  Uss.  sia  completamente  passiva.  Una 
diretta  constatazione  di  questo  elemento  attivo  oggi  non  è  sempre 
possibile,  ma,  stando  ad  un  carattere  che  sembra  peculiare  dei 
casi  visti  finora,  la  coesistenza  di  forme  analoghe,  isolate  nelle 
parti  del  territorio  ancora  conservatore  —  come  è  il  caso  per 
e  vin  d  nei  ®  P®^"  Pi^^  (^^  stoviglia)  ^  —  è  sufficiente  per  dirci  che 
questo  lavorio  locale  si  deve  probabilmente  ammettere  anche 
per  altri  casi  ora  sceograficamente  livellati.  j 

^  ì 

*  11  pieni,  conta  certo  per  qualche  cosa  in  questo  mutamento,  ijerché 
l'ALP"  (879)  inotidre  non  dà  millinà  che  per  i  due  punti  valdesi  e  questi 
sono  separati  dall'area  provenzale  di  mulina. 

^  Questo  allargamento  si  à  nell'arretrata  Lemie,  ma  anche  a  Coazze.  Per 
f  vin  d  n^i  efr.  la  n*  al  n"  3. 


Il  piwlare  d'Usseglio  117 


II. 


Conviene  ora  esaminare  con  quali  vicende  si  vengano  mutando 
voci  raggruppate  in  serie  e  si  potrà  cominciare  dal  caso  pili 
semplice,  quando  il  passaggio  colpisce  con  completa  conseguenza 
una  sola  serie  e  quando  questa  è  per  giunta  saldamente  coe- 
rente, vale  a  dire,  in  generale,  quando  è  una  serie  morfologica. 
Mentre,  per  quello  che  riguarda  il  tema  dei  verbi  e  dei  pronomi, 
la  parlata  appare,  in  questo  momento,  in  riposo  ^  il  sistema  delle 
desinenze  verbali  è  in  via  di  completo  e  tumultuario  rifacimento. 
A  maggior  chiarezza  si  esporranno  queste  innovazioni,  per  quanto 
è  possibile,  in  ordine  cronologico. 

6.  La  5*  pers.  di  2^,  3^  con.  è  ora  sempre  -é  {difé,  mìlré),  ma 
da  un  paio  delle  fonti  arcaiche  a  me  più  familiari  [A,  M]  mi 
fu  possibile  sorprender  talvolta,  accanto  ad  -e,  degli  esempì  del- 
l'antica des.  -él,  che  si  restringono  tutti  ad  avéi  o  ad  altro 
verbo  molto  in  uso,  come  diféi,  vicenda  che  doveva  essere  rilevata 
qui,  soltanto  perché  pone  una  prima  volta  di  fronte  -é  ed  -éi. 

Parimente  può  dirsi  che  abbia  raggiunto  uno  stadio  di  equilibrio 
l'estensione  del  pres.  cong.  debole  di  1-^  con.  alla  coniugazione 
forte:  {pise  faccia  >  fefat)  -.  Tutte  le  generazioni  conservano  la 
forma  forte  soltanto  negli  ausiliari  e  in  qualche  verbo  assai  fre- 
quentemente usato,  alcuni  rari  vecchi  salvano  qualche  forma  di 
pili;  tra  essi  però  si  distingue  nettamente  pel  suo  stadio  arcaico  la 
fonte  M.  per  tanti  altri  rispetti  invece  innovatrice,  la  quale,   in 


'  Potrei  appena  citare  hif'in  (beviamo),  cui  i  vecchi  preferiscono  hiicnn. 
Quest'arresto  di  movimento  è  recente,  poiché,  p.  es.,  non  da  molte  genera- 
zioni si  devono  essere  rifatti,  con  forte  intromissione  del  piemontese,  alcuni 
temi  forti,  sconvolti  dalla  caduta  del  t  finale  (tipo  doerm  <  *dfjert). 

^  Tra  gli  altri  vecchi,  lo  forme  più  diffuse  sono   fasu  e  venu. 


118  •  Terracini. 

questo  caso,  stando  almeno  alla  cerchia  delle  mie  fonti,  può  quasi 
dirsi  la  solitaria  custode  di  tali  forme.  Ad  un  identico  stadio  si 
trova  l'estensione  della  sillaba  tematica  dell' impf.  cong.  -es-  a 
tutte  le  con.  {alese,  difese,  niilrese),  nel  qual  passaggio  la  me- 
desima fonte  soltanto,  insieme  ad  un'altra  vecchia,  conserva,  con 
grandi  oscillazioni  nelle  risposte,  traccie  più  o  meno  ampie  di  -is-'^. 
Date  tali  condizioni,  ormai  quasi  fisse,  si  rimanda  lo  studio  di 
queste  innovazioni  alla  P.  2. 

7.  Sebbene  la  sua  più  antica  fase  sia  forse  anteriore  alle  fonti 
più  vecchie,  è  ancora  in  pieno  sviluppo  l'adozione  di  un  -a-  te- 
matico nella  4*  e  5^  pers.  impf.  indie,  {cantia  >  cantaia,  difià  ^ 
di/aia). 

Pr.  Mrg.  Vili.  Cortv.  Py.  Pz. 

I.  -i- (-c(i-)^  -ai-  -ai-  (-/-)  -t- 

II.  -(■-  ai-  -ai    (■«■-)  -/- 

III.  -i-  ai-  -ai-  {-ari-,  -asi)  -i- 

Questa  estensione  appare  completa  a  Mrg.,  dove  è  quindi  pro- 
babilmente nata;  al  Vili,  si  è  impiantata  anche  nelle  più  vecchie 
fonti,  con  qualche  difficoltà  tuttavia,  perché  tre  vi  sfuggono^; 
i  segni  di  questa  difficoltà  appaiono  più  evidenti  alla  Pr.  dove 
due  sole  fonti  [65,6'iJ  attestano  che  la  1'' gen.  giovane  subì  un 
tentativo  di  invasione  che  poi  andò  fallito  ^.  Al  Vili,  alcuni  in- 


^  Essa  mi  dà  kapiae  e  kapese,  skriiise  skriiese  con  libera  oscillazione,  senza 
riguardo  alla  vocale  tematica,  o  alla  classe  del  verbo.  Forme  in  i  raccolsi 
ancora  a  Pr.  [80,  64\;  nessuna  me  ne  diedero  Mrg.  (70),  Cri.  [90)  e  nem- 
meno Pz.  (78),  ma  il  numero  delle  testimonianze  è  troppo  piccolo  perche 
si.  possa  dare  un  significato  di  questa  disposizione  topografica. 

-  Le  forme  sottolineate  sono  quelle  nuove,  le  forme  racchiuse  tra  paren- 
tesi sono  quelle  in  minoranza. 

^'  [63,  43,  30]. 

*  L'attaccamento  della  Pr.  alla  vecchia  forma  è  del  resto  pure  indiretta- 
mente dimostrato  dalla  fonte  R  [80]  che,  maritata  a  Mrg.,  non  ne  adottò  l'-^À-. 


I 


Il  parlare  d'Usseglio  119 

dividili  della  8^  gen.  allargarono  poi  -ai-  anche  al  cond.  e  al- 
l'impf.  cong.  Si  tratta  dunque  di  un  fenomeno  in  sé  vitale  e  capace 
di  un  certo  sviluppo  ^  stupisce  quindi  la  ristrettezza  dei  confini 
in  cui  è  contenuto  ;  essa  è  dovuta  al  fatto  che  questa  innova- 
zione è  nata  in  un  punto  estremo  del  paese  che  à  un'  impor- 
tanza assai  minore  delle  borgate  centrali  e  quindi  una  piccola 
forza  di  penetrazione;  questa  debolezza,  che  si  verifica  del  resto 
normalmente  in  simili  condizioni,  v.  n.  5,  qui  è  aggravata  dal 
fatto  che  tale  creazione  non  prende  origine  e  quindi  non  à  ap- 
poggio in  V.  di  Susa  ed  è  assolutamente  uno  spontaneo  ed  umile 
frutto  del  luogo. 

8.  Della  stessa  età  all'incirca  è  il  livellamento  che  tende  a 
sostituire  nella  2^  persona  cong.,  ad  -e  la  desinenza  della  3-'  pers. 
-ài  {■et). 


Pr. 

Mrg. 

Vili. 

Mocchie 

I. 

■et 

-et 

-e 

■éiet 

n. 

-et 

-et 

-e  M 

in. 

-et 

-et 

-e  (at) 

Cort.     Pv.         Pz. 


■e  Leniie 

-e  (at)         -et 
■e  [at) 


Troviamo  -et  impiantato  in  tutte  le  generazioni    di  Pr.  Mrg., 
cui  il  Vili,  risponde  col  suo  -at  (v.  §  1,  n.  25).  ma  limitato  ad  un 


'  L'estensione  forse  mosse  dalla  P  coniug.  cantij'i  >  cantaif'i  sul  sing.  cu^i- 
titvf^,  livellamento  che,  in  altre  forme  (p.  es.  cantavià).  non  manca  di  esempi 
V.  §  2,  ma  fu  senza  dubbio  agevolata  dalla  preesistenza  di  aia  (avevate)  che 
anzi  ne  diventò  il  principale  elemento  propagatore.  Essa,  nascendo,  per 
COSI  dire,  nel  cuore  della  serie,  dovette  estendervisi  fulmineamente  e  questa 
circostanza  ci  spiega  perché  non  v'è  più  traccia  dei  suoi  limiti  originali  ; 
si  capisce  però  abbastanza  bene  che  questo  -aui  trovi  per  espandersi  nelle 
altre  borgate  una  tenace  opposizione  nella  serie  -ifi,  ugualmente  compatta. 
Pili  difficile  pure  era  che  si  potesse  passare  a  -arw,  usici,  e  se  ora  la 
3''  gen.  del  Vili,  adotta  questa  estensione,  è  probabile  che  vi  sia  arrivata 
soltanto  per  diretta  reazione  della  simultanea  mancanza  di  a  in  -ia  -ri('( 
-isid  al  Cortv. 


120  Terracini, 

filone  della  2-'^  e  3-^  geii.  e  ristretto  per  di  pili  a  membri  di  due 
famiglie  parenti^;  il  ceiiti'O  del  paese  non  no  à  la  minima  traccia; 
il  fenomeno  ricompare  invece,  per  quanto  assai  timidamente,  in 
tre  fonti  delle  Pz.  [39,  27,  lo].  Un  livellamento  della  2*  pers. 
sulla  3'*  è  cosa  imminente  su  tutta  intera  la  parlata  ^,  importa 
però,  per  mostrarne  l'origine,  tener  stretto  conto  delle  condizioni 
topografiche  in  cui  si  sviluppa.  La  grossa  lacuna  al  centro  del 
paese  impedisce  di  collegare  le  Pz.  col  Vili.,  Pr.,  Mrg.  ;  ed  è  in- 
fatti assai  facile  comprovare  che  i  due  casi  son  nati  in  modo 
affatto  indipendente;  -at  alle  Pz,  è  in  contatto  coll'analogo  ormai 
vecchio  livellamento  di  Lemie,  cioè  la  corrispondenza  tra  -et  (Le. 
8^  p.)  e  -af  (Pz.  3**  p.)  portò  alcuni  individui^  ad  opporre  fi\V-et 
(Le.  2^  p.)  anche  un  at.  A  Mrg.,  Pr.  questo  sviluppo  aveva  due 
condizioni  favorevoli  ;  il  possedere  una  3'^  persona  in  -et  che  all'in- 
terno di  frase  doveva  suonare  -e  v.  n.  238  e  quindi  poteva  far 
apparire  V-e  di  2-'^  come  forma  interna  cui  fu  dato,  per  alternanza, 
un  nuovo  -ef,  inoltre,  e  principalmente,  la  vicinanza  di  Mo.  dove 
la  forma  unica  in  -eief  può  aver  agito  in  modo  analogo  a  quella  di 
Le.;  comunque  sia,  direttamente  o  no,  l'influsso  di  Mo.  è  inne- 
gabile perché  a  Mo.  si  deve  attribuire  la  tendenza  prima  di 
questo  livellamento:  l'uso  irrazionale  di  t  finale,  un  episodio  della 
caduta  di  t  estraneo  ad  Uss.  e  caratteristico  invece  della  re- 
gione adiacente  di  V.  di  Susa  ',  v.   P.  IL 


'  Su  una  quindicina  di  fonti,  non  ò  -at  che  da  H  e  dai  suoi  figli,  non 
però  dalla  moglie;  la  fonte  M,  parente  e  in  stretta  relazione  coi  precedenti. 
ne  presenta  pure  qualche  esempio,  il  figlio  mi  rispose  -e. 

^  Esso  è  già  interamente  compito,  d'accordo  coi  paesi  vicini  per  -it  3*  p.  s. 
impf.  Se  si  tratti  d'una  vera  e  propria  estensione  della  3-^.  cioè  se  il  f  con- 
servi il  suo  antico  valore  funzionale,  v.  P.  2  e  la  nota  4'^^. 

^  [39,  27,  15].  Il  primo,  e  la  cosa  è  interessante,  trattandosi  del  pili  vecchio, 
ù  -et,  cioè  ricorre  ad  un  compromesso  tra  la  forma  antica  e  la  nuova,  se 
pure  non  adotta  senz'altro  la  forma  straniera. 

*  Dove  non  solo  tocca  il  sistema  verbale,  ma  si   estende  ad  ogni    uscita 


fi    .  Il  parlare  d'Usseglio  121 

9.  V^eniamo  ora  alle  innovazioni  che  si  raggruppano  attorna 
alla  5=*  p^  Le  forme  sono  ^  : 


Presente  1-'  con. 

Mocchie                Pr.  Mrg. 

1.             -Il  -d 

-a        li.            -a  -a 

111.  \     -^-a  \      — 

Impf.  ind.  e  condiz. 


1. 
-lei     IL 
HI. 


-1(1 

-in 

-ie  (-ia) 


-la 


Vili.  Cortv 

-a  -a 

-a  {-e)  '  -a  {-e) 

-e  (-«)  ,  -e  (■«) 


Pv. 


Pz.         Lenii  e 


-fi,  -a      I  -f,  -a 


-ui  ,  -la  -1(1  .  -t^a 

-ia,   -ie    -ia{-ie)  '  -ia  -ia 

-ie{-ia)    -te  {-ia]     -ie,   ici    \  -ie,  ia 


Impf.  cong. 


1. 
-iei    IL 
III. 


-k^k     ì     -k^k    \  "A«  ("i?) 
-ifkik?)       'kei       -H  [ia) 


-tei  -lei 

-ia  {-Xe)    -ia 
-ie  {-ia)  i  -ie,  -ia 


-A« 
-ia 
-ie,  -ia 


Pres,  cong. 


1. 

-ei 

-ei 

-«A 

11. 

-ei 

-ei 

-ei,, 

-e 

III. 

~ 

-e 

-ei,  e       !  -e  {-ei)        -ei 
-J>  i-ei)     -J  j  -J,  -ei 

-e  !       —       1  -« 


Anzitutto    Pr.    e   Mrg.    anno    assunto  -c7  anche    all'impf.    del 
cong.:  mmf)isià '^  mincjisiéi;  si  tratta  di  una  semplice  estensione 


di  sostantivi  e  pronomi  che  siano  omofone  con  quelle  cui  suole  unirsi  nei 
verbi,  v.  P.  11. 

'  La  5*  pers.,  per  la  generazione  media  del  Vili,  o  Cort ,  suona  dunque  : 
Pres.  ind.  piirtd,  di/e',  durine'  ;  impf.  ind.  jjurtid,  di/iq.  durmià  ;  pres.  cong. 
purtéi,  diféi,  dilrméi:  impf.  cong.  purlisiéi,  difisj/i,  durmisià. 


122  Terracini, 

<iella  desinenza  del  cong.  ptes.  ;  ma  da  un  lato  la  debolezza  che 
vedremo  essere  insita  in  questa  desinenza,  proprio  al  pres.,  e  dal- 
l'altro soprattutto  la  limitazione  topografica  del  fatto  alle  bor- 
gate in  contatto  più  diretto  colla  V.  di  Susa  ci  fanno  certi  che 
la  spinta  al  mutamento  è  venuta  di  là  ed  infatti  una  simile,  e 
anzi,  anche  pili  vasta  estensione  di  -<?/  troviamo  a  Mo.  e  Chian.  ^ 
dove  il  suo  trionfo  à  una  particolare  ragione  di  essere,  v.  §  2  ;  si 
scorge  qui  chiaramente  come  la  concordanza  di  ambi  i  paesi  per 
-éi  al  cong.  pres.  a  distrutto,  a  vantaggio  di  Mo.,  la  proporzione: 
Uss.  -sia,  Mo,  -siéi.  Il  secondo  movimento  fu  l'introduzione  di  -é 
{pres.  ind.  2^  coniug.)  al  pres.  cong.:  minìjéj^'^  nihì(jé  ;  -('/  al  Cortv, 
e  nelle  frazioni  pili  basse  è  ristretto  a  pochi  individui  che,  rari 
nella  1",  si  fanno  rarissimi  nella  2-^  gen.;  il  passaggio  ad  -è  ritarda 
invece  a  Mrg.,  Pr.  per  l'insolita  forza  ed  estensione  che  qui  -éi^  à 
acquistato,  ed  anche  al  Vili.,  per  analoghe  ragioni,  v.  n.  10; 
anzi  qui  alcune  fonti  di  2'^  gen.  -  che  si  trovavano  tra  le  due 
correnti  generalizzarono  -él  a  scapito  di  -é  pure  alla  2-'*  sing.  :  la 
cosa  era  tanto  pili  facile  perché,  in  quel  momento,  la  funzione  di  -é 
e  di  -él  al  Vili,  cominciava,  come  vedremo,  a  non  essere  pili 
nettamente  definita. 

10.  Infine,  e  questo  è  il  mutamento  più  importante  di  tutti, 
-a  tende  a  perdersi  in  tutti  i  tempi  che  sono  il  suo  dominio  e  a 
farsi  sostituire  da  un  -é.  11  movimento   nelle  sue  linee  generali 


*  Mo.  ha  -et  in  tutto  il  sistema  che  fa  capo  all'iinpf.,  cioè:  impf.  ind., 
«ong.  e  conci,  cui  Chian.  risponde  con  -eite;  ma  a  Mrg.,  Pr.,  trattandosi  di 
una  equazione  che  si  fondava  su  un  congiuntivo,  prevalse  nell'accogliere  la 
nuova  forma,  il  senso  funzionale,  cioè,  per  esprimere  la  cosa  da  un  punto 
<li  vista  morfologico,  fu  accolto  -siéi^  e  non  il  semplice  -féi,  e  la  cosa  è  tanto 
pivi  probabile,  in  quanto  Chian.  ha  -isieite  anche  al  pi'es.  cong. 

^  [58,  57.  30],  l'ultima  con  oscillazioni:  he  ti  f.  caiite'i^.  Occorre  ricordare 
che  r  -e  al  Vili,  è  contemporaneamente  indebolito  dalla  concorrenza  di 
-àt,  V.  n.  8. 


Il  parlare  d'Usseglio  123 

si  manifesta  con  una  grande  conseguenza  :  tutti  i  tempi  ne  sono 
ugualmente  intaccati;  è  dunque  chiaro  che  in  queste  sostitu- 
zioni prevalse  per  solito  l'equazione  generale  -a  =  -é:  vi  sono 
naturalmente,  specie  tra  le  fonti  di  mezzo,  delle  oscillazioni,  ma 
la  maggior  parte  di  esse  sfugge  ad  ogni  classificazione  e  dà  ap- 
pena modo  di  notare  entro  il  movimento  generale  qualche  at- 
teggiamento particolare:  p.  e.,  in  alcuni  soggetti  l'imperativo  à 
una  certa  tendenza  conservatrice,  la  quale  diventa  generale  per 
varnàu  (guardatevi),  la  consueta  formola  di  saluto;  in  altri  in- 
dividui -a  prevale  al  presente  contro  -ié,  nel  sistema  dell'imper- 
fetto o  viceversa.  Tuttavia,  ed  occorre  rilevare  chiaramente 
questo  punto,  se  si  tratta  di  episodi  interessanti  perché  mostrano 
l'apparire  e  lo  scomparire  di  tendenze  particolari,  essi,  per  la 
loro  scarsezza  e  disordinata  distribuzione  ^,  sono  tali  che  non  è 
possibile  vedervi  dei  resti  di  successive  tappe  ora  superate. 
Questo  -f  nacque  al  Cortv.,  dove  intacca  la  2^  gen.  nei  suoi 


*  Su  28  individui  che  presentano  casi  di  -e',  quindici  l'anno  senza  eccezione, 
essi  appartengono  a  tutte  le  frazioni  (per  Mrg.,  mi  mancano  dati  di  3*)  e 
a  tutte  le  età,  entro  r4uelle  per  ora  tocche  dal  fenomeno  Pr.  [24],  Vili. 
[12,  14,  18.  20,  21,  30,  36,  43,  43,  46].  Cortv.  [13,  20,  35],  Pz.  [15].  Gli  altri 
si  distribuiscono  in  gruppi  eterogenei  che  lasciano  appena  intravvedere  il 
fuggevole  prevalere  di  questa  o  quella  serie.  L'impf.  ind.  si  trova  ad  avan- 
zare sugli  altri  in  quattro  casi  Pr.  [25,  23],  Vili.  [-^.5,  43J;  ritarda  invece  in 
uno  Pz.  [9];  l'impf.  cong.  non  si  trova  mai  da  solo;  quanto  al  pres.  ind.,  in 
tre  casi  è  in  avanzo  Vili.  [17],  Cortv.  [20],  Pj.  [l'>].  in  tre  è  invece  in  ri- 
tardo. Vili.  [40],  Cortv.  [13],  Pz.  [23];  inoltre,  ma  solo  in  condizioni 
sintattiche  speciali  (v.  sotto).  Vili.  [29]  Cortv.  [31,  23].  Se  per  rendere  piti 
chiara  la  cosa,  si  vuol  procedere  secondo  un'altra  classificazione,  il  pres. 
ind.  è  sette  volte  al  grado  arcaico,  l'impf.  tre,  l'impf.  cong.  sei,  e  tutti  i 
tre  presentano  sette  volte  la  forma  innovatrice.  Il  più  oscillante  è  il  pres.; 
in  due  individui  -à  ed  e  si  alternano  a  quanto  pare  indifferentemente, 
due  invece  [20,  23,  sorelle]  conservano  degli  -a  all'imper.  assai  meglio 
che  all'ind.;  sul  verbo  coll'enclitica  non  feci  ricerche  sufficienti:  Vili.  [29] 
à  -aini  contro  -e',  ma  Pz.  [19]  à  -evii  contro  -a.  Da  tutto  ciò  può  appena  risul- 


124  Tenacini, 

pili  giovani  soggetti  o  al  V^ill.  dove  anzi  cedono  anclie  individui 
della  2"  gon.  avanzata.  Alle  Pz.  invece  non  raggiunge  che  i  gio- 
vali, di  20  anni  e  al  Py.  di  15  appena  (cioè,  se  il  mio  materiale 
rispecchia  sufficientemente  la  verità,  di  un'età  in  cui  non  si  parla 
ancora  il  piemontese  (per  questo  punto,  v.  sotto),  si  che  si  può  es- 
sere sicuri  che  la  desinenza  qui  si  è  realmente  propagata  dalle 
frazioni  vicine).  A  Mrg.  e  Pr.  -é  si  trova  di  fronte  a  due  desinenze 
con  funzioni  ben  definite  e  saldamente  radicate  nell'uso:  -à  (pres. 
impf.,  cond.),  -éi  (pres.,  impf.  cong.).  Ma  essendo  ciascuna  delle  due 
serie  men  ampia  e  forse  meno  coerente  di  una  serie  unica,  accade 
che  qui  -{'  possa  avanzare  nella  3"  gen.  un  pochino  di  pili  che  al 
Py.,  Pz.;  contro  questa  avanzata  par  che  -f/  sia  leggermente  pili 
resistente  di  -a  ^  Tra  la  generazione  arcaica  e  quella  innovatrice 
due  fonti  (i7,  25]  presentano  -à  all'impf.  cong.  (invece  di  -^V); 
la  generalizzazione  è  frutto  del  solito  giuoco  di  proporzioni,  ma 
essa  è  importante,  e  ne  abbiamo  veduto  e  ne  vedremo  presto 
altri  esempì,  perché  è  il  segno  tangibile  della  lotta  fra  -a  ed  -f', 
è  una  traccia  di  attività  del  linguaggio  invaso,  ma  tale  che  di- 
mostra già  avvenuto  il  priuìo  contatto  con  la  parlata  invadente. 
Un  episodio  analogo,  ma  un  poco  più  complicato,  si  riscontra 
al  Vili.  Qui  tre  soggetti  (^63,  46,  òH\  che  appartengono  all'in- 
grosso all'estremo    limite  d'età  delle   generazioni  innovatrici  2. 


tare  o.he  il  pres.  incl.,  com'era  del  resto  d'aspettarsi,  si  muove  con  qualche 
indipendenza  dalle  altre  serie;  si  noti  però  che  i  casi,  sintattici  o  no,  di  -à 
conservato  al  pres.  sono  tutti  e  sette  di  fonti  pia  giovani  in  complesso  di 
quelle  che  anno  dappertutto  e';  ciò  mi  par  sut'Kciente  per  mostrare  che  si 
tratta  in  generale  di  stratificazioni  particolari,  jiosteriori  all'introduzione 
di  -f'  nel  paese. 

'  All'impf.  ind.,  almeno  nella  3^  gen.,  non  si  à  che  un  -«/'  \_2i)\  contro  4  -if 
[25,  23,  24.  13].  mentre  il  cong.  à  -iei  [25,  23,  20],  -ie'  [24,  13]:  al  pres.  in- 
vece -d  si  conserva  meno:  [25,  23  (oscillante)  20]  contro   [24,   13,  13]. 

-  [46]  à  pure  -/  ed  anche  -a:  [63]  è  forse  direttamente  sotto  l'influsso  di 
Mrg.  donde  proviene  sua  moglie,  sposata  pochi  anni  fa. 


Il  parlare  d'Usseglio  125 

presentano  -ér.  i  due  primi  esteso  a  tutto  il  sistema  dell'iiupf.. 
il  terzo  persino  al  pres.  ind.  Quest'episodio  deve  essere  connesso 
con  quello,  già  accennato;  dell'estensione  di  -él  alla  2-'  sing.  del 
cong.  contro  -é,  v.  n.  9  cui  partecipa  l'ultimo  degl'individui  in 
questione.  Al  Vili,  dunque  esiste,  con  particolare  vivacità,  una 
proporzione  -éi  =  é\  però  la  difficoltà  di  supporre  che  questa  pro- 
porzione muova  direttamente  dal  pres.  del  cong.,  che  non  è  do- 
tato da  sé  solo  di  forza  espansiva,  unita  alla  circostanza  della 
contiguità  topografica  e  all'esempio  di  altri  casi  simili,  persua- 
dono a  mettere  questo  -eV  in  rapporto  con  quello  di  Mrg.,  Pr. 
Di  là  alcuni  individui  del  Vili,  assunsero  dalla  5-^  p.  impf.  cong.  -éi 
0  forse  -n?/,  cioè  lo  allargarono  a  tutto  il  sistema  dell' impf.  :  la 
terza  fonte,  col  suo  presente  in  -éi,  estensione  assolutamente 
anormale  e  senza  esempio  in  questo  territorio,  ci  spiega  poi  l'in- 
tima ragione  della  fortuna  goduta  da  -éi  al  Vili.:  costei  subisce,  o, 
se  si  vuole,  segue  imperfettamente  la  generazione  di -f',  cioè,  ab- 
bandonato -a,  sostituisce  ad  -f,  grazie  all'equazione  (propria  della 
2='  e  S''  pr.  cong.)  éi  =  f,  il  suo  -éi  e  cosi  è  forse,  in  limiti  di  poco 
pili  ristretti,  il  caso  degli  altri  due.  poiché,  a  giudicare  da  Pr. 
Mrg.,  un'estensione  di  -/e/  (impf.  cong.),  dove  non  agiscano  cause 
ulteriori,  non  pare  probabile.  In  conclusione,  V-tsm  di  Mrg.,  Pr. 
forni  a  questi  individui  del  Vili,  il  ponte  per  estendere  -éi  dalla 
2'\  5''  p.  del  presente  congiuntivo  alla  2=^  plurale  di  tutti  i  tempi, 
sotto  l'influsso  dell'-f  posseduto  dalla  generazione  giovane  e  al 
singolare  e  al  plurale. 

Questa  la  storia  interna  di  -(-;  quanto  alla  sua  origine,  a  parte 
alcuni  punti  assolutamente  estranei  a  Uss.,  ove  esso  compare 
ristretto  al  cong.  e  legato  a  condizioni  speciali,  noi  non  lo  ritro- 
viamo nel  nostro  territorio  che  assai  lontano,  separato  da  una 
larga  zona  conservatrice,  a  Val  Gioie,  villaggio  per  cui  si  può 
escludere  ogni  particolarità  di  rapporti  col  nostro,  tanto  pili  trat- 
tandosi di  un  fatto    svoltosi    in  questi    ultimi    anni.  Isolamento 


l'26  Terracini, 

dunque,  e  certo  origine  locale;  il  dialetto  aveva  tra  le  proprie 
risorse  un  -é  di  5'^  pers.  ind.  2'' -3'^  coniugazione  recentemente 
estesosi  anche  al  cong.  ;  il  prevalere  di  questa  desinenza,  forte 
dei  verbi  ausiliari  e  predicativi,  è  cosa  tutt'altro  che  strana  ^, 
ma  simili  favorevoli  condizioni  non  mancano  in  tutti  gli  altri 
paesi  in  cui  tuttavia  -a  resta  intatto;  è  quindi  naturale  pensare 
se  qui  non  abbia  agito  una  potente  causa  ulteriore,  e,  poiché 
il  movimento  si  inizia  tra  gli  strati  giovani  della  popolazione, 
è  legittimo  cercare  se  essa  non  risieda  nel  recente  contatto  col 
piemontese.  Il  piemontese  attuale  non  à  desinenza  tonica  di  5^, 
avendole  sostituito  quella  del  singolare,  tranne  in  pochi  verbi  mo- 
nosillabici e  all'imperativo,  dove,  alla  1"  con.,  si  à  appunto  e  (kanté). 
Ora,  anche  in  questo  caso,  primo  segno  del  contatto  tra  le  due 
parlate,  dovette  formarsi  un  giuoco  di  contrapposizione  fra  le 
desinenze  atone  pieni,  e  le  desinenze  indigene  in  quanto  sono  to- 
niche, in  grazia  del  quale  all'unica  forma  piemontese  si  oppose  una 
sola  delle  ussegliesi  e  fu  -é  ed  è  ozioso  ora  ricercare  se  fu  proprio 
e  soltanto  la  2^-'i^^  con.  a  prevalere  o  se  ì'-é  dell'imperativo  pieni. 
entrò  direttamente  in  azione.  Comunque,  quest'osservazione  trova, 
nel  suo  complesso,  una  salda  conferma  in  un  dato  geografico  : 
a  Sud,  dove  il  dominio  piem.  con  desinenza  atona  si  scontra,  o 
meglio,  si  scontrava  di  nuovo  col  sistema  a  due  desinenze  to- 
niche, troviamo  paesi  intermedi  che  estesero  l'uscita  tonica  di 
2'*-3'*  anche  alla  1-'  con.  -.  A  Nord,  Usseglio  insieme  a  Val  Gioie, 


'  Cfr.  II,   133,  188. 

-  Per  la  storia  della  2*  plur.  in  Piemonte  rimando,  sebbene  con  molte 
riserve,  a  Schaedel  77.  La  desinenza  tonica  di  P  in  -é  sopravvive  ancora 
in  qualche  angolo  remoto  della  pianura,  p.  es.  presso  Possano  e  sopravvi- 
veva a  Mondovi  ai  tempi  del  Biondelli  (p.  494),  ma  essa  discende  da  -a  t  i  s 
e  non  à  naturalmente  nulla  a  che  fare  col  caso  nostro.  Il  livellamento 
analogico  da  me  accennato  s'à  invece,  come  rileva  lo  Schaedel,  a  Mon- 
calvo  e  a  Mombello  nel  Basso  Monferrato:  pitrte'y,  nonché  a  Saluzzo  colle 


Il  parlarp  d'Usseglio  127 

uno  (lei  paesi  pili  piemontesizzati  del  territorio,  si  trova  ora 
dunque  alla  testa  di   un  movimento  analogo  ^. 

11.  Un  poco  diverso  è  il  caso  del  tema  dell'impf.  cong.  in 
-eis-{fefeisi()  che  comincia  a  soppiantare  il  non  antico  -es-  (v.n.6); 
esso  è  in  generale  limitato  a  parte  della  ^^  gen.,  ma  ne  ò 
esempio  in  un  uomo  di  |43]  e  persino  in  un  vecchio  di  [64],^ 
per  vero  assai  incline  alle  novità.  La  fonte  E  che  ò  special- 
mente osservata  a  questo  proposito,  oscilla  ad  ogni  momento 
tra  le  due  forme,  quella  in  -eis-  e  per  ora  in  minoranza;  da  una 
lista  di  verbi  di  2^  -  3*,  domandata  appositamente,  essa  si 
mostrerebbe  pili  facilmente  nel  pili  frequente  di  essi:  in  fe/eise; 
nella  fonte  L  la  nuova  forma  è  invece  già  saldissima,  il  ch& 
non  esclude  che  l'antica  si  riscontri  facilmente  anche  in  indi- 
vidui giovanissimi. 

Questo  notevole  disordine  cronologico  trova  la  sua  spiegazione 
nell'origine  di  -eis-  che  l'età  recente  e  l'isolamento  a  Uss.  per- 
suadono a  identificare  coll'-m-  pieni.  ^;  esso  in  questo  caso  potè 
penetrare,  perché  Uss,  possiede,  negli  ausiliari,  le  antiche  forme 


forme:  Steve,  piirtece,  ecc.  In  queste  Te  non  può  essere  primario;  l'enclitica  ci 
dice  che  queste  forme  non  sono  se  non  una  pili  vasta  estensione  dei  verbi 
monosillabici  di  3^  del  piemontese  comune  :  seve,  ève,  fere,  che  per  solito  si 
applicano  soltanto  a:  deve,  Steve. 

^  Questo  livellamento  par  estendersi  anche  più  ad  ovest  nel  territorio 
montagnoso  piemontese:  cfr.  Biondelli  (v.  22,  23),  mosselo,  trote  (Valdieri, 
p.  514);  porte,  buttègli  (Castelmagno,  p.  516).  La  Valle  del  Pellice  alterna 
indifferentemente  -a  ed  -e  (cfr.  Mou.  pp.  375,  380);  sembra  dunque  che  anche 
qui  si  tratti  di  un  caso  recente  e  perciò  lo  cito,  sebbene  (cfr.  Mor.  p.  393- 
n*  1)  in  queste  vallate  tale  uscita  si  incontri  con  una,  pure  in  -e,  assai 
pili  antica.  Essa  ricorre  nelle  colonie  Valdesi  di  Guardia  e  di  Neu  Hengstett 
e  ritorna  a  Fenestrelle:  Par.  purtéme,  ahiglié,  huté,  mene,  la  cui  parlata  è 
troppo  arcaica  perché  si  possa  ammettere  un'innovazione  tanto  recente 
quanto  la  nostra. 

'"  Sull'origine  del  quale,  cfr.  Salvjoni,  RILomb.  XXXVIl,  527. 


128  Terracini. 

tìeiae,  fteise,  v.  §  2.  cioè  la  presenza  di  un  teina  a  dittongo  pros- 
simo a  quello  straniero,  tolse  ogni  forza  all'opposizione  che  po- 
teva presentare  l'indigeno  -es-  ^. 

1l2ì.  La  stessa  caratteristica,  cioè  il  diffondei'si  incompleto  e 
saltuario  e  la  presenza  anche  tra  i  vecchi,  nonostante  la  sua 
età  recente,  à  un'altra  novità  venuta  dal  contatto  piemontese: 
la  resistenza  del  valido  suffisso  -àt  (-etto),  cui  è  assimilato  \'-et 
pieni,  {kavalà't,  karà't),  comincia  a  rompersi.  Parecchi  individui  - 
risposero  infatti  karè't:  qui  la  parola,  pure  imponendosi  in  man- 
canza di  concorrenti,  conserva  neW-ét  come  una  traccia  di  quel 
tanto  di  forestiero  che  rimane  ancora  oggi  nell'uso  della  cosa  e 
può  conservare  -et  più  facilmente  di  altri  neologismi  perché  qui 
tale  uscita  è  diffìcilmente  sentita  come  suffisso. 

13.  Ancora  in  una  maniera  analoga,  ma  per  una  ragione  di- 
versa, comincia  a  sfasciarsi  la  finale  in  -i  (<P^^fl),  la  quale  tra 
le  generazioni  2-'  e  3^  ^  diviene  a,  nella  sola  serie  -(jcira  v.  ij  1 
n.  128"  povera,  e  senza  alcuna  diretta  opposizione  con  corrispon- 
■denti  serie  piemontesi,  contrariamente  al  caso  di  -eri  -osi  -an 
-oli  che  resistono  perfettamente. 

14.  Sia  infine  ricordato  un  esempio  che,  ove  non  si  tratti  di 
una  lacuna  del  mio  materiale,  à  la  proprietà  di  essere  ristretto 
xid  una  sola  famiglia.  La  fonte  A  mi  diede,  su  molte   risposte. 


^  Questa  ipotesi  si  fonda  sulla  forma  analoga  —  indipendente  da  Uss.  ed 
ancora  più  perspicua  —  di  Chialamb.  -(ei  oeis-  cui  fa  eco  -eis-  a  Ceres,  e  sulla 
-circostanza  che  tra  i  giovani  ceise  (avesse)  è  rapidamente  diventato  ese  e  eise; 
del  resto  potè  anche  influire  a  rompere  l'opposizione  di  -es-,  l'esistenza, 
ancor  oggi  vegeta  (v.  §2),  del  cong.  pres.  forte  degli  incoativi:  lcapei>ie. 
^  Ne  ò  quattro  esempì:  sarebbe  forse  spingersi  tropp'oltre  l'osservare 
■che  due  di  essi  Pr.  [65,  24]  vengono  dalla  sola  borgata  di  Usseglio  dove, 
per  mancanza  di  strade.  Fuso  del  carretto  è  ignoto,  come  del  resto  e-scarso. 
specialmente  pei  lavori  campestri,  in  tutto  il  paese. 

•''  -leiri  resiste  benissimo  a  Pr.;  le  frazioni  inferiori  Cortv.,  Py.,  Pz.,  diamo 
invoce  -d'ira  anche  nella  1'^  gen. 


Il  piìrlare  d'Usseglio  129 

un  esempio  di  men  urie'  (invece  di  me{f)u.  le  mie  orecchie): 
quest'estensione  dell'uscita  maschile:  min  al  femminile  pare  in- 
vece assai  più  frequente  nel  figlio:  teii,  menf,  la  qual  ultima 
forma  ci  fornisce  la  soluzione  del  piccolo  problema:  questa  fonte 
si  trova  nella  generazione  che  vede  tramontare  lo /del  f.  plur. 
negli  aggettivi  pronominali  v.  §  1,  n.  238;  ora  è  probabile  che. 
nel  disagio  provato  prima  di  adottare  le  nuove  forme,  sia  ri- 
corso, continuando  del  resto  una  tendenza  della  parlata  (v.  §  2), 
ad  un  diverso  riempitivo,  che  poi,  per  un  motivo  che  ora  ci 
sfasge.  non  ebbe  fortuna. 


III. 


11  gruppo  di  mutamenti  che  resta  da  esaminare  ^  si  distingue 
da  quello  che  precede  per  il  suo  aspetto  un  poco  più  complesso; 
anzitutto  in  ciascuno  di  questi  passaggi  è  a  priori  incerto  se  si 
tratti  di  una  recisa  sostituzione  di  suoni  o  di  una  trasformazione 
che  sia  avvenuta  per  lenti  gradi  successivi,  in  secondo  luogo 
esso  non  tocca  soltanto  una  serie  omogenea  e  sovente  stretta 
saldamente  dal  legame  della  funzione,  ma  può  coinvolgere  un 
più  0  meno  vasto  complesso  di  serie  profondamente  varie  per 
numero  di  parole  e  per  forza  di  coesione  e  magari  anche  voci 
isolate. 

La  raccolta  del  materiale  per  uno  studio  di  questo  genere, 
trattandosi  spesso  di  cogliere  sfumature  sottilissime,  offre  una 
probabilità  di  false  notazioni  molto  maggiore  che  nei  casi  prece- 


^  Anche  qui  si  prescinde  da  casi  come  lova,  v.  §  1,  n.  31a.  o  j^X^sw  (rattoppo) 
coll'antica  fase  vocalica  conservata,  perché  essi  sono  semplicemente  casi  fos- 
sili, fissi,  i  quali  non  costituiscono  varietà. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  9 


130  Terracini, 

denti;  tuttavia  con  un  poco  di  cautela  e  col  reciproco  controllo 
di  numerose  testimonianze  è  facile  distinguere  i  dati  buoni  dai 
fallaci.  Nel  corso  di  questo  lavoro  non  fu  naturalmente  tenuto 
conto  delle  particolarità  di  pronunzia  che  risultarono  schietta- 
mente individuali,  sebbene  ve  ne  siano  alcune  che  non  mancano 
d'interesse^:  p.  e.,  il  padre  di  E  possiede  un'  e  strettissima  che 
si  è  trasmessa  a  tutta  la  famiglia. 

Per  seguire  anche  qui,  fin  dove  è  possibile,  l'ordine  cronolo- 
gico, si  devono  ricoi-dare  due  casi  ormai  cosi  antichi  e  remoti 
dalla  comune  coscienza  dei  parlanti  che,  anche  nei  soggetti  pili 
vecchi,  essi  non  poterono  venir  ottenuti  col  consueto  metodo 
dell'interrogazione  diretta,  ma  furono  sorpresi  casualmente,  e 
assai  di  rado  e  soltanto  da  fonti  donde  trassi  un  amplissimo 
materiale.  Sono  questi:  le  traccie  di  r  finale  negl'infiniti,  v.  §  1 
n.  238,  e  quelle  un  poco  più  abbondanti  di  o  (tipo  nioìd  ora 
miint)  V.  §  1,  n.  4;  in  quest'ultimo  caso  il  passaggio  deve  es- 
sere stato  rapidissimo,  la  Parab.,  cioè  una  testimonianza  di  una 
o  due  generazioni  anteriore  albi  nostra  1",  presentandone  appena 
gli  inizi. 

15.  Già  al  §  1,  n.  14  è  stata  ricordata  la  serie  rja'st  (giusto), 
hra'sk  (agro),  frwst  (logoro)  e  femminili,  particolare  alla  Pr.  e  Mrg. 
sin  dalla  pili  vecchia  generazione,  e  s'è  mostrato  come,  entro 
il  sistema  del  paese,  non  si  trovasse  di  ciò  una  spiegazione  suf- 
ficiente ;  ci  è  invece  ora  facile  rintracciarla,  come  ci  suggerisce  la 
posizione  topografica  del  fenomeno,  in  V.  di  Susa.  Qui,  di  contro 
a  frilt,  si  à  dovunque  broesk,  cioè  nella  parola  introdotta  recen- 
temente, senza  rigetto  di  s^ows^  \.^  vocale  si  modifica  dinanzi  al- 


*■  P.  es.  L.,  fonte,  che  à  generalmente  tendenza  ad  oscurare  le  vocali  ve- 
lari, la  manifesta  specialmente  nella  serie  borsa  che  chiùde  sino  ad  u.  Questo 
suono  gli  è  particolare,  non  è  una  delle  tante  concessioni  all'uso  piemon- 
tese, ma  si  tratta  di  un  prodotto  assolutamente  isolato. 


Il  parlare  d'Usseglio  131 

l'insolito  nesso;  sia  brvesk  stato  introdotto  da  solo  o  con  altre 
parole  ^  a  Mrg.  e  Pr.,  la  semplice  esistenza  di  friit  in  V.  di  Susa 
ci  mostra  come,  nel  nuovo  terreno,  -(t'st  si  allargasse  entro 
alla  serie  omofona  e  ai  corrispondenti  femminili  con  maggior 
conseguenza.  Esso  però,  invece  di  invadere  le  borgate  vicine, 
da  quasi  due  generazioni  cede  dinanzi  ad  il;  tre  fonti  anno  ce, 
(e,  il,  quattro  addirittura  il  -,  tutte  però  nella  sola  serie  finale, 
cioè  nella  maschile.  Se  da  una  parte  la  limitazione  alla  finale 
fa  pensare,  fino  ad  un  certo  punto,  che  (P-  rappresenti  la  tappa 
di  mezzo  di  un  ordinato  e  lento  passaggio  aC>u,  dall'altra  il 
disordine  cronologico  del  mutamento  lascierebbe  meglio  supporre 
che  il  si  venga  direttamente  sostituendo  ad  ce  sotto  il  continuo 
influsso  dell'  Uss.- pieni,  e  che  <r  sia  di  iì  un  incompleto  adat- 
tamento, fenomeno  di  cui  troveremo  altri  numerosi  esempì. 

16.  Uss.  à  pi-eceduto  tutti  i  paesi  del  contorno  nella  caduta 
di  alcune  finali;  v.  P.  II.  Pel  -t,  le  borgate  del  centro  anno 
raggiunto,  anche  nelle  fonti  più  vecchie,  il  grado  fisso  descritto 
al  §  1.  n.  199;  ma  le  serie  del  pres.  forte  con  dittongo  (le 
monosillabiche  cioè  e  l'incoativa)  :  fait,  verdéit  conservano  la 
consonante  nella  P  gen.  ^  delle  Pz.  ;  qualche  traccia  di  una  si- 
mile conservazione  si  ha  pure  alla  Pr.  ^, 


^  Broesk  è  di  Mo.,  Chian  ,  Me.,  Momp.,  Giagl  ,  i  quali  invece  anno  tutti 
fr'ùtio);  mi  mancano  materiali  per  goest,  come  si  vede  (§  1,  n.  14)  si  tratta 
di  una  serie  composta  di  parole  recenti,  le  altre  voci  omofone:  h'dst,  gilst 
sono  poi  addirittura  fuori  dell'uso. 

-  Naturalmente  con  oscillazioni;  anno  sempre  oe:  Pr.  [47,  24,  8Ó\,  Mrg. 
[70];  hanno  <r.   Pr.  [65],  Mrg.  [io,  60];  anno  anche  il  Pr.  [(Ì4],  Mrg.  [53,  60]. 

'  [78,  66\. 

^  [G5.  Oi,  60]  bè  (interno),  (bei)  bèt  in  finale,  mancano  materiali  per  gli  altri 
casi;  un  influsso  diretto,  anzi  una  semplice  importazione  da  Mo.  è  evidente 
nel  caso  di  Pr.  perché  la  conservazione  di  t  si  accompagna  colla  semplifi- 
cazione del  dittongo,  completamente  estranea  a  Uss. 


132  Terracini, 

Mocchie  Pr.  Mrg.  Vili.  Cortv.  Py.  Pz.  Lemie 

1.       -/  —  -t 

-t  II.     -  —  -{t)  -t 

111.    -  -  - 

L'innovazione  non  à  dunque  ancora  toccato  completamente  i 
due  lati  estremi  del  paese;  è  però  impossibile  dimostrare  fino 
a  qual  punto  questa  resistenza  trovi  direttamente  appoggio  nella 
conservazione,  viva  ancora  nei  villaggi  coi  quali  essi  rispetti- 
vamente confinano.  La  fonte  A  à  pure  phiróit?  (tipo:  pluit 
-HOC,  v.  §  2),  l'estensione,  che  manca  a  Lemie,  è  notevole  in 
COSI  rapido  scomparire  del  -t,  perché  essa  è  verosimilmente  una 
reazione,  che  per  mezzo  della  consueta  equazione,  le  genera- 
zioni e  le  borgate  innovanti  anno  prodotto  sul  vecchio  in  cui  il 
-t  è  molto  tenace. 

16  è.  La  caduta  di  n  finale  nei  proparossitoni  avviene  in  due 
tempi  ben  distinti,  corrispondenti  alle  due  serie  in  cui  essa  si 
presenta.  In  quella  costituita  dal  minuscolo  gruppo  ^  dei  sostan- 
tivi {(juvan),  Vii  finale  non  mi  fu  dato  che  dagl'individui  pili 
attempati  della  l'^  gen.  -  ed  in  alcuni  esso  è  un  suono  più  ac- 
cennato che  interamente  articolato.  Ben  più  resistente  è  la  con- 
sonante nella  desinenza  atona  di  6*  pers.  di  ogni  tempo  e  di 
ogni  modo^;  in  questo  caso  n  è  pronunziato  abitualmente  dagli 
individui  della  l'"*  gen.,  sebbene  non  da  tutti  e  non  sempre: 
Mrg.  è  all'avanguardia  della  caduta;  non  vi  raccolsi  più  alcun 
esempio  di  n;  il  Py.  è  invece  il  centro  più  conservativo,  qui 
non  solo  la  1^  gen.  lo    presenta    più    frequentemente,  ma   esso 


^  V.  §  1,  n.  21.3.  Delie  tre  parole  che  la  compongono,  gàvain)  cede  già  in 
tutte  le  età  al  piem.  //«(«,  le  altre  due  :  piaia{n),  fraisa(n),  resistono  e  presen- 
tano anzi  la  proprietà  di  essere  strettamente  coerenti  tra  di  loro. 

^  [78,  76,  90]  fraisah  [10]  fraisah  ;  M.  ed  S.  [80]  non  ne  hanno  i)iù  traccia. 

^  Limitai  perciò  le  ricerche  al  pres.  e  impf.  dell'indicativo. 


II  parlare  d'Usseglio  133 

perfino  nella  2*  non  manca  ^  Tale  grado  arretrato  del  Py,  si 
connette  col  fatto  che,  come  si  vedrà,  in  questa  borgata  l'antico 
sistema  di  alternanze  di  frase  à  lasciato  più  chiare  tracce  che 
altrove  ;  perché  anche  la  caduta  di  n  segue  una  serie  di  tappe, 
secondo  l'accento  di  frase  :  essa  à  primamente  luogo  in  finale  — 
dove  del  resto  alla  caduta  precede  uno  stadio  di  evanescenza 
càntu^^  —  e  tarda  nel  mezzo  della  frase,  dinanzi  a  consonante  o 
a  vocale  indifferentemente;  la  resistenza  è  dunque  in  relazione  in- 
versa alla  forza  con  cui  era  pronunziata  la  tonica  nella  frase  ^. 
Usseglio,  in  questo  caso,  non  è  naturalmente  isolato:  la  caduta 
si  è  infatti  più  o  meno  iniziata  su  una  striscia  che  corre  a 
seconda  della  catena  dividente  i  due  principali  sistemi  del 
nostro  territorio:  essa  comprende  Col  S.  Giov.,  Viù,  Lemie  e 
Mo.,  e  la  precedenza  di  Mrg.  ci  dà  anzi  la  prova  diretta  che 
la  caduta  è  in  qualche  connessione  immediata  con  quella  di 
Mo.  :  ma,  d'altra  parte,  la  traccia  di  un  assordimento  lento  e 
graduale  e  di  un'alternanza  sintattica  provano  che  questa  con- 
nessione geografica  non  promuove,  ma  aiuta  soltanto  la  ca- 
duta della  consonante.  Questo  gruppo  di  paesi  disposti  in  striscia 
uu  poco  fuori  dei  movimenti  che  anno  per  focolare  rispettiva- 
mente la  V.  di  Lanzo  e  la  V.  di  Susa,  non  si  costituisce  per  solito 
che  per  presentare  dei  tratti  arcaici,  v.  P.  II.  Ne  questo  caso 
fa  eccezione:  la  conservazione  di  n  e  in  generale  delle  conso- 
nanti finali  à  trovato  il  suo  freno  essenzialmente  nel  loro  valore 
moi'fologico  e  questo  a  sua  volta  deve  esser  stato  sentito  nei 
centri  delle  due  valli  soprattutto  come  reazione  contro  le  desi- 


'  Mentre  p.  e.  al  Cortv.  la  consonante  è  pronunziata  solo  da  [90]  oltre 
che  da  un  [43]  ,  il  quale  anche  in  moltissimi  altri  casi  costituisce  come 
un'isola  arcaica,  al  Py.  mi  diedero  n  [42,  43,  70,  66,  60,  64,  68]. 

^  Ed  è  questa  la  ragione,  oltre  alla  molto  minor  coesione  della  serie,  per 
cui,  nei  sostantivi,  n  è  caduto  prima. 


134  Terracini, 

nenze  piemontesi  :  ora  tale  reazione  non  giunse  sino  al  nostro 
gruppo  in  tempo  per  salvare  la  consonante,  la  cui  caduta  rap- 
presenta quindi,  in  un  certo  modo,  un  grado  arcaico.  Questo 
risultato,  per  quanto  apparentemente  paradossale,  ci  è  confer- 
mato dalle  condizioni  interne  di  Uss.;  infatti  l'inizio  della  caduta 
è  troppo  vecchio  per  doverlo  ascrivere  ad  un  influsso  recente 
del  piemontese,  che  del  resto,  quando  tocca  serie  morfologiche, 
salvo  dove  abbiano  agito  cause  secondarie,  si  limita  a  provo- 
care fenomeni  di  reazione  ^. 

17.  Alle  Pz.  e  al  Py.,  in  tutte  le  generazioni,  il  passaggio 
di  dis-,  is-'^  des-,  {e)s-.  {iskola,  c?is/j/r?/)  è  già  compiuto  ad  ecce- 
zione di  alcune  minime  tracce  e  queste  trovano  la  loro  spiega- 
zione in  ciò  che  accade  nelle  altre  borgate  dove  il  fenomeno  è 
ancora  in  movimento.  Qui  is-  cede,  quando  non  sia  in  strettis- 
sima unione  sintattica  colla  parola  precedente:  do  stise,  par 
strmia,  ast  spàs;  esso  è  invece  pili  saldo  dopo  l'articolo:  n'iscalm, 
riscala,  If  ìspale,  perché,  in  questo  caso,  i  nessi  /is-,  nis-,  lis-, 
come  quelli  che  sono  i  più  frequenti,  formano  delle  vere  serie 
più  ricche  e  resistenti  delle  altre.  Queste  qualità  si  ritro- 
vano in  grado  ancor  più  forte  in  dis-  che  infatti  rimane  di  più 
che  una  generazione  indietro  ad  is-.  Né  variare  di  posizione 
rispetto  all'accento  e  alla  frase,  né  di  rapporti  coi  suoni  con- 
tigui possono  segnare  chiaramente  le  tappe  della  marcia  verso 
{e)s-,  des-:  anzi,  tutti  i  tratti  di  questa  che  si  possono  cogliere 
mostrano  come  essa  avvenga  sotto  un'impensata  e  complicata  va- 
rietà di  condizioni:  al  Cortv.,  p.  e.,  il  prefisso  dis-  par  solamente 
colpito  nella  sua  serie  sonora-;  inoltre  soggetti    che   anno:    la 


^  Ben  inteso  che,  a  cominciare  dalla  2^  gen.,  anche  qui  la  caduta  fini  per 
essere  accelerata  dall'influsso  piemontese. 

^  Mentre  mancano  assolutamente  casi  di  des-,  def-  alterna  con  (/;/-  in  {dly 
40,  22,  20];  al  Vili,  si  osserva  pure  c^uak-he  cosa  di  simile,  ma  la  distin- 
zione è  meno  netta. 


Il  parlare  d'Usseglio  135 

scala,  conservano,  persino  alle  Pz.  :  ntVistala,  gruppo  cui  il  fre- 
quentissimo uso  tende  quasi  a  dar  l'aspetto  di  una  formula 
fissa  e  Pz.,  Py.  conservano,  almeno  nella  1"  gen.  ^  reliquie  di  : 
dìsfisa,  distisa  ;  qui  l'arresto  si  risolve  adunque  in  un  particolar 
caso  di  metafonesi.  La  distribuzione  generale  di  questi  fatti  è 
varia:  is-  manca  a  Pz.,  Py.  ed  altrove,  e  nelle  posizioni  più 
favorevoli  è  ristretto  alla  1"  gen.  ;  des-,  invece,  mentre  al  Vili, 
tocca  già,  per  quanto  sporadicamente,  la  2^,  al  Cortv.  è  stretta- 
mente limitato  alla  o-"^,  alla  Pr.  non  è  ancora  comparso;  invece 
l'anno  con  perfetta  regolarità  alcuni  individui  di  2^,  S'*,  e  sino 
uno  di  P  al  Mrar.  ^. 


Lemie 


Pr. 

Mrg. 

Vili. 

Cortv. 

P.y- 

Pz. 

1. 

(lis 

dis  {drs) 

dis 

dis  {de/) 

des 

des 

II. 

dì  fi 

dis  (dfis) 

dis  (dfs) 

dis  (de/) 

des 

des 

III. 

dis 

dis  {d(s) 

des  (dis) 

dis  {dff) 

des 

des 

des  (dis) 


Questa  circostanza  ci  dà  modo  di  valutare  il  grande  avanzo 
in  cui  si  trovano  Py.,  Pz.  La  contiguità  geografica  ci  attesta, 
in  un  certo  modo,  che  qui  si  continuano  le  condizioni  di  Lemie, 
dove  dis-,  is-  sono  pure  in  rotta  anche  nella  1^  gen.,  sebbene 
le  loro  tracce  si  conservino  qua  e  là  un  po'  meglio  che  alle 
Piazzette;  d'altra  parte  il  caso  di  Mrg.  è  isolato  e  ci  mostra 
quanto  di  spontaneo  vi  sia  pure  nel  rapidissimo  assestamento  di 
questo    passaggio,  che   tanto  muta   di    fisionomia  solo    che  una 


'  ut  Vistala  ricorre  in  fonti  innovatrici  :  [24,  21,  4ìi  (Py.)l,  distisa  al  P}'. 
[68],  Pz.  [66,  20]. 

'  [60,  45,  io,  19]  gli  ultimi  3  appartengono  alla  stessa  famiglia.  Già 
al  §  1,  n.  108  fu  osservata  l'alternanza  tra  -es  e  es;  certo  la  prima  è  una 
forma  nata  sotto  un  accento  più  forte  della  seconda  (confr.  est  e  fst),  ma 
gli  esempi  colà  citati  non  trovano  nella  massa  delle  fonti  una  conferma 
sicura. 


136  Terracini, 

serie  importante  come  quella  di  dis-  vi  abbia  piiinamente  ceduto 
trascinando  rapidamente  l'altra. 

18.  Il  passaggio  di  -eu  >  -an^en  complicato  con  quello  di 
en  >  -èn  e  -atì  >>  -àn  i  è  il  primo  caso  che  ci  presenti  un  esempio 
di  regressione.  La  sua  fase  pili  antica,  -en  >>  -an,  anteriormente 
all'epoca  attuale  si  fissò  in  finale  di  parola  -  ;  sulle  modalità  con 
cui  nacque  -mi,  strettamente  limitato  com'è  ora  ad  alcuni  indi- 
vidui di  1''  gen.,  non  v'è  pili  modo  di  dir  nulla,  se  non  che  esso 
compare  ugualmente  distribuito  in  tutte  le  borgate.  —  18n.  La 
propagazione  del  turbamento:  -an'^àn  si  svolge  invece  ancora 
in  parte  sotto  i  nostri  occhi;  in  generale  siamo  ai  soliti  fatti  di 
fonetica  sintattica  descritti  al  §  1,  n.  236;  è  cosi  che,  all'interno 
di  fvAse,  karant  ani  e  assai  pili  conservato  che:  ijdn  e  la it,  dove 
si  cede  alla  tendenza  a  generalizzare  la  forma  finale,  e  che  vinàìì 
(viene)  sfugge  completamente  al  turbamento  anche  fra  i  giovani, 
perché,  come  consueta  forma  di  richiamo,  s'accompagna  costan- 
temente ad  isì.  Vi  sono  poi,  in  questo  movimento,  degli  indizi 
i  quali  tendono  a  provare  che  parte  della  1-'  gon.  nel  parteci- 
parvi non  faccia  che  seguire  le  generazioni  più  giovani;  all'ar- 
ticolazione propria  di  -àn  che  è  in  fondo  velo-palatale  ^  si 
uniscono,  come  elementi  caratteristici,  la  forte  espirazione  e  la 
grande  brevità.  Ora  la  fonte  A,  la  più  conservativa  in  quest'or- 
dine di  fatti,  mi  diede  •anche  pumta  e  pianta  V uno  lunga,  l'altro 


^  V.  §  1,  n.  30ò.  *ven^  vah'^  veni  ;  uféh  ">  iifùn,  iiff'h,  pi^aiita'>  piànta; 
•un  (e  m  u  s)  >  (i>i.  Per  ragioni  di  chiarezza  in  questa  App.  si  indica  con  d  il 
suono  che  per  solito  è  segnato  «  ed  ù  indica  semplicemente  un  a  palatale. 

-  Si  propaga  cosi  alla  tonica  il  più  saldo  e  pili  antico  passaggio  eit  >  an 
dell'atona,  ed  esso  infatti  non  tocca  che  Yen  tonico  breve,  come,  meglio  che 
a  Uss.,  si  vede  in  V.  di  Susa,  poiché,  per  questo  caso,  Uss.  è  intimamente 
legato  al  territorio  circostante  v.  P.  li. 

^  Si  à  cioè  è.  Nel  caso  più  conservativo,  cioè,  nella  finale  verbale,  in 
interno  di  frase,  si  hanno  esempì  di  ah  saltuariamente  in  tutta  la  1"  gen. 
e  sino  in  un  Pr.  [53]. 


11  parlare  d'LJsseglio  187 

coll'espirazione  pili  rimessa  ^  e  colorito  palatale  pili  forte.  Pas- 
sando alla  desinenza  verbale,  questa  articolazione  deformata  e 
la  esagerazione  del  colorito  palatale  si  fa  assai  sensibile  in  un 
gruppo  di  vecchi;  ora  è  notevole  che  essi  non  siano  i  più  attempati- 
cioè  essi  non  possono  averci  conservato  uno  stadio  normalmente 
anteriore  ad  -ari;  sono  individui  che  anno  già  abbandonato -ar«, 
ma  che  sotto  l'accento  debole  di  frase  non  riescono  a  rendere 
perfettamente  il  nuovo  -àn.  Inoltre,  la  serie:  can  (vende)  e  quella: 
mumàn  (momento)  in  molti  individui  non  à  esempì  di  intorbi- 
damento; ciò  conferma  che  nella  P  gen.  l'intorbidamento  si  fa,, 
almeno  in  parte,  dietro  all'esempio  dei  giovani,  infatti  esso  si  è 
arrestato  proprio  in  queste  due  serie  che  tra  i  giovani  non  esi- 
stono pili.  —  186.  Perché  in  questo  frattempo  esse  passarona 
ad  -èìì  (m^y/K^w^),  rispettivamente  -m  {ufén);  -aii  non  solo  è  limi- 
tato  alla   l"^  gen.    ma,    ora    nell'una    ora    nell'altra  serie,    vi    si 


^  A  è  la  fonte  più  arcaica  nel  senso  che  fu  Tunica  a  darmi  nei  sostan- 
tivi la  vocale  ancora  intatta,  in  essa  però  il  turbamento  è  assai  frequente  ; 
essa  è  anche  l'unica  a  presentarne,  all'infuori,  s'intende,  del  verbo,  una  imi- 
tazione imperfetta,  salvo  il  caso  di  [90]  e  di  altri  ancora  che  mi  diedero 
céntiifi,  V.  §  1,  n.  101.  Qui  l'imperfezione  dell'adattamento,  a  parte  i  dati  cro- 
nologici di  cui  si  fa  uso  nel  testo,  risulta  evidente  anche  per  altri  indizi; 
se  la  caratteristica  del  turbamento  fosse  stato  il  colorito  palatale,  cioè,  s& 
questi  rari  casi  fossero  la  fase  che  precedette  quell'attuale,  si  avrebbe  oggi 
un  vero  e  proprio  f;  ora  invece  l'elemento  caratteristico  di  «  è  tutt'altro, 
infatti  in  molti  altri  paesi  noi  la  ritroviamo  ugualmente  turbata  sebbene 
scesa  ad  un  suono  piuttosto  velare,  v.  P.  Il,  e  poi  à  e  cosi  strettamente  le- 
gata alla  forza  dell'accento  che  non  si  propaga  mai  all'afona;  D'altra  parte 
nulla  di  piti  facile  che  un  a  o  e  sia  imperfettamente  reso  con  una  alte- 
razione palatale  o  velare.  Cfr.  Goidànich,  BhZRPh.  V,  56  sgg. 

■^  [70,  (14,  61,  66,  66,  66,  68,  70]  di  queste,  ben  tre  (le  ultime)  sono  del 
Py.,  cioè  di  una  borgata  alquanto  conservativa,  per  quel  che  riguarda  l'al- 
ternanza di  frase.  P]  ancora  al  Py.  [66]:  cantiih,  muma'ut  con  espirazione 
debole  [70]:  pah  e  d  lati,  esp.  deb.  [64]  a  inuma' ut  ('  nai,  ma  un  mumànt  con. 
«■-^jiirazione  ]^erò  debole. 


138  Terracini, 

regge  assai  male  ^  ;  anche  qui  sporadicamente  si  à  un,  ma 
COSI  raro  e  limitato  ad  individui  relativamente  giovani  -  che 
anche  qui  questo  grado  intermedio  non  può  assumere  un  valore 
generale  e  deve  essere  ascritto  ad  un  adattamento  imperfetto 
d'ordine  secondario. 

Che  del  resto  il  passaggio  dall'un  suono  all'altro  avvenga  per 
una  brusca  sostituzione,  è  cosa  confermata  da  dati  esteriori  i 
quali  ci  porgono  la  chiave  di  questa  regressione.  In  tutto  il  nostro 
teri'itorio  qualche  punto,  senza  continuità  geografica,  presenta 
tracce  d'un  recentissimo  passaggio  -an  >  -en  ^.  Ora  v'è  un  motivo 
generale  che  spinge  tutti  questi  medesimi  luoghi  sulla  medesima 
via?  Uno  solo  si  presenta  alla  mente:  l'influsso  dell'-f?)  piemon- 
tese della  cui  realtà  è  facile  dare  una  dimostrazione.  La  re- 
gressione si  esercita  principalmente  nell'uscita  -ent  la  quale, 
v.  §  1,  n.  30 &,  porta  nella  consonante  finale  il  segno  d'essere 
soggiaciuta  al  piemontese;  sta  il  fatto  che  si  può  trovare  -ant 
accanto  ad  -an  ^  non  mai  -èn,  vale  a  dire  l'antica  vocale  fu  vitto- 
riosamente opposta  al  piem.  -ent,  solo  finché  si  ebbe  -an,  ma 
quando  la  consonante  fu  accolta,  essa  si  trascinò  dietro  la  nuova 
vocale.  Per  la  serie:  ufan  la  cosa  è  più  complicata,  potendosi  ad 
un  tempo  invocare  e  il  piem.  -end  e  l'analogia  delle  forme  in- 


^  Su  una  ventina  di  individui  di  l'-non  mi  diedero  qualche  aù  o  (ih  che  una 
metà:  [90,  64,  70,  66,  64,  78,  66,  66,  70,  64,  78,  58]  e  tra  queste,  già  [90] 
à  adottato  in  serie  -ènf:  così  A  oscilla  nella  serie  verbale,  F,  M  in  tutte  e 
due,  sebbene  con  prevalenza  della  fase  arcaica. 

-  [66,  65,  .58,  47]. 

^  V.  P.  II.  E  la  contemporanea  presenza  di  ah  ci  accerta  che  si  tratta, 
come  a  Uss.,  di  un  movimento  recente,  controprova  necessaria  perché  vi 
sono  altri  punti  isolati,  sebbene  assai  rari,  dove  -eli  deve  risalire  ad  età  pili 
antica, 

•*  Anzi  nn  è  relativamente  assai  scarso.  La  provenienza  piemontese  di 
■nt  e  poi  provata  da  genf  accanto  alla  forma  oriijinariaraente  plurale  gerì, 
V,  §  1,  n,  200. 


I 


11  parlare  d'Usseglio  139 

terne  {ufende);  vi  sono  però  discrete  ragioni  estrinseche  per  non 
escludere  categoricamente  nessuna  delle  due  soluzioni  ^  e  va 
per  lo  meno  osservato  che  l'analogia  avrebbe  agito  proprio 
quando  l'influsso  o  meglio  l'opposizione  al  piemontese  le  veniva 
a  dare  un  insolito  vigore  §  4  e.  —  Il  piem.  ~ent  fu  accettato 
come  -ènt\  al  i;  1,  n.  30^,  furono  date  le  condizioni  fonetiche  di 
questo  turbamento,  non  si  deve  però  dimenticare  che  -èiì  per 
qualche  individuo  della  1-^  gen.  sostituiva  forse  àn,  cioè  che  il 
nuovo  turbamento  potè  anche  trovar  la  via  facilitata  da  quello  pili 
antico.  Ma  nel  gruppo  Pr.  e  Mrg.  il  turbamento  va  più  oltre:  esso 
tocca  anche  il  tipo  ufè'n  e  persino  quello  interno:  ufende,  questa 
condizione  si  può  dire  di  regola  nella  2^-3^  gen.,  mentre  alcuni 
tra  i  soggetti  di  1*  mantengono  ancora  l'antico  stadio  -;  fuori  dei 
verbi  -'èn  fa  assai  men  presa:  solo  kuntènta,  per  ovvi  motivi 
cede  talvolta  e  cosi  pure:  s'èmpe  ;  altre  voci  rimangono  finora 
illese,  sebbene,  e  non  solo  in  queste  borgate,  il  gruppo  con  den- 
tale sia  a  differenza  di  ogni  altro  pronunziato  piuttosto  breve  e 
chiuso^.  La  condizione  del  turbamento  è  dunque  anche  qui  la  bre- 
vità della  vocale  che  cede  con  conseguenza  nella  serie  verbale 
e  sparsamente  negli  sparsi  sostantivi  ;  ma  la  ragione  immediata 
è  tutt'altra  ;  tale  estensione  alla  Pr.  Mrg.  è  in  connessione  geo- 
grafica con  la  V.  di  Susa:  in  queste  borgate,  -cn  fu  dunque  messo 


'  L'azione  diretta  o  indiretta  del  piemontese  avrebbe  proflotto  un  i-md; 
l'analogia  per  se  sola  non  e  molto  probabile,  perché  solitamente,  nei  verbi 
forti,  V.  P.  II.  è  la  terza  persona  quella  che  si  estende. 

-  M.  [70],   Pr.  [70],  altri  due  l'anno  con  oscillazione. 

^  sempe  alla  Pr.  mi  fu  dato  da  tre  fonti  [64,  53,  30]  e  due  [70.  65] 
anno  f;  /i;»«/^«te  à  minori  oscillazioni,  anche  qui  [65]  à  e;  Icìtntènta  ritorna, 
perfettamente  isolato,  in  una  donna  del  Vili.  [58]  che  pure  per  altri  rispetti, 
V.  n.  10,  mostra  l'influsso  di  queste  liorgate;  pnlenta,  colla  vocale  breve  fa 
poi  capolino  dappertutto,  sebbene  sporadicamente,  sia  tra  vecchi,  sia  tra 
giovani. 


140  ■  Terracini, 

in  relazione  non  coW-an  indigeno,  ma  coWàà  forestiero  cui  cor- 
risponde esattamente  per  estensione^  delle  serie;  ciò  è  im- 
portante perché  mostra  una  delle  vie,  e  probabilmente  la  prin- 
cipale, per  cai  il  turbamento  delle  vocali  nasali  si  estese  a  Uss. 
V.  P.  II.  Questo  gruppo  di  fatti  può  essere  sinotticamente  rap- 
presentato nella  seguente  maniera: 

(pianta,  pane)   -«n (caiitemu.s)      (veiilii)  (^veiidit)               (vendere) 

J.       -àii  {-an)      -cìn  -un      -an-àn(-ent)  -ah  (-ifi)                 -m 

li.     -Citi                -àii             -hit  -en  (Mrg.'Pr.-èn)  -pn{Mrg.Vr.-én) 

III.    -dn                -àn             -ent  -en  (Mrg.  Pr.  -èii)  -eh  (Mrg.Pr.  -èn) 

19.  hjl^~^  ai^'^  ei  ci  presenta  di  nuovo  un  movimento  ac- 
compagnato da  regressione.  Fuori  di  questo  quadro  sta  il  pas- 
saggio di  •em-^-du-  {nhhi)  P  p.  cong.  2,  accettato  dovunque  e 
rimasto  fìsso.  Della  piccola  serie  di  tipo  kram  (credo)  non  ri- 
mangono invece  che  sparse  tracce  ^  entro  la  pili  vecchia  gene- 
razione. —  In  finale  di  parola  da  -e/,  cui  s'arrestarono  alcune 


'  V.  P.  II.  È  verso  V.  di  Susa  la  distinzione  tra  la  vocale  affetta  da  tur- 
bainento  0  no  era  anche  assai  pili  netta  perché  quest'ultima  suona  quasi  e' 

~  Il  cong.  -au  presenta  il  passaggio  (comune  nella  Val  di  Viù,  v.  P.  Il) 
completo,  cioè  *ei;u,  *ru  che  poi  si  allargò  in  au,  come  qualunque  è  in  dit- 
tongo velare,  v.  §  1,  n.  132. 

^  In  questa  serie,  A,  e  sporadicamente  qualche  altra  vecchia  fonte,  à 
ancora  kmi,  vru,  cioè  la  prima  tappa  del  passaggio,  ma  in  questo  caso,  du- 
rante il  suo  allargamento,  la  vocale  subì,  come  accade  sovente  alla  P  p. 
l'influsso  della  3^  che  era  divenuta  nel  frattempo  -ai  e  s'ebbe  quindi  kraiti 
raiu,  documentati  da  [80^  58,  90,  65,  64,  78].  Da  questo  punto  in  poi,  esso 
segue  la  comune  regressione.  Questo  movimento  à  dunque  la  sua  prima 
origine  in  quello  di  -ai  3^  p.:  ma  ora  ne  può  anche  essere  indipendente, 
alcune  delle  fonti  ora  citate  non  hanno  -ai  di  3^  0  viceversa;  l'ultima  poi 
che  è  A,  probabilmente  non  possedette  mai  -ai  3*  p.  (v.  sotto)  e  fornirebbe 
quindi  una  prova  diretta  della  propagazione  di  questa  forma  da  borgata 
a  borgata. 


Il  parlare  d'Usseglio  141 

forme  verbali  K  per  -eL  tappa  conservataci  dalla  8"  p.  ind.  dei 
temi  forti  e  incoat..  si  giunse  ad  -aì^  nella  doppia  serie:  dai  {'^'to), 
,'<uU'n  (sole)  -.  Questo  -ai  vive  nella  l'"»  gen.  al  Cori.,  Vili.,  Pr.  e 
si  diffonde  nella  2*'^  fino  a  toccare  la  quarantina  3;  per  la  3^  è 
pronunzia  assolutamente  sconosciuta  ;  di  -ai  poi  non  v'à  traccia 
alle  due  borgate  estreme  del  paese,  al  Py.  infine  esso  tocca  solo, 
e  con  minor  tenacia,  la  P  gen. 

Moccliie  Mi'(j.        l'r.  Vili.         Coit.        Py.  Vz.  Leinie 

i  tipo:    ulve      fi,  aj  (ej)  aj  (^j)  aj  (ei)  ai  (fi  )  ri 

■  tipo:  *nivet  fi  «^ì.  i^i)  fi,  (^Ì)  ''A  («À)  fi  ^i 

ei     II.  ii  ii  (ai)  |(  {ai)  i\  {ai)  |(  fÀ      ni 

III.  ei  ei  ei  ei  ei  ei 

In  altre  parole,  -ai  svoltosi  al  centro,  dove  à  più  profonde  ra- 
dici, è  riuscito  solo  parzialmente  a  diffondersi  nelle  altre  bor- 
gate ed  ora  una  regressione  manifestatasi  nella  2*  e  3"  gen.  gli 
tronca  la  vita.  Le  tracce  di  questa  duplice  lotta  sono  ancora 
visibili:  alcuni  vecchi"^  del  Py.  anno  -di;  e  il  medesimo  riflesso 
che  troviamo  in  questa  borgata  per  altri  passaggi  consimili  di 
un  «  >  e  e  deve  essere  considerato  come  una  tappa  secondaria 
dell'espansione  di  ai,  v.  n.  20;  un  -ài  si  à  pure  al  Vili.  Cort.  ; 
ma,  al  solito,  troppo  raro  ^  perché  possa  rappresentare  un  ge- 
nerale grado  intermedio  tra  -ai  e  -ei,  è  invece  un  riflesso,  ancora 


^  Infinito   avéì,  5*  p.  cong.  fe/éi,  v.  §  1   n.   17. 

'  V.  §  1.  n.  18  e  n.  87.  Questa  seconda  serie  giunse  ad  -ai  solo  ad  Uss., 
perché  il  resto  del  territorio  che  oggi  nell'altra  conosce  -ai,  conserva  alla 
serie  il  grado   originale    éi. 

'  [90,  80,  78,  76.  70.  70,  70,  70,  65,  (;4,  64,  63,  tll,  60,  58,  57,  53,  51,  47\. 

■'  [70,  70,  68,  60]. 

^  Vili.  [78,  47];  Pr.  [60]  escili.;  Cortv.  [.50,64];  Vili.  [78]  (M),  fonte  che 
anche  in  altri   casi  à  forte  tendenza  ad  accettare  innovazioni. 


142  Terracini, 

incerto,  del  nuovo  -e/,  sovrapposto  al  non  pili  saldo  ai  delia  1-^  gen.: 
questa  interpretazione  è  confermata  dal  fatto  che  -ài  e  pure  pos- 
seduto da  alcuni  individui  i  quali,  per  età  e  per  borgata,  ap- 
partengono al  campo  di  -«7  e  sono  trasportati  in  quello  di  -ei  ^ 
La  resistenza  della  generazione  arcaica  presenta  poi  delle  par- 
ticolarità: il  maggior  numero  delle  fonti  più  vecchie  anno  -g/ '^ 
nelle  forme  verbali,  altre  però,  e  in  generale,  non  le  più  attem- 
pate, giungono  anche  in  questo  caso  ad  -ed;  sarebbe  stata  questa 
la  naturale  continuazione  dell'antico  fenomeno,  se  ad  interrom- 
perlo non  fosse  intervenuta  la  regressione,  ma  è  verosimile  che 
questo  livellamento  sia  stato  affrettato  per  opposizione  all'unica 
nuova  serie  in  -ei  ^;  esso  presenta  un  piccolo  episodio  notevole: 
un  vecchio  [64]  à:  bel  (beve),  ma  nal  (nevica)  per  influsso  for- 
tissimo (v.  n.  3)  del  corrispondente  sostantivo.  In  generale  però 
la  1**  gen.  è  già  prossima  a  cedere;  tra  le  fonti  che  meglio  co- 
nosco, M.  oscilla  con  completa  irregolarità.  F.  invece,  incerto 
nei  sostantivi,  all'uscita  verbale  sta  assai  pili  saldo  ad  -a/,  caso 
individuale,  ma  caratteristico  di  conseguenza  raggiunta  da  una 
serie  morfologica. 

Ai  in  finale  (v.  P.  II)  s'appoggia  da  un  lato  alla  Valle  di  Viù, 
verso  V.  di  Susa  ora  fronteggia  -el,  non  cosi  al  momento  in  cui 
fu  introdotto,  perché,  non  più  di  sessant'anni  fa,  -ai  regnava  in 
V.  di  Susa  fino  a  Coazze,  v.  P.  II.  Date  queste  circostanze,  -ei 
a  Marg.  è  probabilmente  terziario,  non  è  cioè  che  il   nuovo  ei 


^  [80]  di  Pr.  («0  vivente  a  Mrg.  (ri)  possiede  -ai  e  -ai;  [80]  di  Vili.  («() 
vivente  alle  Pz.  (ei)  à  costantemente  ai;  [37]  del  Py.  dove  -««  è  tanto  dif- 
fuso, vivente  a  Cortv.  {ei),  à  uno  e  l'altro. 

^  Hanno  -ei  nelle  forme  verbali  Pr.  [65,  04],  Vili.  [80,  11,  63]  e  [78]  con 
oscillazione,  Cortv.  [90,  76],  Py.  [70,  68,  60]  ;  anno  -ai  Pr.  [80,  vivente  a 
Margone,  53],  Vili.  [70  oscill.,  78  oscill.,  M.  (vedi  sopra)],  Cortv.  [64,  45]. 

^  Lemie  ad  es.,  ove  non  si  verificarono  i-egressioni,  conserva  benissimo 
la  distinzione  tra  le  due  .serie. 


Il  parlare  d'Usseglio  14S 

di  Mo.  ^  Quanto  alle  Pz.,  mancano  elementi  per  decidere;  ad 
ogni  modo,  i-isulta  da  questo  difetto  di  espansione  che  l'-fa  del 
centro,  non  abbastanza  sostenuto  dalle  condizioni  dei  paesi  vicini, 
è  debolissimo  e  ciò  spiega  pure  la  sua  regressione  recente. 

Per  essa  è  esclusa  una  tendenza  pura  e  semplice  alla  chiu- 
sura del  dittongo-,  escluso  che  il  movimento  provenga  dalle  bor- 
gate che  anno  -el  soltanto,  le  particolarità  degli  orli  non  avendo 
mai  la  foiza  di  occupare  cosi  completamente  l'interno  del  vil- 
laggio, escluso  poi,  pei  verbi,  un  livellamento  analogico  3,  la 
regressione  deve  dunque  venire  dal  di  fuori.  L'ipotesi  d'una 
nuova  e  più  larga  invasione  di  -<?/  dalla  V.  di  Susa  non  è  proba- 
bile, perché  vi  parteciperebbe  pili  attivamente  di  ciò  che  non 
faccia,  la  Pr.;  data  l'età  recente  della  cosa,  è  più  verosimile 
pensare  che  termini  piemontesi  come:  kunséi,  parél  (cosi)  ab- 
biano potuto  facilmente  far  breccia  nell'ancor  oscillante  serie, 
ed  una  certa  precedenza  di  parél  sulle  altre  parole  parrebbe 
confermare  questa  ipotesi  ^. 

20.  11  passaggio  di  è~^à  v.  §  1,  n.  23  se,  per  qualche  voce 
0  serie,  è  comune  ad  un  territorio  di  vasta  continuità  ^,  soltanto 
a  Uss.  venne  esteso  ad  ogni  caso  con  coerente  conseguenza;  tale 
estensione  avviene  sicuramente  ali 'infuori  dei  casi  consimili  del 


*  Ciò  è  fino  ad  un  certo  punto  confermato  dal  fatto  che  la  Pr.,  per  solito 
tanto  conservatrice  quanto  Mrg.,  à  -a».  Quanto  alle  Pz.,  non  v'è  invece 
motivo  sufficiente  per  negare  l'anticliità  di  -fi;.  Lemie  risponde  con:  (ìai,sHléi. 

'~  Manca  infatti  ad  Uss.  ogni  indizio  consimile  sin  nel  dittongo  au,  tanto 
meno  stabile,  v.  P.  II. 

^  Questo  inflitti,  quando  avviene,  suole  in  questi  paesi  prendere  origine 
dalla  3^  p.,  v.  §  1,  n.  22  e  cfr.  Viìi  ò«X>  bàire;  del  resto  se  si  trattasse  d'un 
influsso  dell'infinito  s'avrelibe  avuto  addirittura  eX  o  ^k- 

'  Parc'x,  oggi  del  linguaggio  vivo,  non  deve  essere  molto  antico;  certo  è 
ignoto  oltr'alpe.  Tra  le  fonti  con  -a(  anno  paréx  [65  ;  43  ;  01  ;  70,  64]. 

•'  V.  P.  II.  Esso  si  verifica  specialmente  nelle  forme  dell'articolo  di 
3*  p.'*  al,  OH.  A  Lemie  si  ha  frdm  ;   ma  -et,  ehtràt,  eht. 


144  Terracini, 

piem.  rustico  ^;  ci  troviamo  quindi  dinanzi  ad  un  esempio  atto 
a  mostrarci  quale  sia  la  forza  espansiva  delle  borgate  centrali 
nelle  quali  primamente  nacque  il  fenomeno,  quando  esse  non  ab- 
biano appoggio  esteriore  di  sorta.  Il  passaggio  à  dapprima  gua- 
dagnato due  forti  serie:  quella  del  suff.  -àt,  -ittu  che  si  è  estesa 
senza  eccezione  ed  è  fissa,  poi  -àt  {-eiet)  3^  p.  sing.  cong.;  questa  non 
guadagnò  Pr.  Mrg.  ^  ed  anche  nelle  estreme  frazioni  opposte  si 
possono  cogliere  tra  i  vecchi  le  ultime  tracce  dello  stadio  antico  ^. 
Ma  ben  più  arretrato  è  questo  passaggio  nelle  altre  voci,  tra  le 
quali  vogliamo  studiare  la  piccola  serie:  drdt  (diritto), /"/vr^  (freddo). 
istrà't  (stretto). 

Mrg.  Pr.  Vili.  Cori.  Py.  Pz. 

Ì(suff.  -at)  :   àt  àt  àt  àt  àt  àt 

(des.  -at)  :    et  et  àt  àt  àt  àt 

l  i     àt  i  àt 

ì  ifraf)  :    s     ^  {et)  ài   {et)  àt  (et)  àt  (et)     )  -  (et)        àt  (et) 

f  [      ^t  "  ^  ^  '    et  ~ 

\  (ast)  :  est  ai  [ast)        (tst  ast  est  est 

àt  àt  àt  àt  àt  àt 

II.     III.               et  et  àt  àt  àt  àt 

et  àt  {et}           àt  àt  et  at 

est  OS  ast  ast  èst  èst 


^  II  passaggio  e  ">  à,  fu  in  Piemonte  soffocato  da  quello  e  >  f  a  cui  iini 
per  attenersi  il  dialetto  della  capitale,  ma  un  tempo  non  gli  mancò  una 
certa  diffusione.  Lo  si  trova  ad  Ormea,  Sch.edel,  19;  ve  ne  è  traccia  nel- 
l'alto Monferrato,  cfr.  Gelindo  p.  123  e  vive  certo  ancora  in  qualche  angolo 
del  Canavese.  Un  secolo  e  mezzo  fa  era  del  resto  la  pronunzia  preferita 
del  volgo  di  Torino,  cfr.  Pipino,  p.  vi,  e  ancora  nella  Par.  del  Biondelli 
(p.  505)  si  à  vestigio  nella  forma  pronom.  chial.  Ma  a  Uss.,  non  certo  una 
serie  anche  oggi  tanto  resistente  come  quella  di  -at,  avrebbe  ceduto  in 
età  COSI  antica  ad  un  influsso  prettamente  piemontese. 

^  Come  si  e  già  visto  al  n.  7.  Trattandosi  di  desinenza  verbale,  non  mai 
fortemente  accentata,  -et  si  distese  però  in  -et. 

^  Me  ne  offri  sporadicamente  qualche  caso  specialmente  A. 


11  parlare  d'Usseglio  145 

Nelle  boigate  centrali:  Vili..  Cort.,  si  à  sempre  itt,  è  molto 
se  et  si  consei-va  presso  i  vecchissimi  ^  e  se  altri  ancora,  meno 
vecchi,  anno  traccia  dell'alternanza:  interno  di  frase:  frét,  finale: 
fràt-,  le  tre  parole  procedono  noi  passaggio  assolutamente  con- 
cordi, solo  l'espressione:  i'in  drèf,  (un  pochino)  oggi  quasi  inte- 
ramente caduta  in  disuso  ^  non  partecipò  più  al  movimento.  Lo 
stadio  d'alternanza  giunse  ^  alle  altre  frazioni,  ma  mentre  Pr.,  Pz. 
seguitarono  l'ulteriore  sviluppo.  Marg.  e  Py.  non  oltrepassarono 
questo  punto;  anzi  tornarono  indietro,  perché  da  metà  della 
2'^  gen.  in  giù  si  ebbe  di  nuovo:  ét^  in  ogni  posizione.  Per  Marg. 
si  può  pensare  alla  V.  di  Susa,  ma  ogni  contatto  di  sorta  può 
venire  escluso  per  l'isolato  P}'.:  queste  due  borgate  anno  invece 
in  comune  il  conservar  meglio  la  alternanza  di  frase  (v.  sotto), 
grazie  alla  quale,  e  certo  in  un  punto  indipendentemente  dal- 
l'altro, la  tradizione  di  fret  si  mantenne  viva  e  potè  provocare 
un  livellamento.  Mi  mancano  poi  materiali  ^  per  decidere  perché 
il  livellamento  si  sia  fatto,  contro  ogni  caso  consimile,  a  favore 
della  forma  interna;  l'ipotesi  più  verosimile  sarebbe  che  il  Py. 
avendo  un  èst  (è)  livellato  contro  àsf  Vili.,  Cort.  sia  stato  con- 


'  Pr.  [65],  Vili.  [78]  (M.,  ma  in  questa,  al  solito,  potrebbe  trattarsi  d'una 
tendenza  innovativa;  è  questo  certo  il  caso  di  Cortv.  64  (F)),  Cortv.  [90], 
Py.  [80],  Pz.  [18]. 

^  Nel  senso  di:  "un  pochino  ,,  e  si  noti  che  l'arresto  è  dovuto  non  a 
fonetica  di  frase,  ma  realmente  alla  rarità  dell'espressione. 

^  Mrg.  [70.  00,  60],  Pr.  [64],  Vili.  [63],  Cortv.  [70],  Py.  [70,  66,  68,  43,  42], 
Pz.  [27].  In  finale  e  vibrato  giunse  ad  d,  all'interno  di  frase  invece,  e  sotto 
un  accento  piìi  debole,  prevalse  il  colorito  palatale,  cfr.  l'alternanza  an,  (in 
studiata  al  n.  18. 

*  Bisognerebbe  forse  tener  presente  anche  un  altro  punto.  Accanto  ad  «, 
sempre  leggermente  aperto,  s'ode  una  sua  varietà  assai  pili  nettamente 
aperta:  à,  questa,  rarissima  nelle  frazioni  centrali,  si  fa  invece  abbondante 
a  Mrg.  e  Py.  e  notevole  anche  alle  Pz.  Data  tale  di.stribuzione,  anche  in 
questo  caso,  pili  che  un  resto  di  una  generale  tappa  precedente,'^'  rappresenta 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  10 


146  Terracini, 

dotto,  quando  pili  tardi  venne  meno  anche  qui  il  senso  dell'alter- 
nanza, a  generalizzare  et  contro  àt  Vili.  Cort.  '. 

21.  Ancora  più  arretrato  è  il  prevalere  di  àst  (è)  sopra  le 
altre  forme  <^est-.  Nelle  frazioni  centrali  est,  dst  in  finale  asso- 
luta sono  soltanto  sporadicamente  rappresentati  nella  1*  gen. 
Prima  ancora  che  fosse  interamente  compito  questo  movimento, 
si  indebolì  in  queste  due  borgate  l'alternanza  di  frase  :  qui  in- 
fatti le  forme  di  grado  0  ^,  cioè  col  verbo  addirittura  taciuto, 
sono  delle  rare  eccezioni;  alcune  fonti  di  2'\  3"^  conservano  poi 
ancora  un  es{t)  all'interno  *;  cioè  esso,  penetratovi  dalla  posizione 
finale,  si  mutò  in  a  più  lentamente,  come  è  ovvio.  Ma  la  grande 
maggioranza  delle  fonti  à  livellato  completamente;  pure  trat- 
tandosi di  un  verbo  enclitico,  fu  la  forma  tonica  quella  che 
trionfò;  non  bisogna  infatti  mai  dimenticare  che  questo  livel- 
lamento non  è  in  fondo  che  un  episodio  di  quello  dell'alter- 
nanza 0  -est  [ast);  cioè  che  la  forma  finale  non  poteva  essere 
vinta  da  quella  interna  pel  semplice  fatto  che  questa,  in  gene- 


un  ^rado  di  adattamento  imperfetto,  particolare  alle  frnzioni  che  ricevettero 
a  dal  centro.  Imperfezione  che  pare  una  caratteristica  del  Py.,  dove  infatti 
abbiamo  già  constatato  la  presenza  di  un  -«t  n.  19;  ora  siffatta  pronunzia 
palatale  può  contribuire  a  mantenere  nella  frazione  la  tradizione  del 
vecchio  e.  Questo  à  e  naturalmente  più  abbondante  nella  serie  fràt,  che 
in  quelle  di  -àt. 

^  L'anello  di  congiunzione  poteva  essere  fornito  da  parole  foneticamente 
vicine  al  verbo  come  spas  (spesso). 

^  Per  l'origine  e  i  vari  rapporti  delle  forme  di  est  tener  presente 
il  §  1,  n.  240. 

^  Vili.  [78],  pili  abbondante  il  Cortv.  [90,  64],  e  poi,  anche  tra  i  gio- 
vani, assai  frequente  [43,  51,  30,  22,  20],  ma  sempre  soltanto  dinanzi  a 
consonante;  il  che  mostra  che  qui  in  fondo  più  che  un'alternanza  di  frase 
si  tende  a  stabilire  un'alternanza  tra  posizione  prevocalica  e  preconsonan- 
tica, come  più  decisamente  à  fatto  la  Pr. 

*  Al  Vili,  ve  n'è  ancor  traccia,  per  quanto  sporadica,  in  tutte  le  gene- 
razioni, al  Cortv.  non  ne  ò  invece  che  un  esempio  [65]. 


Il  parlare  d'Usseglio  147 

ralo,  non  esisteva.  Ast  già  livellato,  tentò  di  propagarsi  nelle 
altre  borgate  ^  al  tempo  della  1*  gen.  in  mezzo  della  quale 
se  n'ànno  tracce  a  Pr.,  Py.,  Pz.,  e,  cosa  notevole,  soltanto  al- 
l'interno di  frase:  cioè  queste  borgate,  mentre  in  finale  pote- 
vano opporre  il  loro  saldo  èst,  all'interno,  cioè  al  grado  0,  ac- 
cettarono più  facilmente  l'innovazione.  Ma  prima  alle  Pz.  e  poi 
al  Py.  venne  pili  tardi  pure  meno  il  senso  d'alternanza  e  allora 
il  conservato  èst  passò  all'interno. 

La  linea  generale  di  questo  livellamento  trova  la  sua  con- 
ferma in  molti  particolari:  la  forma  forte  dinanzi  a  vocale  fa 
più  rapidi  progressi  che  dinanzi  a  consonante,  la  conservazione 
di  -st.  richiamando  quasi  necessariamente  una  vocale  :  il  tipo 
ast  ispuf,  cioè  in  unione  sintattica  libera,  è  naturalmente  in 
avanzo  su  un  tipo  pili  fisso  come:  u  st  alci;  ancora:  la  forma 
forte,  che  lascia  intatto  u  st  ala,  tocca  pili  facilmente  casi  in  cui 
il  verbo  assuma  una  maggiore  importanza,  come:  s  n  ast  ala, 
Il  l    ast  ala. 

Contro  un  simile  movimento  vennero  inoltre  ad  incrociarsi 
tendenze  di  tutt'altro  genere  che,  ad  es.,  conferiscono  alla  Pr, 
una  situazione  tutta  speciale^;  due  fonti  di  1**  ^  indicano  chia- 
ramente che  dalle  borgate  centrali  venne  anche  qui  la  comune 
onda  livellatrice;  ma  prima  ancora  era  accaduto  che  alla  Pr. 
le  forme  con  st  {u,  st,  isi)  fossero  considerate  essenzialmente 
come  ante  vocaliche  e  quelle  senza  consonante  {u,  <e)  come  pre- 
consonantiche o  finali;  in  altri  termini,  la  forma  forte  a\  cosi 
rara  altrove,  qui,  in    finale,  aveva    completamente    soppiantato 


'  Forme  di  ast  all'interno  di  frase  anno  sporadicamente  Py.  [70,  43,  42], 
Pz.  [78,  6^6],  Pr.  [65]. 

'^  Situazione-phe  nel  suo  complesso  si  ripete  al  Mrg.,  colla  sola  differenza 
che  qui,  tra  i  giovani  est  fa  di  nuovo  irruzione,  e,  come  la  vocale  mostra, 
probabilmente  dalla  V.  di  Susa. 

'  Pr.  [65,  64]. 


148  •  Terracini, 

(•st  e  su  di  essa  (7.^^  non  riuscì  a  l'ar  breccia;  in  fondo,  tale 
stato  conservativo  non  è  che  apparente,  infatti  non  mancano 
neppure  qui  dei  tentativi  di  livellamento  a  prò'  della  forma  forte, 
ma  rimasti  pili  arretrati  del  consueto  perché  si  tratta  di  forma 
estranea  alle  parti  del  paese  che  sogliono  essere  più  produttive 
ed  anche  perché  questa  forma  vi  si  prestava  poco  :  comunque 
sia,  <r,  (od  e)  compare  talvolta  all'interno  ^  Dinanzi  a  vocale 
potè  qui  aver  quindi  particolare  fortuna  il  tipo  forte,  interno 
ist,  che  infatti  non  solo  si  conservò  con  non  ordinaria  tenacia, 
ma  passò  talvolta  in  posizione  debole,  e,  persino,  trasformato 
debitamente  in  i,  può  precedere  una  consonante.  Questo  i,  a  sua 
volta,  accettato  da  alcuni  soggetti  di  2*^-3''  al  Vili,  fu  poi  da 
individui  di  3^  esteso  anche  in  finale,  sul  modello  della  forma, 
pieponderante  nella  borgata,  asf,  comune  ad  ogni  posizione  2. 
Questo  il  quadro  delle  molteplici  tendenze  che  s'incrociano,  e 
mutano  a  loro  agio  la  3^  p.  del  verbo  'essere';  quadro  minuto, 
ma  ben  lontano  dall'esser  completo  ^,  p.  e.,  in  quest'esposizione 
s'intravvede  appena  l'importanza  che  à  anche  qui  la  distri- 
buzione geografica  dei  fatti.  La  conservazione  di  i,  che  poteva 
aver  luogo  in  qualunque  punto,  si  riscontra  solo  al  Vili.,  cioè  è 
connessa  topograficamente  con  quella  di  isf  della  Pr.  È  inoltre 
probabile    che    la    grande    fortuna    di    àst    all'interno    di    frase 


^  Pr.  [65,  47],  Mrg.  [66,  60].  Nelle  altre  frazioni  e,  il  quale  sarà  piuttosto 
e  [st],  è  una  vera  eccezione. 

^  Cioè  in  I  e  nel  figlio  L  e  in  due  altri  figli  più  giovani  [17,  12];  un  altro 
filone  presenta  la  famiglia  di  M,  congiunta  di  questa:  in  M  .-stessa  e  meglio 
nel  figlio  [40]  ;  se  n'ànno  però  naturalmente  tracce  anche  in  altri  indi- 
vidui [43,  30].  Alla  Pr.,  Mrg.  si  ha  dunque  :  X  isf  ala,  ist  ispùs,  u  i  i  "■i»  ^1 
al  Vili,  anche  :  ìi  X  i  (c'è). 

^  Fu  tralasciato,  p.  es.,  di  studiare  le  forme  in  unione  al  pron.  neutro  0 
femminile.  Non  fu  neppur  possibile  porre  la  questione  se  alla  conservazione 
0  ristorazione  di  est  alle  Pz.  abbia  direttamente  contribuito  la  forma  ana- 
loga  di  Lemie. 


4 


Il  parlare  d'Usseglio  149 

sia  in  parte  dovuta  ad  opposizione  contro  l'unica  forma  (e,  est) 
del  piemontese  e  dei  paesi  finitimi. 

22.  Di  qualche  poco  pili  giovani,  pili  lenti  e  nel  loro  com- 
plesso isolati  od  almeno  più  avanzati  che  nei  paesi  confinanti 
sono  i  processi  che  tendono  a  semplificare  i  dittonghi  discendenti. 

J5V- >>  «- :  [peirà'l'^  pilrà'l):  v.  §  1,  n.  104:.  Questo  passaggio 
presenta  quattro  gradi  :  ei^,  ei,  n  e,  in  condizioni  nettamente 
subordinate  a  quest'ultimo,  /*  od  i.  Nella  massa  delle  fonti,  per 
quanto  con  grandissime  oscillazioni,  si  possono  seguire  crono- 
logicamente le  fasi  del  passaggio.  La  3^  gen.  à  i/  ormai  com- 
piutamente, ei  non  compare  per  solito  che  in  individui  di  1", 
sebbene  l'insieme  di  questa  ceda  già  più  o  meno  largamente 
ad  u  le  cui  tracce  possono  persino  riscontrarsi  in  una  donna 
di  [8o].  Frammezzo  a  queste  due,  meno  omogenea  e  più  scarsa 
dell'una  e  dell'altra,  sta  la  generazione  che  à  per  grado  pre- 
valente: ei'^.  Si  tratta  dunque  di  un  processo  assimilativo  che 
in  complesso  si  è  compiuto  lentamente  e  per  gradi  successivi, 
il  che  non  impedisce  che  ora  ad  alcuni  individui  sia  possibile 
il  passare  senz'altro  da  un  estremo  all'altro.  Questo  passaggio 
tocca  un  complesso  di  parole  numeroso  ma  assai  eterogeneo, 
da  qualunque  punto  di  vista  lo  si  consideri.  Variano  le  condi- 
zioni puramente  fonetiche:  l'accento,  la  natura  delle  consonanti 
vicine  e  delle  vocali  toniche;  nei  verbi,  data  la  loro  posizione 
subordinata  nella  frase,  ci  si  aspetterebbe  un  acceleramento 
dell'assimilazione,  tuttavia  proprio  nei  verbi  altre  forme  possono 
aver  provocato  un  livellamento  ritardatore;   ma  essenzialmente 


'  Tra  le  fonti  oscillanti  di  cui  ò  più  materiale  (24),  14  conservano  una 
traccia  almeno  di  ei,  16  anno  già  almeno  qualche  caso  di  ti,  17  di  ?(: 
in  8  prevale  et,  in  10  ii,  in  3  e(;  la  pili  vecchia  di  queste  fonti  è  di  [80], 
le  altre  sono  in  gran  maggioranza  superiori  a  [50],  si  giunge  però  sino 
a  [27]. 


150  Terracini, 

abbondano  lo  parole  isolate  e  fanno  difetto  serie,  sia  pnr  brevi, 
di  nna  qualche  consistenza.  A  queste  condizioni  coriisponde  un 
grande  oscillare  di  risultati  in  cui  pure  si  può  fissare  qualche 
punto  interessante.  L'assimilazione  in  qualche  caso  è  stata 
aiutata  da  circostanze  particolarmente  favorevoli  :  accanto  e  pa- 
rallelamente ad  ei  ed  gi,  esiste  un  grado  ci  che  pare  preferire 
la  sede  semiprotonica  ^;  cioè  la  brevissima  vocale,  venendo  ad 
essere  toccata  da  un  leggero  accento,  si  turba,  e  questo  turba- 
mento deve  facilitare  il  suo  passaggio  ad  iù  Una  tale  ipotesi  si 
appoggia  sul  fatto  che  in  alcune  fonti  si  à  veramente  ancora 
un'alternanza  per  cui  la  semiprotonica  si  trova  ad  essere  un 
grado  più  avanzata  dell'atona  ^  e  su  casi,  come  quello  di  M.,  la 
quale  possedendo  d,  accetta,  pare  per  diretta  sostituzione,  YU 
dei  più  giovani,  in  esempì  di  semiprotonica  ^.  La  velocità  dell'ar- 
ticolazione conta  pure  per  qualche  cosa:  tutti,  anche  i  più  vecchi, 
anno  in  un  pronome,  cioè  in  atonia  di  frase,  seV  isi  (questi); 
solo  da  M.  potei  ancora  fuggevolmente  cogliere  l'antico  seL 
Abbastanza  bene  si  delinea  l'influenza  acceleratrice  di  un  5,  0 
forse  più  esattamente,  del  frequente  gruppo  ijs,  che  porta  con 
sé  assai  facilmente  la   scomparsa   della   semiconsonante  *.  S'in- 


^  ei  può  naturalmente  in  qualche  individuo  trovarsi  anche  in  sede  com- 
pletamente atona- 

-  ei  in  undici  casi  compare  in  semiprotonica.  in  cinque  no.  Le  tracce  di 
alternanza  sono  di  questo  tipo  :  peirucl,  peirulà't  [60],  0  pHróel,  piii'ulà't  [73], 
ciò  non  esclude  naturalmente  che  non  si  possa  trovare  anche  l'inversa. 

^  Ecco  una  lista  d'esempi  dati  da  M:  ffi/óel  ("2  volte),  mrisunà',  ffifóel, 
piii'ulà't  (2  volte),  miisunerl. 

■*  Questo  gruppo  ricorre  in  numerosi  vei'bi  :  fiisù,  Ui^sa,  biisà,  miisunà, 
inoltre  fiisinà',  fiislà',  nii\suneri.  La  riduzione  ad  i  era  poi  quasi  fatale 
per  questo  più  che  per  ogni  altro  gruppo, perché  la  posizione  della  lingua 
per  i  è  approssimativamente  la  stessa  che  per  s  e  quindi,  essendo  invece  X 
articolato  un  po'  pili  avanti,  coll'abolirlo  si  evita  un  lavoro  di  rapida  an- 
data e  ritorno. 


Il  parlare  d'Usseglio  151 

travvede  a  mala  pena  una  certa  frequenza  del  grado  avanzato 
in  piiriel,  fiif<vl\  per  ciò  che  mi  dice  il  mio  materiale,  un  po' 
scarso  su  questo  punto,  eifil  (aceto)  ^  non  mostra  un'ugual  ten- 
tenza;  si  dovrebbe  quindi  conchiudere  che,  se  qui  la  chiusura 
dipende,  come  sembra,  dal  color  della  tonica,  essa  prevale  in 
piiròcl  fiifà'l  perché  sono  parole  pili  frequenti  e  unite  come  in  una 
piccola  serie.  La  tendenza  conservatrice  di  un  gruppo  isolato 
si  vede  in  leità,  presso  taluni  in  forte  ritardo,  dove  però  può  aver 
aiutato  lait;  e  meglio  in  eiminà'  che,  nonostante  la  sede  semi- 
protonica,  secondato  anche  dal  suo  carattere  arcaico,  riesce  a  sal- 
varsi sino  tra  i  più  giovani.  Notevoli  infine  tre  fonti  di  2*. 
nelle  quali,  certo  isolatamente  l'una  dall'altra,  l'oscillare  della 
l''  gen.  provocò  un  movimento  regressivo,  per  cui  esse  s'atten- 
gono con  molta  coerenza  ad  un  chiarissimo  ei  '■ 

23.  Un  processo  assimilativo,  in  sede  prettamente  tonica  co- 
mincia a  delinearsi  pel  dittongo  a  vocale  piuttosto  breve  v.  §  1. 
n.  133.  -éj-.  che  tra  molti  giovani  suona  già  chiaramente  -e/-. 

24.  Un  processo  profondamente  diverso  presenta  la  caduta 
della  semiconsonante  nel  nesso  -óint-^  -ònt-  (gointa,  koint);  oi 
non  è  più  dato  che  da  alcuni  vecchi  e  da  pochi  soggetti  della 
2*  gen.,  tra  i  quali  ricorre  pure  il  grado  intermedio  o*;  la  sem- 
plificazione ebbe  il  suo  primo  centro  al  Cortv.,Vill.  donde  si 
irradiò  subito  alla  Pr.,  più  lenta  invece  fu  nelle  altre  borgate  ^. 
Ora  nel  centro,  da  tutte  le  fonti,    conservino    o  no  il  dittongo, 


'  A  parte  le  fonti  che  anno  n,  tra  le  altre,  in  un  solo  caso  su  cinque  si 
à  iif  il  [52];  èiinina,  o  simili,  ò  da  [47,  63,  30,  .5-3  73].  che  altrimenti  non 
anno  più  che  ii^. 

'  [45,  45,  43]. 

^  Mentre  al  Py.  si  à  ai  in  un  individuo  di  [43]  e  alle  Fz.  di  [46],  al 
Cortv.  non  l'ò  che  da  [90]  alla  Pr.  [80]  ;  la  fonte  F  [64]  del  Cortv.  accanto 
alla  forma  addirittura  piemontese  kioit  mi  diede  una  volta  spontanea- 
mente koint. 


152  TtM-raciiii, 

raccolsi    in    grande    riiaggioranza    un  d    ili    spiccata    lungliezza, 
nelle  frazioni  estreme  questi  casi  son  di  gran  lunga  pili  rari  ^ 


Mfg. 

Pr. 

V 

ili.  Cori. 

Py.  Pz. 

I. 

oi  (o) 

6  [oi] 

Ò    {()Ì) 

oi     io'',    0 

II. 

0 

ò 

ò 

0       0* 

III. 



ò 

— 

ò 

Questa  lunghezza  non  può  essere  un  "  allungamento  di  com- 
penso „  che  si  sia  poi  esteso  alla  generazione  conservatrice;  al 
contrario  :  una  cosi  tarda  conservazione  del  dittongo  discendente, 
che  è  contro  la  tendenza  di  questi  paesi  -.  presuppone  già  di 
per  sé  una  vocale  lunga,  la  quale  poi  a  sua  volta  condusse 
questo  nesso,  pili  degli  altri  a  ciò  favorevole  ^,  alla  caduta  della 
semiconsonante.  Da  ciò  si  deve  dedurre  che  le  borgate  estreme, 
dove  manca  la  vocale  lunga,  e  nel  mantenimento  del  dittongo 
e  nel  rigetto  della  semivocale,  almeno  per  qualche  parte,  non 
fecero  che  uniformarsi  alle  borgate  centrali  ;  diffatti,  proprio  in 
una  di  esse,  alle  Pz.,  due  fonti  mostrano,  sia  pur  facilitato  dalla 
vicinanza  d'una  prepalatale,  (jonda,  cioè  un  isolato  tentativo  di 
semplificare  il  dittongo  secondo  una  delle  vie  che  gli  sono  na- 
turali, quando  la  vocale  non  sia  estremamente  lunga. 

25.  Questo  passaggio  è  appunto  notevole  perché  segnala  un 
movimento  nella  lunghezza  delle  toniche  di  cui  non  è  agevole 
cogliere  altre  tracce  esteriori.  0   però  netta   l'impressione  che, 


*  Alla  Pr.  Vili.  Cortv.  ebbi  sempre  la  lunga  in  una  ventina  di  esempi, 
tranne  due  casi.  Nelle  altre  frazioni,  su  una  quarantina  di  esempi,  non 
furono  notate  che  mezza  dozzina  di  lunghe  indifferentemente  o  od  oi. 

~  Si  ha  «i  a  Lemie  e  Chianoc,  e  ì<i>  ii  a  Mocchie,  dove,  v.  P.  If,  agi- 
scono le  stesse  cause  che  a  Usseglio. 

^  Cfr.  §  1  n.  .58  fiènta  (santa\  parola  isolata  che  cedette  ancor  prima  della 
nostra  serie. 


Il  parlare  d'Usseglio  153 

conformemente  a  ciò  clie  mostra  la  storia  di  ui.  la  lunghezza 
e,  pili  in  generale,  la  complessiva  energia  della  tonica  ^  si  fa 
assai  più  sensibile  nelle  generazioni  nuove,  soprattutto  al  centro 
del  villaggio.  A  conferma  di  quest'asserzione  valgano  alcuni 
indizi  secondari:  p.  e.,  la  gradazione:  Pr.  |80l  ki  ke  i  è?,  Pr.  [20] 
ki  kehe?  Cortv.  [23]  ki  kei^ii?  (chi  c'è?).  All'incremento  della  to- 
nica corrisponde  naturalmente  un  attutirsi  della  postonica  ;  si  ìt 
qui  a  che  fare  con  un  procedimento  di  vecchia  data  ^,  ma  che  in 
alcuni  casi  va  accentuandosi:  cosi:  vespu  (sera)  di  fronte  a  vespe 
è  diventato  una  rarissima  forma  arcaica  ^  e  nelle  gen.  2"  e  3'' 
nfjste  prevale  di  gran  lunga  a  nOstu.  Cosi  pure  è  più  facile  con- 
statare tra  i  giovani  il  fatto  che  l'accentuazione  vibrata  di  una 
tonica,  come  suol  avvenire  sulle  brevi  ^,  oscuri  la  postonica 
finale:  rnndul"  (rondini),  lmùsc^\  (le  mosche!).  Ed  è  quest'in- 
cremento d'energia  l'innovazione  più  importante  e  più  vitale 
che  si  stia  ora  svolgendo  nel  seno  della  parlata,  innovazione, 
non  certo  d'origine  locale,  v.  P.  II,  dalla  quale  in  qualche  mi- 
sura prendono  origine,  spinta  e  direzione  molti  dei  mutamenti 
avvenuti  in  etk  antica  o  recente  :  la  semplificazione  dei  dittonghi 
ascendenti,  l'aiticolazione  vibrata  e  il  tui-bamento  delle  vocali 
nasali  brevi,  la  soppressione  di  altre    vocali    toniche    turbate  e 


'  Uso  apposta  questa  espressione  generica  perché  tale  energia,  se  è  facile 
a  cogliersi,  è  difficile,  come  ognun  sa,  ad  essere  rettamente  analizzata. 

^  Tra  i  vecchi  qualche  volta  si  ode  -a^-^  [ramàxe)  \^Qx  -à^i  e  si  à  probabil- 
mente a  che  fare  con  l'ultima  eco  di  un  fenomeno  della  V.  di  Susa  (v.  P.  II, 
dove  anche  si  vedr-à  come  si  debba  a  fattori  puramente  estrinseci  la  con- 
servazione della  vocale  piena  a  Uss.);  ma  oggi,  in  tutte  le  generazioni  s'à 
di  nuovo,  sotto  accento  di  frase:  -'^s*.  Cosi  pure:  be.^fi  e  sir\  ecc. 

'  L'ò,  accanto  alla  nuova  forma,  p.  es.  da  A,  ed  è  la  forma  pili  antica 
in  questa  regione;  vostre  è  già  attestato  dalla  Par.  (19). 

*  Nei  proparossitoni  e  nei  parossitoni,  quando  sono  pronunziati  con  into- 
nazione esclamativa. 


1-^4  Terracini, 

forse,  in  qualche  parte,  sin  la  stessa   progressione    delFaccento 
e  l'irrompere  di  forme  forti  all'interno  della  frase  ^ 


IV. 


Considero  a  parte  i  passaggi  :  /  >>  A,  f?  >  h  non  solo  perché, 
essendo  ristretti  ad  una  sola  borgata,  si  prestano  assai  bene  per 
uno  studio  di  dettaglio,  ma  anche  peiché  si  avrà  Foccasione, 
ormai  unica  ad  Uss.,  di  esaminare  la  storia  di  due  suoni  ignoti  al 
sistema  piemontese;  ed  occorre  vedere  se  questa  circostanza 
influisca  sul  loro  destino  e  se,  e  come  si  provveda  alla  loro  so- 
stituzione. Come  complemento  ci  porremo  quindi,  sebbene  anche 
in  questo  caso  si  giunga  troppo  tardi,  la  questione  inversa:  si 
cercherà  in  qual  modo  vengano  accettati  o  sostituiti  i  suoni 
piemontesi  estranei  alla  parlata  locale. 

26.  Piazzette: />> A  -,  v.  §  1,  n.  139.  Per  la  ?>^  gen.  il  passaggio 
può  dirsi  un  fatto  compiuto,  le  altre  due  generazioni  ci  serbano 
invece,  nella  grande  varietà  delle  testimonianze,  una  traccia 
delle  sue  tappe.  A,  la  fonte  più  arcaizzante,  possiede,  nella  gran 
maggioranza  dei  casi,  ancora  /,  ma  scivola  piuttosto  facilmente 
nell'/i,  quando  si  tratti  di  forme  pronominali  di  qualunque  ge- 
nere ed  anche  le  altre  fonti  che  posseggono  ancora  /,  non  lo 
conservano  mai  nel  pronome.  Il  Gauchat  a  Charmey  à  pure 
notato  qualche  cosa  di  simile^  e  l'à  attribuito  alla  grande  fre- 


*  Per  la  cronologia  di  tale  irruzione  valga  quanto  si  è  detto  §  1,  n.  237  sgg. 
e  in  tutta  questa  App.  1.  Collegando  i  dati  dei  nn.  16,  18,  20,  21,  risulta 
che,  di  tutte  le  borgate,  il  P.y.  è  quella  che  conservò  più  a  lungo  l'antica 
alternanza. 

.     ^  Qui    la    somma   delle    fonti    rappresenta    circa    il    15  "  ^    dei    i)arlanti, 
ipi  >  ihi  (qui),  ramapi  >  ramahi,  ecc. 

^  Gauchat,  209.  Lo  stesso  appunto  fu  già  mosso  dallo  Hkuzog.  ZFrSL, 
XXXIII2,  28. 


Il  parlare  d'Usseglio  155 

quenza  delle  forme  pronominali  che  le  rende  particolarmente 
atte  ad  accogliere  per  prime  il  suono  innovatore.  Non  va  tut- 
tavia dimenticato  che  il  passaggio  p^li  consiste  in  un  inde- 
bolimento dell'articolazione  e  che  questo,  di  necessità,  deve 
dapprima  toccare  forme  le  quali,  come  il  pronome,  stanno  preva- 
lentemente all'inteino  di  frase.  Infatti  immediatamente  dopo  il 
pronome,  vengono  le  forme  verbali:  anche  qui  A  presenta  ìi  un 
numero  di  volte  molto  più  alto  che  in  altri  casi  ^  e  le  fonti  che 
ancor  conoscono/  non  lo  anno  nel  verbo.  Nei  sostantivi,  astraendo 
per  ora  dalla  finale  di  parola,  /  mi  fu  ancora  dato  da  individui 
di  [4G,  36];  nella  vai'ietà  delle  risposte  risulta  senz'altro  che, 
in  sede  intervocalica  il  colore  delle  vocali  è  indifferente;  dopo 
consonante  la  cosa  è  più  complicata:  all'interno  non  si  presen- 
tano che  r,  n,  il  la  cui  articolazione  equivale  ad  una  vocale,  nel 
senso  che  favorisce  piuttosto  ìi  che/;  all'iniziale,  quando  nel  con- 
gegno della  frase  venga  ad  essere  sostenuto  da  una  dentale, 
esso  riesce  a  reggersi  più  a  lungo  ^;  se  si  vogliono  poi  esaurire 
tutti  i  mezzi  consueti  di  classificazione,  dalla  massa  degli  esempì 
risulterebbe    che  1\  in    protonia.  prevale  leggermente  ^.  In  con- 


^  Su  25  sostantivi,  A  diede  due  h,  quattro  invece  su  otto  verbi. 

-  Quindi:  rf'  piid^i  o  equivalenti  fu  dato  da  [78,  73,  73,  66,  46,  43,  39,  37.  27]. 

^  Per  quanto  per  le  consonanti  solitamente  non  vi  si  ricorra,  ò  tentato 
qui  sommariamente  questa  distinzione  perché  in  questo  caso  mi  sembra 
risultare  con  particolare  evidenza  come,  in  generale,  l'incerto  oscillare  di 
un  suono  non  trovi  spiegazioni  sufficienti  in  una  pili  minuta  classificazione 
fonetica,  secondo  il  metodo  consueto,  o  come  almeno  c^uesta  debba  essere 
subordinata  a  fattori  di  ben  maggiore  importanza.  P.  es.  come  mai  una 
serie  numerosa  come  quella  in  -a^i,  potrebbe  essere  studiata  alla  stessa 
stregua  dei  due  solitari:  ngpe,  krgfii  o  deìV unico  duf>il  (le  altre  vocali  non 
ricorrono  mai  come  toniche).  Parimente  sono  certo  pili  o  meno  omogenee 
e  meglio  paragonabili:  caupe,  faitpi,  marpi  con  pànpi  che  questo  col  suf- 
fisso -enpi,  suffisso  recentissimo,  e  cosi  via.  Per  queste  considerazioni,  credo 
che  la  perfetta  equivalenza  dei  risultati  forniti  nei  vari  casi    dal  mio  ma- 


156  Terracini, 

clusione,  ìi  penetra  sopra  tutto  là  dove  la  posizione  nella  frase 
facilita  la  debolezza  dell'articolazione;  da  questo  risultato  pren- 
dono dunque  singoiar  valore  alcuni  casi  d'alternanza  che  si 
possono  cogliere  qua  e  là:  na  bela  canpùn  ma:  la  canhun  iki^; 
la  capi,  ma:  la  cahi  du  camup.  Meritano  poi  d'essere  rilevati 
alcuni  tiatti  particolari  e  secondari  di  questa  penetrazione:  ad 
eccezione  di  A,  si  à  sempre  1ùnk  e  liènt\  cioè  il  tipo  più  co- 
mune, trattandosi  di  numeri:  hènt  lire  riuscì  a  produrre:  i  seti 
hèìit  e  apri  cosi  una  via  all'intacco  di  p  sotto  accento  di  frase. 
Abbastanza  chiara  si  delinea  la  maggior  resistenza  di  -api, 
uscita  assai  ricca,  che  in  molti  casi  acquista  il  valore  di  un  vero 
e  proprio  suffisso.  Un  soggetto  di  [73]  presenta  una  maggior 
resistenza  all'iniziale  di  parola,  egli  avrebbe  dunque  per  conto 
suo,  generalizzato  la  condizione,  che  per  le  vicende  della  fone- 
tica sintattica,  contradistinguo  questa  sede  ^ 

Le  condizioni  alla  finale  di  parohx  permettono  di  mostrare 
ancor  meglio  qual  sorta  di  lavorio  disparato  richieda  il  con- 
guagliamento di  una  serie.  Qui  h  è  in  ritardo:  gli  esempi  di /» 
lungo  la  scala  di  tutte  le  età  sono  pili  fitti  e  si  riscontrano  sino 
in  un  individuo  di  |27l,  nessuna  differenza  notevole    risultando 


teriale,  risponda  al  vero,  sebbene,  per  inevitabili  ragioni  d'ordine  pratico, 
sia  stato  costretto,  su  questo  punto  particolare,  a- condurre  l'inchiesta  in 
modo  art'atto  sommario:  non  più  di  tre  o  quattro  casi  di  /  intervocalico  per 
ciascuna  delle  8  fonti  [78,  76,  73,  73, '^6,  66,  62,  50]  che  possiedono  an- 
cora /.  Notevole  soltanto  il  cahhi'in  di  [73,  73,  66,  66],  contro  canpnh  di 
[78,  50].  Meglio  varrà  qualche  osservazione  individuale:  mentre,  tranneché 
in  A  [78],  /  è  sempre  in  minoranza  su  h  ;  da  [66]  non  ò  che  due  casi 
di  //,  una  sua  coetanea  per  contro  non  à  più  che  un  p.  Date  queste  condi- 
zioni, la  fonte  di  [50]  che  ne  à  due,  può  ritenersi  un  caso  assai  in  arre- 
trato sulla  sua  generazione. 

^  Quanto  ad  -<///,  [72,  66,  46,  36]  non  conservano  p  che  con  questa  ter- 
minazione. Per  l'iniziale,  il  [73]  contro  cahhnn.  ohIió,  cahó'ii,  coiihe',  rumapi 
capi,  diede:  pindra,  pop,  pn-kui',  pokii. 


Il  parhire  d'Usseglio  157 

dalla  natura  del  suono  precedente.  Dimùrp  offre  poi  il  massimo 
di  tenacità  e  nella  serie  delle  mie  fonti  da  [78  a  27)  anni,  s'à 
un  solo  dimarli  ^  Ora,  essendo  h  un  indebolimento  di  /,  stupisce 
che  p  resista  pili  a  lungo  proprio  nella  posizione  che  è  pili  favo- 
revole al  rilassamento,  rilassamento  che  pure  in  questi  luoghi 
non  manca,  in  altre  circostanze,  di  agire,  v.  §  1,  n.  201  sgg. 
Occorre  anzitutto  notare  che,  v.  §  1,  n.  201  sgg.,  le  consonanti  finali 
«rano  in  gran  parte  cadute,  e  furono  rifatte  sul  piemontese,  nel 
nostro  caso,  l'estensione  della  proporzione  a  per/f^/  (pertugio)  è 
di  ciò  la  prova  diretta;  quindi  il  maggior  numero  di  questi  / 
è  secondario;  questa  ristaurazione  avvenne  quando  il  suono  / 
era  talmente  saldo  che  poteva  essere  sentita  una  corrispondenza 
piem.  .s- =  Uss.  p.  Tale  rinnovata  coscienza  del  rapporto  s  ^p 
à  certo  contribuito  a  ritardare  l'avvento  di  h  in  finale,  ma 
anche  altre  cause  isolate  l'anno  non  meno  di  certo,  procrastinato. 
Il  caso  vuole  che  si  tratti  quasi  esclusivamente  o  di  parole 
monosillabiche'^  nelle  quali  l'indebolimento  costituisce  pel  corpo 
della  parola  una  perdita  troppo  grave  o  di  una  terminazione 
come  -àp  di  cui  ci  è  nota  la  tendenza  conservatrice;  quanto  a 
,  dimàrp  (martedì),  è  una  parola  ideologicamente  ed  anche  fone- 
ticamente isolata  ^,  che  può  quindi  trovarsi  arretrata  come  già 
lo  fu  probabilmente  in  epoca  più  antica  :  può  difatti  darsi  che 
dimàrp  sia  una  delle  poche  parole  in  cui   la    consonante    finale 


-  *  Tra  le  fonti  che  anno  /  in    finale,    duP,  o  pufi  furono  date  da  [78,  76, 
73,  66,  50,  36,  27],  duJt,  ecc.  da  [66,  39,  37j,  [43]  oscilla  ;    grap,   brap,   ma- 
tarap  da  [78,  73,  66,  62,  43,  36],  -h  da  [66,  50,  46,  39,  32,  27],  desciiup  da 
178,  66,  43,  29],  -h  [50,  50,  46,  39,  27],  oscilla  [66]. 
'  Ditp,  pìip,  marp,  faup,  pep,  brap,  yicip,  ecc. 

^  Contribuì  a  questa  conservazione  anche  la  presenza  di  r?  [<)6,  50]  anno, 
contro  /(  che  loro  è  consueto,  marp  (marcio),  mi  mancano  però  altri  esempì; 
del  resto  (v.  P.  II)  questa  parola  dev'essere  un  acquisto  relativamente 
recente. 


158  Terracini, 

non  cadde  mai  ;  certo  sarebbe  almeno  difficile,  in  mancanza  di 
un  modello  piemontese,  dire  donde  potè  prodursi  la  ristaurazione  ; 
un  ritardo  di  questo  genere  è  poi  assicurato  per  pep  (petto),  pa- 
rola assolutamente  isolata. 

266.  Piazzette  ct^li^.  li  suono  parallelo  ctk  nel  suo  complesso 
un  destino  assai  diverso,  come  è  naturale,  comparendo  esso  in 
serie  di  parole  assai  disgregate  e  scarse.  Di  tutti  e  due  i  suoni 
cui  l'interdentale  può  e  suol  ridursi  :  h  e  d,  si  riscontra  qualche 
traccia.  Quattro  fonti  infatti,  in  maggioranza  della  2^  gen.,  pre- 
sentano una  varietà  di  et  in  cui  l'articolazione  caratteristica  è 
più  0  meno  indebolita  sino  a  ridursi  alla  semplice  espirazione: 
questo  indebolimento,  come  il  precedente,  è  nato  dapprima  in 
serie  verbali  -.  Tre  fonti  invece  presentano  '^ct  o  addirittura  d, 
senza  che  sia  possibile  distinguere  in  quale  serie  si  sia  dapprima 
introdotto  questo  suono  ^.  In  complesso  si  può  dire  che  la  poca 
coerenza  delle  parole  in  cui  occorre  d  agi  da  elemento  ritarda- 
tore in  tutte  le  generazioni. 

Il  passaggio  p  >  h  Q  m  ritardo  su  quello  analogo  di  Momp. 
e  di  Lemie;  la  concordanza  di  certi  dettagli^  non  basta  natu- 
ralmente ad  escludere  che  la    contiguità   geografica,  rafforzata, 


^  muffe  >•  muhe  (mungere),  diicTe  >■  duhe. 

'^  [73,  66.  39,  37,  20]  dei  quattro  primi,  tutti  anno  muhéi  (munge),  ma  solo 
due  h  in  sostantivi  ;  per  l'ultimo  che  possiede  già  J,  h  rappresenta  un 
grado  arcaico,  v.  sotto. 

^  [50,  43,  32]  tutte  queste  fonti  anno  sempre  ditcteina,  pur  avendo  d  in 
altri  sostantivi,  v.  sotto. 

'  A  Lemie,  p.  e.,  un  vecchio  di  [80]  ed  una  vecchia  sulla  settantina,  su 
una  lunghissima  serie  di  esempì,  non  diedero  p  che  in  finale;  p  all'interno 
vive  meglio  in  una  vecchia  appartenente  ad  una  piccola  borgata  assai  ap- 
partata. A  "  Utàn  ,  (fr.  di  Mocchie)  un  uomo  sulla  trentina  oscilla  all'in- 
terno ed  à  /»  in  finale.  Momp.  à  sempre  h,  e  mancanza  completa  di  con- 
sonante in  finale. 


Il  parlare  d'Usseglio  159 

per  Lemie,  da  particolare  intimità  di  rapporti  ^  non  celi  un  la- 
vorio in  qualche  parte  indigeno.  Quanto  r.  et  >  li,  lo  stato  dei 
paesi  vicini  ci  dice  che  h  e  un  indebolimento  secondario  di  (?, 
sporadico  e  limitatissimo,  che  si  verifica  nei  paesi  ove  et  non  giunse 
ancora  a  d^;  ora  alle  Piazz.,  anche  nel  numero  esiguo  di  esempi 
raccolti,  si  vede  che  ìi  è  pili  diffuso  ed  antico  di  d  e  allora  non 
resta  se  non  concludere  che  d  fu  dalla  2'^  gen.  direttamente  im- 
p  >rtato  da  Lemie;  h  poi,  essendogli  da  molto  tempo  preclusa 
la  via  naturale  della  V.  di  Susa,  sembra  ^  di  origine  o  almeno 
di  sviluppo,  locale. 

26c.  In  epoca  pili  recente  avvenne  che,  per  varie  tappe,  et,  [j,  h 
cominciassero  ad  essere  sostituite  da  s  e  /  piemontesi  ;  sostitu- 
zione assai  facile,  perché  la  parlata  possedeva  già  questi  suoni  ; 
la  spinta  più  forte  è  dovuta,  come  mostrano  molti  dett.agli  del 
procedimento  e  casi  analoghi  di  altri  paesi,  v.  P.  II,  al  desiderio 
di  abbandonare  un  suono  di  troppo  rustico  sapore;  ma  inoltre 
s  e  y  rappresentano  rispetto  a  et  e  p  una  sorta  d'indebolimento, 
si  che  qui  il  piemontese  in  parte  modificò  pili  che  non  promosse 
una  più  antica  tendenza   locale  ^,  e  di  ciò    per  et  si  noteranno, 


^  È  proprio  mentre  lo  interrogavo  su  una  lista  di  p,  che  [66]  ebbe  occa- 
sione di  dirmi  come  in  molte  famiglie  delle  Piazzette  il  linguaggio  non  sia 
più  "  puro  „  per  via  che  la  madre  è  di  Lemie. 

-  Si  vedrà  nella  P.  II  come  nel  sottile  territorio  a  cavaliere  tra  le  valli 
della  Stura  e  della  Dora  che  ancor  conosce  questa  interdentale,  i  centri 
maggiori  :  Mompantero  e  Lemie  anno  completamente  d,  nei  punti  estremi 
Mompellato,  Venaus,  rimane  et,  come  pui-e  p.  es.  a  Utuh,  borgata  posta 
rispetto  a  Mocchie  come  le  Pz.  rispetto  a  Uss.  Nel  territorio  di  et  si  anno 
sempre  esempì  isolati  di  /;. 

'  Sembra,  perché  noi  non  sappiamo  se  cotale  h  non  sia  l'eco  di  un'an- 
teriore fase  lemiese,  sopraffatta  poi  da  quella  del  et. 

*  Non  a  Uss.,  ma  altrove  v'è  traccia  che  vi  fu  esitazione  quanto  al  suono 
cui  si  doveva  assimilare  (f  ;  le  altre  due  valli  della  Stura  pur  avendo  gene- 
ralmente ^  presentano  in  molti  punti:  >nalegu,  '^  mélèze  ^,  v.  P.  II. 


160  Terracini, 

anzi,  alcune  prove  dirette;  p  e  et  vanno  scomparendo  assai  pili 
facilmente  di  h  (il  pi-imo  è  anzi  un  suono  ormai  arcaico),  l'uno  e 
l'altro  sono  infatti  appoggiati  a  serie  assai  meno  ricche  e  assai 
pili  di  h  sono  prossimi  ai  suoni  assimilatori.  Per  e? sin  dalle  fonti 
più  vecchie,  raccolsi  casi  di  /  nei  veibi  :  muféi  (munge)  ìtmfijt, 
cioè  nella  posizione  più  favorevole  ad  un  indebolimento^;  alla 
stessa  ragione  si  deve  la  precoce  apparizione  di  dilunf  in  finale; 
quanto  ai  sostantivi,  gli  esempi  da  me  scelti  erano  ducteina, 
màncTi,  sunoti  (sugna);  nel  primo,  sostenuto  da  diicte,  trècte,  ecc.  — le 
sole  voci  con  et  che  costituiscano  una  serie  un  po'  forte,  anche  per 
la  mancanza  di  una  diretta  corrispondenza  in  piemontese  —  la  re- 
sistenza è  m.issima,  gli  altri  sin  dalla  P  gen.  presentano  qualche 
oscillazione,  specialmente  l'ultimo,  il  quale  in  queste  valli  è 
assai  indebolito  dalla  concorrenza  di  graisi  -.  Quanto  a  /  e  h, 
mentre  h  nel  maggior  numero  dei  casi  fa  proporzione  con  s  e 
quindi  non  gli  cede,  /,  per  le  ragioni  già  dette,  si  lascia  scal- 
zare da  s.  Accade  cosi  che  il  linguaggio,  per  solito  purissimo  di  A, 
accolga  s  soltanto  però  in  forme  pronominali:  se,  snn  perché  nei 
pronomi,  oscillando  egli  tra  /  e  h,  il  suo  /  si  trova  ad  essere 
meno  forte  del  consueto.  Nei  restanti  individui  le  parole  paion 
cedere  isolatamente:  p.  es.  mataras,  voce  recente,  in  una  fonte 
€he  conserva  benissimo  h,  Camus  (camoscio)  giunge  sino  alla 
1^  gen.  ^;  naturalmente  poi  si  ode  spesso:  t  smle.  Di  qui  al  resto 
del  villaggio  vi  è  un  grandissimo  salto;  la  Par.  non  mostra  più 
che  isci:  una  forma  pronominale  fu  dunque  l'ultima  a  cedere  ed 


*  Se  anno  già  [78,  73],  per  quanto  et  resista  sino  presso  [36].  Diluncf  ò 
soltanto  da  [6'6"]. 

-  Ducteina  si  mantiene  sino  in  un  individuo  di  [27]  con  una  sola  eccezione; 
màhfi  ò  già  da  [66],  suhfi  da  [39].  In  complesso  adunque  quasi  tutta  la 
B'^.  gen.  non  conosce  che  /. 

'  Carnap  [66],  Camus  [73,  43,  89,  27].  e  però  voce  di  caccia  e  di  commercio 
che  certo  occorre  soprattutto  nelle  conversazioni  con  piemontesi. 


Il  parlare  d'Usseglio  161 

infatti  fuori  delle  Piazz,  non  trovai  traccia  di  /*,  che  in  qualche 
forma  pronominale,  sfuggita  a  due  vecchi  del  limitrofo  Piane  ^ 
27.  Il  suono  piemontese  -n-  (interv,  postonico)  è  ignoto  a  Uss., 
io  si  poteva  però  adottare  facilmente,  esistendo  in  finale  di  pa- 
rola un  -n  faucale  che,  specialmente  dopo  una  vocale  palatale, 
presenta  un'occlusione  abbastanza  stretta.  Per  ora  tutte  le  serie: 
-ana,  -eina,  -una  fanno  opposizione  a  quelle  piemontesi;  su 
-ina  invece  si  esercita  il  primo  sforzo  del  nuovo  suono,  e  la  cosa 
si  capisce  facilmente  :  questa  desinenza  in  Piemonte  è  abbastanza 
ricca  e  produttiva,  nei  dialetti  montanini,  come  suffisso,  non 
ricorre,  si  può  dire,  che  in  parole  recenti  -.  Un  tempo,  aveva 
luogo  naturalmente  la  sostituzione,  e  questa  è  ancora  comple- 
tamente osservata  in  alcuni  antichi  esempì:  s'uia,  ramina,  ma 
essa  vien  rapidamente  meno  quando  si  tratti  di  voci,  non  tanto 


^  Par.  Isci  (30).  Il  Salvioni  SVS  97,  insieme  a  casi  analoghi  di  V.  Soana, 
<ìi  Vili  e  d'altri  luoghi  del  Piemonte,  vi  vede  la  traccia  di  s,  grado  ante- 
riore dell'intei-dentale:  ciò  può  essere  giusto  per  qualche  paese;  per  Viii 
€  per  Usseglio  si  tratta  però  forse  di  ben  altro.  Usseglio  à  anche  eisce  (27) 
<avesse\  Vili  vistiscielo  (2-3),  ultimo  vestigio  di  quel  s  che,  spesso  nulla  avendo 
a.  che  fare  cogli  esiti  di  ti,  ci,  è  tanto  diffuso  in  molta  parte  del  fi-anco- 
provenzale.  Ora  nel  comune  di  Mocchie,  mentre  alcune  borgate  appartate 
■anno  p  <  ti.  e  j,  il  centro  à  s  <  s,  ti ,  ci,  e  certo  cronologicamente  poste- 
riore a  p;  qui  insomma  preesistendo  la  corrispondenza  *==piem.  s  (s),  a  /> 
•si  sostituì  s,  suono  raen  rustico  perché  in  qualche  parola  dotta  non  comple- 
tamente ignoto  al  pieni,  (cfr.  p.  es.  Par.  arsuscità  (22)  Asti,  Lanzo,  Corio): 
ora  naturalmente  a  s  va  sottentrando  s.  E  dunque  il  caso  di  domandarci  se 
le  due  forme  solitarie  della  Par.  non  attestino  anche  per  Usg,  una  tendenza 
■di  questo  genere.  È  certo  strano  che,  mentre  ci  risulta  che  un'ottantina  d'anni 
fa,  alle  Pz.,  fraz.  conservativa,  si  era  già  discesi  a  h,  al  centro,  pochissimi 
anni  prima,  esistesse  ancora  ,s,  e  soprattutto  nel  pronome,  che  abbiam  visto 
come  soglia  per  solito  precorrere  le  altre  parole  ben  decisamente.  Mentre 
invece  è  perfettamente  naturale  che  il  suono  s  abbia  trovato  il  suo  ultimo 
rifugio  contro  un  suono  straniero  e  nel  pronome  e  in  una  forma  del  verbo 
«ssere. 

-  V.  §  1,  n.  2.30  e  P.  11. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  Il 


162  .  Terracini, 

recenti,  quanto  estranee,  in  fondo,  al  vocabolario  corrente:  cosi 
farcidìna  prende  n  quasi  soltanto  presso  i  vecchi  ^  ;  kaplina  e 
inantlina  sono  generali  ;  si  tratta  del  resto  di  due  oggetti  non 
usati  nel  paese  e  qui  l'assunzione  del  suono  straniero  è  certo 
più  che  in  ogni  altro  caso  cosciente  e  muove  dal  medesimo  sen- 
timento per  cui  certe  parole  straniere  sono  assunte  in  italiano 
senza  modificazione  alcuna;  qui  la  cosa  però  à  più  gravi  con- 
seguenze perché  porterà  fra  non  molto  all'estinzione  dell'antico 
suono. 

28.  È  tanto  vero  che  -ina.  come  suffisso,  mancava  nel  paese 
di  un'adeguata  corrispondenza,  che  esso  fu  assunto  senza  pro- 
gressione d'accento  anche  nelle  più  vecchie  generazioni'"^.  La  pro- 
gressione è  invece  per  ora  vitale  in  tutti  gli  altri  casi  tranne  che 
per  -età  (itta);  l'antica  forma  di  suffisso  a  progressione  di  tipo 
viultà'  non  è,  né  doveva  essere  molto  produttiva  v.  P.  II  ;  tut- 
tavia alcuni  neologismi  ebbero  una  certa  tendenza  ad  essere  as- 
similati, come  fan  fede  doppioni  quali:  furkèta,  furketa,  servièta^ 
se >•  vieta'  \  altri  invece  si  mantengono  intatti;  la  presenza  di  kareta 
p.  es.  sino  nelle  fonti  più  arcaiche  proverebbe  che,  anche  in  questo 
caso,  la  mancanza  di  progressione  è  dovuta,  nonché  all'età  re- 
cente, all'aspetto  straniero  del  suffisso.  Questo  suffisso  presentava 
due  articolazioni  ormai  inusitate  alla  parlata:  e  e  la  consonante 
lunga;  ma,  a  poco  a  poco,  il  paese  le  à,  si  può  dire,  imparate, 
cioè  à  sempre  meglio  cercato  di  imitarle;  tuttavia  la  lunga^ 
in  alcuni  vecchi  è  poco  sensibile  ^\  la  vocale  poi  è  sempre  breve, 
ora  chiusa,  ora  aperta,  ma  tranne  che  tra  i  giovani,   non  pos- 


^  Nella  P  gen. 

-'  La  mancata  progressione  di  -imi  come  suffisso,  è  di  grandissima  esten- 
sione, V.  P.   II. 

^  Questo  stadio  conservano  invece  tebi,  piem.  ubi  tiepido  ;  nebifi  (nebbia). 
perchè  ben  entrati  ormai  nell'uso  del  paese. 


Il  parlare  d'Usseglio  168 

siede  ancora  l'articolazione  vibrata  ed  il  colore  neutro  che  sono 
proprii  del  suono  piemontese. 


YK 


Da  ciascuno  degli  esempi  che  siamo  venuti  studiando  risulta 
assai  chiara  l'importanza  che  à  il  breve  volgere  di  una  gene- 
razione nel  destino  di  una  qualsiasi  innovazione;  ma,  men  facile 
assai  è  il  determinare  quale  sia  l'azione  e  l'importanza  relativa 
di  ciascuna  di  esse.  Se  per  azione  s'intende  la  capacità  a  inno- 
vare e  se  per  .segno  di  questa  si  assume  lo  stadio  di  oscillazione 
tra  due  forme,  quasi  ogni  attività  risulta  concentrata  nelle  due 
generazioni  pili  vecchie  le  quali  ne  rappresentano  due  gradi  suc- 
cèssivi. L'attività  della  2^  gen.  appare  tuttavia  alquanto  mag- 
giore perché  essa  assomma  alle  sue  proprie  innovazioni  la 
elaborazione  di  quelle  ereditate  dalla  1=*  che  non  sono  ancora 
pervenute  allo  stato  d'equilibrio.  Il  grande  lavoro  innovativo 
i  della  2""  gen.  risulta  poi  indirettamente  da  un  altro  fatto:  ven- 
gono ad  essere  assai  numerosi  nella  P  generazione  i  casi  di 
reazione  e  di  adattamento  imperfetto  ;  essi  sono  il  segno  certo 
che,  verificatosi  un  fatto  nuovo  in  uno  strato  medio  della  popo- 
lazione, esso  non  solo  discende  tra  i  pili  giovani,  ma  viene  anche 
adottato  dagli  strati  più  anziani;  qui  però  la  novità  trovandosi 
di  fronte,  come  tra  i  pili  giovani  non  accade,  ad  un  fatto  pre- 
cedente, à  minor  presa,  poco  o  nessun  ulteriore  svolgimento 
e  sovente  è  accettata  solo  in  grazia  ad  un  adattamento,  quando 


'  Per  questo  riassunto,  di  tutta  la  vasta  letteratura  dell'argomento,  dallo 
Schuchardt  fino  al  Vossler,  non  si  citeranno  per  solito  che  le  considerazioni 
del  Gauchat  e  dei  suoi  critici,  le  quali  anno  punti  di  contatto  più  diretto 
con  questo  lavoro. 


164  Terracini. 

il  SUO  influsso  non  si  risolva  in  una  semplice  reazione  ^  La 
3^*  gen.  invece,  almeno  nei  suoi  elementi  più  giovani,  non  in- 
troduce nulla  di  nuovo.  Ad  essa  la  forza  dell'educazione  e  la 
mancanza  di  un  sostrato  linguistico  proprio,  che  faccia  da  ele- 
mento oppositore,  conferiscono  il  semplice  compito  di  accogliere, 
ed  eventualmente  di  propagare  e  di  livellare  le  novità,  nate 
nella  generazione  precedente  ^. 

È  poi  inutile  notare  come  la  divisione  per  generazioni  non 
sia  che  un  semplice  espediente  pratico  e  quanti  ritardi  od  ac- 
celeramenti inopinati  subisca  ogni  passaggio  da  individuo  a  in- 
dividuo. Certo  ve  ne  sono  alcuni  ^  che  in  complesso  si  manten- 
gono decisamente  in  avanzo  o  in  ritardo  sui  loro  coetanei  ;  ma 
ciò  è  ben  lontano  dal  far  presupporre  che,  in  ogni  caso,  l'at- 
teggiamento di  ciascun  parlante  debba  essere  sempre  il  mede- 
simo. Cosicché  accade  che  le  fonti  più  arcaiche  si  possano  tro- 
vare all'avanguardia  della  loro  generazione  o  che,  negli  individui 
più  propensi  a  innovare,  sì  mantengano  alcuni  arcaismi,  con 
singolare  tenacia  ■*. 


'  Per  innovazioni  accolte  direttamente  dalle  più  vecchie  gen.  non  occorre 
dare  esempi;  per  innovazioni  che  invece  vi  provocarono  un  adattamento  im- 
perfetto 0  una  reazione,  v.  n.  8  (5^  p.  in  -et),  15  (p^uvóit?),  18  (òn),  19  {-ai 
e  desinenza  verbale  in  -ai),  20  (a). 

^  Sull'ufficio  preponderante  della  2*gen.,  cfr.  le  considerazioni  del  Gauchat 
p.  224  e  dello  Herzoo  ZFrSL  XXXIII  224.  Il  paragone  che  lo  Herzog  fa,  a 
proposito  della  facilità  con  cui  i  bimbi  possono  mutare  le  loro  articolazioni 
che  non  son  ancor  fisse  come  quelle  degli  adulti:  "  il  superare  un  passaggio 
difficile  al  pianoforte  con  certe  determinate  dita  è  più  facile  a  chi  non  l'à 
ancora  provato  che  a  chi  ha  tentato  di  farlo  ponendo  le  dita  in  un  altro 
modo  „  tratto  fuori  dal  campo  del  puro  meccanismo  muscolare,  calza  benis- 
simo anche  al  nostro  caso. 

^  Specialmente  un  uomo  del  Cortv.  [43]  in  ritardo  per  i  n.  18,  19,  22  e, 
forse  ancor  più  decisamente,  A  e,  in  un  certo  senso,  anche  E. 

*  Cfr.  le  osservazioni    ripetutamente    fatte    per    M  e,   nel    secondo  caso, 


^ 


Il  parlare  d'Usseglio  165 

A  spiegare  questi  ondeggiamenti  fu  invocata  da  varie  parti  ^ 
la  diversa  condizione  in  cui  ciascun  individuo  fu  educato.  Ma 
bisogna  pure  ammettere  che  in  questo  ondeggiare  cronologico, 
insieme  alla  varia  educazione,  cooperi  fortemente  un  elemento 
individuale,  proprio  di  ciascun  parlante.  P.  es.  nei  passaggi  che 
per  lo  stato  delle  loro  serie  sono  assai  lenti  ed  irregolari  non  solo 
ogni  fonte  oscilla  pili  del  solito,  ma  più  del  solito  si  riscontrano 
esempì  di  individui  in  ritardo  o  in  anticipo  sulla  propria  gene- 
razione; a  che  punto  giunga,  ove  le  circostanze  attenuino  il 
potere  della  massa,  l'esplicazione  del  fattore  individuale  si  vede 
bene  qui  dove  troviamo  persino  il  caso  di  alcuni  individui  che, 
nell'oscillare  della  generazione  educatrice  tra  due  forme,  tor- 
nano addirittura  a  generalizzare  quella  più  arcaica  ^. 

Comunque  sia,  si  può  veder  per  molti  indizi  come  il  grado, 
direi,  di  adesione,  di  ciascun  parlante  a  ciascuna  tendenza  sia 
di  una  varietà  stupefacente.  L'interrogazione  stessa  serve,  come 
è  noto,  in  questi  casi,  come  di  reagente  per  mostrare  il  vario 
grado  di  spontaneità  e  quindi  di  fissità  di  certi  fatti:  quanto, 
in  ciascun  soggetto,  è  ormai  fossilizzato  non  può  mai  trovar 
posto  nelle  risposte  provocate  da  un'interrogazione  diretta;  nei 
casi  poi  di  oscillazione,  il   soggetto,    se    è   invitato    a   ripetere, 


per  F  ;  questi,  ad  es.,  che  giunge  perfino  ad  avere  delle  5*  p.p.  in  -e',  è  d'altra 
parte  uno  dei  pochissimi  che  abbia  una  traccia  di  q  <  o. 

*  RoussEi.oT  RPGr  V.  401  ;  Herzog,  Streitfragen  der  roman.  Philol.,  Halle, 
1904,  p.  57. 

-  Certo  non  si  può  senz'altro  ritenere  come  personale  ogni  caso  isolato, 
ma  anche  in  una  ricerca,  per  forza,  incompleta,  la  massa  di  questi  casi  mi 
par  avere  qualche  significato  ;  cfr.  i  vari  atteggiamenti  nell'oscillare  della 
5*  p.  p.  in  -é  p.  123  il  comportarsi  di  F  rispetto  alla  3^  p.  in  -ai  p.  142  n.  19d. 
f>  generalizzato  all'iniziale  di  parola  p.  156  n^  1.  E  si  possono  ritenere  come 
esplicazione  dell'attività  individuale  tutti  i  casi  d'imitazione  che  si  citano 
nel  testo.  Ma  un  esempio  che  ci  mostra  l'attività  individuale  in  singolari 
condizioni  di  spontaneità  è  quello  del  n"  13. 


166  Terracini, 

sovente  soltanto  la  seconda  volta  dà  la  risposta  di  cui  a 
maggior  coscienza,  appartenga  essa  al  grado  conservativo  o 
no,  mentre  la  prima  rappresenta  qualche  cosa  di  relativamente 
più  spontaneo.  P.  es..  A,  dopo  aver  detto  (juvati  (giovane) 
corresse:  guva;  egli  à  già  come  un  forte  sentimento  della 
forma  nuova,  sebbene  non  la  segua  sempre.  Sarebbe  invece 
assai  difficile  fargli  ripetere  un  hi  (questi),  che  pur  gli  sfugge 
abbastanza  sovente  ;  egli  direbbe  pi,  che  à  ancora  in  lui  sal- 
dissime radici;  cosi  un  vecchio  di  [64]  corresse  in  destisà  un  distisd 
che  nella  sua  borgata  è  ormai  un  vero  fossile.  La  mutabilità 
dei  parlanti  si  rivela  ancor  meglio,  per  un  altro  verso,  nella 
prontezza  di  imitazione  di  cui  talvolta  danno  prova.  Cosi'  [23\ 
e  sua  sorella,  dopo  avermi  dato  parecchi  esempì  di  5  p.  in  -é  si 
lasciarono  sfuggire  degli  -a,  ma  ne  avevano  uditi  frattanto  dalla 
madre  ;  lo  stesso  accadde  tra  una  donna  di  [31]  e  suo  marito  [43]  ; 
un  vecchio  poi  [63]  cadde  nella  serie  illegitttima  di  5*  p.  in  -ei, 
certo  aiutato  dall'eco  di  alcune  forme  legittime  d'impf.  cong. 
che  mi  aveva  dato  immediatamente  prima.  Il  fissarsi  di  queste 
improvvise  oscillazioni  deve  essere  rapidissimo  :  H  nel  1912  mi 
diede,  ripetute  volte,  forme  di  5^  persona  in  -ei  che  due  anni 
prima  gli  erano  ancora  ignote. 

Anche  ^  Usseglio  fornisce  qualche  fondamento  per  supporre  che 
le  donne  nelle  mutazioni  linguistiche  precedano  gli  uomini;  agli 
esempì  che  si  possono  radunare  dalle  indicazioni  date  via  via  ^, 
si  deve  aggiungere  che  l'aumento  di  energia  nell'articolazione 
delle  toniche,  v.  n.  25,  è  senza  dubbio  più  sensibile  nelle  donne. 
Ma  v'è  pure  un  numero  notevole  di  casi  in  cui  le  donne  sono 
in  arretrato  sugli  uomini;  non  mi  fu  possibile  veder  come  stiano 


'  Cfr.  Gauchat,  p.  224. 

-  V.  p.  138  n'*  1,  p.  141  n^  5,  p.  155  n^^  3;  pel  n.  19  due  vecchi  [64,  70] 
anno  -«X  e  la  moglie  del  secondo  [66]  -eL 


1 


Il  parlare  cVUsseglio  167 

le  cose  quando  si  tratti  d'innovazioni  importate  lentamente  dai 
paesi  circostanti,  ma  quando  s'à  da  fare   con  fenomeni   provo- 
cati indirettamente  o  no  dal  piemontese,  la  cosa  è  abbastanza 
chiara  ^  Essa  è  poi  confermata  da  un'altra  circostanza:  verso 
i  quindici  o  ventanni,  l'età  in  cui  maschi  e  femmine  incomin- 
ciano ad  emigrare  e  la  sola  in  cui  l'emigrazione  sia  fortemente 
perniciosa  alla    purezza    del    linguaggio,    avvengono  due   fatti: 
molte  ragazze  non  emigrando,  vengono  a   formare,  rispetto   ai 
loro  coetanei,  uno  strato  pili  conservativo  ;  altre  che  emigrano 
assimilano  il  piemontese  molto  pili  difficilmente  dei  maschi.  Se 
è  lecito  trarre  una   conclusione  da-  queste   considerazioni,   par- 
rebbe che  le  donne,  per  la  loro  condizione,  si  trovino  in  seconda 
linea  come  elemento  importatore  -  ed  abbiano  invece  una  parte 
preponderante   come   elaboratrici  e   trasmettitrici    delle  novità: 
non  solo  l'influsso  della  madre  sui  figli  è  assai  pili  sensibile  di 
quello  paterno,  ma  vi  sono  casi  in  cui  il  linguaggio  della  moglie 
à  certamente  contribuito  a  modificare  quello  del  marito  ^.    Con 
questa  maggior  attività  si  accorda  assai  bene  un  più  vivo  sen- 
timento del  proprio  linguaggio  :  in  generale,  e  non  solo  ad  Us- 
seglio  naturalmente,  una  donna   di   qualunque  età   si  dimostra 


^  V.  quanto  fu  detto  su  alfe  p.  109  n^  2;  la  5'^  p.  in  e',  già  accolta  da 
H  [46],  è  ignota  a  sua  moglie  [45]  ;  il  figlio  [20]  non  à  più  -à^  frequente  in- 
vece p.  es.  in  E  \22\  e  sua  sorella  \26\;  e  vengono  da  uomini  i  più  antichi 
esempi  dell'impf.  cong.  in  -eis-  n.    12. 

'  Non  forse  però  come  elemento  creatore. 

^  I  casi  più  chiari  sono  quelli  dati  dal  p  delle  Pz.  Una  vecchia  di  [80] 
del  Villaretto,  maritata  alle  P/,.,  non  lo  assimilò,  ne  lo  posseggono  i  figli: 
il  figlio  d'un  uomo  del  Piane  e  d'una  donna  delle  Pz.  ha  \h.  E.  coi  fratelli 
e  le  sorelle,  ha  una  caratteristica  modulazione  della  madre;  ma  già  al- 
trove si  vide  come  essi  tengano  un  e  dal  padre.  Un  uomo  delle  Pz.  [43] 
à  perso  Xh  probabilmente  per  influsso  della  moglie  che  è  del  Py.  \H7\,  un 
vecchio  di  [63]  à  certo  assunto  la  5^  persona  in  -ci  dalla  moglie  di  Mrg. 
Un  caso  inverso  fu  però  notato  poco  sopra. 


168  "  Terracini, 

fonte  pili  utile  che  un  uomo  e  pili  facilmente  riesce  a  tradurre, 
cioè  ad  opporre  il  proprio  al  linguaggio  dell'interrogante;  la 
differenza  si  fa  poi  specialmente  manifesta  tra  i  giovani. 

Nel  corso  di  questo  lavoro  furono  notati  dei  casi  in  cui  una 
qualche  particolarità  linguistica  si  disegna  nel  seno  di  una  sola 
famiglia  ^  ;  le  relazioni  di  ciascun  parlante  colla  comunità  sono 
COSI  varie  che  non  fa  meraviglia  se  gli  speciali  rapporti  tra  pa- 
renti non  appariscano  pili  palesemente;  ad  attestarne  almeno 
l'esistenza  si  possono  addurre  anche  alcuni  indizi  indiretti:  p.  es., 
tutti  i  casi  d'immediata  imitazione  or  ora  citati  li  ò  tra  membri 
di  una  stessa  famiglia  ;  e  bisogna  pure  che  nella  famiglia  risieda 
il  più  efficace  mezzo  di  propagazione  linguistica,  se  vediamo 
come  i  fenomeni  procedano  di  generazione  in  generazione  con 
velocità  e  conseguenza  notevoli  anche  nel  caso  in  cui  le  circo- 
stanze esteriori  tolgano  loro  ogni  forza  di  espansione  -, 

La  lentezza  della  propagazione  in  senso  estensivo,  la  quale  fa 
si  che  lo  stadio  di  oscillazione  possa  lungamente  durare  in  una 
sola  borgata  e  per  una  sola  generazione,  risulta  indirettamente 
confermata  dallo  stato  di  cose  presentato  dagli  emigrati;  il  loro 
linguaggio  può,  in  molti  casi,  conservare  i  suoi  tratti  originari 
senza  subire  l'influsso  del  nuovo  ambiente  ^.  La  resistenza  degli 
emigrati  è  però  forse  dovuta  anche  ad  un'altra  causa:  un  qua- 
lunque passaggio  par  che  si  compia  più  lentamente  se  assai 
piccolo  è  il  gruppo  entro  cui  si  forma;  qui,  trattandosi  di  indi- 
vidui isolati,  la  lentezza  diventerebbe  massima.  Ma  le  condizioni 
di  questi  emigrati  sono  troppo  speciali  perché,  senza  ulteriori 
ricerche,  se  ne  possa  qui  tener  conto. 


*  V.  p.  120  n--'  1;  p.  148  ti=^  2  ;  e  n.  U. 
'  V.  n.  6,  20. 

^  V.  n.  19.  Inoltre  nessuno    dei    quattro    emigrati  alle  Pz.  citati  or  ora, 
tra  cui  un  ragazzo  di  12,  assunse  il  p. 


Il  parlare  d'Usseglio  169 

Un  poco  più  netti,  ma  non  meno  e  non  diversamente  flut- 
tuanti, si  mostrano  i  rapporti  fra  masse  maggiori  di  popolazione. 
Ogni  borgata  riceve  ed  irradia  a  seconda  della  sua  importanza 
e  dei  legami  che  la  costringono  a  ciascuna  delle  altre.  Né  di- 
versa è  la  natura  delle  relazioni  coi  paesi  adiacenti,  sebbene 
esse  siano  naturalmente  meno  intime  e  nelle  cause  e  negli  ef- 
fetti. L'infiltramento,  il  contatto  continuo,  la  reale,  lenta  trasmis- 
sione del  fatto  linguistico  da  un  Comune  all'altro  mi  sembrano 
risultare  direttamente  e  indirettamente  provati  nei  modi  più 
diversi.  La  contiguità  geografica  che  di  questi  infiltramenti  non 
è  sempre,  a  stretto  rigore,  una  prova  sufficiente,  diviene  tale 
nel  caso  nostro,  perché  alle  varie  consonanze  conferisce  spesso 
uno  speciale  rilievo  il  fatto  che  esse  compaiono  agli  orli  sol- 
tanto del  paese,  o,  quando  sian  già  inoltrate  verso  il  centro, 
sono  distribuite  in  modo  da  lasciar  chiaramente  indovinare 
la  strada  che  anno  fatto.  L'esempio  più  perspicuo  è  quello  in 
cui,  concordando  Lemie  e  Mocchie  contro  Usseglio,  si  vede  lo 
stesso  fatto  penetrare  contemporaneamente,  e  da  Lemie  e  da  Val 
di  Susa,  ai  due  capi  opposti  del  paese  ^  Indirettamente  lo  scambio 
geografico  risulta  provato  dal  fatto  che  alcune  innovazioni  nate 
nel  centro  non  riescono  a  guadagnare  gli  orli,  se  non  si  trovano  a 
consonare  con  parte  del  territorio  vicino  ^,  anzi,  sebben  sia  que- 
stione che  non  converrà  riprendere  se  non  più  tardi,  pare  che  il 
paese  sia  potuto  pervenire  all'unità  quasi  unicamente  quando  dal 
centro  s'irradia  un'innovazione,  formata  o  in  formazione  anche 
al  di  fuori.  Giungendo  questi  casi  a  livellarsi  rapidamente,  non 
è  facile  dar  prove  dei  contatti  che  legano  il  centro  coU'esterno; 
non  è  del  resto  escluso  che  qualche  innovazione  sia  potuta 
penetrare  passando  regolarmente  di  borgata  in  borgata,  per  so- 


V.  TI.  7. 

V.  specialmente,  n.  20,  21. 


170  Terracini, 

lito  però  ciò  che  peneti-a  nelle  frazioni  estreme  non  à  la  forza 
di  proseguire  compiutamente  la  sua  strada.  La  forza  irradiatrice 
del  centro  s'è  quindi  potuta  studiare  quasi  soltanto  quando  essa, 
invece  che  nei  paesi  vicini,  trovi  un  appoggio  nel    piemontese. 

Per  quanto  scarso  e  condannato  a  vita  grama,  fu  a  pili  riprese 
accertato  un  elemento  innovatore  di  nascita,  o  almeno,  di  com- 
pleto sviluppo  locale  e  fu  visto  entro  quali  limiti  esso  possa  es- 
sere chiamato  spontaneo.  Questa  attività  d'impulso  locale  è  poi 
non  solo  soffocata  dalle  più  forti  correnti  straniere,  ma  anche, 
e  forse  più,  semplicemente  assorbita  e  nascosta  da  queste.  In 
una  notevole  quantità  di  casi  \  si  scopersero  indizi  i  quali  pro- 
vano che  innovazioni  forestiere  penetrano  concordando  con  ten- 
denze locali  preesistenti  :  tendenze  che  si  dimostrano  verosimil- 
mente locali  perché  solitamente  si  ritrovano  in  altri  punti  del 
nostro  territorio  con  aspetti  analoghi,  ma  ancora  isolate  dalla 
zona  ove  l'innovazione  si  è  già  uniformemente  distesa. 

L'odierna  uniformità  geografica  viene  dunque  talvolta  ad  ap- 
parire non  come  il  risultato  di  un  movimento  di  espansione  da 
un  determinato  punto  di  origine  a  molti  altri,  ma  come  una  pili 
o  meno  vasta  e  simultanea  pluralità  di  innovazioni,  su  queste 
innovazioni  —  ora,  per  le  stesse  condizioni  in  cui  sono  chiamate 
a  nascere"^,  omogenee,  ora  invece  varie  —  la  contiguità  geografica 
à  agito  come  semplice  elemento  unificatore,  aiutando  il  diffon- 
dersi di  uno  piuttosto  che  di  un  altro  prodotto,  congiungendo 
e  rafforzando  gli  sparsi  centri  in  cui  s'era  primamente  manife- 
stato. 


'  V.  specialmente  n.  5,  16/;,  26/>. 

-  Ad  analoghe  considerazioni  ricorre  il  Gauchat,  p.  230  per  spiegare  le 
•concordanze  tra  Charme}'  e  Cemiat  che  non  paiono  avere  tra  di  loro  con- 
tatto diretto. 


Il  parlare  d'Usseglio  171 

In  questo  lavoro  non  s'è  mai  fatta  una  distinzione  tra  i  fe- 
nomeni fonetici  e  analogici  e  non  s'è  fatta  perché  i  risultati  non 
la  giustificano.  I  processi  di  espansione^  sono,  nei  due  casi,  as- 
solutamente uguali.  Nei  cosiddetti  mutamenti  fonetici  si  notano 
dei  passaggi  che  avvengono  per  minimi  gradi  di  differenziazione 
da  suono  a  suono;  queste  minime  differenze  sono  per  vero  pili 
rare  di  quello  che  comunemente  si  creda  e  probabilmente  al- 
l'orecchio dei  parlanti  anno  lo  stesso  valore  di  quelle  più  vistose 
che  meglio  colpiscono  l'orecchio  dell'osservatore  straniero.  E  del 
resto  il  valore  reale  di  siffatte  distinzioni  "^  sembra  risultare  assai 
problematico,  se  si  tien  conto  che  anche  le  differenze  di  pro- 
nunzia pili  marcate,  come  le  leggere  sfumature,  sembrano  per 
solito  sfuggire  completamente  alla  coscienza  riflessa  dei  par- 
lanti; ad  ogni  modo  è  certo  che  la  presenza  di  questi  gradi 
intermedi  non  a  per  effetto  di  dare  ad  alcun  passaggio  una 
fisionomia  speciale. 

Il  punto  in  cui  le  innovazioni  morfologiche  paiono  procedere 
diversamente  da  quelle  fonetiche  è  che  molti  conguagliamenti 
morfologici,  che  senz'altro  si  suol  ritenere  analogici,  sono  più 
semplici  degli  altri  per  il  motivo  che  avvengono  entro  una  sola 
serie.  Ma  si  ebbe  occasione  di  lai-gamente  e  variamente  consta- 
tare che  —  a  parte  la  circostanza  secondaria  d'aver  a  fare  con 
serie  multiple  o  di  pochi  membri,  donde  la  maggior  incertezza 
del  livellamento  —  anche  i  passaggi  fonetici  sogliono  procedere 
per  serie,  il  cui  influsso  livellatore  risultò  enormemente  più 
evidente  che  quello  di  particolari  condizioni  fonetiche.  Ora  è 
verissimo   che   l'azione   di   queste   serie   è   tanto    più  perspicua 


^  Giova  forse  far  ancora  una  volta  notare  che  in  questo  lavoro  si  studia 
puramente  la  espansione  e  trasmissione  dei  fatti  linguistici, 
non    r  origine    e    causa    loro. 

-  Non  dimostra  di  tenervi  molto  neppure  Io  Herzog  ZFrSL,  XXXIII',  40. 


172  Terracini, 

quanto  pili  forte  è  il  loro  valore  funzionale,  cioè  semantico,  ma 
non  è  nien  vero  che  in  un  numero  notevole  di  casi,  l'unico  ele- 
mento che  tenga  unita  una  serie  risultò  essere  una  pura  conso- 
nanza 0  assonanza  ^  senza  che  perciò,  è  bene  ripeterlo,  il  pas- 
saggio cui  la  serie  prende  parte  avvenga  in  modo  diverso  dagli 
altri.  D'altro  lato,  il  valore  semantico  cui  ultimamente  fu  ricon- 
dotta l'intima  essenza  del  cosiddetto  processo  analogico  2,  si  rivela 
molto  sovente  ^  come  attutito  e  quasi  del  tutto  svanito,  tanto 
impensatamente  estesi  sono  i  livellamenti  cui  si  può  pervenire. 
L'essenziale  è  che  ogni  specie  di  serie  si  comporta  ugualmente 
rispetto  al  sistema  delle  proporzioni.  Questo,  che  certo  non  è  un 
processo  meccanico,  constatato,  come  fu,  in  azione  su  serie  in- 
tere e  non  solo  tra  il  villaggio  e  tra  punti  fuori  di  esso,  ma  per- 
sino tra  due  generazioni  del  villaggio  stesso,  merita  di  venire 
più  largamente  studiato  ed  assunto  come  un  fattore  d'impor- 
tanza capitale  nel  problema  della  trasmissione  del  linguaggio  ^. 
Il  processo  della  proporzione  è  duplice  :  ad  una  serie  corri- 
sponde una  serie  in  un  linguaggio  con  cui  il  parlante  è  in  con- 


'  Cff.  11.  15,  16,  19,  22,  24,  26  e  soprattutto  17,  20. 

•'  Cfr.  Herzog  ZFSL,  XXXI 112,  49. 

^  V.  specialmente  n.  7,  8,  13  e  cfr.  Jaberg,  p.  129. 

*  Proporzioni  sono  notate,  spesso  diversissimi  nomi,  si  può  dire  in  ogni 
lavoro  di  dialettologia,  ma  cfr.  specialmente  Gilliéròn,  p.  49  sgg.  ;  Gauchat, 
Festschrift  zum  14  Nphil.  Tage,  Ziirich,  1910,  p.  358  e  la  trattazione  del 
Gamillscheg  BhZrPh,  XXVJIP,  p.  162  sgg.  per  casi  che  avvengano  tra  due 
lingue  alquanto  diverse  e  importino  una  radicale  sostituzione  di  suoni.  Le 
trattò  come  un  fenomeno  analogico,  nello  stretto  senso  della  parola,  cioè  non 
le  ammise  per  serie  puramente  assonanti  e  per  ambienti  d'ugual  grado  di 
cultura,  lo  Herzog  ZFrSL,  XXXIIP,  38  sgg.,  cfr.  anche  XXXIV^  302.  Del 
resto,  anche  tra  semplici  villaggi  0  tra  due  generazioni  diverse  dello  stesso 
villaggio,  si  può  sempre  ritenere,  come  acutamente  ritiene  lo  Herzog  per 
gli  scambi  tra  lingua  e  dialetto,  che  essi  avvengano  per  una  sentita  0  in- 
tuita differenza  di  "  stile  ,  ;  è  questione  d'intendersi  sulla  larghezza  del  si- 
gnificato che  si  deve  dare  a  questa  parola. 


Il  parlare  d'Usseglio  173 

tatto  e  allora  una  voce  passa  da  un  linguaggio  all'altro  solo 
attraverso  ad  un  congruo  adattamento;  più  sovente  una  serie 
ne  assorbe  un'altra  perché  ad  ambedue  corrisponde  un'unica 
serie  nell'ambiente  che  influisce  sul  parlante.  Si  è  poi  visto 
come  la  proporzione  non  agisca  quando,  per  un  motivo  qualsiasi, 
una  delle  due  parti  si  trovi  ad  essere  più  debole^;  essa  allora 
accetta  senz'altro  la  forma  estranea  che  poi  si  propaga  con 
notevole  conseguenza  alla  serie  intera.  La  serie  dunque,  in  ge- 
nerale, non  ritarda  o  accelera  un  passaggio:  lo  rende  soltanto 
più  coerente  -. 

Tutto  questo  meccanismo  che  par  regolare  ogni  passaggio 
è  però  ben  lontano  dal  celare  gli  elementi  primitivi  della 
sua  grande  irregolarità:  s'è  constatato  anzitutto  come  le  circo- 
stanze per  cui  un  passaggio  s'inizia  possano  essere  le  più  di- 
sparate che  il  caso  aggruppa  ad  agire  tutte  in  un  medesimo 
senso;  ma  soprattutto  s'è  visto  come  certe  parole  singole  ^  pren- 
dano la  testa  o  la  coda  del  movimento,  secondo  il  loro  valore, 
il  loro  uso,  la  loro  origine.  Non  oserei  dire:  la  loro  frequenza; 
tutt'al  più  sia  notato  che  alcune  parole,  foneticamente  e  mor- 
fologicamente isolate,  sono  cosi  fisse  nella  coscienza  dei  parlanti 
che  si  comportano  come  se  fossero  delle  serie,  quasi,  si  potrebbe 
dire,  formano  serie  con  sé  stesse  *. 

Tutto  l'insieme  dei  fatti  studiati  lascerebbe  intravvedere  più 
profondi  problemi  :  qual  sia  il  grado  di  coscienza  dei  parlanti, 
che  valore  si  debba  dare  alle  condizioni  meramente  fonetiche 
ed  altri  ancora,  che  la  pochezza  del  materiale  qui  adunato  non 


*  V.  specialmente  n.  8,  9,  10,  11,  18,  19. 

^  Cfr.  Jaberg  BGIPSR,  X,  p.  73,  e  specialmente  Gilliékon,  o.  c,  p.  103. 
^  Cfr.  le  osservazioni  fatte  a  proposito  di  karà't  n.  12,  giivaii,  16,  e  vai. 
pari'i  n.  19,  drét  20,  Camus,  mataràs  n.  26,  eiinind'  n.  22. 

*  Alludo  particolarmente  al  destino  dei  pronomi  e  di  est;  cfr.  n.  17. 


174  Terracini, 

permette  di  tentare.  Ed  anche  su  tutto  il  complesso  di  conside- 
razioni contenute  in  questa  Appendice  si  dovrà  tornare  con  ben 
pili  larga  ricchezza  di  mezzi  nei  capitoli  seguenti;  non  parve 
tuttavia  inutile  l'esporle,  deducendole  puramente  dalla  varietà 
che  presenta  il  parlare  di  un  solo  villaggio. 

(Continua).  B.  A.  Terracini. 


NOTA     ADOIZIOÒSIALE 

A  chiarimento  e  giustificazione  dei  risultati  esposti  in  questo  lavoro  credo 
opportuno  indicare  con  quali  criteri  fu  raccolto  il  materiale  necessario.  11 
metodo  più  semplice  sarebbe  certo  stato  quello  di  interrogare  uniformemente, 
per  ogni  borgata  e  per  ogni  età,  una  cinquantina  di  fonti,  su  tutti  i  casi 
soggetti  ad  oscillazione  (circa  150  parole).  Questo  metodo  non  fu  potuto 
seguire  per  la  enorme  difficoltà  di  trovare,  specie  nelle  borgate  più  piccole, 
il  numero  di  fonti  necessario.  Il  dare  una  simile  estensione  alla  raccolta 
del  materiale  mi  parve  del  resto  superfluo.  Data  la  divisione  di  Uss.  in 
parecchie  borgate,  delle  quali  ciascuna  costituisce,  fino  ad  un  certo  punto, 
un'areola  linguistica  isolata,  quando  un  fatto  nel  corso  dell'inchiesta  si 
rivelava  proprio  soltanto  d'una  parte  del  paese,  era  opportuno  intensifi- 
carne in  questa  lo  studio  e  contentarsi,  per  quella  estranea  al  fenomeno, 
di  un  semplice  controllo  (p.  es.  n.  7,  8,  15,  24,  25).  Parimente  lo  studio  dei 
fatti  pei  quali  più  borgate  risultassero  procedere  d'accordo  poteva,  previo 
il  solito  controllo,  essere  particolarmente  ristretto  ad  una  sola  di  esse  per 
modo  che  lo  stesso  numero  di  fonti  venisse  a  rappresentare  una  più  alta 
percentuale  dei  parlanti.  S'aggiunga  che  un  fenomeno  oscillante  in  una 
generazione  è  per  un'altra  fisso  e  non  richiede  un  troppo  lungo  esame, 
donde  l'opportunità  di  variare  le  liste  anche  secondo  le  generazioni.  —  In 
séguito  a  tali  considerazioni,  determinati  dietro  la  scorta  del  materiale 
lentamente  raccolto  in  precedenza  (v.  le  fonti  indicate,  XVll)  i  punti  da 
studiare  e  la  direzione  da  dare  alla  ricerca,  procedetti  ad  una  prima  in- 
chiesta fra  una  trentina  d'individui  di  cui  dodici  mi  diedero  vere  e  proprie 
liste  con  più  di  60  parole.  Studiato  questo  materiale,  notandone  le  lacune 
e  determinandone  i  punti  passibili  di  riduzione,  procedetti  ad  una  seconda 


11  parlare  d'Usseglio  175 

»'  pili  vasta  ricerca.  Ebbi  cosi  complessivamente  una  quarantina  di  liste, 
contenenti  da  sessanta  a  più  che  un  centinaio  d'esempi,  e  tutte  opportu- 
namente disposte  secondo  l'età  e  la  borgata  delle  fonti,  oltre  ad  un  cen- 
tinaio tra  liste  minori  e  sparse  testimonianze  atte  a  confermare  e  precisare 
ijuesto  0  quel  fatto. 

Ritengo  che  l'ampiezza  di  questo  controllo  sia  pili  che  sufficiente  a  giu- 
stificare, per  ogni  fatto,  il  valore  del  materiale  cosi  raccolto,  le  particola- 
rità più  rare  ed  impensate  essendo  state  sempre  ampiamente  confermate. 
Un  maggior  numero  di  fonti  non  avrebbe  recato  gran  che  di  nuovo,  poiché 
già  pochissimi  fatti  nuovi  risultarono  dagli  ultimi  interrogatori.  Certo  tutte 
queste  limitazioni  portarono  a  trascurare,  o  ad  abbozzare  soltanto,  alcuni 
punti  di  dettaglio;  ma  il  iine  principale  di  questo  lavoro  era  lo  studiare 
la  varietà  della  parlata  ussegliese  nelle  sue  linee  generali  :  né  del  resto 
mancarono  occasioni  di  scendere  ad  un  esame  anche  minutissimo  di  certi 
fatti. 

Segue  ora  una  prima  serie  di  tabelle  in  cui  si  precisa  come  fu  raccolto 
il  materiale  per  alcuni  fenomeni  pia  interessanti  ed  una  seconda  in  cui, 
per  i  medesimi  fatti,  si  pongono  a  confronto  le  liste  ottenute  da  un  certo 
numero  di  fonti. 

§  7.  —  Imperfetto  :  -{-  >  -al-.  Servirono  i  casi  di  imperfetto  indicativo 
e  congiuntivo  raccolti  pel  §  9-10. 

§  9-10.  —  Quinta  persona  :  -a  >  -/.  Salvo  casi  speciali,  si  fece  astra- 
zione del  condizionale  che  concorda  sempre  coll'impf.  ind.  ;  si  insistette 
principalmente  sulla  3^  gen.,  alla  quale  si  restrinsero  le  ricerche  sull'im- 
perativo. Nel  corso  dell'indagine,  le  particolari  condizioni  di  Marg.  risul- 
tando identiche  a  quelle  della  Pr.,  lo  studio  ne  fu  specialmente  limitato 
a  quest'ultima  borgata. 

Mrg.      [70,  60,  60,  45,  45]. 

Pr.         [65.  64,  64,  53,  47,  25,  24,  23,  20,  13]. 

Vili.      [80,  78,  72,  63,  62,  57,  46,  .58,  43,  43,  40,  30,  29,  21,  17,  16,  14,  12]. 

Cortv.  [61,  45,  43,  40,  37,  35,  31,  25,  23,  20,  20,  IR,  13,   13]. 

Py.        [70,  64,  43,  42,  21,  15]. 

Pz.         [78,  66,  39.  27,  23,  28,  10,  15,  0]. 

Si  anno  cosi  piii  di  sessanta  testimonianze,  rafforzate  ancora  da  una 
dozzina  di  altre  men  complete,  specialmente  tra  i  bamlnni  di  tutte  le 
borgate. 

§  16.  —  -UH  >  -H.  Risultando  dai  materiali  precedt'iiti  che  la   conserva- 


176  Terracini, 

zione  di  uh  e  limitata  alla  Pgen.,  si  insistette  su  questa,  e  specialmente 
nelle  frazioni  conservative. 

Mrg.  [70,  60,  45]. 

Pr.  [65,  6à,  64]. 

Vili.  [80,  78,  72,  63,  43,  20]. 

Cortv.  [90,  70,  64,  61,  4o,  23]. 

Py.  [70,  68,  66,  64,  43,  42]. 

Pz.  [78,  76,  66,  39]. 

Inoltre  una  ventina  di  testimonianze  sparse,  specialmente  per  la  2*  e 
3*  gen.  ;  tra  le  altre,  importanti  :  Mrg.  [60,  66]  che  confermano  la  completa 
caduta  di  -?m  in  questa  borgata. 

§  18.  —  -eh  >  ah  >  eh.  Le  tracce  di  -ah  furono  cercate  nella  prima  gen. 
di  tutte  le  borgate  ;  l'estensione  di  -°eh  fu  particolarmente  studiata  nella 
Pr.  e  Mrg.  e  nella  3"  gen.  del  Vili.,  con  cui  risultarono  concordare  le  con- 
dizioni delle  rimanenti  borgate.  Le  fonti  di  cui  mi  valsi,  oltre  al  controllo 
di  una  dozzina  di  testimonianze  minori,  sono  : 

Mrg.      [70,  60,  60,  45]. 

Pr.         [70,  65,  64,  64,  58,  47,  25,  24]. 

Vili.      [78,  72,  58,  43,  43,  30,  20,  17,  14]. 

Cortv.   [90,  64,  37,  35,  23,  20,  18. 

Py.        [70,  66,  64,  42]. 

Pz.         [78,  66,  66]. 

§  19.  —  -f/  >  -ai  >  -ei.  Risultando  dal  materiale  pi-ecedentemente  rac- 
colto :  1"  che  il  limite  di  -ai  giunge  sino  alla  quarantina  —  2°  che  Mrg.  e 
Pz.  non  anno  -ai  —  3°  che  nei  verbi  -al  e  pili  tardivo  che  nei  sostantivi, 
esaminai  a  Mrg..  Pz.  preferibilmente  la  1*  gen.,  nelle  altre  frazioni  la  1* 
e  la  2*;  le  forme  verbali  furono  spesso  tralasciate,  quando  i  sostantivi  aves- 
sero già  -el. 

Mrg.      [70,  66,  60,  60,  45]. 

Pr.         [80,  65,  64,  64,  60,  53,  47,  30,  24]. 

Vili.      [80,  78,  72,  70,  63,  .58,  57,  43,  43,  30,  30,  20]. 

Cortv.  [90,  76,  70,  65,  64,  61,  50,  45,  43,  40,  35,  23]. 

Py.        [70,  70,   68,  66,  64,  60,  50,  37,  36]. 

Pz.         [78,  73,  73,  66,  66,  42]. 

§  20. et  >  -àt.  Lo  studio  fu  particolarmente  concentrato  a  Pr.  e  Py., 

Vili,  e  Cortv.,  offrendo  uno  stato  di  cose  alquanto  uniforme;  l'interroga- 
zione fu  preferibilmente  ristretta  a  fonti  al  di  sopra  dei  quarant'anni,  dove 
era  presumibile  che  il  passaggio  non  fosse  ancora  compiuto. 


Il  parlare  d'Usseglio  177 

Mrg.      [70,  60,  W]. 

Pr.         [70.  65,  64,  64,  47,  24]. 

Vili.      [78,  72,  63,  43,  20]. 

Cortv.  [70,  64,  24J. 

Py.        [70,  68,  66,  64,  60,  43,  42,  37]. 

Pz.        [78,  66,  27,  15]. 

In  una  ventina  ili  testimonianze  secondarie,  sono  notevoli  quelle  che  con- 
fermano il  trionfo  di  -àt  al  Cortv.,  Vili,  e  segnalano  il  prevalere  di  -H  a 
Mrg.  e  Py.  (Mrg.  [66.  45,  19];  Py.  [80,  43,  36]). 

§  21.  —  e.-it '>  ast.  11  passaggio  e  la  lenta  costituzione  delle  forme  interne 
fu  particolarmente  studiato  alla  Pr.  (Mrg.  risultando  uguale  a  Pr.).  al  Vili. 
e  al  Py.,  in  tutte  le  generazioni;  alla  Pz.,  nella  2'*  e  3"  gen.,  l'interroga- 
torio fu  volto  a  determinare  semplicemente  la  conservazione  di  est  in  in- 
terno e  in  finale  di  frase. 

Mrg.      [60,  4b,  45] . 

Pr.         [65,  64,  64,' 47,  30,  24]. 

Vili.      [78,  72,  63,  46.  43,  43,  40,  30,  16,  17,  12J. 

Cortv.  [64,  67.  35,  23,  30,  18]. 

Py.        [80,  70.   66,  64.  43,  42,  37,  36]. 

Pz.        [78,  66,  66,  43,  32,  23,  20]. 

Oltre  al  controllo  d'una  trentina  d'altre  testimonianze. 

§  24.  —  oin^on-.  Semplice  esplorazione,  limitata  alla  1°  gen.  per  le 
frazioni  centrali,  dove  -oin-  e  quasi  sconosciuto,  ed  estesa  alla  2"  nelle  altre, 
con  partieolar  riguardo  al  Py.,  Pz.,  in  cui  i  casi  di  -oin-  parevano  un  po' 
pili  numerosi. 

Mrg.  [70,  60,  45]. 

Pr.  [64,  47,  24]. 

Vili.  Cortv.  [90,  78,  72,  64.  63,  61,  43]. 

Py.  [70,  66,  64,  43,  42]. 

Pz.  [78,  66,  66.  46,  42.  27]. 

Oltre  al  solito  controllo  di  testimonianze  secondarie. 


Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  12 


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Il  parlare  d'Usseglio  185 


'  [65,  47]  Fonti  ambedue  buone  e  assai  pronte  ; 
[24]  donna  maritata  ad  un  uomo  della  Pr.  ; 

[63]  un  po'  tardo  nel  formulare  la  frase,  donde    qualche    intrusione  di 
piemontesismi  :  ma  in  complesso  buona  fonte  ;  la  moglie  è  di  Mrg.  ; 
[43]  la  moglie  è  del  Cortv.  ; 
[30]  il  marito  è  pure  del  Vili.  ; 

[90]  ottima  e  prontissima  ;  e  analfabeta  ;  fu  cameriera  a  Torino  ; 
[35\  figlia  di  [61],  buone  ambedue; 
[66]  cugino  di  A.  ;  la  moglie  è  di  Lemie  ; 
[27]  buona  fonte,  fu  a  lavorare  in  Francia. 
1  puntini  indicano  la  posizione    che  la  parola    aveva    nella  frase   donde 
fu  tolta.  Tra  parentesi  stanno  gli  esempì  che  contano  come  semplice  con- 
trollo, perché  nel  loro  insieme  non  bastano  a  stabilire  esattamente   quale 
sia  la  posizione  della  fonte,  anche  tenuto  conto  di  tutto  quanto  si  può  ar- 
guire dagli  esempì  stessi  e  dall'età  e  origine  della  fonte. 

^  Voi  mangiate  tutto  il  giorno.    Una    volta    bevevate    molto    —    Se  voi 
foste  buoni  ...    —    ...  se  spendeste  meno  —  Voglio    che    diciate    cosi    — 
Non  voglio  che  tu  corra. 
3  V.  p.  124. 
^  V.  p.  125. 

^  .  .  .  cantano  —  .  . .  portano  tutto  a  casa  —  ...  ciò  che  guadagnano  — 
.  . .  giocavano  a  correre  —  ...  lavoravano  tutto  il  giorno. 

^  C"è  il  vento  freddo    —    Aspetta    un    momento    —    ...  da    vendere    — 
.  . .  vende  —  ...  s'ofi'ende  —  Io  facevo  sempre  cosi    —   La  mamma  è  con- 
tenta —  Polenta,  siepe,  pazienza,  domenica. 
"^  à  con  intorbidamento  debole. 

**  È  un  fi  un  po'  torbido,  ma  di  netto  color  palatale,  che  non  si  deve 
quindi  confondere  con  è. 

^  L'infinito  concordando  sempre  colla  8"  persona,  basta  una  delle  due 
forme  per  determinare  se  la  fonte  abbia  -eh  nel  verbo  o  no. 

*"  ...  un  bel  sole  —  Oh  che  bei  funghi  !  —  . . .  tanta  neve  —  Io  facevo 
semjìre  cosi  —  Patisco  il  freddo  —  Parte  domani  —  ...  come  beve  !  — 
Venite  a  bere  con  me  — 

'^  (i  è,  per  rara  eccezione,  dovuto  alla  gran  rapidità  della  frase,  che  ne 
contiene  pure  un  altro  :  ...»  bel  stilai  ke  fai  cà%. 


186  Terracini,  11  parlare  d'Usseglio 

*'^  In  tutte  le  fonti  che  conoscono  -ai-  nel  verbo,  il  tipo  pntaisu  (1'  pers.) 
concorda  sempre  con  patài  (3'  pers.),  si  che  la  presenza  di  una  delle  due 
forme  permette  di  presupporre  senz'altro  quella  dell'altra  ;  quindi  la  dif- 
ferenza tra  pateisu  e  bai  deve  essere  qui  semplicemente  interpretata  come 
un  caso  di  oscillazione. 

^^  Fa  freddo  —  Ho  freddo  e  fame  —  Dov'è  il  carretto  ?  —  ...  minestra 
di  porri. 

*^  .  . .  dov'è  '?  —  Pietro  è  a  casa  ?  —  Pietro  se  ne  è  andato  via  —  ...  s'è 
fatto  male  —  Non  c'è  —  Dov'è  andato  ?  —  È  andato  a  casa  —  Pietro  è 
sposo  —  ...  è  bello  —  ...  è  rotto. 

'^  Per  ben  comprendere  la  natura  di  queste  frasi  occorre  rammentare  che 
il  verbo  è  sempre  preceduto  dal  pronome  e  che  le  forme  del  pronome  ma- 
schile, con  cui  si  venne  a  confondere  quella  del  neutro  (v.  P.  II),  sono  ul, 
sovente  palatalizzato  in  «/,  ed  u. 

^^  Qui  tra  ul  e  st  viene  inserita  una  vocale,  la  quale,  piuttosto  che  una 
riduzione  di  est,  è  un  riflesso  dell' ?<  immediatamente  precedente. 

^^  Coltroncino  —  Rappezzatura  —   Conto. 


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CENNI    BIBLIOGRAFICI 

di  pubblicazioni  ricevute  durante  la  stampa  del  fascicolo.  * 


Codice  Diplomatico  Barese,  voi.  Vili   {Le  pergamene   di  Barletta,  ecc.,  897- 
1285).  Bari,  1914. 

Il  voi.  è  dovuto  alla  cura  eli  Fr.  Nitti  di  Vito  ed  è  il  pili  lungo  e  il  pili 
importante  dei  finora  pubblicati.  Nella  prefazione  il  N.  d.  V.  si  ferma  a 
studiare  l'origine  del  nome  Barletta.  11  volume  porterà  utili  contributi  agli- 
studi  linguistici  e  perciò  VArch.  non  può  non  fargli  buona  accoglienza. 

C.  Battisti,   Testi  italiani  dialettali  in  trascrizione  fonetica.   P.  I.  Italia  Set- 
tentrionale. Halle,  Niemeyer,  1914  (=  49  Beiheft  z.  ZfrPh.). 

Questa  crestomazia  oft're  un  buon  materiale  di  osservazione  per  clii 
voglia  orientarsi  sullo  stato  attuale  dei  nostri  dialetti  ;  e  sarà  certo  con 
molta  utilità  didattica  usato  nelle  nostre  scuole  superiori.  Essa  contiene 
testi  corrispondenti  alla  vera  parlata  popolare,  trascritti  foneticamente. 
Ai  testi  seguono  parche  indicazioni  lessicali  e  indicazioni  bibliografiche  che^ 
senza  il  proposito  della  compiutezza,  sono  tuttavia  molto  utili  per  un  prima 
orientamento.  La  crestomazia  comprende  anche  testi  ladini  :  '  non  è  qui  il 
luogo  „,  dice  a  giustificazione  l'A.,  "  di  affrontare  o  riaffrontare  la  questione- 
ladina,  di  dimostrare  come  i  concetti  su  cui  l'Ascoli  basava  la  sua  geniale- 
sintesi  del  ladino  siano  storicamente  insostenibili,  rappresentando  il  ladino 
sulle  generali  nel  consonantismo  tratti  più  conservativi,  ma  una  volta 
propri  alla  pianura  lombardo-veneta,  di  far  vedere  quali  potenti  tendenze 
linguistiche  congiungano  l'Italia  settentrionale  alle  parlate  ladine  sovra- 
stanti la  pianura  ..  „ 


[Gli  scritti  per  le  recensioni  s'inviino  al   Direttore    deir.-lrt7//r/o  Prof. 
P.  G.  GoiDÀNicH,  Bologna,  Via  Toscana,  50.  —  L'Editore]. 


188  Cenni  l.iblioc^rafici 

"  Tra  ralfaljL'to  pili  completo  in  diversi  rio^uarcli,  un  po'  deficiente  in 
altri,  ma  pili  complicato  e  meno  nsato  dai  romanisti  specialmente  da 
noi  Italiani  deW Asfociafion  pìionéti(jiie  internationale,  e  qnello  pili  sem- 
plice, pili  povero  di  nuovi  segni  diacritici  e  jìiii  noto  del  sistema  yl.s"<"oZ/- 
Ooidànich,  o  adottato  il  secondo  „.  L'A.  si  compiace  anche  di  annoverare  i 
perfezionamenti  sistematici'  da  me  airecati  alla  grafia  ascoliana;  e  io  o 
tanta  ragione  di  essergliene  grato  che  mi  rincresce  di  queste  osservazion- 
celle  che  devo  pur  fare  a  lui.  All'antica  stramba  terminologia  di  tenui  e 
medie  il  Sievers  sostituì  i  termini  pili  giu^ti  fortes  e  lenes,  che  ormai  anno 
avuto  la  sanzione  dell'uso  dai  pili  dei  dotti.  Perciò  a  indicare  le  consonanti 
rafforzate  od  attenuate  io  adoprerei  appunto  i  termini  rinforzato  e  attenuato 
in  luogo  dei  forte  e  lene  che  adopera  il  B.  Nel  quadro  sinottico  poi  degli 
•elementi  consonantici  fa  pag.  8-9)  non  era  opportuno  porre  accanto  a  cia- 
scuna consonante,  fra  parentesi,  in  carattere  più  ]iiccolo.  la  sua  attenuata  : 
ciò  genera  confusione  e  io  son  persuaso  che  pili  d'uno  stenterà  ad  orien- 
tarsi ;  d'altra  parte  anche  il  B.  conviene  che  in  questi  casi  basti  un'osser- 
vazione fatta  una  volta  per  tutte.  —  Degli  elementi  fonetici  rari  conveniva 
dare  esempì,  e  per  controllo,  e  per  comodità  del  riferimento  ;  cosi  di  nt 
{=  n  con  occlusione  labiale).  —  Equivoco  è  anche  il  termine  schiacciate, 
al  cui  posto  preferirei  affricate  o  composte:  schiacciato  è  termine  che  in 
italiano  à  tradizionalmente  un  valore  ben  definito  ;  indica  'qualità  di  suono  ', 
non  'qualità  di  articolazione';  è  per  esempio  il  suono  della  'rattratla'  e. 
Per  analogia,  io  ò  esteso  il  termine  anche  al  suono  di  z.  —  Nella  cate- 
goria delle  continue  non  trovo  gli  z  x  emiliani,  da  me  indicati  e  nello 
studio  sulle  rattratte  (Mise.  Hoi-tis)  e  nella  prefaz.  al  voi.  XVI  deU'Arch.  — 
Un  k'  gutturale  difficilmente  esiste. 

Ma  dopo  queste  osservazioncelle  di  poco  conto  io  devo  rallegrarmi  coll'A. 
dell'utile  opera  sua,  certo  che  della  molta  fatica  durata  e  del  molto  tempo 
speso  gli  saranno  con  me  grati  quanti  s'interessano  di  questi  studi. 

11  volume  si  fregia  di  una  dedica  a  Carlo  Salvioni. 


*  Quanto  pili  s'accrescono  i  consentimenti  obiettivi  sulla  utilità  di  essi 
perfezionamenti,  tanto  meno  riesco  a  capacitarmi  perché  in  una  pubblica- 
^ioncella,  comparsa  sotto  l'egida  del  nome  venerando  di  Ernesto  Monaci, 
non  se  ne  faccia  menzione  neppur  per  mostrarne  gli  eventuali  difetti.  Ma 
certo  il  Maestro  non  avrà  posta  grande  attenzione  all'accennato  libercolo, 
perché  la  genesi  del  sistema  ascoliano  è  ricalcata  su  quanto  io  scrivevo 
nel  mio  studio  sulle  rattratte  (Mise.  Hortis),  che  non  vi  è  citato.  E  il 
Maestro  ignorerà  anche  che  il  povero  autorello  di  quel  fasciculuccio  s'è 
macchiato  di  più  di  una  scorrettezza  a  mio  riguardo. 


Cenni  bibliografici  189 

C.  tJAni.sTJ,  Die  Miinddrt  von   Valrestiiio.  Ein  Reisehericht  (Sitzuno^sl/er.  der 
K.  Akad.  d.  W.  in  Wien,  Philos.-hist.  Klasse,  174  Bd.,  1918^. 

La  Valvestino  e  situata  fra  i  laghi  di  Garda  e  d'Idro  e  comprende  l'alta 
valle  de!  Toscolano  e  dei  suoi  piccoli  affluenti  Personcine  e  Magasino. 
Appartiene  all'Austria,  ma  à  rapporti  commerciali  solo  col  Bresciano  ;  idro- 
graficamente non  appartiene  al  bacino  del  Chiese;  e  anche  caratteri  lin- 
guistici la  collegano  alla  riviera  bresciana,  dalla  quale  è  distinta  per  alcuni 
arcaismi.  —  Tra  la  valle  bresciana  del  Chiese  e  la  valle  inferiore  trentina 
del  Sarca  s' incontra  una  zona  l  i  n  g  ut  st  i  e  a  i  ut  e  r  m  e  d  i  a  con  ca- 
ratteri propri.  Essa  al  sud,  nella  Val  Vestine,  à,  nella  fase  recente  dei 
dialetti,  ancora  spiccati  caratteri  bresciani  ;  al  centro,  in  Val  di  Ledro,  à 
caratteri  pili  spiccati;  e,  a  nord,  in  Bleggio,  risente  dei  dialetti  del  Sarca. 

I  materiali  sono  stati  raccolti  soprattutto  in  Magasa  e  furono  soprattutto 
raccolte  di  vocaboli.  —  Alla  trattazione  grammaticale  segue  un  Lessico  e 
una  carta  con  varie  isoglosse.  —  11  lavoro  è  uno  studio  preparatorio  alla 
risoluzione  delle  complicate  condizioni  dialettali  trentine.  L'A.  tiene,  giu- 
diziosamente, conto  delle  condizioni  geografiche  e  storico-politiche  antiche 
e  moderne. 

B.  A.  Terracini,  Bibliographie  phonélique.  Italie  1910-1911  (Estr.  da  Revue 
de  Phonétique,  pub.  p.  l'Abbé  Rousselot  et  H.  Pernot.  ]).  179-192}. 

S'occupa  di  scritti  di  Bellini,  Camilli,  D'Ovidio,  Goidànich,  Luciani,  Ma- 
lagòli.  Naef,  Panconcelli-Calzia,  Stefanini,  e  della  Riforma  ortografica.  Noto 
con  compiacenza  che  l'A.,  ormai  libero  docente  a  Torino,  s'accorda  con  me 
in  quasi  tutte  le  questioni  da  ine  trattate  e  di  cui  egli  qui  tocca.  Del  sistema 
di  trascrizione  da  me  proposto  dice  che  "  il  a  surtout  l'avantage  d'étre 
clair,  simple,  d'une  lecture  aisée.  Je  crois  que  tous  les  sons,  ceux  du  nioins 
qu'on  peut  entendre  dans  la  péninsule  italienne,  y  trouveront  lenr  graphie  „. 
L'egregio  recensore  mi  permetta  di  dire  che  non  intendo  perché  s'avrebbe 
ad  adoperare  una  grafia  speciale  per  distinguere  \'n  di  piem.  kadeiia  dall'/i 
di  ital.  niikora,  quando  e  convenuto  di  non  usare  segni  diversi  in  tino  e 
tinto,  in  cima  e  impero;  dice  il  T.  che  in  kadena  s'à  una  '  vera  esplosiva'; 
nessuno  lo  nega  ;  ma  anche  gli  n  ed  ni  di  tino  cima  sono  '  vere  esplosive  ' 
(orali,  s'intende  :  ma  '  continue  '  nasali,  s'intende).  —  Anche  il  T.  à  la  bontà 
di  disapprovare  quell'impasto  di  malvagità  e  d'ignoranza  che  fu  l'articolo 
di  recensione  alla  prefazione  àeW Archivio,  voi.  XVII,  pubblicato  nel  Maitre 
phonétique  dal  povero. diavolo  sopita  ricordato;  forse  però  egli  avrebbe  do- 
vuto ricordare,  a  salvaguardia  della  dignità  della  Redazione  del  Maitre  ph., 
che  essa  Redazione,  in  séguito  a  un  mio  articolo  in  cui  ponevo  le  cose  a 
posto,  onestamente  sconfessava  il  suo  collaboratore. 


190  Cenni  bibliografici 

Parimente  il  T.  condivide  la  mia  opinione  sulle  rattratte  ["  les  termes 
rattrazione  e  rattratte,  que  M.  Goidànicli  propose,  peuvent  très  bien  rester 
dans  notre  terminologie  ,].  E  al  solito  paiiper  cunis  di  cui  sopra,  che  al  solito 
si  mostrava  di  parer  contrai-io,  trincerandosi  anche  su  una  presunta  opinione 
del  Rousselot,  il  T.  oppone  ch'egli  non  à  capito  nulla,  rinfaccia  "  an  grand 
étonnement  ^  che  il  Rousselot  '' dit  notamynent  le  contraire, ^.  Anche 
la  mia  critica  al  Josselyn  il  T.  la  trova  giusta.  Viceversa  il  T.  non  trova 
che  vi  sia  contradizione  tra  la  mia  opinione  sul  e  dell'italiano  e  quella 
del  Rousselot,  perché  il  R.  non  s'è  occupato  mai  del  e  italiano.  Scrivo  lon- 
tano da  un  centro  di  studi,  e  non  posso  controllare  l'affermazione  del  T.  ; 
e  direi,  senz'altro  :  "  tanto  meglio  ,  ;  ma  se  ben  ricordo  il  R.  parla  del  e  in 
genere  ;  e  quanto  si  dice  del  e  italiano  va  ripetuto  del  e  slavo,  spagnuolo, 
inglese.  Anche  il  T.  spezza  una  lancia  in  favore  della  fonetica  sperimentale 
a  proposito  di  una  mia  frase  un  po'  vivace  e  forse,  perché  si  prestò  ad 
equivoci,  non  felice,  nella  prefazione  citata  k\V Archivio,  voi.  XVll.  In  so- 
stanza poi  io  dicevo  colà  che  i  fonetisti  sperimentali  dovrebbero  badare 
pili  che  non  facciano  al  dato  della  sensazione,  che  è  il  metro  o  il  controllo 
dell'esperienza;  anche  il  Calzia,  che  per  quella  mia  frase  parve  montare 
sul  cavallo  d'Orlando,  poteva  ricordare  che  da  tal  difetto  è  dipeso  l'errore 
fondamentale  del  suo  lavoro  sulla  nasalità  in  italiano.  Ma  che  io  non  fossi 
un  avversario,  dirò  cosi,  dichiarato  delle  ricerche  sperimentali  di  fonetica 
doveva  risultare  dal  semplice  fatto  che  quella  frase  lamentata  era  conclu- 
siva di  periodi  in  cui  dichiaravo  che  V Archivio  sarebbe  stato  aperto  anche 
a  ricerche  di  fonetica  sperimentale. 

Giuste  sono  le  osservazioni  che  il  T.  fa  al  senatore  Luciani  ;  per  es.  non 
s'intende  come  il  L.,  che  e  un  fisiologo  insigne,  difenda  con  tanto  calore 
la  sillabazione  a-tto,  a-ppo,  ecc.  che  non  v'è  dubbio  è  erronea  e  non  po- 
trebbe in  nessun  modo  consigliarsi  in  luogo  della  tradizionale  at-to,  ap-fo, 
che,  se  non  è  del  tutto  esatta,  è  quella  che  più  s'avvicina  alla  realtà  fonetica. 

A  varie  altre  considerazioni  le  pagine  del  T.  mi  darebbero  occasione. 
Ma  ormai  troppo  mi  sono  dilungato.  Finirò  col  ricordare  che  anche  della 
riforma  ortografica  com'era  propugnata  nel  Bollettino  della  Società  Ortogra- 
fica Italiana  il  T.  si  dichiara  un  fautore  convinto  ;  ma  ormai  la  detta  Società 
già  fu  ;  perché,  dopo  aver  sacrificato  alla  riforma  e  ad  essa  società  tre  anni 
di  vita  scientifica,  dovetti  per  la  morosità  dei    soci  pagar    di    mio  somme 


'  Asinerie  di  tal  fatta,  veramente  classiche,  si  lasciavano  stampare  contro 
di  me  in  Classici  e  Neolatini.  11  cui  direttore  può,  fino  a  un  certo  punto, 
ritenersi  irresponsabile,  per  l'assoluta  mancanza  di  conoscenze  in  .studi  di 
questo  genere. 


Cenni  bibliografici  191 

considerevoli  per  la  stampa  degli  Affi.  La  melanconica  commemorazione 
valga  ad  informare  gli  amici  che  dell'estinta  desiderassero  notizie  !  E  ...post 
fata  resurgatl  A  noi  basti  di  avere  contribuito,  col  diffondere  la  conoscenza 
del  problema,  a  spianare  la  via  ad  un'intesa  internazionale  su  un  sistema 
"rafico  d'uso  universale. 


E.  Cocchia,  La  Vita  di  San  Miimmoleno  ovvero  la  tradizione  più  antica  in- 
torno alVìiso  del  hit.  rolr/.  nelle  Gallie.  Atti  d.  R.  Acc.  Lett.  B.A.  N.  S., 
v.  Ili,  36-52. 

L'A.,  con  l'abituale  acume  e  la  molta  e  sicura  dottrina,  tratta  di  varie 
questioni  attinenti  a  questi  scritti,  ma  in  principal  modo  dei  noti  passi 
delle  due  redazioni  dove  si  parla  di  romana  lingua. 

Sul  noto  inciso  del  primo  dei  passi:  "  citiiis  in  loco  [cioè  del  S.  Vescovo 
Eiigio],  fama  honorum  operuni  —  quia  praevalebat  non  tantum  in  Theu- 
tonica  sed  etiam  in  Romana  lingua  —  regis  ad  aure.s  perveniente,  jyraefatus 
MummolitiHS  ad  pastoì'alis  regionis  curam  snbrogatus  est  episcopus  „,  il  C. 
avanza  questa  ipotesi  :  "  che  può  anche  darsi  che  esso  inciso  quia  ...  litigua 
sia  da  ritenersi  come  una  semplice  postilla  aggiunta  da  un  glossatore,  il 
quale  volle  rilevare  la  seconda  causa  [la  conoscenza  delle  due  lingue]  che 
presiedette  all'assunzione  di  Mummoleno  all'episcopato,  causa  dimenticata 
0  pure  omessa  dalla  sua  fonte  „.  E  quanto  di  meglio  su  questo  periodo  sia 
stato  proposto.  Aggiungo  che  la  glossa  era  certo  destinata  ad  essere  inse- 
rita tra  perveniente  e  praefatus  M. 

Il  secondo  passo,  che  si  trova  nella  redazione  dei  Bollandisti,  suona  cosi: 
Ecclesia  siquidem  Noviomensis  Romana  vulgariter  lingua,  Tornacensis  vero 
Teutonica  maiori  ex  parte  utitur  ;  utraque  autem  eruditiori  latinorum  eloquio, 
si  cui  gratia  haec  concessa  fuerit,  ad  plenum  respondere  dinoscitur  ,.  Il  passo 
fa  séguito  e  serve  a  spiegazione  della  notizia  che  San  M.  fu  fatto  vescovo 
perché  "  et  latina  et  teutonica  praepollehat  fncundia  „  corrispondente  sup- 
pergiù all'altro  or  ora  giudicato  un'interpolazione.  Anche  per  il  C.  utraque 
si  riferisce  a  lingua;  e  dalla  sua  analisi  filologica,  in  se  stessa  esattissima 
e  sicura,  risulterebbe  presso  a  poco  [il  C.  una  sua  traduzione  del  passo  non 
la  dà]  questa  interpretazione  :  "  Perché  la  Chiesa  N.  usa  comunemente  la 
lingua  romanza,  e  la  T.  invece,  per  gran  parte,  la  teutonica  „  ;  entrambe  le 
lingue  poi  "  si  riconosce  da  chiunque  abbia  il  dono  di  intendere  la  corri- 
spondenza tra  il  latino  classico  ed  il  volgare,  ovvero  il  tedesco,  e  di  saper 
tradurre  dall'una  nell'altra  lingua  „  che  corrispondono  appieno  all'eloquio 
latino  pili  dotto  ,.  Stando  alla  lettera  tale  interpretazione  potrebbe  essere 
esatta  ;  ma  si  pensi  che  un  siffatto  elogio  o  constatazione  della  perfetta 
rispondenza  tra  il  latino  classico  da  una  parte  e  il  volgare  latino  o  tedesco 


192  Cenni  hilWiografici 

diiiraltra  sarebbe  opportuna  se  si  trattasse  d'un  giudizio  sul  valore  di  una 
traduzione  scritta.  Ma  qui  evidentemente  si  confrontano  tre  parlate. 
E  allora  il  dire  che  le  espressioni  dell'una  corrispondono  a  quelle  deU'alti'a 
è  un  vaniloquio;  anzi  per  ijuanto  riguarda  il  confronto  fra  latino  e  ger- 
manico sarebbe  non  rispondente  al  vero.  Perciò  io  credo  che  il  senso  del 
periodo  debba  essere  necessariamente  un  altro. 

Le  questioni  particolari  dalla  cui  risoluzione  dipende  l'interpretazione 
del  passo  sono  queste:  1.  che  cosa  debba  intendersi  per  latina  lingua; 
2.  in  che  rapporto  sta  la  notizia  quia  et  latina  et  teutonica  praepollebat 
facundia  con  Cjuella  dell'altra  redazione  quia  praevalebat  non  tantum  in  teu- 
tonica sed  etiam  in  r  o  m  a  n  a  lingua  ;  3.  in  che  rapporto  sta  la  notizia 
stessa  coll'altra  della  Vita  dei  Eollandisti  che  San  M.  era  tot  et  t  a  n- 
t  a  r  u  in  lingnarum  peritus;  4.  quale  significato  abbia  Vhaec  dell'inciso: 
si  cui  gratia  h  a  e  e  concessa  fuerit  ;  5.  che  portata  poteva  avere  la  co- 
noscenza della  l  a  t  i  n  a  lingua  in  una  diocesi  come  quella  di  San  M.  da 
essere  decisiva  nella  scelta  del  presule;  6.  a  chi  si  riferisca  Yutraque. 

1.  Che  il  lati  ti  a  lingua  sia  qui  l'eruditimi  latinorum  eloquium  non 
ci  può  esser  dubbio  perché  il  latino  volgare  vi  è  detto  romana  lingua; 
2.  a  questa  interpretazione  non  osta  più  l'incisu  dell'altra  redazione  in  cui 
si  dice  quia  praevalebat  romana  lingua,  perché  col  C.  l'abbiamo  rico- 
nosciuto un'aggiunta  posteriore.  3.  Se  il  tot  et  nel  passo  tot  et  tantaruin 
linguarum  peritus  non  è  anch'esso  un'interpolazione  di  un  entusiasta,  anno 
ragione  il  Rajna  e  il  Crescini  a  dire  che  per  esso  debba  intendersi  che  il 
santo  conoscesse  anche  il  volgare  romanzo.  Ma  la  discrepanza  tra  la  prima 
e  questa  seconda  delle  notizie  relative  all'erudizione  del  santo  si  deve  spie- 
gare osservando  che  c'è  differenza  tra  peritia  e  facundia,  osservando  cioè 
che  uno  può  conoscere  una  lingua  ma  non  con  tanta  perfezione  da  usarla 
con  facondia;  4.  utraque  anch'io  credo  debba  riferirsi  ad  ecclesia,  il  quale, 
si  avverta,  è  non  solo  fortuitamente  il  soggetto  grammaticale  della  propo- 
sizione coordinata,  ma  appare  anche  il  concetto  fondamentale  di  tutto  il 
periodo.  5.  Uhaec  dell'inciso  si  cui  gratia  haec  concessa  fuerit  mi  pare 
che  naturalmente  si  presti  ad  essere  inteso  come  equivalente  a  latine  lo- 
quendi  dacché  segue  sùbito  a  eruditiori  latinorum  eloquio.  6.  E  finalmente 
l'importanza  del  conoscere  il  latino  rf^We  .scMoZé»,  cosi  da  essere  la  condizione 
essenziale  per  la  nomina  di  un  vescovo  in  quella  diocesi  bilingue,  deve 
presumersi,  dall'interpretazione  che  del  passo  do  io,  che  fosse  questa  :  tutti 
i  diocesani,  tanto  i  Romani  quanto  i  Germani,  capivano  la  lingua  ufficiale 
scolastica,  ed  era  questa  la  sola  parlata  non  propria  che  entrambi  i  popoli 
intendessero  ;  quindi  la  conoscenza  del  latino  era  necessaria  al  vescovo, 
per  essere  inteso  in  prediche  od  altre  funzioni  a  cui  entrambi  i  popoli 
partecipassero  ;  la  conoscenza  del  germanico  e  del  romanzo  era  utile  per 
i  rapporti  coU'una  o  coll'altra  popolazione  separatamente. 


I 


Cenni   bibliografici  19g 

Io  credo  pertanto  che  tutto  i!  jiasso  abbia  questo  valore:  San  M.  fu  eletto 
vescovo  quia  praevalebut  non  tantum  in  teutonica  sed  etiam  latina  lingua.  ì\ 
che  era  di  importanza  capitale  per  questo  fatto  :  i  N.  parlavano  comune- 
mente il  romanzo,  e  i  T.  invece  il  germanico;  ma  tanto  gli  uni  quanto  gli 
altri  si  osservava  che  rispondevano  con  esattezza  a  chi  aveva  la  fortuna 
(come  San  M.)  di  saper  parlare  in  latino  scolastico. 

A  questa  interpretazione  io  credo  che  non  possa  opporsi  se  non  questa 
considerazione  :  essere  strana  quella  espressione  tanto  involuta  ''  si  osserva 
che  son  capaci  di  rispondere  a  tono  alla  parlata  latina  ^  mentre  era  cosi 
semplice  dire  che:  "  tutti  i  diocesani,  anche  se  non  lo  parlano,  comprendono 
il  latino  ,.  Ma  a  questa  obiezione  si  può  facilmente  rispondere  che  l'A.  volle 
richiamarsi  all'osservazione  di  un  fatto  reale,  che  era  possibile  intendersi 
coi  diocesani  parlando  il  latino  e  lasciandoli  rispondere  in  volgare:  come 
a  me,  anche  ad  altri  sarà  accaduto  mille  volte  di  discorrere  in  italiano  con 
gente  che  non  sapeva  esprimersi  altro  che  in  dialetto  e  di  intenderci  alla 
perfezione. 

E.   L.  Adam,    Wordformalion    in    Proven<ja(.    New   York-London,    Macmilian, 
1913,  p.  XVII,  607. 

È  non  solo  uno  studio  esauriente  di  tutta  la  '  formazione  delle  parole  ' 
in  provenzale,  ma  contiene,  secondo  l'uso  americano,  completi  elenchi  sta- 
tistici ;  è  perciò,  come  tutte  le  opere  del  genere,  opera  utilissima  agli  studi. 
È  divisa  in  cinque  parti  che  trattano  rispettivamente  delle  formazioni  con 
suffissi  (1),  con  prefissi  (11),  con  prefissi  e  suffissi  (111);  dei  postverbali  e 
composti  (IV)  ;  degl'ibridi  (V).  Le  parole  ereditate  come  elementi  lessicali 
dal  latino  sono  aggiunte  alla  fine  di  ciascuna  lista  in  nota.  Le  fonti  furono 
il  Raynouard,  e  il  Lev}-  fin  dove  pubblicato,  inoltre  raccolte  personali  da 
testi.  In  nota  sono  trattate  una  gran  massa  di  quistioni  attinenti  a  voci 
singole,  che  si  trovano  poi  elencate  in  un  indice  alla  fine  del  volume.  Altri 
indici  riferiscono  i  suffissi  e  i)refissi  provenzali  in  ordine  alfabetico;  gli 
stessi  nell'ordine  che  furono  trattati  ;  i  suffissi  e  prefissi  latini. 

Jahresbericht  des  Institutfi    fiìr    rnmiinische    Sprache    zti    Leipzig    (Herausg., 
Trof.  Dr.  G.  Weiganu,  voi.  XIX  e  XX,  p.  264). 

Sommario:  R.  Weidelt,  Die  Noniinalkomposition  im  Eiiniunischen:  1; 
H.  Dumke,  Die  Terminologie  des  Ackerbaues  im  Dakorumilniìichen  :  65  ; 
G.  Weigand,  e-  Bildung  ini  Wechsel  mit  k-  Bihlung:  132;  G.  Weigand,  Etg- 
mologica  :  134  ;  K.  Schutfert,  Die  Verbalsuffìxe  im  Dakorunt  :  145  ;  G.  Weigand, 
ai^  e:  208;  M.  Auerbach,   Die    Vcrbalpriìfìxe  im  Dakorum.:  209. 


194  Cenni  bibliografici 

Heristu  Lusitana,  dir.  p.  J.  Leite  de  Vasconcellos. 

Sommario:  J.  J.  Nunes,  Textos  antigas  portnyueses:  1;  Viterbo.  As 
candeias  na  religiào  nas  tradi^òes  populares  e  na  industria  :  41  ;  A.  Gomes 
Pereira,  Grammatica  e  vocahulario  de  Fr.  Pantaleào  -d'Aneiro  :  81  ;  P,  de 
Azevedo,  Duas  fradiicùes  portuguesas  do  sec.  XIV:  101;  A.  Thomas  Pires, 
Investigagòes  ethnographicas  :  112;  J.  da  Silveira,  Toponymia  portuguesa:  147; 
J.  de  Perott,  Sohre  urna  edicào  2>oi<co  conhecida  dos  "  Contos  „  de  Trancoso  : 
159  ;  D.  M.  da  C.  Dias,  Trndi(;òes  popidares  do  Baixo-Alemteio  :  181  ;  0.  de 
Pratt,  Notas  (i  margem  do  "  Novo  Diccionàrio  da  Lingua  Portuguesa  „  :  206  ; 
A.  Gomes  Pereira,  Tradigòes  populares  de  Barcellos  :  280  ;  J.  Leite  de  Va- 
sconcellos, 0.  de  Pratt,  C.  Basta,  0.  de  Pratt,  A  expressào  popular  "  mais- 
vaie  um  gòsto  que  quatro  vintene  „  :  289  :  D.  M.  A.  F.  de  Mendon9a,  Cantigas 
populares  :  300  :  J.  Leite  de  Vasconcellos,  Etnologia  :  330  ;  Miscellanea  :  370  ; 
Bibliografia:  175;  Necrologia:  173. 

P.  G.  G. 


/ 

0,  o. 


ANGELICO  PRATI 


RICERCHE  DI  TOPONOMASTICA  TRENTINA 


li 


OPERE    CITATE 

Oltre  che  delle  opere  già  elencate  nella  Bibliografìa,  che  precede  le  mie 
prime  Ricerche  di  topoìioììiantica  trentina,  il  lettore  è  pregato  di  tener  conto 
delle  seguenti  '  : 

Johann   Alton,   Beitriige  ziir  Etimologie    von    Ostladinien,   Innsbruck,  1880.  È 

un.  lavoro  di  toponomastica. 
C.  AvoGARo,  Appunti  di  toponomasticd  rerone.-e,  Verona,  1901. 
Carlo  BATirsTi,    Zur    Sulzlìerger    Muìidart,   An:eiger  d.  pliilo.i.-histor.  Klasse 

d.  kai^.   Akadeinie    d.    Wisseiiscliaften    in    ììlen,  vom  28.   [uni,    lahigang 

1911,  Nr.  XVI,  p.  189-240. 
—  —   Fje  dentali  estplosire  intervocaliche  nei  dialetti  italiani.  Halle  a/S.,  1912. 

V.  le  mie  Escursioìii,  p.  136-138,  n. 
II.   D'AiìBOis  DE  JuBAiNViLLE,  Recherches'  snr  l'origine  de  la  propriété  fondere 

et  des  no)ns  de  lieax  hahités  en  France,   Paris,  1890. 
Andrea  Ctloria,   Codice  Diplomatico  l'adorano,  Monitin.  Stor.  pubi.  d.  Dep.Ven. 

di  Storia  Patria,  3  voi.,  Venezia,  1877,  1879,   1881. 
Gl'Stavo  Adolfo  Gramai'ica,  Escnr^^ioni  nella  ralle  dil  Fersina,  Rovereto,  1886. 
Karl    (tkuher,    l'ordetitsche    Ortsnanien    im    siidiic/wn     Bagern,    Philologische 

and  rolksknndlicìie  Arbeiten   Karl    Volluioller  ziiin   16.   Oktober  1908  dar- 

gthoten,  Erlangen,  1908. 
Alfrkd  HiM.DEK,  Alt-cellischer    Sprachscliatz,    Leipzig.    In    cor-so  di   pubblica- 
zione, dal  1896. 


'  Un  elenco  di  molte    pubblicazioni    di    toponomastica  si    trova  alla  fine 
bielle  mie  Escursioni,  p.   139-141,  citate  pili  avanti. 

Ai-fhivio  glottol.  ital.,  XVIIl.  ,  13 


196  Angelico  Prati, 

E.   LuKKNZi,  S'iggio  di  coìntneiito  ai  cognomi  tridentini,  Trento    (1895). 

Lkoxk  Luzzatto,   l'didletti  moderni  delle  città   di   Venezia  e  Padova,  Padova, 

1892. 
W.  Meykr-Luiìkk,  Romanisches  etgmologisches    Worterijuch,  Heidell)ero-,  1911. 

È  citato  R.  E.  W}. 
Maurizio    Morizzo,    Raccolta    di    documenti  risgaardanti    la    Valsiigana,   fatta 

dal  P.  M.  M.  da  Borgo  Francescano,  8  voi..  Borgo  Valsugana,  1890,  1892. 

Manoscritti  2685,  2686,  2687  della  Biblioteca  Civica  di  Trento. 
Dante   Olivieri.    Appunti    di    toponomastica    veneta.    Stadi    Glott.,    IV,   1907, 

p.  185-197. 
Angelico   Prati,  Ricerche  di  toponomastica  trentina,   Pro   L'altura,  I,  suppl.  2'^. 

Rovereto.  1910  l 
—   —  Escursioni   toponomasticìie   nel   Veneto,    Revue    de    Dialectol.    Rom.,  V, 

Bruxelles,  1913,  p.  89-141. 
Desiderio  Reich,  Notizie  e  documenti  su  Lavarone  e  dintorni.  Trento,    1910, 


^  Questo  dizionario  etimologico,  del  quale  sono  uscite  finora  6  dispense 
(p.  480),  avrebbe  dovuto  riuscire  un'opera  utilissima,  jireziosa  per  gli  stu- 
diosi dei  parlari  romanzi.  Invece  esso  contiene  in  quantità  cosi  grande  voci 
e  significati  sljagliati  od  inesatti,  da  trarre  con  molta  facilità  in  inganno. 
Sicché,  quando  lo  si  consulta,  bisogna  verificare  i  dati  in  esso  raccolti,  spe- 
cialmente per  quanto  riguarda  i  dialetti.  Io  ò  fatto  uno  spoglio  degli  errori, 
limitandomi  al  veneto  ed  al  trentino,  e  ne  ò  raccolto  in  numero  stragrande. 
V.  Arch.  Glott.,  XVII,  p.  499-504.  Moltissime  correzioni  si  trovano  nella 
recensione  del  Jud,  Arcìi.  f.  d.  Studium  d.  Neueren  Spr.  u.  Liter.,  CXXVII, 
p.  416-438.  V.  poi  C.  Salvioni,  Postille  italiane  e  ladine  al  "  Vocabolario  eti- 
mologico romanzo  ,,  Revue  de  Dialectol.  Rom.,  IV,   1912. 

^  Nella  stampa  di  questo  lavoro  sono  incorsi  alcuni  errori,  che  qui  cor- 
reggo: A  p.  19,  r.  16-17  dall'a.,  in  luogo  di  Beitrdge,  II,  p.  22,  sostituisci 
Beitrage,  I,  p.  22;  a  p.  47,  r.  12  dall'a.,  in  luogo  di  Enrico  IV.  Enrico  II; 
nell'indice  Stének  invece  di  Sténeck;  a  p.  1,  r.  8  dal  b.,  1891  invece  di  1890;  il 
rimando  a  p.  46,  r.  8  dall'a.,  M'Arcfi.  Glott.,  XIV,  p.  368-369,  è  dovuto  ad  una 
svista  ed  è  quindi  da  omettere.  Venga  qua  poi  qualche  appunto:  Con  Firenze, 
cui  ò  fatto  cenno  per  incidenza  (p.  6,  n.  2),  cfr.  l'arcaico  Firentino  (Pieri, 
Studi  Romanzi,  I,  p.  41).  Dei  Solandri  (p.  8,  n.^  discorre  pure  lo  Schneller, 
Beitrage,  1,  p.  10.  A  p.  46  sarebbe  stato  da  nominare  anche  il  villaggio  di 
Giustino  (Tione),  1307:  villa  lastini  plebatus  Randenae  iCod.  Cles.,  Riv.Trid., 
Vili,  p.  122).  L'antica  forma  Imaiam  (oggi  Dimór)  (p.  17;  Sabersky,  p.  54; 
Ettmayeu,  Rom.  Forsch.,  XIII,  p.  375)  era  da  ricordare  anche  a  p.  60,  cap.  XL 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  197 

Desiderio   Reich,   Sul  co)ifine  ìiìtguistico   nel    .■secolo  XVI  a    Pressano,  Avisìo. 

S.  Michele,  Mezocorona,  II  ediz.,  Rovereto,  1910. 
Heinrich  Sabersky,  Ueber  einige  Nanien  ron  Bergen,  Thillern,  Weilern,  Weiden 

und  Hi'itten  in  der  Umgebung  i^on  Madonna  di  Campiglio,  Strassburg,  1899  ^. 
Christian  Schnei.lek,  Sildtirolische  Landschaften,  2  voi.,  Innsbruck,  1899,  1900. 
Giuseppe  Vidossich,  Studi  sul  dialetto  triefitìiio,  Archeografo   Triestino,  N.  S., 

XXIII,  XXIV,  Trieste,  1900,  1902. 
Con   C.  M.  s'indica  la  carta  topogratìca  militare. 


È  cosa  tutt'altro  che  inutile  l'avvertire  qui  in  principio  che,  quantunc£ue 
gran  parte  dei  nomi  da  me  studiati  siano  compresi  nella  zona,  nella  quale 
si  parla  il  <lialetto  trentino,  colla  voce  "  trentino  „,  in  quanto  entra  nel 
titolo  di  queste  Riceri-he  e  di  quelle  già  da  me  pubblicate,  accenno  al  ter- 
ritorio trentino,  in  cui  s'incontrano  anche  dialetti  ladini,  lombardi,  ecc., 
che  vanno  ben  distinti  dal  dialetto  trentino.  Il  quale,  contrariamente  a 
quanto  credevano  I'Ascoli,  Ai-rh.  Glott..  \.  p.  394-395,  406,  e  ciuasi  tutti  i 
linguisti  dopo  di  lui,  nel  suo  fondo  e  lombardo  (Battisti,  Il  dialetto  trentino, 
L'Alto  Adige,  16-17  gemi.  1909.  p.  3,  li  col.).  L'errore  fondamentale  del- 
l'AscoLi  trova  il  suo  motivo  nella  concezione  sbagliata  di  questo  dia- 
letto, la  quale  consiste  principalmente  nel  ritenere  di  ragione  ladina  quei 
caratteri,  che  sono  invece  patentemente  di  ragione  lombarda.  Il  dialetto 
trentino  è  parlato  nella  valle  dell'Adige  dal  confine  tedesco  fino  alla 
Val  Lagarina,  dove  si  parla  un  dialetto  trentino-veneto,  nel  distretto  di 
Vezzano  ad  occidente  e  nei  distretti  di  Cembra,  di  Pèrgine  e  di  Lévico  ad 
oriente.  In  quest'ultimo  è  notevole  T  influsso  veneto,  che  però  non  è  riu- 
scito, ad  esempio,  a  spengere  Vii  e  lascia  vegeto  Vo.  Fatta  astrazione  dal 
titolo  di  questo  lavoro,  voluto  solo  per  ragione  di  opportunità,  con  "  trentino  , 
intendo  sempre  di  alludere  al  dialetto  trentino  e  non  anche  ad  altri  dia- 
letti del  Trentino,  come  fanno  certuni,  ingenerando  cosi  confusioni  con- 
tinue. 0  spesso  occasione  poi  di  citare  il  valsuganotto,  che  è  il  dialetto 
veneto  parlato  in  quella  parte  della  valle  alta  della  Brenta,  che  sta  tra  i 
Masi  (Novaledo)  e  Primolano,  ossia  tra  il  distretto  di  Lévico  e  il  Canale 
di  Brenta  (distretto  di  Bassano). 


'  V.  la  recensione  del  Salvioni.  Literatiirblatt  f.  gemi.  u.  rum.  Fìiilol., 
XXI,  col.  144-145.  Per  il  bosco  Ragàda  (Sabeksky,  p.  24-25)  v.  anche  Bren- 
ta ui,  111,  p.  340;  Cesare  Battisti,  Termini  geografici,  p.  26;  Salvioni,  Boll. 
Stor.  d.  Svizzera  Hai.,  XVIT,  p.   144;  Arch.  Glott..  IX.  p.  220,222. 


198  Angelico  Prati, 


Ant3rivo  (ita!.),  Altrel  (ted.),  Nantaril  o  Nanterii  (forma  fia- 
mazza). 

Villaggio,  con  popolazione  tedesca,  nel  distretto  di  Cavalese, 
sul  versante  della  Val  di  Cembra,  posto  presso  un  piccolo  corso 
d'acqua. 

Questo  nome,  composto  di  nante  "  davanti  ,,  e  di  ril  "  rivo  „, 
compare  nel  1391  come  Anteriutn  [Cod.  Cles.,  Riv.  Trid.,  X,  p.  265); 
1397:  Aufherium  (ivi,  XI,  p.  51);  1321:  Antereu;  1583:  Altreii 
(ScHNELLER,  Beitràge,  II,  p.  24);  1595:  de  Antarù,  de  Antera; 
1604:  de  Anterudo;  1605:  de  Antera,  de  Nanterù  {il  Trentino, 
16  nov.   1910,  p.  V,  col.  IV). 

Nel  1188  è  nominato  anche  un  luogo  Longario  in  Fieme  (C.  W., 
p.  72;  Del  Va.j,  p.  198,  r.  22  dall'a.).  V.  anche  Ardi.  Treni., 
XXVI,  p.   189,  all'a.  1220  i. 

Battaura  (nome  antico) 

Era  il  nome  di  un  luogo  presso  Mori  rammentato  nel  1259: 
in  regala  Battaure. 

Lo  Schneller,  Tir.  Nani.,  p.  11,  dal  quale  tolgo  la  citazione, 
notando  il  termine  dialettale  battaór,  batfador  "  coreggiato  „, 
crede  che  il  nome  locale  equivalga  a  batiaura,  batiadura  indi- 
cante il  "  luogo,  ove  si  trebbiava  oppure  si  maciullava  canapa 
e  lino  „.  E  facile  capii-e  l'infondatezza  di  questa  spiegazione. 
Anzitutto  lo  ScHNELLEE  prese  un    abbaglio,    perché    batao'r  (un 


^  Una  Via  Longaril'  c'è  a  Cavalese,  lungo  la  Ril,  ossia  lungo  il  torrente 
Gambi's  (Brentari,  II,  p.  114).  ril  "  torrente,  rivo  ,  è  voce  viva  fiamazza  (nel 
fassano  ruf).  V.  anche  ivi,  p.  101. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  199 

battador  non  esiste)  non  significa  "  coreggiate  „,  ma  '"  batti- 
tore „,  cioè  indica  "  chi  trebbia  il  grano  sull'aia  ,,  (v.  Azzolixi. 
s.  batfdor,  -a);  poi  battaiira,  battadura  non  è  che  una  voce  sup- 
posta da  lui.  In  caso  essa  sonerebbe  *batao'ra,  poiché  le  parola 
indicanti  il  luogo,  ove  si  compie  un'operazione,  si  derivano  ap- 
punto col  suffisso  -tori  a.  V.  a  proposito  i  nomi  riportati  a 
p.  22  dallo  stesso  Schneller:  Brancola{d)óra,  Beveradóra,  Car- 
gadóra  ecc.,  le  quali  forme  indurrebbero  anche  a  movere  alla 
spiegazione  dello  Schneller  l'obiezione  che  esse  mostrano  la  den- 
tale, almeno  nella  forma  letteraria,  ancor  oggi,  formando  cosi 
un  contrasto  con  Battaura  del  1259.  I  nomi  locali  però  ram- 
mentati in  queirepoca  parte  presentano  il  f/,  parte  ne  sono  privi 
(V.  Schneller,  p.  52,  N.  149,  p.  73,  N.  180,  p.  114,  N.  814  [5], 
p.  185.  N.  432). 

Comunque,  da  quanto  si  è  detto  sopra  si  può  trarre  la  con- 
seguenza che  Battaura  sia  da  leggere  Batnura  e  che  abbia  forse 
designato  un  luogo  dove  batte  aria.  Confr.  il  monte  Bufàure 
(Pozza^  Fassa)  (Altón,  p.  29)  e  i  luoghi  denominati  Bofalg'ra 
(Salvioni,  Boll.  Stor.  d.  Svizz.  Ital.,  XXII.  p.  87).  Si  ricordi  poi  il 
trent.  o'ra'{v.  Azzolini  e  Ricci)  e  i  nomi  locali,  di  cui  Schneller, 
Tir.  Nam.,  p.  43,  N.  117;  Olivieri,  Studi,  p.  188.  A  Campo- 
dolcino  (Sondrio)  vive  pofo'ra  "  luogo  riparato  dal  vento  „  {Reviie 
de  Dialedol.  Rom..  IV.  p.  190,  N.  788). 

Bodoledo  (nome  antico) 

Luogo  in  quel  di  Fornàs  (Civezzano),  cosi  nominato  nel  1858 
(Morizzo,  I.  p.  128).  Anche  in  Fieme  s'incontra  un  nome  locale, 
rammentato  in  un  documento  del  1188  {C.  W..  p.  71,  72)  nelle 
forme  de  Botholedo,  de  Botholeto,  in  Botholedo,  in  Botholeto,  de 
Botlioletho  (cfr.  nello  stesso  doc.  :  in  Pinetho,  in  Pinedo)  (v.  anche 
Del  Yaj,  p.  197,  198). 

Dagli  Stadi  deirOnviERi,  p.  102,  tolgo  i  seguenti  nomi  locali 


200  Angelico  Prati, 

della  provincia  di  Veruna,  che  sono  verisimilmente  di  natura 
comune  coi  due  citati;  C(us(il  Botolo  (Porto  Legnago),  nome  antico 
ricordato  nel  1224;  Bódolo  (Castello  di  Brenzone);  Bovolóne  (Ve- 
rona), 813,  1145:  Bodolone,  1184:  Botholono:  BovoUno  (Butta- 
pietia).  sec.  Xlll:  Buvolino. 

Questi  luoghi,  al  pari  di  Bodoledo  ecc.,  ripetono  certamente 
il  loro  nome  dalla  "  betulla  „,  quantunque  pei  tre  primi  TOli- 
viERi  (v.  pure  AvoGARO,  p.  19-20}  pensi  a  un  nome  personale 
germanico  *B  o  t  o  1  o,  supposto  per  giunta,  ch'egli  pone  accanto 
a  Bodolo,  nome  attestato  (Forstemann,  Altdeutsclies  Na- 
menbuck,  Nordhausen,  1856,  v.  I).  Ma  quanto  sia  ardito  que- 
st'etimo si  comprende,  appena  si  sappia  che  per  l'appunto  nel 
territorio  veronese  vivono  i  nomi  bòvolo  e  bógol,  designanti  la 
betulla  ^.  Un  luogo  detto  Bodole,  in  quel  di  Samón  (Strigno^ 
Valsugana),  è  ricordato  nel  1348  (Morizzo.  I,  p.   120)-. 

11  Salvioni,  Revue  de  Dialectol.  Boni.,  IV.  p.  205,  N.  1069, 
vorrebbe  spiegare  le  due  forme  veronesi  dall'incontro  di  un 
*bólo  =  *beólo  con  un  '^'bévolo  *bégolo  ^  *b  e  t  u  1  u  s,  ma  s'egli 
avesse  avuto  presenti  i  nomi  locali  citati,  anche  solo  quelli  ve- 
ronesi colle  loro  forme  antiche,  non  avrebbe  sicuiamente  pro- 
posto una  tale  spiegazione,  la  quale  richiederebbe  inoltre  la  sup- 
posizione della  antica  coesistenza  di  due  forme,  le  quali  non 
solo  non  sono  attestate  nel  veronese,  né  antico  né  moderno,  ma, 
per  quanto  si  sappia,  non  compaiono  in  nessuna  parlata  veneta. 
bo'lo  à  bensì  il  mio  dialetto,  il  valsuganotto,  ma  questa  forma 


'  Il  Graziadei,  Trid..  I[,  p.  3-59,  elenca  Bogoìe,  luogo  di  monte  presso  Cal- 
donazzo  (Lévico),  nel  1657  Doss  della  Bogohi.  Si  trova  riportato  anche  dal 
Reich,  Notizie,  p.  214,  r.  6  dall'a.,  nella  forma  Bogole  da  documento  pure 
del  secolo  XA^I. 

^  Deve  corrispondere  agli  odierni  Boli,  che  si  trovano  appunto  in  quel 
di  Samón  (Strigno).  Il  Suster,  Trid.,  Ili,  p.  168,  n.  100.  colloca,  per  errore, 
Bodole  in  quel  di  Telve  (Borgo). 


fìicerclie  di  to|)onouiastiea  trentina  201 

tì  da  anteriore  '^bo'olo  e  corrisponde  quindi  proprio  al  veron.  rust. 
bórolo,  come  provan  le  forme  ho' aio  delle  Tozze  (Grigno)  (valsug. 
orient.)  e  bq  volo  di  Roncegno  (valsug.  occid.)  ^  11  Soravia, 
Tecnol.  bot.-forest.  ci.  prov.  di  Belluno,  1877,  riferisce  le  forme 
bodnla,  bogola,  hoola.  Queste  ed  altre  forme  con  o,  che  ricorrono 
altrove  (cfr.  anche  alto  fass.,  garden.,  bad.  bodo'j,  il  booletmn,  ecc. 
del  DiT  Gange  e  boyolias  degli  Statati  di  Palanza  (Novara):  Arch. 
Glott.,  1,  p.  253,  n.),  tenuto  conto  anche  della  diffusione  e  del- 
l'antichità dei  nomi  locali,  sopra  notati,  dipendono,  come  è  evi- 
dente, da  un  antico  *bo'tHla.  che  ebbe  forse  To'  da  b  p  il  1  u ,  op- 
pure da  un  -^'pq'pulu  (cfr.  Salvioni,  Rendic.  d.  R.  Ist.  Lomb., 
».  II.  v.  XLIV.  p.  934.  N.  103)  "^ 

Boibéno 

Villaggio  nel  distretto  di  Tiene. 

Il  Brentari.  III.  p.  200.  riferisce  la  forma  Bidbeno  del  983. 
ma  nel  1014  e  nel  1027  compaiono  le  forme  Belueno,  Belveno 
(Moti,  (rerììì.  liist.,  Dipi,  rer/uni  et  iiìipcr.  (renn.,  Ili,  IV;  v.  gli 
indici). 

Anche  Boibéno  offre  dunque  un  caso  di  v  in  b,  quale  si  nota 
nell'antico  Mulbeno,  per  l'odierno  Molvéno  (Mezzolombardo),  e 
in  Ulba  (Caldonazzo,  Lévico),  in  documenti  ulva  (lat.  ti  1  v  a 
"  giunco  „  :  cfr.  però  Schneller,  Tir.  Nani.,  p.  170,  N.  90,  p.  188, 
N.  Ili,  p.   212,   N.    498)   [Ricerche,   I,    p.  24-25).   In  Boibéno  è 


'  E  lo  prova  pure  il  nome  locale  citato  Boli.  Si  noti  che  nel  valsuga- 
notto  vien  mantenuto  il  -li  nelle  parole  schucciole  e  nelle  parole  bisillabe, 
fatte  delle  eccezioni  per  quest'ultime  ikq'j  o  soli  "  soli  „,  tdj  "  tali ,,  e^'  "  essi ,. 
kU'ìj  "  quali  „,  kue'j  "  quelli  ,.  ì)^'j  "  IjcIIì  ,,  yuj  ^  galli  J.  Nelle  parole  piane 
Ai  tre  sillabe  o  più  il  l  scompare,  fatta  eccezione  per  le  parole  con  /  {kam- 
paniii,  dafili).  Se  Boli  quindi  fosse  da  anteriore  *Bedo'j  avreMi^"  dovuto 
sonare,  molto  probabilmente,  *Bo'j. 

'"  Siccome  però  lo  stesso  "po' pulii  ebbe  forse  1"  o'  da  n  p  u  1  u  .  cosi  *bo  tuia 
lo  può  alla  sua  volta  aver  avuto  da  *po'pulii. 


202  Angelico   Prati, 

palese  la  spinta  del  h  iniziale,  ai  quale  si  deve  pure  il  muta- 
mento dell'e  in  o.  Per  altri  casi  di  questo  mutamento  v.  Bat- 
tisti, Catinia,  §  31,  p.  140,  ed  aggiungi  tompésia  "  grandine  „. 

Bólgher  (con  o)  (ò  udito  pure  bi'iUjher  e  da  un  Valsuganotto, 
che  fu  in  quel  luogo,   pure  bulgaro). 

Luogo  di  campagna  con  case  presso  la  Fèrsena  nelle  vicinanze 
immediate  di  Trento. 

1391  :  in  Bulgaro,  in  Bolgaro,  jìertin.  Trid.  [Cod.  Cles.,  Bit. 
Trid.,  XI,  p.  123). 

Dal  nome  personale  Bùlgaro,  dal  quale  derivano  diversi 
altri  nomi  locali  affini  d'Italia.  Per  la  Toscana  v.  Pieri,  Dalla 
"  Toponomastica  della  valle  dell'  Arno  „,  Rendic.  d.  R.  Accad.  dei 
Lincei,  CI.  di  Se.  Stor.,  Mor.  e  Filo!.,  s.  V,  v.  XX,  Roma,  1911; 
Olivieki,  Nomi,  p.  23. 

Calcerànica  (pron.  loc.  kalzerdnega) 

Villaggio  presso  Lévico.  posto  tra  due  colli.  Vi  fa  trovata 
un'iscrizione  sacra  a  Diana  ed  à  una  chiesa  antichissima  (Bren- 
TAEI,  I,   p.   290). 

1184:  Calcedranica ;  1391:  Calcedranega  (Cod.  Cles.,  Bir.  Trid., 
XI,  p.  185);  1369:  Calceranega  {Bicerche,  I,  p.  50);  1503:  Cal- 
cedranica, Calcerànica  (Reich,  Notizie,  p.   147). 

Il  Malfatti,  I,  p.  58,  ricorda,  a  proposito  di  questo  nome,  il 
nomignolo  lat.  calcitro,  ma  poi  si  perde  in  altre  congetture  inam- 
missibili. Lo  ScHNELLER,  Sildtir.  Landsch.,  I,  p.  187-188,  scrive 
ch'esso  può  derivare  da  calcitra  "  chanssée  de  ville,  i.  pavimeninm  „ 
(Du  Canoe),  e  si  sarebbe  cosi  formato  il  derivato  *Calcedrani, 
designante  gli  abitatori,  da  cui  poi  la  forma  Calcedranica,  indi- 
cante la  lor  sede. 

Etimo  pili  plausibile  pare  quel  *calci'tru,  che  sta  a  base 
del  trent.  kalzidrél  (che  il  B.  E.   il.,  1502,  dà  erroneamente  quale 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  203 

voce  estintiì)  o  krazidél  "  secchia  „.  Il  Du  Gange  cita  calcedrus, 
calcetrus  dagli  Stai.  Bonon.  del  1250-1267.  Questa  voce  viveva 
un  tempo  anche  nel  Veneto  (il  veronese  però,  specialmente  ru- 
stico, à  ancora  kalsirél^  kasirél):  nel  1169  s'incontra  a  Pàdova 
il  cognome  Raspacalcedro  [de-)  [Cod.  Pad.,  II,  p.  cxxix)  e  nel 
1183  è  nominato  un  Calredrello,  testimonio  presente  a  Pàdova 
(ivi,  III,  p.  481),  dal  che  si  vede  come  tal  voce  sia  anche  dive- 
nuta nomignolo. 

Che  il  nome  di  un  recipiente  possa  passare  a  nome  locale  è 
un  fatto  ormai  noto.  Basti  ricordare  i  nomi,  che  ti'aggono  ori- 
gine da  concila,  *b  r  e  n  t  a  e  catinu  e  v.  quelli  notati 
a  p.  15-16  delle  Riccrclie,  I.  Ancor  pili  fanno  al  caso  nostro  il 
loculi  et  fundus  Calcedro  del  999.  del  Cod.  dipi.  Lnngob.,  N.  964, 
e  il  casale  Calcedraun,  che  è  un  ^calcetro  ne,  di  un  catasto  di 
Caldaro  (alto  Adige)  del  secolo  XIV,  addotti  dal  Malfatti,  I^ 
p.  57,  58.  Un  tal  nome  può  aver  avuto  origine  sia  dalla  pre- 
senza di  un  qualche  recipiente  per  l'acqua,  sia  da  qualche  buca 
del  terreno,  naturale  o  artificiale,  a  guisa  di   recipiente  o  sim. 

Per  spiegare  poi  la  terminazione  di  Calcedranira,  non  segui- 
remo la  supposizione  dello  Schxeller,  dato  l'etimo  calcitra,  ma. 
supposto  un  luogo  detto  "^Calcedro.!  da  esso  può  esser  stata  de- 
nominata la  villa  Calcedranica.  ivi  sorta,  a  meno  che  non  sia 
da  partire  addirittura  da  un  '''Calcetrana. 

Galiano  (pron.  loc.   k-aìjam)^ 

Villaggio   )iel   disti'etto   di    Hovereto. 

Intorno  a  questo  nome,  di  cui  discorse  a  lungo  lo  Schneller 


^  S'usa  con  l'articolo,  che  si  dovrebbe  conservare  anche  scrivendo.  I  nostri 
antenati  rispettavano  quest'uso.  11  valsuf^anotto  Giacomo  de  Casi'klroto 
(sec.  XVI)  scriveva  infatti  dal  Callinno  [Ardi.  Treni.,  XXVII,  p.  28).  de! 
Caliano  à  pure  lo  storico  delle  Giudicarle  (ìniìsotti.  V.  Buentaui,  Ili,  p.  272, 
che  vi   pone,  tra  parentesi,  un  .s^/r  quindi  non  giustificato. 


204  Ano-elico  Prati, 

nelle  Tir.  Nani.,  p.  28-80,  e  su  cui  ò  avuto  occasione  di  ritor- 
nare nelle  lìicerche,  I  p.  52-53,  credo  bene  di  aggiungere  ancora 
qualche  considerazione,  premendomi  soprattutto  di  rettificare  una 
asserzione  inesatta,  che  potrebì^e  anche  passare  da  un  autore 
all'altro  e  trarre  in  errore  pili  d'uno.  Il  Keich  cioè,  ripetendo 
iu  parte  quanto  aveva  scritto  nelle  Notizie,  p.  20,  asserisce  che 
il  vero  nome  originale  del  Rospo' k  —  corrispondente  alla  forma 
letteraria  tedesca  liossòuch  — .  corso  d'acqua,  che  passa  per  Fol- 
garia  e  poi  al  Galiano,  "  era  Cavalliano.  sincopato  in  Galliano..., 
e  solo  posteriormente  tradotto  in  lìossbach.  .,  {L'Alto  Adige, 
a.  XXVII.  N.   10,   18-14  gennaio  1912,  p.  3.  I  col.ji. 

Siccome  la  forma  kuljani  non  poteva  venir  tradotta  in  Rosshach, 
ma  poteva  prestarsi  a  tale  traduzione  soltanto  la  forma  "^kaval-, 
il  nome  tedesco,  nel  caso,  dovrebbe  essere  anteriore  alla  sup- 
posta contrazione  di  *k-aval-  in  *kal-.  L'insediamento  di  Tedeschi 
in  Folgaiia  dovrebb'essere  quindi  avvenuto  in  un'epoca,  in  cui 
era  ancora  usata  la  forma  *karcilja)i  o  *kat:aìjai)ì.  Ora,  sapendo 
che  il  nome  Caliano  compare  per  la  prima  volta  nel  1211 
{C.  W.,  p.  218),  converrebbe  ritenere  che  un'immigrazione  te- 
desca sia  successa  prima  di  quell'epoca  e  infatti  da  un  docu- 
mento risulta  che  le  più  antiche  colonie  terziarie  tedesche  in 
Folgaria  risalgono  al   1150  (Reich,  Notizie,  p.  62  63). 

Ma  non  si  può  dire  con  sicurezza  che  il  vero  nome  originale 
fosse  Cavalliano,  perché  non  ce  lo  attesta  nessun  documento. 
Quel  nome  non  è  dovuto  che  ad  una  bella,  attraente  supposi- 
zione dello  ScHNELLER,  coutro  la  quale  sta  pur  sempre  però  la 
difficoltà  di  ammettere  la  scomparsa  del  e,  che  avrebbe  dovuto 
rimanere.  Cfr.  i  Cavaioìio  ecc.,  citati  a  p.  36  delle  Tir.  Nani.  '-, 
e  Cavalése  in  Fieme. 


^  Nella  forma  Rospoche  si  legge  nella  cai-ta,  ricavata  dall'ANicH  e  ripor- 
tata dal  Reich,  Notizie,  tra  la  p.  144  e  la  p.  145. 

-  A  proposito  dei   quali    si    ricordino    l'istr.    kavajóii    "  bica  d'uva  ,   e  il 


J 


Ricerche  fU  toponomastica  trentina  205 

Del  resto  lo  stesso  Schnelleu  non  dà  la  sua  spiegazione  come 
certa,  giacché  nelle  Sìidtir.  Lanciseli.,  II,  p.  54,  per  chi  non  è 
contento  di  essa  ricorda  il  Galliano  in  provincia  di  Alessandria 
in  Piemonte,  e  nelle  Tir.  Nani.,  p.  28,  ammette  pm-e  come  pos- 
sibile la  derivazione  da  C  a  1  1  i  u  s  o  da  C  a  1  i  u  s. 

Qualunque  però  si  accetti  delle  due  spiegazioni  e  malgrado 
non  si  conoscano  che  forme  antiche  con  i,  non  si  può  partire 
dato  l'ostacolo  del  /  mantenuto  in  Kaljdnì,  da  *C  a  b  a  1  1  i  a  n  u, 
rispettivamente  da  C  a  1  1  i  a  n  u,  ma  da  *C  a  b  a  1 1  i  1  i  a  n  u^  da 
*(j  a  b  a  1  1  i  1  i  u  s,  o  da  *C  a  1  1  i  1  i  a  n  u,  da  *C  a  1 1  i  1  i  u  s  ^ 
All'ostacolo  in  parola  accenna  pure  lo  Schneller  nelle  Siidtir. 
LandsrJt.,  II,  p.  53,  ed  osserva  che  la  conservazione  di  II  o  l  sì 
spiega  dalla  contrazione  di  Cavallianwn  in  Callianunt,  ma  non 
si  sa  qual  fondamento  abbia  tale  dichiarazione. 

Canéza  (pron.  kanéia) 

Villaggio  nel  distretto  di  Pòrgine. 

Compare  come  Canesfia  in  un  documento  del  1166  (Bonelli. 
II,  p.  433)  e  si  tratta  certo  di  un  errore  per  Canetsia^:  14U7: 
Caneza  {Trid.,  V,  p.  394);   1506:   Canesi  (doc.  ted.)  {ivi,  p.  396). 


veneis.  kuragón  "  covone  „  [Revue  de  Diaìectol.  Roni..  IV,  p.  2"24.  N.  1440). 
E  V.  AvoGARO,  p.  43;   Olivieri,  Studi,  \).   184. 

*  Oppure  da  *C  a  1  i  1  i  ii  s.  Nelle  Ricerche,  I.  p.  53,  davo  la  derivazione 
da  *C  a  b  al  1  i  1  i  n  s,  sottintendendo  la  pos.«!Ìbilità  della  congettura  dello 
'ScHSELLEK,  clie  allora  mi  pareva  più  persuasiva,  e  preoccupato  soprattutto 
di  superare  l'ostacolo  del  l. 

'  Nel  medesimo  documento,  in  cui  sono  parecchi  i  nomi  in  forma  tedesca 
(v.  Ricerche,  1,  p.  30),  s'incontrano  Persiues,  Vieracìi,  Porteli,  Sertzii  (v.  ivi, 
p.  83.  n.  1),  Artzenach,  Noc/arait,  Cantzeliiii,  Cuxilini,  Floruts  (v.  ivi)  (Bo- 
nelli, li,  p.  433).  Oltre  Artzeìiach,  vi  sono  nominati  altri  due  villaggi  ora 
scompaisi,  pure  nella  valle  della  Fèrsena,  Prati  igQmt.)  e  i^rrtjt-fs/t  (genit.). 
Artzeìiach  e  Braresiuni  furono  distrutti  dalle  inondazioni  della  Fèrsena, 
come  narra  il  Montkhk.llo.  p.  403.  il  quale  usa  le  forme  Bracese  e  Arcenaga, 


206  Angelico   Prati. 

11  Malfatti,  I,  p.  61,  die  s'illudeva  credendo  che  questo 
nome  potesse  derivare  da  canìiicine  "  luogo  piantato  di  canne  „, 
piuttosto  che  da  cannitia  "  chiusa  per  i  pesci  „,  dava  erronea- 
mente CcDièca  quale  forma  dialettale,  in  luogo  di  Canéia  \  come 
è  una  ricostruzione  sbagliata  il  Cauptia  del  Calai.  Cleri  Dioec.  Trid. 
(p.  58  dell'edizione  per  il  1913).  Ed  è  poi  da  escludere  che  da 
essa  possa  aver  tratto  il  jiomo  il  monte  Canzona  (pron.  popol.  ìe 
Calzane)  presso  Lévico  (v.  lìkerclie,  I.  p.  22-23),  come  pensò  lo 
ScHNELLER,  Kfit.  Jaìireshev.  il.  die  FortscJit\  d.  Bow.  Pliilol..  IV, 
III,  ^.  154-155  ;  Siìdtir.  Landsch.,  I,  p.  145. 

Presso  Possagno  (Asolo,  Treviso)  vi  è  una  Caniezza.  che  do- 
vrebbe corrispondere  alla  trent.  Cané'/i,  come   al  ferrar,  vanje^a 


mentre  il  Malfatti.  I,  p.  24,  n.,  si  accontenta  di  rendere  le  forme  del  do- 
cumento, con  Brazesio  e  Arzenaco.  Il  Brentari,  I,  p.  274,  scrive  Brecesio  e 
Arzenaga  e  i!  Geeoi-a,  Tril ,  V,  p.  390,  Brarèn  e  Arzenago.  Il  primo  nome^ 
che  nel  1408  compare  come  Bracei^sy  (genit.)  (ivi,  p.  395),  diede  origine  al 
casato  Bracé^,  che  dura  tuttora.  Y.  ciò  che  scrive  di  cjuesti  paesi  scomparsi 
il  Gram\tica,  p.  12-14. 

Del  documento  del  1166  e  del  fatto,  a  cui  si  riferisce,  si  occupò,  com'è 
noto,  Tommaso  Gak,  Puffo  tra  il  comune  di  Pergine  e  il  tiiunicipio  di  Vicenza 
nel  MCLXVI,  ma  nel  riprodurre  il  documento  non  fu  esatto,  perché  mutò 
Serizii  in  Serzii,   Cantzelini  in  Canzelini. 

^  Non  è  da  fare  assegnamento  sulle  forme  date  dal  Malfatti.  Basti  dire, 
per  esempio,  che  egli  si  occupa  di  proposito  del  nome  del  villaggio  di 
Faléfina  (pron.  loc.  falejf'na)  (Pergine)  (v.  i  miei  Nomi,  p.  167),  credendo 
che  esso  suoni  Falef'uia  (I.  p.  71),  e  di  Ospedaletto  nella  Valsugana  cita  nien- 
temeno che  la  forma  dialettale  Spedalétt  {Degli  idiomi  pari,  antic.  nel  Trent. 
e  dei  dial.  odierni,  Livorno,  1878,  ult.  p.,  ult.  n.),  forma  di  sicuro  inventata 
da  lui.  in  primo  luogo  perché  essa  presenta  un  troncamento  assolutamente 
estraneo  al  dialetto  locale  e  in  secondo  luogo  perché  la  forma  dialettale  è 
Dospedàle  (cfr.  valsug.  dospedale  "  ospedale  ,)  o  l'Ospedale  [Doèpedalq'ti  od 
Ospedalo'ti  gli  abitanti)  e  Ospedaletto  non  è  che  forma  letteraria,  adottata 
alcuni  secoli  fa  da  chi  volle  probabilmente  abliellire  il  nome,  che,  seconda 
il  significato  moderno,  non  sarebbe  certo  bello. 


Ricerche  di  toponomustica  trentina  207 

corrisponde  il  trent.  vanéia,  ital.  letter.  vaneggia  ^  E  ai  noti 
l'einpol.  (tose.)  cannéggiohi  "  cannuccia  del  cui  fiore,  che  butta 
in  primavera,  si  fanno  le  spazzole  di  padule  „  {Bevue  de 
Dialedol.  Boni.,  IV,  p.  234).  Per  quanto  riguaida  la  termina- 
zione giova  forse  rammentare  YErhe-io  (pron.  dial.  -do)  dei  Les- 
sini.  in  provincia  di  Verona  (ìVvogaro,  p.  24;  Olivieiu,  Studi, 
p.  120),  che  corrisponde  ad  un  Erbeggio,  come  osservò  già  il 
ViDÒssiCH,  Ardì.  Triest.,  N.  S.,  XXIV.  suppl.,  1902,  p.  186,  il 
tose.  Lappéggi  (App-)  o  -éggio,  se  spetta  a  lapjxt  (Pieri,  p.  93), 
e  Fravéggio  (pron.  loc.  fraréc)  (Vezzano,  Trento),  se  le  condi- 
zioni locali  non  sconsigliassero  la  derivazione  da  *frava  =^  fraga 
(cfr.  Fragazzóle  veron.,  ant.  Frituezoìa-.  Avogaro,  p.  24;  Oli- 
vieri, Studi,  p.  120)  ^. 

Cauredls  (terra  de-)  (Val  di  Rumo,  Val  di  Non)  (nome  antico) 
E  nominato  nel  1220  (Schneller,  Trid.  TJrb.,  p.  166).  La  base 


'  L'etimologia  del  Salvkini,  Ardi.  Gìoft..  XVI,  p.  490,  non  è  sostenibile, 
come  à  riconosciuto  egli  stesso,  Krif.  Jaliresher.,  IX,  i,  p.  108.  La  sua  resi- 
piscenza è  sfuggita  però  al  Meykk-Lììbke,  li.  E.  IJ'.,  5839,  p.  388. 

Nel  valsuganotto  si  à  rane'da  (cfr.  tfda  [trent.  te'in],  ma  feltr.  hc'da,  da 
attegia).  V.  ancora  Cks.mu.m  Sforz.^,  Arrh.  Trent. ,^WW,y.  233,  e  si  noti 
la  forma  vanezta  documentata  nel  1085  (Gloria,   Cod.  l'ad.,  I,  p.  cxxxvii). 

^  Un  suffisso  analogo  presentano  due  altri  nomi  di  piante  :  il  valsug. 
karye'do  (i)ron.  signor.  Jcarje'io)  da  cariu  (li.  E.  M\,  1696'  e  il  mantov. 
kar('/a,  bresc.  karéx'',  cremon.  Icaré-a  "  carice  „  il  cui  T  impedisce  di  deri- 
vare il  nome  direttami-nte  da  *c  a  r  i  e  i  a  icfr.  Salvioxi,  lieiidic.  d.  li.  Ist. 
Lomb.,  s.  II,  V.  XXXV,  p.  967).  Il  Meyer-Lììbke,  R.  E.  W.,  1691,  cita  il  milan., 
bresc.  kared^,  ma  un  milan.  karedx  è  sconosciuto  al  Salvioni,  Revue  de 
Dialfitol.  Rudi.,  IV.  p.  89  n.,  N.  1691,  e  si  tratterà  di  uno  dei  tantissimi 
sbagli  del  Meyek-Lubke,  e  la  voce  bresciana  viene  ivi  corretta  dal  Salvioxi 
in  kurez,  kureze. 

E  bene  anche  ricordare  che  nel  valsuganotto  a  satureja  "  santo- 
reggia ,  corrisponde  solfje'da  (pron.  signor.  solJe'la\  nella  qual  forma  il 
g<ij  SI  spiegherà  colla  influenza  o  colla  immissione  del  suffisso,  che  c'è  in 
harge'do,  ecc. 


208  .  An,i,'elico  Prati, 

ne  è  un  *c  a  p  r  e  t  u  "  capretto  ,,,  rappresentato  largamente  nel- 
l'Italia alta  (Salvioni,  Studi  di  Filol.  Rom.,  VII,  p.  228;  Ro- 
mania, XXXIX,  p.  438;  Rendic.  d.  R.  Ist.  Lomò.,  s.  II,  v.  XLIV, 
p.  810,  N.  97;  R.  E.  W.,  1647).  Tra  i  nomi  di  piante  *c  a - 
p  rétn  tr'ova  un  parallelo  nel  milan.,  poles.  rovéda,  rover.  rovéa 
"  rovo  „,  nel  ìuorfefo  "  mortella  „  del  vocab.  ital.  ecc.  (Pieri, 
p.  239).  kaoré  col  derivato  kaoreata,  vive  pure  a  Frazzena  e  ad 
Ivano  presso  Stiigno  (Valsugana). 

Ciónesi    (pron.  ho'nef'i) 

Campagna  presso  la  chiesa  parrocchiale  di  Pomarolo  (Villa 
Lagarina),  ripartita  tra  più  possessori. 

Il  RiCAMBONi  à  immaginato  che  possa  essere  il  lat.  colo- 
nici \  ma  non  si  sa  come  giustificare  la  riduzione  di  e  o  1  o- 
in  co-.  Poi  c'è  un'altra  cosa.  Il  Ricamboni  scrive  Ciónesi.,  con  ò 
stretto,  usando  egli  l'accento  acuto  per  o'  ed  è  {San  Marco,  II, 
p.  167).  ma  la  voce  à  invece  g'  (Schneller,   Tir.  Nam.,  p.  42). 

Cles  (pron.  loc.  klés:  pron.  dell'alta  Val  di  Non  kljés) 

Borgata  nel  distretto  omonimo  e  capoluogo  della  Val  di  Non. 

Molte  forme  di  questo  nome,  tratte  da  documenti  medievali, 
son  riportate  nelle  Ricerche,  I,  p.  16. 

All'etimologia,  ammessa  dall' Ettmayer,  Rom.  Forsch.,  XIII, 
p.  512,  n.  1,  da  ecclesie  (plur.),  il  Battisti,  nella  Catinia, 
§  54,  p.  159-160,  moveva  Tobiezione  della  divergenza  tra  Kljéè 
e  gljéf'ja.  riflesso  nònese  di  *eclésia,  che  sembra  quindi  opporre 


^  Gl.  RiccAMBONi,  Nomi  locali  di  Val  Lagarina,  San  Marco,  III,  p.  39.  In 
quel  di  Cognola  (Trento),  presso  Vilamontagna.  c'è  un  luogo  abitato  Cig'gna 
(forma  Iettar.  Chiogna),  1212  ad  Clongia  {Trid.,  II,  p.  203);  1884:  Clogna 
[Cod.  Cles.,  Riv.  Trid.,  X,  p.  58),  che  sembrerebbe  essere  colonia,  ma 
si  oppone  l'ostacolo  sopra  detto.  L'o'  qui  sarebbe  causato  dal  n  (cfr.  ro'na, 
vergq'na,  ecc.  :  v.  le  mie  Escursioni,  p.  124,  e  qui  appresso  s.  Gro»i.  [Dos  de-]). 


I 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  209 

ostacolo,  come  aveva  già  notato  pure  I'Inama,  Ardi.  Treni.,  XIV, 
p.  10-11.  Ma  nella  Nonsb.  Miuid.,  p.  31,  lo  stesso  Battisti  rico- 
nosce come  possibile  la  derivazione  da  ecclesiae  ed  infatti 
si  può  ovviare  all'obiezione  accennata,  supponendo  che  Kljés 
risalga  ad  un  antico  ecclesiae,  anteriore  a  quell'  *eclésia 
(cfr.  R.  E.  TF.,  2823),  forse  di  ragione  greca  (Meyer-LIìbke, 
EiìtfnìiruìKj-,  p.  124.  151),  che  diede  il  non.  gljéj'ja,  il  furi,  glefje, 
il  trent.  ant.,  ven.  ant.  ecc.  giesia  e  le  altre  forme  romanze  cor- 
rispondenti (nel  1391  trovo  in  quel  di  Deno  [Val  di  Non,  distr.  di 
Mezzolombardo]  il  nome  locale  (ire  la  Gresia  \Cod.  Cles.,  Biv. 
Trid.,'  XI.  p.  2(ì8  ,  oltre  che  drr  la  Giesia)  ^  Altrimenti  il  ne- 
gare l'etimo  qui  sostenuto,  in  vista  della  divergenza  sopra  notata, 
sarebbe  come  negare,  ad  esempio,  la  derivazione  di  Lendinara 
(pron.  loc.  lendendra),  nel  Polesine,  da  lèndine  (Olivieri,  Studi, 
p.  136),  perché  la  voce  polesana  per  il  "  lendine  „  è  géndana  '^. 
A  provare  poi  la  derivazione  di  KUs  da  ecclesiae  sta 
il  fatto  importantissimo  che  in  una  pergamena  deirarchivio  cu- 
raziale  di  Mèchel  del  1185  gli  abitanti  di  Cles  sono  detti  Eccle- 
sienses  (Lorenzo  Felicetti,  Nuovi  racconti  e  descrizioni  del  Tren- 
tino, Cavalese,  1910,  p.  64,  n.)  ^. 


*  Non  è  probabile  clie  sulla  forma  del  nome  locale  abbia  agito  l'influsso 
del  dotto  ecclesia  (lat.  eccles.). 

^  Sulla  qual  forma  v.  Vidòssich,  N.  6;  Malagoli,  Ardi.  Glott.,  XVII, 
p.  151-152.  Al  secondo  è  sfuggito  quanto  aveva  scritto  il  primo. 

(Con  Lendendra,  cfr.  Gnjidovca  da  gnjida  "  lendine  „  [Francesco  Musoni, 
/  nomi  locali  e  Velemento  slavo  in  Friuli,  Rir.  Geogr.  Ita!.,  IV,  1897,  p.  110]). 

•^  Il  Hattisti,  nella  «"«/y/t/w,  §  54,  p.  160,  asserisce,  sulla  scorta  del  Reich, 
che  "  per  Cles  le  carte  medioevali  fino  al  1000  danno  Clavassus  ,,,  e 
in  nota,  sul  ricorrere  del  nome  Clarassus,  rimanda  al  Reicit,  Arch.  Trent., 
IX  24.  L'asserzione  del  Battisti  non  è  esatta  e  del  tutto  sbagliato  è  il  rinvio 
al  Reich.  E  quindi  bene  mettere  le  cose  a  posto.  In  un  documento  del 
Codice  Adelpretano  del  secolo  XII  compare,  tra  altri  nomi  della  Val  di  Non, 
anche  un  ('/arasse  (de-)  (Bonklm,  IT,  p.  351).  11  Reich,  il  quale  suppone  che 


210  Angelico  Prati, 

C'è  infine  da  rilevale  che  è  notevole  la  presenza  di  questo 
vetusto  nome  locale  derivato  da  ecclesia,  di  fronte  ai  nomi 
risalenti  a  b  a  s  1 1 T  e  a.  V.  a  tal  riguardo  Meyer-Lììbke,  Ein- 
fnliruììfi^,  p.  244  ^ 

Coni 

Nel  1261  è  menzionato  un  loco  uhi  diritiir  al  Coni  presso  Isera 
(Villa  Lagarina,  Kovereto)  (Schneller,  Tir.  Nani.,  p.  44).  Lo 
ScHNELLER  cita  anche  el  co)iì  della  Zana  in  Yallarsa,  che  è  pure 
rammentato  cosi  nel  1400  e  il  nome  Cagni  di  luogo  montano 
presso  Nomi  (Villa  Lagarina,  Rovereto). 


quel  documento  sia  del  lOUO  e.  {Ardi.  Trcìit..  XIV,  p.  27-28,  ove  i  nomi 
non  sono  tutti  riportati  fedelmente),  afterma,  ivi,  p.  24,  che  Clarasso  (cosi 
egli  scrive)  diede  Cles,  e,  basandosi  su  ciò,  lo  dice  nome  conservato  fino 
verso  il  1000.  Non  si  tratta  quindi  che  di  una  supposizione  e  nessun  docu- 
mento anteriore  al  1000  reca  quel  nome.  Ma,  come  m'informò  lo  stesso  Bat- 
tisti, Clavas.^e  corrisponde  invece  all'odierno  Clavàs,  nome  di  un  casale  nel 
distretto  di  Cles,  che  però  non  mi  è  noto  altrimenti  che  da  questa  infor- 
mazione. 

Sul  documento  accennato  è  ritornato  di  recente  il  Reich,  Trid.,  XIII, 
p.  408-405,  riportandolo  e  dicendolo  ancora  non  lontano  dal  1000  ip.  405). 
Egli  à  ripetuto  però  l'identificazione  di  Clavasse  con  Cles  [\).  404),  non  so 
se  perché  non  prestasse  fede  all'esistenza  di  Clavàs.  Ma,  anche  astraendo 
da  questo,  l'identificazione  in  parola  sai-ebbe  possibile  soltanto  ammettendo 
che  Cles  sia  stato  detto  Clavasse  fino  al  1000  e.  e  che  poi  gli  sia  stato  mu- 
tato il  nome,  chiamandolo  Cles,  perché  da  Clavasse  non  può  assolutamente 
essere  venuto  kle's,  klje's  i  Questo  nome  sarebbe  dunque  recente,  proprio 
contxariamente  a  quanto  ò  sopra  conchiuso,  che  cioè  esso  sia  molto  antica!! 

Riguardo  all'è  di  Clavasse,  si  avverta  che  anche  altri  nomi  contenuti 
nello  stesso  documento,  i  quali  dovrebbero  uscire  in  -u,  escono  invece  in  -e 
(v.  BoxKLLi,  II,  p.  350,  351). 

^  Alle  citazioni  del  Mkyek-Lùbke  aggiungi  Ohsi,  Suf/gio.  Ili,  p.  237;  Mal- 
fatti, I,  lì.  49.  L'Oiisi  dice  che  tali  nomi  sono  rarissimi  nell'Italia  alta.  Sfido 
io!  Sono  sfuggite  alI'Ousi  tutte  le  Ba/elyhe,  ecc.  venete  e  furlane,  che  sono  7, 
pili  Porto  Baféleghe  e  Treba.fétcghe\  (Arch.  Glott.,  XVI,  p.  229,  n.  4;  Olivieri, 
Studi,  p.    188).  V.  però  Pieci,  p.   119. 


I 


M 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  211 

Trattandosi  di  un  singolare,  sembrerebbe  che  Coni  presenti  un 
caso  di  pi-onnnzia  quale  è  nel  rovor.,  trent.  enég'nj  "  sogno  „ 
(v.  Battisti,  Catinia.  ^  49.  p.  157J.  Sennonché  esso  risalirà  in- 
vece a  un  -^kónio,  con  /  vocalico,  da  cui  pure  il  garden,  kéiine 
e  il  fiu-1.  koni  (Arch.  Glolf..  1,  p.  359  n.,  366  n.  6,  509;  IX, 
p.  382-383  n.). 

Cornejàn 

A  p.  8  delle  Notizie  storiche  del  Del  Vj^j  si  legge  che  da  tutti 
i  rinvenimenti  fatti  su  quel  di  Ziano,  presso  Cavalese  in  Fieme, 
risulta  che  anch'esso  eia  un  centro  abitato  e  che  là  doveva 
esservi  un  villaggio,  ciò  che  è  confermato  dalla  tradizione,  "  che 
ne  conservò  il  nome  Cornc-jan  o  Cunelian  „.  E  in  nota:  "  Oggidì 
Coriiejan  ed  una  volta  anche  Cornegluin  è  detta  la  plaga  di  cam- 
pagna a  levante  di  Zanon  alle  falde  del  monte;  plaga  che  un 
tempo  apparteneva  a  Predazzo  dal  quale  fu  permutata  per  beni 
in  Imana.  Il  piano  di  essa  campagna  è  nominato  il  Fiati  dei 
Pagani,  forse  dal  fatto  che  in  quelle  vicinanze  furono  cose  pa- 
ganesche  ...  (Cfr.  Ricerche,  1,  p.  39 j. 

Il  Cunelian,  sopra  riportato,  non  sarà  che  un  eri-ore  per  Cur- 
neliaìi.  Del  pari  Corneglum,  preso  evidentemente  da  qualche 
vecchia  carta,  è  al  certo  un  errore  per  Corneglain  o  Corneglano^. 

C  0  r  n  e  1  i  u  s  diede  anche  più  nomi  locali  al  Veneto  (Olivieri, 
Studi,  p.  78)  ecc. 

Cosmajóin  (forma  lettor.   Cofmagnone) 
Malga  del  comune  di  Trambileno  (Rovereto). 
Secondo  lo  Schneller,   Tir.  Nani.,  p.  48,  la  forma  letteraria 
è  migliore  e  più  giusta,    certo   perché  essa  è  appoggiata  dalle 

*  L'Oasi,  Swjgiu,  Ili,  p.  247,  riporta  solamente  hi  forma  Corneliano  e  cita 
il  Wkbkk  G.  B.,  Saijgio  sull'origine  dei  jwpoli   trentini,  Trento,    1871,   ]i.  88. 

Archivio  glottol.  it.al.,  XVIIl.  14 


212  '  •  Angelico  Prati, 

forme  dei  documenti:  JoG!):  posta  Gosiiiaynoni;  ì4^-\'t):  pasculunt 
Cusmagnoni:   14:72:  la  posta  de  Cosmagnon. 

Raro  assai  è  nel  trentino  il  fenomeno  di  j  al  luogo  di  it  ed 
io  non  so  rammentare,  quale  i-iscoutro,  che  Maia  ho,  vecchio  nome 
del  villaggio  di  S.  Massenza  (Vezzano),  che  aveva  allato  la  forma 
Magnano  (Orsi,  Saggio.  IV,  p.  5).  Il  Battisti,  Catinia,  %  49, 
p.  156-157,  cerca  bensì  di  spiegare  foneticamente  le  forme  Pa- 
samuntagia,  nome  antico  di  un  luogo  presso  Nomi  (Villa  Laga- 
rina.  Rovereto),  e  canpagia  (non  passannoifagia  e  canipagia:  cfr. 
ScHNELLER.  Tir.  Nani.,  p.  110,  n.j,  per  Passamoìitagiìa  e  cam- 
pagna, di  un  notaio  Pi^ollus  (dallo  Schneller  non  risulta  però 
se  sia  stato  trentino,  come  lo  dice  il  Battisti),  ma  dal  Salvioni, 
Arch.  Glott.,  XII.  p.  383.  n.  4;  Krit.  Jahresber.,  YUl,  I,  p.  134, 
si  apprende  che  un  tempo  si  usò  scrivere  g  o  gì  invece  di  gii  ili), 
e  poi  le  forme  citate  non  paiono  molto  attendibili,  perché  in 
quel  documento,  che  è  del  1216,  si  legge  una  volta  sola  ca)i- 
pagia,  mentre  vi  si  legge  ben  quattro  volte  canpagiia. 

Avevo  pensato  che  in  Cof'majóm.  come  in  Maiano  {Magnano), 
possa  entrarci  T  m  a  g  T  n  e,  per  via  di  *majn-^ inanj-  (v.  s.  Mani 
e  cfr.  ital.  ant.  mania  :  B.  E.  TF.,  4276),  ma  sarebbe  un  etimo 
ben  poco  probabile!  E  poi  nasce  il  sospetto  che  il  /=  ii  di  questi 
due  nomi  risalga  a  Ij,  da  cui  si  spiegherebbe  bene  il  /.  e  le 
forme  con  gn  si  spiegherebbero  coU'assimilazione  al  n  seguente. 
Tale  assimilazione  è  documentata  nel  nome  antico  della  rocca  di 
Rovereto^  che  deriva  da  *c  a  s  1 1 1  i  ii  n  e  ìi  l  u  :  1340-1448:  Ca- 
steljunculam,  CastruniJ/oiodi.  Casfrignunniìinn,  Castrignoclium,  Ca- 
stringlonchum,  Castrignuncum,  Castrignondum,  Castranculum,  ecc. 
(Schneller,  Tir.  Nam.,  p.  35);  sec.  XIV:  Castrojunchulo,  Ca- 
stignonrli  (Gerola,  San  Marco,  II,  p.  34).  L'arbitrio  dei  notai, 
come  si  vede,  c'entra  alquanto  in  queste  formo;  tuttavia  della 
forma  originale  e  del  conseguente  processo  d'assimilazione  non 
si  potrà  dubitare  molto  facilmente.    Due    castelli    del  Vicentino 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  213 

trassero  pure  il  nome  da  *c  a  s  1 1  1  i  ìi  n  e  ìi  1  u,  ma  in  essi  non 
avvenne  l'assimilazione  anzidetta,  come  si  può  vedere  dalle 
forme  in  Castrihmculo  {1262)  e  i».  CastrioncuU  {1287),  riprodotte 
dal  Gerola,  ivi,  p.  35  ^ 

Cfr.  poi  nianàr  di  fronte  al  iomb.  niajà  (Salyioni,  Arch.  Glott., 
XVI,  p.  309,  Rendic.  d.  R.  Ist.  Lonib.,  s.  IL  v.  XLIV,  p.  762; 
R.  E.  W..  5235)  e  gli  esempì  furlani  di  m-j  >  m-n  nell' /l/-cA. 
Glott.,  XVI,  p.478,  n.2.  V.  inoltre  Olivieri,  Studi,  p.  67  {s.Annms), 
68  (s.  Asellius),  75  (s.  CarilUus),  76  (s.  CioilUus),  81  fs.  GemeUius), 
AvoGARo,  p.  11. 16,  17,  e  il  cognome  veneto  RegaióU.  cui  sta  allato 
Regagnóli  ^. 

Cupa  (nome  antico) 

E  ricordato  nelle  Designationes  comunium  civitatìs  Tridenti 
del  1339:  Predagnda  siue  Cupa...  sub  qua  est  quidam  coualetus 
{Arch.  Trent.,  XVI,  p.  184).  Si  tratta  di  cupa  "  cupola  „,  da 
cui  la  cìwa  dei  documenti  medievali  veneti  (Gloria,  Cod.  Pad., 
II,  p.  cxiv)  e  il  venez.  mod.  kuba.  In  un  documento  nònese 
del  1454  si  leggono  le  forme  guua  (nel  testo  latino)  e  gua  {la-) 
(nella  parte  scritta  in  volgare)  {Ardi.  Treni.,  XXVII.  p.  206. 
I  r.,  207,  I  r.). 


'  Cfr.  Lapo  da  Custiglioncìiio,  filoloo'O  del  sec.  XIV,  e  il  Capo  CufitigUon- 
cello  (Livorno). 

^  RegaióU  e  anche  casato  della  valle  bassa  della  Sarca,  nel  Trentino. 
Difficilmente  si  connetterà  col  nome  Rigala,  il  quale  s'incontra  più  volte 
in  carte  trentine  (Schneller,  Tir.  Naiìi.,  p.  800,  N.  133;  Cesarini  Sforza, 
Arch.  Treni.,  XXVI,  p.  192),  se  questo  dipende  da  Rigaia,  che  era  nome  di 
un  luogo  presso  Carpen^'da  in  Folgaria  (Rovereto)  (Reich,  Notizie,  p.  32-33). 
Uno  detto  Rigaia  a  Scurelle  (Valsugana),  trovo  nominato  nel  1417  presso 
il  MoRizzo,  I,  p.  184. 


214  Angelico  Prati, 

Oegàra 

Luogo  di  Tiaino  di  Sotto  (Val  di  Ledro)  [Arcìi.  Trent.,  XXV'I, 
p.   197,  alla.  1479). 

Degàra  spetta  forse  alla  famiglia  di  voci,  alla  quale  appar- 
tengono i  nomi  di  luogo,  designanti  torrenti  o  canali,  raccolti 
daU'OLiviERi,  nei  suoi  Studi,  p.  192,  poi  la  Diigója  di  Fieme 
(v.  Ricerche,  I.  p.  52),  la  Donerà  {Duéra)  località  in  Zei  presso 
Castellano  (Villa  Lagarina)  (Schneller,  Tir.  Nani.,  p.  51)  e,  tra 
i  nomi  comuni,  il  solandro  diigàl  "  canaluccio  di  scolo  o  d'irri- 
gazione „  (Battisti,  Zur  Sidzh.  Mund.,  p.  214),  l'ant.  moden. 
sdugaro  "  condotto,  canale  „  (Bertoni.  Atti  e  Meni.  d.  R.  Deput. 
di  Sf.  Patria  j).  le  Prov.  Moden..  s.  V,  v.  VI,  Modena,  1910, 
p.  187).  la  dogaja  e  dugaia  del  vocabolario  italiano  ecc.  (Pieri, 
p.  179;  R.  E.  W..  2714).  A  queste  voci  ò  occasione  di  accennare 
neWArch.  Glott.,  XVII,  p.  400,  562,  notando  come  per  Degàra 
(Olivieri.  1.  e;  Avogaro,  p.  60)  sia  da  escludere  la  derivazione  da 
d  e  e  o  1  a  r  e  o  da  d  e  e  ìi  r  r  e  r  e  (v.  Olivieri,  in  n.),  in  causa  del 
fiam.  Dugója,  ed  appoggiando  quindi  l'etimo  *d  ii  e  ò  r  i  a.  Ma 
ad  un  *d  li  e  a  r  i  a  non  potrebbe  risalire  Duéra,  clie  presenta  il 
dileguo  del  g,  sicché  la  base  comune  di  tutte  le  voci  accennate 
dev'essere  appunto  dóga  nel  significato  di  "  fosso  „  [R.  E.  W., 
2714;  Schneller,  Tir.  Nani.,  p.  192,  N.  11).  Cfr.  rover.  doa, 
trent.  do' va   "  doga  ,,   (Battisti,   Catinia,  §  .69,  p.  175)  ^ 

L'è  di  Degàra  può  forse  esser  sorto  per  effetto  d'assimilazione 
nella  forma  ^Dogherà,  che  dovette  essere  (e  lo  sarà  tuttora)  della 
pronunzia  popolare  ^.  Conviene  però  aggiungere  che  anno  Ve  più 


'  do'a  0  do'va  nel  veronese,  dq'a  nel  polesano  ecc.  Nel  solandro,  y'tZo'ro 
significa  "  canaletto  di  scolo  della  forma  pel  cacio  ,  (Battisti.  Zur  Sulzb. 
Mund.,  p.  220). 

Per  i  ven.  Degóra  [la)  v.  Du  Gange,  che  ri|iorta  la  voce  degora  dal  Jns 
Vicentin.,  lib.   1. 

'   Da  pergamene  della  Val  di  Ledro  il  Battisti,  Catinia,  §  2,  p.  88,  rife- 


Ricerclie  di  toponomastica  trentina  215 

d'una  (Ielle  forme  citate  dairOLiviKiu,  nelle  quali  potè  bensì  agire 
l'assimilazione,  ma  è  supponibile  anche  che  Ve  vi  abbia  un'altra 
ragione  speciale,  comune  con  Degara,  probabilmente  influsso  di 
d  e  e  11  r  r  e  r  e  ^. 

Fàver 

Villaggio  nel  distretto  di  Cembra. 

1424:  cilla  Favre,  Faure  [Cod.  Cles.,  Riv.  Trid.,  XII,  p.  142, 
217);   1391:  Faher  (doc.  ted.)   (ivi,  IX,  p.  279). 

Può  essere  un  nome  peisonale  *F  a  b  r  u  s  (cfr.  F  a  b  r  i  u  s), 
dal  quale  dovrebbe  pur  derivare  l'antico  Favrese.  che  I'Oliviert, 
Studi,  p.  79,  riconduce  a  torto  a  F  a  b  r  i  u  s.  ma  può  forse 
meglio  ricordare  che  in  quel  luogo  un  tempo  c'era  un  artefice. 
V.  i  nomi,  d'origine  affine  per  il  significato,  citati  dallo  Schneller, 
Tir.  Nam.,  p.  55,  e  dall'OLiviERi,  Studi,  p.  193  2. 

Flumadiga  (el  palude  de-)  (nome  antico) 

E  un  luogo  della  valle  di  Fieme,  che  si  trova  nominato  nel  1505 
{ArcJi,.  Treni.,  IX,  p.  104)  ed  è  tra  i  pochi,  che  derivino  il  nome 
da  f  lumen  (v.  Olivieri,  Studi,  p.  155,  s.  vetus,  166;  Prati, 
Escursioìii,  p.  108).  Nella  Valsugana  c'è  la  Fùniola,  torrentello 
vicino  al  Borgo,  detto  aqiia  Fluitole  in  un  documento  del  1438 
(MoKizzo,  II.  p.  301.  304,  305,  306,  307).  Si  noti  anche  Fiumefélo 


risce  le  forme  alla  Chalchera,  alla  Glera  (1423),  ma  non  so  come  metta  as- 
sieme con  esse  anche  uslera  e  caldere  (1584),  che  non  sono  casi  di  -ària, 
ma  di  ^-e'ria 

'  Per  casi  di  e  da  0  protonico  v.  Battisti,  Citfiiiia,  §  34,  p.  142,  ov'è  da 
togliere  'ìfmàr  (cfr.  R.  E.  ÌV.,  2549). 

^  Da  Fabrius  deriverà  almeno  uno  dei  due  Farri  delle  Giudicarle,  di 
cui  V.  Ok.si,  Saggio,  III,  p.  251.  Cfr.  anche  Frajàn  (Vermiglio,  Val  di  Sòl) 
(forma  let ter.  F»'ajji«;;o),  nel  1200:  Fabrianum,  1220:  Flauianiim  (Schneller, 
Trid.   Urìj.,  \y   167),   1438:    Fravianum   {Cod.   Clea.,    Riv.   Trid.,  XIT,  p.   222). 


216  Aii.i^^elico  Prati, 

(Padova).  Ancor  meno  sono  i  nomi,  che  continuano  fliiviu 
(v.  AvoGAUO,  p.  46;  Olivieri,  1.  e;  Prati,  Escursioni,  p.  107; 
Salvioni,  Quisquiglie,  p.  384)  ^ 

Folgaria 

Comune  nel  distretto  di  Rovereto. 

V.  le  Ricerche,  I,  p.  33-34.  ove  sono  ricordati  altri  tre  luoghi 
di  nome  affine  e  son  riportate  parecchie  forme,  tolte  da  docu- 
menti, la  pili  antica  delle  quali,  per  la  Folgaria  sopra  citata,  è 
del  1200  e.  Ma,  stando  allo  Hormayr,  essa  è  nominata  ben  prima. 
Il  Sabersky,  p.  41,  riporta  infatti  dai  Beitr.  z.  Gesch.  r.  Tir., 
II,  I,  p.  74,  di  quest'autore  le  forme  Folgarides  e  Folgarie  di  un 
documento  del  secolo  IX  e  lo  Schneller,  nelle  Sndtir.  Landsch., 
II.  p.  66,  riferisce  pure  che  lo  Hobmayr,  nell'opera  citata,  p.  cit.. 
enumera  tra  i  luoghi  del  territorio  trentino  al  tempo  dei  Franchi 
Fulgarides,  Montana  Fulgorie,  ma  dice  che  non  sa  trovare  da 
quale  documento  siano  stati  presi  questi  nomi  ed  aggiunge  che, 
con  certezza,  Folgaria  è  nominata  per  la  prima  volta  nel  1208. 
Nelle   Tir.  Nam.,  p.  57,  la  dice  nominata  invece  già  nel  1196  2. 

Sul  nome  Folgaria,  la  cui  forma  tedesca  si  perpetua  nel  co- 
gnome Folgarait  (cfr.  anche  Folgheraiter,  Forgheraiter  e  v.  Tir. 
Nani.,  p.  58,  287),  dopo  quanto  ne  aveva  detto  lo  Schneller.  è 
ritornato  il  Battisti,  Catinia,  §  8,  p.  106.-107.  Si  tratta  di  un 
derivato   in   -età   di   *filicaria   [R.  E.  W.,  3298),  da  cui  i 


'  Paolo  Diaconu,  HìaI.  Langob.,  V,  18-20,  nomina  un  luogo  Floviiis.  che 
era  forse  nei  dintorni  di  Aquiléia.  V.  Memorie  Storiche  Forogiulesi,  Vili, 
p.  262. 

^  L'Orsi,  Saggio,  III.  p.  252,  riporta  le  forme  Fulgarida  del  1200  e  Fai- 
garia  del  1208.  Egli,  come  al  solito,  non  cita  la  fonte,  ma  queste  devono 
essere  le  forme,  che  si  trovano  nel  C.  W.,  riferite  quindi  erroneanu  nte, 
anche  riguardo  agli  anni.   Cfr.  Ricerche,  I,  p.  34. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  217 

toscani  Filicdja  (Pieri,  p,  88)  ^.  La  supposizione  del  Battisti,  che 
1/  di  Foìgaria  si  spieghi  forse  dall'iato  di  é  con  a,  sarà  da  re- 
spingere, perché  1'/  compare  anche  ove  la  dentale  si  mantiene 
salda  [Fuìgarida:  v.  Ricerche,  I,  p.  84)-.  Ma  è  poi  strano  di 
trovare  attestata  la  caduta  del  ci  secondario  in  documenti  di 
epoca  SI  antica  pioprio  in  Folgaria,  dove  si  tfovano  Carpenéda, 
che  è  frazione  della  Vila  di  Folgaria,  e  Sercida,  che  è  frazione 
del  comune  di  Folgaria.  Nei  documenti  s'incontra  più  frequen- 


^  V.  anche  i  nomi  addotti  dall'OLiviEiii,  Stttdì,  p.  119,  e  parecchi  altri 
d'altre  parti  d'Italia, 

Osservo  per  incidenza  che  secondo  il  Battisti,  o.  c,  §  8,  p.  106,  n.  4,  nel 
trentino  ricorrono  forme  eguali  sale/'e'f,  laref'e't,  haref'e't,  ina  a  me  non  fu 
mai  dato  di  trovarne.  Trovai  al  contrario  Saléto  e  Pfl«/e  ■<  *p  a  n  i  e  t  e  t  u 
{Nomi,  p.  172,   170-1711 

~  11  Battisti,  o.  c.  p.  107,  trovando  in  un  urbario  del  1200  dei  nomi  so- 
iandri  in  -ido  (v.  p.  105),  domanda  nientemeno  se,  essendo  -età  (plur.) 
almeno  cosi  frequente  come  -e  tu  (sing.),  non  sia  possibile  per  un  testo 
come  VUrb.,  che  tradisce  pili  volte  tendenze  letterarie,  "  ricostruire  su  ia 
o  dà  (scritto  ida)  un  singolare  ido  per  e(du)  „.  Anch'io  {Ricerche,  I,  p.  47), 
trovando  un  Zujndo  (oggi  Zopéì  in  un  documento  fiamazzo  del  1188,  rife- 
rivo a  confronto  i  nomi  solandri  dell' f/ri.  ed  un  Faida,  Faydum,  ecc.  (Lavis) 
iv.  anche  Schneller,  5e;7/Y/,^e,  III,  p.  72),  ma  ora  devo  soggiungere  chetali 
forme,  in  quanto  possano  rappresentare  eti'ettivamente  una  pronunzia  /, 
sono  del  tutto  illusorie.  Dalla  lettura  dei  documenti  si  trae  la  sicura  dedu- 
zione che  i  notai  usavano  spesso,  scrivendo  in  latino,  /  od  u  per  l'astretto 
o  Vo  stretto  di  nomi  locali,  di  nomi  personali  o  di  altre  voci  dialettali. 
E  cosi,  ad  esempio,  che  si  spiega  il  nome  di  persona  Mitifogas  (1259:  cfr. 
Battisti,  0.  e,  §  7,  p.  103),  che  ritorna  nel  1307.  ecc.  (Nicolai  Mittifoghi  de 
Arco:  Cod.  Cles.,  Rir.  Trid.,  Vili,  p.  110;  Schnhllior,  Tir.  Nani.,  p.  280,  N.  29), 
e  i  nomi  locali  citati  dal  Battisti,  o.  c,  §  14,  p.  117,  ai  quali,  tra  molti  altri, 
si  possono  aggiungere  Tiliiii  (forse  errore?)  {Ricerche,  1,  p.  58)  e  Mahiscum 
del  1214  {Malo'sco)  (Montebello,  p.  15  dei  doc).  Cfr.  anche  il  trent.  regro 
(anche  veneto;  valsug.  vje/gro)  "  sodo  „  (Scmnki.i.er,  Die  roiii.  Voìlcsinund., 
p.  210)  da  *veteru,  che  nei  documenti  medievali  latini  compare  come 
vi/jru.<i.  V.  le  Escursioni,  p.   101-102. 

Per  e  protonico  cfr.  il  Cattignedinn.  del  1384,  citato  nelle  Ricerche, 
1,  p.  51,  n.,  un  altro  nella  Valsugana  del  1462  (Morizzo,  III,  p.  64),  un  Ca- 


218  Angelico  Prati, 

temente  la  forma  con  la  dentale  conservata.  Folgarida  trovo 
anche  in  carta  del  1569  (Morizzo,  II,  p.  18)  ^  Por  1'/  cfr.  i 
nomi  locali  veneti  citati  dall'OLiviEiu,  Studi,  p.  118,  n.  3,  e  208. 
V.  anche  Persegcnia  ivi  a  p.    124  e  Salgaria  a  p.   128  ^. 

Frassifongo  (pron.  loc.  frasilonk) 

Villaggio  nell'alta  valle  della  Fèrsena  (valle  dei  Mòcheni),  nel 
distretto  di  Pòrgine. 

1166:  Fraxiloìig l  {genìt.)  (Bonelli,  li,  p.  433). 

Di  questo  nome  fo  cenno   specialmente  per  segnalare  il  caso 


stignaro,  ivi.  del  r267  (ivi,  I,  p.  5)  ecc.  e  per  e  postonico  VAsilìo,  Asilo 
del  991,  996,  da  Acelum,  oggi  A/ulo  (Treviso)  {Escursioni,  p.  94)  ecc. 
Per  0  protonico  la  stessa  Fidgarida. 

Quante  congetture,  anche  inverisimili,  d'ordine  fonetico,  verrebbero  rispar- 
miate da  una  conoscenza  più  approfondita  delle  grafie  usate  nei  tempi 
andati  ! 

^  Il  ted.  Folgardit,  come  Nogarait,  oggi  Nogaré  (Pèrgine),  citato  in  una 
nota  s.  Canéia,  ecc.  (v.  Battisti,  Catinia,  §  8,  p.  105^  risale  dunque  ad  un 
tempo,  in  cui  la  dentale  non  era  ancora  scomparsa.  Cfr.  del  resto  anche  il 
Tahlat  ■<  t  a  b  ù  1  a  t  u,  dovuto  al  tedesco  antico  di  Lavarono  (Rkich,  Notizie, 
p.  185,  n.)  e  Tabelat  in  ciuel  di  Trambileno  (Rovereto)  (Schnellhk,  Tir.  Nam., 
p.  189;  cfr.  ivi  p.  3'25,  n.).  Cfr.  invece,  nei  Sette  Comuni,  Gliel,  nome  te- 
desco di   Gl'ilio,  ant.  Galeditm  (Escursioni,  p.   110,  136). 

~  In  qualche  caso  potrà  entrarci  il  suffisso  -i  a  (Meyer-Lubke,  Ro»ì. 
Granuli.,  II,  §  406).  Cfr.  trent.  briìholarni  "  pruneto,  prunaia  ,,  \ìaàov.  per- 
segaria  "  campo  piantato  a  peschi  „,  salgaria  "  salceto  „  e  anche  l'istr. 
Volparla  (Giannandrea  Gravisi,  Appunti  di  topon.  istr.,  Boll.  d.  Soc.  Geogr. 
Ital  ,  s.  IV,  v.  X,  P.  I,  Roma,  1909,  p.  628),  poi  ahetia,  rogaria,  roveria  nel 
Petrocchi. 

Riguardo  alla  furi.  Forgaì'ia,  che  I'Olivieri,  Studi,  p.  119,  riferisce  come 
Folgaria,  forma  che  ò  pur  io  accolta  nelle  Ricerche,  I,  p.  34,  dallo  Schneller, 
Tir.  Nani.,  p.  57,  risvilta  che  essa  sona  Folgiàrie  (cfr.  Ciararie,  ecc.:  Arcìi. 
Glott.,  I,  p.  486)  !  Nell'inganno  è  caduto  anche  il  Battisti,  Le  dentali,  p.  132, 
ma,  ammesso  pure  una  *folgiarie,  come  è  possibile  la  derivazione,  da  lui  data, 
da  un  ^f  i  1  i  e  a  r  e  t  u,  nel  Friuli?  E  dire  che  si  conosce  \'A.  ioxmìx.  Fìirgaria 
del   1000!  Ma  essa,  come  insegna  l'odierna  Folgiàrie,  va  dunque  letta  Far- 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  219 

curioso  ch'esso  si  ripete  nella  provincia  di  Treviso,  dove  c'è  ap- 
punto un  Frassalongo  presso  Spercenigo  (Olivieri,  Appunti, 
p.  194;  Agxoletti,  Treviso  e  le  sue  pievi,  1,  Treviso,  1897, 
p.  710). 

Potrà  essei-e  riduzione  di  un  anteriore  *frasenlo'ngo,  ma  forse 
non  va  dimenticato  quel  frasso  "  frassino  „,  di  cui  v.  Salvioni, 
Rendic.  d.  B.  Ist.  Lomb.,  s.  Il,  v.  XLIV,  p.  786;  R.  E.  W.,  3489, 
e  cfr.  CariJÌ  i Yillabartolomèa,  Verona)  presso  Olivieri,  Studi, 
p.  116-117. 

L'i  di  Fraéilq' )ìk  si  dovrà  al  s  e  per  Va  di  Frassalongo  cfr.  la 
forma  veneta  (poles.,  veron.)  frasano  e  si  ricoi'di  Frassanédo 
(cfr.  wen.karpnine:  Olivieri,  Studi,  p.  120,  117;  Luzzatto,  N.  65; 
ViDÒssicH,  N.  73). 

Frizzi 

Case  in  Oimone  (Villa  Lagarina,  Rovereto). 

E  anche  cognome  e  non  c'è  bisogno  di  ricorrere,  come  fa  lo 
Schneller.  77r.  Nani.,  p.  72,  al  ted.  F  r  i  t  z.  Esso  corrisponde 
al  cogn.  Fedrizzi  (v.  ivi,  p.  252),  di  cui  è  una  forma  accorciata, 
come  il  cogn.  Frigo  lo  è  di  Federigo.  Fedrizzi,  Frizzi  è  da  un 
plur.  Federici  come  Odorizzi  è  da  Odorici.  Sono  natu- 
ralmente riduzioni  non  molto  antiche. 


gària.  Nel  1264  si  incontra  la  forma  Forgiarin  {Meni.  Sfar.  Foroginì.,  IX, 
p.  103). 

Il  monte  Fuìi/ttridn,  in  quel  di  Faédo  (Lavisi,  nominato  nel  1326,  ch'io 
{Ricerche,  ],  p.  34)  ò  riportato  dal  Rkich,  Sul  confine,  p.  131  (p.  23  delia 
II  ediz.  a  parte\  compare  come  nioiis  qui  rlicitiir  Folgarido  presso  lo  Schnellkk, 
Beifì'ige,  III,  p.  78,  e  sarà  quindi  quel  medesimo  folgorido,  folgori,  che  ò 
derivato  da  fùlgiiritu  {Ricerclie,  I,  p.  34).  Ct'r.  anche  lat.  fiilgtiratns  locii^ 

luoffo  percosso  dal   fulmine  ,. 

Un  sicuro  derivato  di  fili  ce  è  il  Felcai-ctiim  (non  veneto)  di  un  docu- 
mento del  1029  dei   Mou.   Gcnn.  ìiist..   Dipi,   rci/iiiti   et  iinper.   derni..   IV. 


220  Angelico  Prati. 

Gande  (le-) 

Son  rainiiientate  in  una  carta  del  1608,  nella  quale  si  parla 
di  un  prato  su  le  Gande  a  Lardare  (Tiene)  (Arch.  Treni.,  XXI, 
p.  168)  ^.  È  voce  che  corrisponde  al  trent.  yana  e  che  nei  paesi 
teiesclii  si  incontra  solamente  ove  vi  fu  un  tempo  un  linguaggio 
romanzo  (Jud,  Bull,  de  Dialectol.  Boni.,  Ili,  p.  6,  n.  1).  A  pro- 
posito poi  delie  gane  della  Val  della  Friea  sopra  'l'erlago  (Vez- 
zano),  da  me  citate  nelle  Ricerclie.  I,  p.  3-1,  togliendole  dal  Trid., 
II,  p.  227,  si  deve  notare  che  esse  non  costituiscono  un  nome 
locale. 

Tra  le  numerosissime  forme  erronee  del  7?.  E.  ]V.  c'è  pure  il 
trent.  ganda  (3670),  invece  della  giusta  fotina  gana,  che  non 
significa  né  ''  costa  dirupata  „,  né  "  pietrame,  macereto  „,  ma 
"  crepaccio;  cavità,  insenatura  (nelle  rocce)  ., .  Per  questa  voce, 
di  origine  preromana,  oltre  le  citazioni  del  Meyer-Lììbke,  R.  E.  W., 
v.  quelle  del  Jud,  Bidl.  de  Dialectol.  Rom.,  Ili,  p.  9-10,  ove  si 
pongono  a  torto  quali  tipi  basici  *g  a  n  a,  *g  a  n  i  t  a,  mentre 
l'etimo  giusto  è  evidentemente  '•■ganda.  Il  Jud  rinvia  anche 
alle  Ortsììf.  183  (intendi  Tiì\  Xam.),  ma  per  isbaglio.  Due  nomi 
locali  Gann  e  Gamie  (ted.)  sono  citati  invece  a  p.  61.  N.  53,  e 
a  p.  204,  N.  118,  di  esse.  V.  anche  G.  Bertoni,  Note  di  topo- 
nomastica modenese,  Atti  e  Mem.  d.  R.  Deput.  di  St.  Patria  p.  le 


^  In  un  documento  del  1326  della  Biblioteca  Civica  di  Trento  si  nominaj 
un  tale  de  Gande  nel  territorio  di  Éppan  (valle  alta  dell'Adige),  nome  che. 
sembrerebbe  aver  dato  origine  a  quello  del  castello  di  Gctudet/r/.  Sennonché 
si  può  dubitare  che  quel  Gande  designi  un  luogo,  potendo  anche  trattarsi 
di  un  nome  personale  Gando.  Si  ricordino  i  de  Gando,  originari  di  Trento, 
dei  quali  v.  Reich,  Sul  ronfine-,  p.  12,  n.  1  (se  ne  nominano  ivi  a  p.  I2> 
13,  14  ecc.  e  29).  Nel  1559  viveva  un  lohannei  q.  Pefri  Gandini  de  Rorctna 
(Roana)  (Vicenza)  (Reich,  Notizie,  p.   172). 

Nomi  locali,  che  dipendono  da    *g  a  n  d  a.    della    regione    dell'alto  Adige 
si  possono  vedere  presso  lo  Schneller,  Beitrfige,  11,  p.  94-95. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  221 

Frov.  Moderi.,  s.  V,  v.  VJ,  p.  220,  dove  si  voirebbe  connettere  il 
nome  locale  Gana  con  gana   "  ninfa  ., . 

Gardenay  (nome  antico) 

Tra  i  molti  luoghi  rammentati  nel  catasto  di  Pine  (Civezzano) 
del  sec.  XV  c'è  Gardenay  Un-),  aij  G.  sul  Flore  [Trid.,  X.  p.  430; 
ivi.  XI.  p.  372).  Tenuto  conto  di  quanto  ò  già  detto  nelle  Ri- 
cerche, 1,  p.  61,  \'-ay  qui  può  essere  da  -àriu,  sicché  il  nome 
potrebbe  dipendere  da  gardéna  (trent.  ecc.)  "  cesena;  tordela  „ 
(cfr.  ScHNELLER.  Tir.  Nain.,  p.  71),  che  pare  abbia  dato  origine 
anche  altrove  a  nomi  di  luogo,  i  quali  potrebbero  tuttavia  di- 
pendere da  w  a  r  d  a.  di  cui  si  dice  qui  appresso:  di  tali  nomi 
V.  ivi.  p.  70,  71.  e  Sabersky,  p.  42.  Ma  V-ag  di  Gardenay  può 
anche  non  essere  da  -a  r  i  u  e  in  tal  caso  ricordo  che  nel  val- 
suganotto  vive  la  voce  gardenayo,  nome  del  eentonchio  o  gal- 
linella {sfellaria  media)  (trent.  biidél  de  galina).  Non  so  se  una 
tal  voce  viva  in   Pine,  ma  foi'se  ci  viveva  un  tempo. 

Gàrdolo  (pron.  loc.  gàrdol) 

Paese  presso  Trento. 

Nei  Xonii,  p.  168.  connettevo  Gardol  cou  *cardu.  specie 
di  pianta,  e  contio  la  derivazione  dal  germ.  *w  arda  oppo- 
nevo che  nel  trentino  w  a  diede  ra  o  gua.  non  gn.  A  questa 
osservazione  il  Battisti,  Fro  Cnlfura,  I,  p.  104,  aggiungeva 
inoltre  che  il  genere  maschile  del  nome  non  si  capirebbe  in  una 
formazione  dall'etimo  tedesco.  Ma  egli  non  avrebbe  al  certo  fatta 
tale  obiezione  soltanto  se  avesse  posto  mente  a  Gabii'il,  da 
cavea,  che,  nei  miei  Nomi,  precede  proprio  all'articolo  liguar- 
daiite  Gàrdol,  e  soprattutto  se  avesse  avuto  sutt'occhio  il  j^  383 
della  Rom.  Grainm.,  11,  del  Meyer-LIìbke,  ove  sono  citati  pa- 
recchi diminutivi  maschili  di  piimitivi  femminili.  Il  caso  inverso 
si  presenta  in  Co9»o7a,  da  cuneu  (Nomi,  p.  166-167;   Ricerche 


222  Anfrelico  Prati, 

I,  p.  3.  n),  per  la  quale  il  Battisti,  I.  e,  preferiva  colonia  (!). 
Ma  anche  l'obiezione  concernente  il  w  è  tutt'altro  che  grave  e 
il  mio  scopo  è  qui  anzi  di  riaffermare  la  derivazione  di  Gàrdol 
da  *w  a  r  d  a^  contrariamente  a  quanto  pensavo  altra  volta.  Come 
ò  già  notato  nelle  Ricerche^  I.  p.  3,  n.,  I'Olivieri,  Studi,  p.  202, 
spiega  con  *\v  a  r  d  a  i  nomi  locali  del  Veneto  Garda,  Gardón, 
Gardóna,  Gardàna  [Gardaróla  può  essere  da  *c  a  r  d  u)  e  con 
w  a  1  d.  pur  dubitando,  un  Monte  Galda  e  un  Monte  Galdella 
(p.  132).  Lo  ScHNELLER,  Tir.  Nani.,  p.  73  (v.  anche  p.  196,  in 
fondo)  riconduce  alla  medesima  base  (egli  ammette  come  base 
l'alto  ted.  ant.  warta,  ma  a  torto)  le  Gdrdole,  altura  a  mez- 
zogiorno di  Volano  (Rovereto).  Gàrdol  che  un  tempo  doveva  so- 
nare Gdrdole,  come  attestano  forme  documentate,  ed  altri  nomi 
a  p.  70,  71  [Gardena  ecc.).  Si  tratta  in  generale  di  nomi  di 
luoghi  elevati,  per  i  quali  l'etimo  *w  a  r  d  a  è  molto  adatto. 
Garda  veronese  ebbe  il  nome  dalla  famosa  rocca  (Avogaro,  p.  56) 
e  si  noti  ancora  un  antico  Castritin  Gardonae  (Castel-lavazzo, 
Belluno)  (Pellegrini,  Nona  loc.  di  città  ecc.  d.  pror.  di  Belluno  ecc., 
Mise.  d.  E.  Dep.  Ven.  di  Storia  Patria,  s.  IV,  v.  Ili,  p.  38)  e  un 
monte  Garda  dell'alto  Trevisano.  Per  il  rispetto  fonetico  si  ri- 
cordi che  nel  trevisano  antico  yuarnazza  ''  guarnaccia  ,,  alterna 
con  garnazza  (Salvioni,  Arch.   Glott.,  XVI,  p.  259,  303j. 

Un  altro  caso  di  w  a  in  ga  si  avverte  nell'aggettivo  garbo 
(ven.),  garp  (femm.  garba)  e  più  spesso  ghérp  (femm.  ghérba) 
trent).  "  agro  „,  che  col  significato  assunto  da  alcuni  deri- 
vati italiani  di  acerbu  [v.  B.  E.  TF.,  94:  Salvioni,  Berne  de 
Dialectol.  Boni.,  IV,  p.  95),  cioè  di  "  cainpagna  incolta;  sodaglia., 
0  più  frequentemente,  quale  aggettivo,  col  significato  di  "  in- 
colto „,  ricorre  nei  documenti  medievali  veneti  nella  forma 
garbiuìt  terre,  garbum  (sost.)  [Cod.  Ecel.  p.  565).  garbus,  gerbus 
(aggett.)  {Cod.  Pad.,  1,  p.  cxxiv)  o  in  quella  di  warbus  {Cod.  Ecel. 
p.  323,  466,  467;    Cod.   Pad.,  Il,  p.   cxxxviii:    Schneller,    Tir. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  223 

Xdììi..  p.  34)  0  di  (/uarbiis  (Cod.  Pad.,  [\.  p.  cxx),  e  lasciò  tfacce 
nella  toponomastica  veneta  {Escursioni,  p.  110).  Cfr.  pure  il 
pieni,  (jaro  "  campo  incolto  „  ili.  E.  W.,  94).  Le  due  ultime 
forme  antiche  riportate  mostrano  quanto  siano  lontane  dal  vero 
le  spiegazioni  tentate  finora  di  questa  voce  (v.  Salvioni,  Rendic. 
d.  E.  Ist.  Lomb.,  s.  II,  v.  XXXIX,  p.  483,  n.  2;  Revue  de  Dialectol. 
Boni.,  IV.  p.  95.  N.  94.  R.  E.  W.,  94,  4064:  il  Meyer-Lubke,  oltre 
che  riferire  inesattamente  le  forme,  dà  l'erroneo  significato  di 
"  amaro  „).  La  base  sembra  un  *w  a  r  b  "  acerbo  .,  e  nella 
forma  yì^érp  non  c'entrerà  né  g  a  r  b  e,  g  a  r  w  e  1  (Battisti,  Die 
Nonsb.  Mund.,  p.  27:  Arch.  Treni.,  XXIII,  p.  273),  né  il  ted. 
Il  e  r  b,  ma  il  lat.  a  e  e  r  b  ii,  da  cui  il  lomb.  ^érp  (femm.  lérba)  ecc. 
(v.  anche  le  voci  furlane  notate  neÀVArcJi.  Gloft.,  I.  p.  491,  n.  1). 
Dell'antichità  poi  della  riduzione  di  w  a  a  c/a  paila  la  garda 
(Verona)  dell'  845,  citata  in  una  nota  s.  Mori. 

In  quanto  a  Valda  (Cembra)  [Nomi,  p.  175)  si  avverta  che 
compare  quale  Gualda  anche  nel  1337  (Reich,  Sul  confine^,  p.  70). 

Il  w  diede  dunque  risultati  vari  :  f,  (jU,  g,  ai  quali  si  aggiunge 
il  b  in  voci  piti  recenti,  per  lo  piti  d'origine  bavaro-tirolese.  Per 
la  storia  del  w  non  si  dimentichi  poi  (r/w/a  (Schnelleb,  Tir.  Nam.. 
p.  81  ;  Salvioni,  Boll.  Stor.  d.  Svizz.  Ital.,  XXII,  p.  92),  che  pre- 
senta risultato  diverso  da  quelli  di  wiza  (Marinelli,  Riv.  Geogr. 
Ital..  Vili,  p.  167-168:  Salvioni,  Krif.  Jahresber.,  VII,  I,  p.  147; 
Olivieri,  Studi,  p.  202;  Altón,  p.  68;  Prati,  Ricercìie,  I,  p.  35) 
e  V.  NiGRA,  Arch.  Gloft.,  XIV,  p.  384  ;  XV,  p.  115:  Bianchi. 
Arch.  Glott.,  XIV,  p.  305-307. 

giare  (nome  antico) 

1049  :  de  uilla  que  nominatur  niarko  (Rovereto)  locu  hubi  di- 
ciiiir  giare  [Arch.  Stor.  p.   Trieste,  V Istria  e  il   Treni..  I,  p.  294). 

<^)uesta  denominazione  volgare  di  campagna  non  si  tiova  nelle 
Tir.  Nam..  dello  Schneller,  p.  81.  Si  tratta  molto  probabilmente 


224  Angelico  Prati, 

della  menzione  più  antica  di  un  luogo  di  campagna  spettante  al 
Trentino. 

Grafiàm 

Luogo  in  quel  di  Povo   (Ttento). 

1391:  de  Grafiano  (Cod.  C/es.,  Riv.  Trid.,  XI,  p.  189j;  1427: 
de  Graffiano  de  Paho  (ivi,  XII,  p.  214);  1531:  de  gramphiano 
(Arch.  Treni..  XXVI,  p.  198.  all'a.  1531). 

Notabile  in  questa  vecchia  forma  l'inserzione  del  «,  chiamato 
dal  n  seguente.  Cfr.  il  Linfàno,  terra  in  quel  di  Arco,  di  fronte 
alla  forma  collaterale  Lufàno  {Strenna  dell'Alto  Adir/e,  1901, 
p.  50).  V.  anche  Olivieei,  Studi,  p.  110,  s.  grafio^. 

Gràuno 

Villaggio  nel  distretto  di  Cembra. 

Ritorno  su  questo  nome  per  fare  una  rettificazione.  Secondo 
il  Battisti,  Catinia,  §  14,  p.  117,  esso  suonerebbe  Graimo  ed 
io.  fidandomi  di  lui.  ò  ripetuto  questa  forma  nelle  Ricerche,  I, 
p.  12,  ma  si  tratta  di  un  errore,  perché  il  nome  suona  invece 
Gràuno.  Cade  cosi  del  tutto  la  mia  supposizione  che  esso  si 
possa  riallacciare  con  Gardùm  (ant.  Garduno).  In  documenti  te- 
deschi del  1391  [Cod.  Cles.,  Riv.  Trid.,  XII,  p.  59;  ivi,  IX,  p.  279) 
compaie  la  forma  Kraiin,  Craun.  E  v.  Schneller,  Tir.  Xatn.. 
p.  16.  Il  nome  pare  si  ripeta  anche  nella  Valle  di  Non,  trovan- 
dosi nel  Cod.  Cles.  :  in  villa  Annidi  (Dermiil,  nel  distretto  di 
Cles),  ubi  dicitur  Al  Graun  apud  Rivum  aquae  (1391)  (Riv.  Trid.. 
X,  p.  265). 


'  Un  nome  locale,  in  cui  si  nota  inserzione  di  n  senza  Ja  spinta  di  un 
altro  n  e,  oltre  Roncafq'rt  (Trento)  (Schneli.er,  Tir.  Nain.,  p.  140,  n.), 
gronzu  (a-)  (1424)  (Arch.  Trent.,  XIV,  p.  48,  n.  6),  oggi  Groz,  in  quel  di 
Terlago  (Vezzano)-  Cfr.  Salvioni,  Boll.  Stor.  d.  Svizzera  Ital.,  XXII,  p.  95, 
s.  Pallanza. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  '225 

» 

Grom  (Dos  de-) 

Sta  sopra  iiiiiiiediatamente  al  paesello  di  Varano  (Gardumo, 
Val  di  Gresta,  Mori)  (Val  Lagarina)  {San  Marco,  IV',  p.  84). 

1234:  icardia  dossi  de  Grumo  de  Gardumo  {C.W.,  p.  350);  1235: 
castruvi  Grumi  (Schneller.  Tir.  Nam..  p.  83);  1236:  de  castro 
Gromi  (ivi);   1307:  varda  dossi  et  castri  Grumi  de  Garduno  [ivi). 

Attira  tosto  l'attenzione,  in  questo  nome,  il  fenomeno  delTrt' 
in  ó,  clie  è  bello  veder  documentato  già  nel  1236,  ma  che,  se 
è  molto  siiigolaie  per  se  stesso,  lo  è  ancor  pili  di  fronte  agli 
,  altri  nomi  locali  riflettenti  griìmu,  i  quali  mantengono  Vii 
(v.  Schneller,  1.  e).  Sennonché  vien  fatto  di  domandarci  se  non 
sia  pure  g  r  lì  m  u  il  Gran,  che  si  ripete  più  d'una  volta  nel 
Trentino  (v.  Ricerche,  J,  p.  34,  35).  11  Gron  del  monte  Gagia 
(forma  letter.  Gai:{a)  (V^ezzanu,  Trento)  è  appunto  un  monti- 
cello  (lu.  599).  Per  V Agrónr  del  distretto  di  Condino  e  per  il 
Gron  del  Bellunese  fSospirolo),  antico  Agrono  (Olivieri,  Studi, 
p.  156,  ove  si  cita  pure  un  Agróus  furiano),  si  potrebbe  sup- 
porre un  a  d  g  r  u  in  u  m,  e,  in  ogni  modo,  v.  in  una  nota  s.  Va- 
réna,  ma  fanno  ostacolo  le  forme  dei  documenti  e  per  il  Gron 
bellunese  è  sempre  probabile  l'etimologia  da  agre  "  acero  ,, 
(furi,  àjar)  [Escursioni,  p.  92).  D'altronde  confr.  anche  il  nome 
locale  del  Friuli  Are,  antico  Agra  [Ardi.  Glott.,  I,  p.  526).  Da 
g  r  u  m  u,  e  non  da  a  g  e  r,  deriva  invece  il  Grun  di  Feltro  (Oli- 
vieri, Studi,  p.  156).  Per  -ni  >  -n  cfr.  To'n  (forma  letter.  Tomo) 
presso  Feltro  ìArc/i.  Glott.,  1,  p.  413)  e  bellun.  ant.,  follin.,  ert. 
grun  [Ardi.  Glott.,  XVI,  p.  306;  I,  p.  418;  B.  E.  W.,  3889).  Per 
il  trentino  si  ricordi  che  Grumo  presso  Mezzolombardo  (Schneller, 
Tir.  Nam.,  p.  83)  compare  come  Grimuni  in  più  documenti  me- 
I  dievali  (Arch.  Treni.,  X,  p.  100,  109).  Riguardo  all'ó  di  Grom 
soccorrono  gli  esempì  di  u  -\-  nas.  e  di  /  -[-  nas.  in  o'  ed  ('  rac- 
colti neW  Arch.  Glott.,  XVI,  p.  316.  n.  (  v.  anche  Bevue  de 
Dialectol.    Roìu..    II.    p.   94,    e    Vidòssfch.   Aggiunte   e   rorrezioui, 


226  Aiirrelico  Prati. 

p.  76  [269,  N.  13]).  Si  tratta  bensì  di  un  fenomeno  sporadico  ve- 
neto, ma  Grom  è  prossimo  al  veronese,  che  k  hrq' ila  e  spero' nsola 
(venez.  parùsohi)    "  cingallegra  ,,. 

Il  Salvioni,  Bendic.  d.  R.  Ist.  Lomh.,  s.  II,  v.  XLIV,  p.  783, 
n.  2,  cita  quale  caso  di  J^é,  però  non  sicuro,  il  nome  locale 
Vifégna  (Ingazà,  Verona)  (Avogaro,  p.  38  ;  Olivieri,  Studi, 
p.  155,  n.),  che  trova  riscontro  in  Vi/égn  di  Brentònico  (Mori) 
(ScHNELLER,  Tir.  N((in.,  p.  223)  (non  visen,  come  scrive  Battisti, 
Caiinia,  §  25,  p.  134),  il  cui  é  si  deve  forse  al  n,  che  à  il  potere 
di  ridurre  anche  To'  in  g'  (v.  Battisti,  Die  Nonsb.  Miuid.,  p.  56). 
V.  poi  i  poles.  véna  "  vite  „,  ghéna,  skreno  &  penar o  "  pino  „  [Rio. 
Oeogr.  Ital.,  XV,  p.  89). 

l's'cia 

Nei  Noìni,  p.  179,  n.  21,  citavo,  tra  i  molti  luoghi  trentini 
COSI  chiamati,  un  isda  presso  lliva.  rammentata  in  un  documento 
del  1217  del  C.  W..  p.  505;  ora  va  aggiunto  che  essa  deve  essere 
certo  identificata  coìVI's'cia  (forma  letter.  l'scliia),  frazione  di 
Riva  [Trid.,  I.  p.  97-98,  n.). 

\]n  Isola  posila  in  Atesi  in  centrata  de  Molinario  a  Trento  è 
ricordata  nel  1236  [Riv.  Trid.,  II,  p.  293)  e  nel  1553  la  hischia 
delti  shardellati  la  qua!  e  sotto  la  regola  de  Sando  Illario  (Rove- 
reto) [Atti  d.  Acc.  Rover,  d.  Ag.,  s.  IV,  v.  I,  p.  103).  V.  poi  il 
Pian  d'Istla,  pascolo  in  Gardena,  e  il  Pradistla,  prato  in  Lavai 
(Wengen),  riferiti  dall'ALTÓN.  p.  44,  56,  e  Arrh.  Trent.,  XXVI, 
p.  194,  all'a.   1328. 

La  voce  isca,  che,  come  dimostrò  l'AscoLi,  Ardi.  Glott.,  Ili, 
p.  458-459;  XVI,  p.  181-182,  è  una  bella  continuazione  del  lat. 
1  n  s  u  1  a,  mentre  è  tanto  comune  nel  trentino,  è  invece,  per 
quanto  se  ne  sa,  affatto  sconosciuta  nel  veneto,  sia  quale  nome 
comune,  sia  quale  nome  locale.  Già  nella  vallo  alta  della  Brenta, 
ove  à  principio  il  veneto,  essa  è  ignota  e  ì'Ts'cia.  villaggio  presso 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  227 

il  lago  di  Caldonazzo  (Lévico),  e  Vl's'cia  Longa,  vicina  a  questo 
paese,  si  trovano  appunto  ancora  nel  territorio  dialettale  trentino, 
sia  pure  in  una  zona  con  influsso  veneto.  Cosi  T  scia  ecc.  è  comune 
nella  Val  Lagarina  (Schneller,  Tir.  Nam.,  p.  7, 84  ;  si  ricordi  anche 
il  Lis'cél,  isolotto  dell'Adige  presso  Ala),  mentre  non  si  mostra 
pili  nel  V^eronese,  dove  si  incontrano  invece  Ifoléla,  Ifoléta,  Ifo- 
Iq'ta,  nomi  frequenti  lungo  i  corsi  d'acqua  (Avogaro,  p.  48).  Si 
ricordi  pure  VTfolo  di  San  Tomaso  in  Verona,  sulla  cui  origine 
V.  SiMEONi,  Atti  e  Mem.  dell' Accad.  di  Verona,  s.  IV,  v.  XII, 
p.  415-416;  Nuovo  Ardi.  Yen.,  N.  S.,  XXV,  p.  140,  n.  2.  V.  poi 
Olivieri,  Studi,  p.  169  ^ 

Lagoràe  (el-) 

Si  chiamano  de  Lagoràe,  una  cima  (m.  2529),  una  valle  ed  un 
lago  sul  versante  fiamazzo  della  catena  montuosa,  che  divide 
Fieme  dalla  Valsugana.  Ivi  spesseggiano  i  laghetti  e  da  essi 
trae  facilmente  il  nome  la  montaana. 


^  Una  voce,  caratteristica  nel  veneto,  che  corrisponde  ad  Is'cia,  I/ola,  è 
Poléfene,  polefeneto,  che  un  tempo  era  d'uso  comune  e  che,  insieme  con  altre 
forme  affini,  è  molto  frequente  nella  toponomastica.  V.  Avogaro,  )).  27; 
Olivieri,  Studi,  p.  126;  Bertolini,  Rìp.  Geogr.  Ital.,  IX,  p.  619,  n.  1  ;  Lo- 
UENzi,  ivi,  XV,  p.  82-83. 

Neir^4/Y7(.  Treni ,  XV,  p.  82,  si  legge  che  nel  secolo  XV,  al  tempo  della 
dominazione  veneziana  della  Val  Lagarina,  le  acque  dell'Adige,  oltre  al 
Galiano  (Rovereto),  "  non  scorrevano  come  oggidì  dritte  per  mezzogiorno 
alla  volta  di  Nomi,  ma  si  dividevano  in  due  rami,  dei  quali  uno  seguiva 
il  letto  che  solo  è  rimasto,  e  l'altro  piegando  come  in  un  arco  e  volgen- 
dosi ancora  sotto  al  luogo  detto  La  Palazzina  per  levante  ponente,  poco 
dopo  con  nuova  svolta  si  univa  al  primo,  rinserrando  cosi  un  piccolo  tratto 
della  campagna,  ossia  formando,  come  allora  si  diceva,  un  poleseneto  „.  Cosi 
scrive  il  Rambaldi  e  cosi  lo  avranno  detto  i  Veneziani,  ma  gli  indigeni  lo 
avranno  appunto  chiamato  i'sca.  Un'altra  parola  di  significato  affine  è  il 
venez.  bonelo,  con  cui  si  designano  le  isolette  del  Po  e  dell'Adige  (cfr.  ital. 
boncllo  "terreno  formato  da  alluvioni ,)  (Salvioni,  Revue  de  Dialectol.  lìom., 
IV,  p.  211,  N.  1208). 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  15 


228  Angelico  Prati, 

La  C.  M.,  le  guide  ecc.  poi'tano  la  forma  Lagorai,  che  s'ode 
anche  nella  Valsiigana,  ove  non  si  fa  che  ripetere  il  nome  fia- 
mazzo,  non  avendosene  uno  indigeno,  -àe,  da  anteriore  -dj,  e, 
come  si  sa,  la  continuazione  fiamazza  di  -a  r  i  u  (v.  Ricerche,  I, 
p.  26,  s.Aguae).  Lagoràe  sarà  da  *1  acni  u,  se  non  è  un  derivato 
del  plur.  lógora,  usato  nell'italiano  antico  (v.  anche  Sabersky. 
p.  48,  e  Ascoli,  Ardi.  Glott.,  XIV,  p.  470).  Per  altri  nomi  in 
-ora  dell'alta  Italia,  v.  Salvioni,  Studj  di  Filol.  Roni.,  VII,  p.  190; 
Boll.  Stor.  d.  Svizz.  Ital.,  XXII,  p.  95,  n.  5;  XXIII,  p.  88: 
XXIV,  p.  59.  Per  la  formazione  cfr.  il  tose,  agorajo  (Salvioni, 
Arch.  Glott.,  XVI,  p.  447;  Romania,  XXXIX,  p.  434,  N.  3;  Reviie 
de  Dialectol.  Rom.,  IV,  p.  97,  N.  130). 

Lamàr 

Tra  i  nomi  di  luogo,  nei  quali  è  forse  da  ravvisare  la  voce 
*m  a  r  r  a  ^  "  sasso  ;  masso  ;  smotta  ;  frana  ;  sfasciume  di  terreno  „, 
da  me  riportati  noW Ardi.  Glott.,  XVII,  p.  287,  n.,  ci  sono  la 
Mar  presso  Lavis  e  il  Lago  della  Mar,  1391  :  lacus  de  Lamar 
iCod.  Cles.,  Rie.  Trid.,  XI,  p.  277),  vicino  a  Terlago  (Vezzanoi. 
Li  ò  riportati  dubitando,  perché  essi,  che  usano  ancora  scrivere 
pure  Lamar,  possono  invece  dipendere  da  lama  "  palude  „ 
(ScHNELLER,  Tir.  Nam..  p.  89;  Lorenzi,  Riv.  Geogr.  Ital.,  XV, 
p.  81;  R.  E.  W.,  4862).  V.  anche  Olivieri,  Studi,  p.  170,  ove  si 
trovan  citati  Lamaro  (Lonigo,  Vicenza)  e  un  Lamarile  (Arcole, 
Verona)  del  1207  (v.  anche  Avogaro,  p.  49).  Anzi  nel  nònese  c'è 
lamàr  "  luogo  paludoso  .,  (Battisti,  Die  Notisb.  Mund.,  p.  149), 


'  Non  *in  ar-,  come  ò  scritto  nell'are/*.  Glott.,  XVII,  p.  285,  409.  V.  R.  E.W. 
5369.  L  curioso  che  I'Azzolini  preferisca  la  forma  marrogna,  niarroijnom  a 
marogna.  Ma  scrive  però  maroc,  la  cui  parentela  con  niarq'na  non  può 
essere  dubbia. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  229 

col  quale  è  imparentata  pur  lamq'ca  "  palude  .,,  che  non  discende 
al  certo  da  *1  i  m  o  e  e  u,  come  riteneva  il  Battisti,  ivi,  p.  50  ^ 

Latemàr  (el-) 

Monte  (in.  2846)  della  catena,  che  serra  a  settentrione  la  valle 
di  Fieme.  Vi  si  trova  un  grande  scarico  di  roccia. 

C.   1050  o  e.   1100: ad  apicem  silicis  qui  vocatur  Crisma 

da  Laitemar  usque  ad  alium  apicem  Limidaralt,  et  inde  usque  in 
pratum  magnum  quod  diciUir  Pradassis...  [Ardi.  Ti'ent.,  XVIT, 
p.   191)^. 

Lo  ScHNELLER,  Beitràge,  III,  p.  83,  pensò  che  Laitemar  fosse 
una  metatesi  di  limitar,  avvenuta  in  bocca  dei  Tedeschi  al  di 
là  del  monte,  cosa  che  parrebbe  un  po'  difficile,  perché  con- 
verrebbe ammettere  che  i  Fiamazzi  abbiano  accolto  una  forma 
tedesca  per  un  loro  monte  notissimo.  Tuttavia  non  è  da  scor- 
dare che  essi  accettarono  un  nome  tedesco  per  i  Oclini,  sella  e 
monte  vicino  alla  Roca,  a  settentrione  di  Cavalese,  dalla  parte 
dei  Tedeschi,  che  non  son  altro  che  il  ted.  Joch  Grimm  (Schneller, 
Tir.  Nani.,  p.  82,  N.  202). 

Astraendo  dall'ingegnosa  supposizione  dello  Schneller,  Lai- 
temar si  mostrerebbe  per  un  nome  composto  dalla  voce  *7nar, 
di  cui  è  detto  nell'articolo  precedente,  alla  quale  si  sarebbe  pili 
tardi  premesso  il    ted.   Leite    "  pendio  ,,    (Schneller,    Die   rom. 


*  Da  limu  deriva  invece  il  sicil.  limarra  "mota,  fango  „  (Salvioni, 
Rendir.  d.  R.  Jst.  Lomb.,  s.  II,  v.  XLIV,  p.  940). 

^  11  Limidaralt  non  si  sa  dove  fosse.  V.  del  resto  le  congetture  del  Del 
Vaj,  ivi,  p.  191  e  seg. 

Si  ponga  mente  che  Limidaralt  e  Aiiis,  che  compare  nel  medesimo  docu- 
mento {Ricerche,  I,  p.  29),  e  forse  anche  Laitemar,  sono  i  pili  antichi  casi 
di  dileguo  della  vocale  finale  per  quei  luoghi.  Per  il  veronese  sia  rammen- 
tato Ilas  del  1079  (Avogauo,  p.  45;  Prati,  Escursioni,  p.  112)  e  Leuniac 
(Legnago)  del  982  (Mise.  d.  Dep.  Ven.  di  Storia  Patria,  II,  Fonti,  p.  97). 


230  Angelico  Prati, 

Volksmund.,  p.  151;  Tir.  Nain.,  p.  72,  n.,  p.  80,  N.  23,  p.  106, 
N.  40,  42,  43,  p.  170,  171,  N.  84,  92,  131,  p.  174,  N.  263,  307, 
317,  p.  187,  N.  49,  p.  207,  N.  231  ecc.)  (tutte  queste  citazioni 
provano  la  gran  diffusione  di  questa  voce  nelle  colonie  tedesche 
del  Trentino)  K 

Lona  (Pine,  distr.  di  Civezzano);  Lon  (Vezzano). 

Visto  che  vi  sono  dialetti,  cioè  il  veronese  e  il  vicentino,  che 
anno  o'no  "  ontano  „  [Arch.  Glott.,  XV,  p.  450),  verrebbe  la  ten- 
tazione di  ricorrere  per  questi  due  nomi,  che  vengono  pronun- 
ziati con  o',  appunto  alla  base  a  1  n  u  (v.  anche  Salvioni,  Boll. 
Suor.  d.  Soizz.  Ital.,  XXIV,  p.  57).  Sennonché  si  presentano  con  /- 
pure  le  forme  antiche:  1253:  Lona  {Trid.,  II,  p.  205,  I  r.);  1316: 
lono  [de-]  {Arch.  Treni.,  XV,  p.  226).  Poi  è  da  notare  che  i  nomi 
locali  da  a  1  n  u,  compaiono  spesso  con  al  o  au  nelle  carte  me- 
dievali. Cfr.  AvoGARO,  p.  21  ;  Olivieri,  Studi,  p.  114,  Appunti, 
p.  193;  Prati,  Ricerche,  I,  p.  17,  s.  Don;  Escursioni,  p.  120,  ecc. 
Lo'na  parrebbe  invece  il  got.  *1  o  n  a  "  pantano,,  {R.  E.  W.,  5114) 
e  il  Malfatti,  I,  p.  82,  rammenta  a  proposito  di  questo  nome 
locale  una  ant.  Lana  della  Provenza:  1052:  condamina  in  loco 
qui  dicitur  ad  Lonam...  et  }i.abet  ipsa  condamina  ex  uno  latere 
lonam  aquarum.  Il  medesimo  luogo  nel  1040  è  detto  ad  Launam. 
Egli,  osservando  che  Lona  trentina  è  posta  in  alto,  lungi  da 
acque,  con  intorno  valloni  e  dirupi,  preferisce  porla  coi  nomi, 
clie  si  appellarono  da  caverne  o  da  avvallamenti  vicini,  è  pro- 
penso cioè  ad  ammettere  l'attinenza  colle  Ione  del  Genovesato, 
denotanti  grotte  od  avvallamenti  con  acque  stagnanti. 

Per  Lo'n  ci  sarebbe  il  nord.  ant.  1  o  n  ^  got.  *1  ó  n  a,  ma  la 
natura  di  quel  luogo,  che  è  sassoso,  anziché  pantanoso,  non  in- 


^  V.  anche  le  Lente,  luogo  montano  presso  Caldonazzo  (Lévico)  (Graziadei, 
Trid.,  II,  p.  359). 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  231 

vita  a  tale  etimologia.  L'origine  ne  è  dunque  oscura,  né  io  avrei 
fatto  parola  di  questi  due  nomi  locali,  se  non  fosse  stato  per 
prevenire,  colla  scorta  delle  forme  antiche,  chi  credesse  di  po- 
terli connettere  con  a  1  n  u. 

Mani  (che  si  scrive  Man) 

Luogo  con  case  in  quel  di  Trento. 

1245:  ad  Manum  [Ardi.  Treni.,  XITI,  p.  98);  1424:  a  Man 
(Cod.  Cles.,  Riv.  Trid.,  XII,  p.  206). 

Un  sito  detto  a  la  Man  si  trova  pnre  sulla  strada,  che,  in 
Fieme,  mena  al  Lavazzé  (Brentari,  II,  p.  246).  Una  Via  da 
Man,  ch'è  in  quel  di  Telve,  è  menzionata  nel  1516  (Morizzo, 
I,  p.  269).  Nel  1340  e  nel  1391  è  ricordata  una  terra  ubi  di- 
citur  a  Manon  apud  jnra  ecclesia  S.  Mariae  de  Coredo  in  Val  di 
Non  {Arch.  Treni.,  XXVII,  p.  112;  Cod.  aes.,  Biv.  Trid.,  X, 
p.  265)  \ 

Questi  nomi,  ai  quali  se  ne  potranno  facilmente  aggiungere 
altri,  denotarono  in  origine,  e  forse  qualcuno  denota  tuttora,  dei 
tabernacoli  o  solo  delle  immagini  sacre,  giacché  mani  o  man  è 
la  riduzione  del  lat.  i  m  a  g  i  n  e,  come,  ad  esempio,  provana  o 
proana  lo  è  di  propagine  (Battisti,  Catinia,  §  45,  p.  150; 
Die  Nonsb.  Miind.,  p.  138j.  Cfr.  cader.  ìnàjna  "  tabernacolo  „ 
e  V.  R.  E.  W.,  4276  K 

E  sarà  pure  da  aggiungere  qui  quella  Itnàna,  località  presso 


^  Nel  1399  due  volte  a  Monon  {Cod.  Cles.,  Riv.  Trid.,  XI,  p.  53),  forma 
evidentemente  errata,  come  moltissime  altre  del    Cod.  Cles. 

'~  Nel  valsuganotto  da  imagi  ne  si  ottenne  man  e  non  mane,  perché, 
come  prova  anche  ambra n,  nome  di  una  pianta,  da  a  b  r  o  t  o  n  u,  le  parole 
originariamente  sdrucciole,  quando  divennero  piane,  si  liberarono,  al  pari 
di  quelle  originariamente  piane,  della  vocale  finale,  accorciandosi  in  tal 
modo  ancor  più!  Nel  valsuganotto  scompaiono  Ve  e  Vo  finali  dopo  »t  sem- 
plice nelle  parole  piane  e  IV  dopo  r  semplice  pure  nelle  parole  piane. 


232  Angelico  Prati, 

Predazzo  (pron.  loc.  Pardàc),  ch'io  pensavo  altra  volta  che  po- 
tesse derivare  da  I  m  u  o  da  1 1  m  u  [Ricerche^  I,  p.  48,  n.).  Di 
alcuni  altri  nomi  analoghi,  v.  Pieri,  p.  182;  Salvioni,  Boll.  Stor. 
d.  Svizz.  Ital.,  XXII,  p.  92.  V.  pure  Altón,  p.  43,  s.  Iman. 

mani  o  man  e  fors'anco  imàna  dovette  un  tempo  essere  un 
nome  comune,  giacché  la  voce  kapitél  (valsug.  kapitélo),  con  la 
quale  si  designa  ora  il  tabernacolo,  s'è  introdotta  di  recente, 
come  dimostra  il  suo  aspetto  fonetico.  Nella  toponomastica  tren- 
tina si  è  conservata  pure  la  voce  ankona  (Schneller,  Tir.  Nani., 
p.  3).  Per  il  Veneto  v.  Olivieri,  Studi,  p.  187  ^ 

Margóm 

E  nome  di  un'altura  presso  Ravina  (Trento)  e  di  un  paesello 
nel  distretto  di  Vezzano,  posto  in  sito  alpestre  sull'alta  costa 
del  monte  Gràgia  (forma  letter.  Margone). 

Forse  equivale  all'alto  engad.  niargàn  "  stalla  d'alpe  „,  che 
si  fa  dipendere  da  un  bàreca  "  stalla,,,  da  cui  discendono 
Barco  ecc.  (v.  s.  Pargóna,  in  nota).  Riguardo  al  -g-,  si  noti  che 
un  Barga  citato  dal  Pieri,  p.  139,  si  trova  scritto  in  antico 
Burca  (errore  per  Barca)  (v.  l'osservazione  del  Pieri  a  p.  140, 
n.  2).  Né  per  Margom  sarebbe  da  escludere  un  incontro  con 
malga,  da  cui  proverrebbe  anche  il  ni-.  Cfr.  d'altronde,  per  questo, 
màcola  <  b  a  e  ti  1  a  dell'Appennino  di  Barga  (Lucca)  ed  altri 
esempì  addotti  dal  Pieri,  p.  79,  230  ^,  e  per  m-  >  b-  il  bellun. 


I 


^  L'Altón,  p.  34,  61,  fa  conoscere  due  casi  singolari  per  la  toponomastica 
religiosa,  egli  cita  cioè  i  coi  dai  paternostri,  pascolo  in  Lavai  (ted.  Wengen), 
e  il  Col  dela  Salveregina,  pascolo  a  S.  Cassiàn.  Cfr.  anche  Cristeleison  (eh) 
(Costermàn,  Verona)  e  Salreregina  (  Valle-)  (Caprino,  ivi)  (Olivieri,  Studi, 
p.  Ili,  n,  2). 

^  Cfr.  pure  grainende'l  o  gramande'l  (trent.)  "  grimaldello  ,,  da  *garibol- 
de'llo{ch\  ìiiGRx,Arch.  Gìott.,XlV,  p.  361;  Salvioxm,  Rendic.  d.  li.  Ist.  Lomb., 
s    II,  V.  XXXIX,  p.  484;  R.  E.  W.,  3688).  Sennonché  questa  è  una  di  quelle 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  233 

buga,  allato  a  niuga,  "  mugo  „,  il  venez.  bugarin  "  muglierino  „, 
kodahiiélna  (a  Vittorio,  Treviso)  "  equiseto  ,,  (bellun.  kodamusina 
"  myricaria  germanica  „).  Cfr.  pure  Tonnine  (Villafranca,  Verona), 
neir  861  Turhinas  (Giuliari,  Il  Veron.  all'epoca  rom.,  Mise.  d. 
R.  Deput.  Ven.  di  Storia  Patria,  s.  IV,  v.  Ili,  p,  18j.  Dal  Bianchi 
IX,  p.  390,  n.,  si  apprende  che  nella  Toscana  margone  è  un  duro 
pancone  di  rena  silicea  e  di  minuta  ghiaia  d'alberese  forte,  ge- 
neralmente non  pili  grossa  di  un  uovo,  depositata  in  un  alti- 
piano quaternario  e  che  sotto  l'alpe  tra  la  Sieve  ed  Arezzo  ed 
altrove  margone  vale  pure  "  gora  „  o  "  colta  ,,  di  un  mulino 
(v.  margoìie  "  bottaccio  „  nel  Petrocchi),  ma  la  connessione  del 
nome  locale  in  parola  con  questa  voce  sarebbe  ben  poco  pro- 
babile, essendo  essa,  sia  nel  primo  significato,  sia  negli  altri 
due,  specifica  di  luoghi  determinati  della  Toscana. 

I  casati  trentini  Margón,  Margóni,  Margonàri  ebbero  origine 
da  uno  o  dall'altro  dei  due  luoghi,  di  cui  ò  qui  tentato  di  chia- 
rire il  nome.  I  Margón  del  Perginese  vennero  appunto  da  Ra- 
vina  (Lorenzi,   Trid.,  IV,  p.  lO-l). 

Mariézo  (I-)  (con  é  e  z;   forma  letter.  Merlezzo) 

Luogo  presso  Lévico. 

Nel  1215  si  fa  menzione  di  una  Funtana  Merleza  presso  la 
Canzana  (Lévico)  {Il  Raccoglitore,  a.  XXIII,  Rovereto,  1890,  N.  66, 
II  p.,  IV  col.). 

Questo  nome,  quale  derivato  di  merlo,  è  da    confrontare  con 


voci;  che  subirono  tante  e  tali  trasformazioni  nei  vari  dialetti,  da  essere 
considerate  e  poste  nella  categoria  degli  storpiamenti.  Essa  è  quindi  da 
collocare  accanto,  per  esempio,  a  fc/aìinera  (treni.)  "  scarpone  col  suolo  di 
legno  „,  da  dalmata  {R.  E.  U'.,  2462).  Forse  non  fa  alieno  dallo  storpia- 
mento neppure  il  valsug.  giirnàle  "grembiale,,  fiam.  giinnjàl,  trent.  gviimjcL 
(jromjul.  gormjàl,  grombjàl,  greinbjdl.  Natur-almente  nelle  voci  venute  di  re- 
cente gli  storpiamenti  anno  luogo  su  vasta  scala. 


234  Angelico  Prati, 

quelli  radunati  dall'OLiviERi,  Studi,  p.  208,  e  dal  Pieri,  p,  236- 
237,  e  si  ricordino  qui  in  particolare  Aynellezze,  monte  (Sospi- 
rolo,  Belluno)  (Olivieri,  p.  132)  e  Bolpéz  (ivi)  (Olivieri,  p.  139). 

Marzbla  (la-) 

Monte  (m.   1737)  presso  Trento. 

Nei  Nomi,  p.  169,  ammisi  la  derivazione  da  un  *m  al  ice  ola, 
da  *m  a  1  i  e  a.  Sennonché  una  tal  base,  per  vudga  "  cascina  di 
monte  ,.,  è  bensì  possibile,  ma  non  è  attestata,  ed  è  forse  meglio 
addurre  a  confronto  le  antiche  Martiola,  Marciola  ecc.,  delle 
quali  fa  cenno  il  Gruber,  p.  363  ^ 

Di  diversa  ragione  è  probabilmente  il  nome  locale  al  mareol 
presso  Molina  di  Ledro,  rammentato  nel  1563  [Trid.,  X,  p.  130). 


^  L'Ettmayer,  Ro)n.  Forsch.,  XIII,  p.  403,  riteneva  che  la  nialegola  del  1188 
fosse  Malgol  nella  Val  di  Non  e  trasse  pure  in  errore  il  Battisti,  Catinia, 
§  39,  p.  1-45,  ma  essa,  che  compare  nel  medesimo  documento  altre  5  volte 
nella  forma  mnlgola,  e  l'odierna  Malgij'la,  monte  in  Fieme  (v.  Bìcerche,  T, 
p.  38).  L'Ettmayeii  la  spiegava,  però  non  con  sicurezza,  da  un  *m  a  1 
-icula,  da  malum,  coU'interessante  cambiamento  di  significato  "frut- 
teto; concimaia  cinta  di  siepe;  stabbio  ,,  etimologia  che  e  certamente  da 
scartare,  non  però  perché  vi  sia  difficoltà  ad  ammettere  la  base  m  a  1  u 
nei  nostri  dialetti,  che  essa  s'incontra  in  nomi  di  piante  e  in  nomi  locali. 
Il  Battisti.  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  24,  adduce  un  m.  lat.  malica,  ma  non  deve 
essere  forma  attestata  :  essa  manca  al  Du  Gange  e  non  è  citata  dallo  Schneller, 
Die  ro»i.  Vollcsmund.,  p.  154,  al  quale  rinvia  il  Battisti.  A  fatto  quindi 
bene  il  MeyerLubkk,  B.E.  W.,  -5264  a  (ove  va  osservato  che  il  trentino  à 
malgàr,  non  nialghe's,  che  è  voce  roveretana\  a  non  accogliere  che  la  forma 
*m  a  1  g  a.  Pel  significato,  anche  antico,  di  malga  v.  Cesarini  Sforza,  Ardì. 
Trent.,  XIV,  p.  38,  n. 

Da  malga  derivò  Malgol,  nome  di  pili  luoghi  nònesi  e  trentini  {Ricerche, 
I,  p.  38;  Reich,  Trid.,  XIII,  p.  478,  n.),  e  la  Malgola,  di  cui  sopra.  V.  ancora 
Schneller,  Tir.  Xam.,  p.  67-68.  La  Malgola  dello  Schneller,  Die  ro»i. 
Volksmtind.y  p.  154,  e  dell'ETTMAVER,  1.  e,  va  corretta  in  Malgol. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  235 

Monistiéro  (con  é). 

Luogo  di  Lévico,  vicino  al  Rio  Magiór.  Da  esso  si  denomina  la 

Via  del  Monastero  (forma  letteraria). 

Sono  assai  mimerosi  i  luoghi  che  trassero  il  nome  da  m  o- 
n  a  s  t  e  r  i  u  ,  nelle  forme  Monastèro,  Monasterólo  ecc.  Si  ricor- 
dino qui  in  particolare:  Monastiéro,  luogo  a  Dospedale  (forma 
letter.  Ospedaletto)  nella  Valsugana,  Monastiér  di  Treviso^  Mo- 
nastiéro presso  S.  Martino  di  Liipari  (Cittadella,  Pàdova)  e  il 
tose.  Monistéro  (Masse  di  Siena),  che  col  suo  i  fa  riscontro  a 
quello  di  Lévico  (cfr.  anche  venez.  nioneétjér  o  monastjér).  mo- 
nistéro è  anzi  voce  viva  nella  Toscana  (Petrocchi).  Per  la  To- 
scana V.  pure  Pieri,  p.  183.  Questo  nome  può  aver  indicato 
semplicemente  un  "'  luogo  abitato  da  un  monaco  ,,,  ma  ebbe 
anche  altre  varietà  di  significato.  V.  Du  Gange,  s.  monasteria. 
In  quanto  9Ì\\'jé  di  Monisfjéro,  si  noti  che  a  Lévico,  ove  si  parla 
un  vernacolo  trentino  influenzato  dal  veneto  (v.  in  principio), 
si  rintracciano  le  propaggini  del  dittongo  ven.  jé  (v.  anche 
Ricerche,  I,  p.  37),  che  abbraccia  la  valle  alta  della  Brenta 
(Valsugana).  E  si  sa  che  accanto  a  -/eVo  <C  *-e  r  iu,  c'è  pure 
/^ro<-eriu  (cfr.  Ardi.   Glott.,  I,   p.  488). 

Morì  (con  o') 

Borgata  nella  Val  Lagarina. 

Lo  ScHNELLER,  Tir.  Nani.,  p.  100,  non  fa  che  ripetere  la  spie- 
gazione deirORSi,  Saggio,  IV,  p.  8,  da  un  V  i  e  u  s  M  u  r  i  u  s. 
Secondo  il  Battisti,  Catinia,  §  14,  p.  118,  questo  nome  proviene 
forse  pili  probabilmente  dal  tema  bavarese  m  u  r  "  frana  ,, 
(KoRTiNG,  6379)  ^    Alla  stia  volta   il  Ricamboni,  Biv.  Trid.,  X, 


^  Nel  caso,  meglio  da  una  base  preromana,  di  cui  v.  Jud,  Bull,  de  Dialectol. 
Rom.,  ITI,  p.  11.  Ma  una  tale  etimologia,  come  vedremo  sopra,  è  da  lasciare. 


236  Angelico  Prati, 

p.  109-110,  osservando  che  m  u  r  i  u  avrebbe  necessariaiiiente 
dato  mo'r,  scrive  che  l'i  finale  deve  assolutamente  risalire  a  un  % 
lungo  latino,  quindi,  secondo  lui,  deve  risalire  ad  un  locativo, 
al  pari  del  vicino  Aoi  (Ala). 

Nessuna  di  queste  dichiarazioni  dev'essere  nel  vero.  Infatti 
non  si  è  tenuto  conto  di  una  circostanza,  di  cui  fa  pur  cenno 
lo  ScHNELLER,  a  p.  6,  n.  1,  delle  Tir.  Nain.,  la  quale,  mentre 
esclude  le  spiegazioni  finora  date,  mostra  chiaramente  quale  sia 
l'origine  del  nome.  Nel  placito  trentino  cioè  dell'  845,  documento 
prezioso,  data  la  penuria  grande  di  documenti  trentini  anteriori 
al  1000,  mentre  Avi  compare  nella  forma  de  ani,  Mori  invece 
compare  nella  forma  de  murrius  e,  del  pari,  Marco  (pron.  loc. 
mark;  MarkoUni  gli  abitanti)  (Rovereto)  nella  forma  de  marcus  ^. 
Considerando  dunque  tale  divergenza,  non  si  può  ritenere  che 
Mori  risalga  ad   un   locativo.    Ed   a  proposito  va   rilevato  che 


^  de  Murrius  si  legge  nell'edizione  del  MiitAroia,  Antiquitates  italicae 
meda  aevi,  li,  col.  972,  e  de  lìuirrius  à  infatti  l'originale  del  documento, 
come  risulta  dall'edizione,  accuratissima,  del  Cipolla,  ^4 re/*.  Stor.  p.  Trieste, 
l'Istria  e  il  Treni.,  T,  p.  290.  E  dunque  errata  la  forma  de  Murius,  data  da 
Girolamo  Tartarotti,  Memorie  antiche  di  Eorereto,  Yenezin,  MDCCLIV,  p.  25, 
e  riportata  pure  dal  Rkich,  Notizie,  p.  12,  il  quale  la  à  tolta  appunto  dal 
Tartauotti. 

Dal  placito  dell' 845  ricopio  qui  i  nomi  locali,  che  vi  si  leggono,  toglien- 
doli dall'edizione  del  Cipolla:  de  niarcha  (8  volte  :-p.  290,  292),  de  clau:e 
(p.  290),  de  prissianum  (2  volte:  ì\ì),  de  niiliano  (2  volte:  i\\),  de  feltres  (ivi), 
de  baouarius  (2  volte:  ivi  e  p.  291),  (cfr.  Schvklleu,  Tir.  Nani.,  p.  12;  Lo- 
KKNZi,  Trid.,  IV,  p.  269},  de  apiano  (p.  290),  de  ciuitatein  tridentum  (ivi),  de 
uerona  (ivi),  de  uilla  (2  volte:  ivi),  de  marcus  {2  \o\te:  ivi),  de  ciuitiano  (ivi), 
de  pergines  (ivi),  de  fornaces  (ivi),  de  tilliarno  (2  volte:  ivi),  de  ani  (ivi),  de 
murrius  (ivi),  de  castellionem  (ivi),  de  lanzimas  (p.  291),  de  garda  (p.  292). 

L'edizione  del  Muratori  à  de  Milano  (ma  la  seconda  volta  de  Miliano) 
(col.  971),  che  sarà  errore  di  stampa,  e  Persines  (ivi). 

Stando  al  Reich,  Notizie,  p.  11-12,  che,  come  egli  dice,  toglie  i  nomi  dal 
Tartarotti,  o.  c,  p.  25,  in  questo  placito  dovrebbe  essere  nominato  anche 
Volano  nella  forma  Volanes,  ma  questo  nome  non  lo  si  trova  presso  il  Tar- 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  237 

Avi  nei  documenti  latini  rimane  comunemente  in  questa  forma 
{de  Avi)  (ScHNELLER,  Tir.  Nani.,  p.  5;  Pro  Cultura,  T,  p.  446,  e 
qui  appresso  s.  Pilcanté),  ma  iYo'rJ  vien  scritto  Murium  o  Morium, 
proprio  al  contrario  dell'uso  odierno  di  scrivere  Avio,  ma  Moì'i. 
Ancora  una  volta  si  à  quindi  occasione  di  cogliere  in  fallo  la 
forma  letteraria  ^ 

Ma  quale  è  allora  l'origine  di  Mo'ri?  Lo  dice  la  forma  munius 
dell'  845,  i  cui  rr  non  sono  affatto  uno  sbaglio,  come  dovevano 
ritenere  gli  autori  sopra  citati.  Mo'ri  è  la  continuazione  fedele 
di  Murrius  (cfr.  Pieri,  p.  55),  poiché  rj  bensì  passò  a  r,  ma 
non  rrj,  che  passò  a  rj.  V.  le  mie  Escursioni,  p.  119,  s.  Muràn, 
i  nomi  addotti  dal  Pieri,  p.  55,  e  quelli  citati  in  nota.  Ed  ecco 
sciolta  la  quistione.  E  quasi  inutile  aggiungere  qui  in  fine  che 
1'//  di  murrius  non  è  dovuto  a  metafonia,  come  propendeva  a 
credere  il  Battisti,  1.  e.  Si  tratta  invece  della  vera  forma  latina. 
E  del  resto  i  notai  eran  soliti  spesso  di  rendere  con  u  Vó  stretto 
di  forme  volgati.  Y.  una  nota  s.   Folgan'a. 

Wlosée  (con  e) 

Prati  di  monte  posti  a  settentrione  e  sotto  il  passo  di  S.  Va- 
lentino sul  monte  Baldo  [Trid.,  Il,  p.  294). 

In  documenti  medievali  lombardi  compare  la  parola  mosa,  moza, 
col  valore  di  "  luogo  paludoso,  pantanoso  „  (Schneller,  Tir.  Nam., 
p.  208,  n.  :   Beiirage,  II.  p.  30;  Olivieri,  Studi,  p.   174)2. 


TAROTTi,  1.  c,  né  compare  affatto  nel  documento.  Si  tratta  quindi  di  un  grosso 
abbaglio  preso  dal  Réich.  V.  anche  una  nota  s.  Volano.  Osservo  che  que- 
st'autore, mentre  scrive  Pergines  (p.  12,  I  r.),  scrive  invece  Fornace  (p.  11 
ult.  r.  del  testo"),  ma  il  Tautakotti  à  la  forma  giusta  Fornaces. 

^  L'Orsi,  Saggio,  IV,  p.  8,  riferisce  le  forme  Morum  della  fine  del  se- 
colo XV  e  Murium  o  Morium  del  secolo  XII,  e  ricorda  Moriago  e  4  Mo- 
riano  in  Italia. 

-  Cfr.  il  furi,  inufe,  colata  di  fango,  misto  a  sassi  e  detriti,  che  si  produce 


238  Angelico  Prati, 

Miìralta 

Luogo  in  collina  nelle  vicinanze  immediate  di  Trento. 

E  ricordato,  nella  forma  Muraìta,  fino  dal  1210  (Cesarini 
Sforza.  Arch.  Treni.,  XIII,  p.  99).  Non  è  composto  con  un  miìr 
di  genere  femminile,  ma  con  un  *mfira  (femm.).  Cfr.  mura  nella 
toponomastica  veneta  (Olivieri,  Studi,  p.  196)  e  nel  Petrocchi. 

Nauna  (nome  antico) 

Nome  locale  del  territorio  di  Deno  (Val  di  Non,  distretto  di 
Mezzolombardo),  che  trovo  nelle  due  seguenti  forme: 

1389:  in  Novena  (errore  per  Naoena),  in  Navena  [Cod.  Cles., 
Biv.  Trid.,  IX,  p.  199,  200);  1391  :  in  Navena,  Nauna,  ad  fontem 
Natine  (ivi,  XI,  p.  264),  Naena  (ivi,  p.  265). 

La  base  è  probabilmente  quel  *n  a  v  a  "  incavatura  nel  suolo; 
piano  chiuso  da  monti  „,  di  cui  v.  Meyer-Lììbke,  Einfuhrung^, 
p.  222;  JuD,  Bull,  de  Dialecfol.  Rom.,  III.  p.  12-13,  n.  4;  R.E.  W., 


dopo  le  piogge  in  una  località  presso  Timau  (G.  B.  De  Gasperi,  Termini 
geografici  dialettali  della  parlata  friulana,  Forum  lulii,  II,  Gorizia,  1911, 
p.  241 \ 

Mofuna,  villaggio  in  quel  di  Giovo  (Lavisi,  può  anche  derivare  dal  nome 
personale  Musius  [Studi  Glott.,  Ili,  p.  36),  Il  Reich,  Notizie,  p.  145,  n., 
cita  la  forma  letteraria  Mausanna,  sulla  cui  genuinità,  anche  se  si  tratta 
di  forma  tolta  da  documenti,  c'è  da  dubitare.  E  in  ogni  modo  dovrebbe 
essere  Mausana,  da  cui  si  attenderebbe  un  *mosdna.  Il  Reich  scrive  pure 
Mosauìial 

Altra  origine  à  Mofna,  monte  (m.  1222)  presso  Besenèl  (Rovereto),  che  è 
la  voce  mofna  "  mucchio  di  terra;  mucchio  di  sassi;  catasta  „  (Azzolixi), 
usata  un  tempo  forse  in  tutto  il  trentino  e  che  in  un  documento  la  si  trova 
anche  tradotta  con  murogna.  V.  Cesarini  Sforza,  Arch.  Trent.,  XIV,  p.  46, 
n.  3;  ivi,  XXVI,  p.  198,  all'a.  1525.  Nel  1S91  trovo  nominato  un  luogo  a 
le  Mosine,  alle  Mosne,  in  quel  di  Deno  (Mezzolombardo)  [Cod.  Cles..  Biv. 
Trid.,  XI,  p.  191,  259)  e  nel  catasto  di  Pine  dei  primi  del  sec.  XV  un  luogo 
Dantre  le  Musne  [Trid.,  XI,  p.  376).  Dal  Del  Vaj,  p.  9,  si  viene  a  sapere 
anche  che  in  quel  di  Ziano,  presso  Cavalese,  esisteva  un  Mofené,  luogo  sot- 


Ricerche  di  toponoma,stica  trentina  239 

5858.  Nell'Italia  settentrionale,  mentre  si  presenta  pili  volte  la 
forma  Nave  (v.  Schneller,  Tir.  Nani.,  p.  102,  121;  Olivieri, 
Studi,  p.  60;  Ricerche,  I,  p.  13),  che  accenna  al  lat.  nave,  è 
invece  rarissima  la  forma  Nava  ed  io  non  so  citare  che  un  Pian 
de  Nava,  il  quale  deve  essere  in  qualche  parte  del  Vicentino  e 
in  cui  il  Pittìt  verrebbe  a  tradurre  il  seguente  Nava.  Cfr.  Pianàve 
di  Brentònico  (Mori,  Rovereto),  di  cui  Schneller,  Tir.  Nani., 
p.  121  1. 

Si  può  chiedere  poi  se  non  rivenga  a  *n  a  v  a  anche  Naone, 
nome  antico  del  fiume  Noncello,  da  cui  si  denominarono  eviden- 
temente Pordenone  e  Cordenóns  (Udine)  (Olivieri,  Studi,  p.  107; 
V.  pure  le  mie  Escursioni,  p.  103,  s.  Codivérno).  Una  villa  de 
Naono  è  mentovata  nel  1190  (Vergi,  Storia  d.  Marca,  I,  p.  35 
dei  doc). 

neblus  trintìnus  (nome  antico) 

Luogo  dei  Monti  Lessini,  cosi  nominato  in  una  carta  del  1180 


terrato  da  una  frana,  e  in  documento  perginese  del  1215  trovo  il  nome 
musnedum  (che  non  pare  nome  locale)  [Il  Raccoglitore  cit.  s.  Marlézo,  1.  e). 
Per  l'etimologia  della  voce  v.  Jud,  Bull,  de  Dialectol.  Rom.,  Ili,  p.  71  ;  Sal- 
viONi,  Rendic.  d.  R.  Isf.  Loinb.,  s.  11,  v.  XLV,  p.  275-276.  Una  forma  con  « 
è  il  valsug.  ma/'na  "  gran  quantità  „.  Giacché  ò  avuto  da  citare  la  forma 
antica  murogna,  che  sarà  marq'na  [Arch.  Glott.,  XVII,  p.  286)  con  intrusione 
di  milì-  (o  un  derivato  di  quest'ultimo ?>,  dirò  ch'essa  ricorre  pure  in  un 
documento  di  Caldonazzo  (Lévico)  del  secolo  XVI  (Reich,  Notizie,  p.  182, 
r.  7  dal  b.)  e  che  vive  a  Caldonazzo  (mùrg'na)  e  nel  fiamazzo. 

'  Naturalmente,  se  il  nome  Nare  designa  un  luogo,  che  si  trova  o  si  tro- 
vava alla  sponda  di  un  fiume,  esso  equivale  a  "  porto  „.  Tale  significato 
avevano  la  Nave  S.  Felice  (Lavis)  e  la  Nave  S.  Rocco  (Mezzolombardoì,  due 
villaggi,  che  stanno  l'uno  di  fronte  all'altro  sulle  spon(i|j  opposte  dell'Adige, 
a  settentrione  di  Trento.  V.  notizie  storiche  relative,  ad  esempio,  presso  il 
Brkntaui,  11,  p.  11.  Un  diminutivo  ne  è  Nave/e'l  (forma  letter.  Navicello), 
nome  di  alcune  case  e  d'una  campagna  presso  l'Adige  nella  Val  Lagarina 
(Schneller,    Tir.  Nani.,  p.  102). 


240  Angelico  Prati, 

(Cipolla,  Mise.  pubi.  ci.  B.  Dcp.  Ven.  di  St.  Patria,  Venezia,  1882, 
p.  18).  Di  esso  si  occupa  estesamente  lo  Schneller,  Tir.  Nani., 
p.  215-218;  Snellir.  Landsch.,  II,  p.  388-390,  connettendone  ar- 
ditamente il  nome  col  cimbro  Ehele,  diminutivo  di  Eben  "  piano  „. 
Ma  allo  Schneller  era  sfuggita  la  spiegazione  del  Cipolla,  1.  e, 
che  vede  in  nebliis  un  "  torrente  alimentato  dalle  nevi  „.  Cfr.  Du 
Gange,  s.  nibulatns. 

Nomi  (con  o) 

Villaggio  nel  distretto  di  Villa  Lagarina  (Rovereto). 

II  RicAMBONi,  Riv.  Trid.,  X,  p.  110,  scrive  che  questo  nome 
dairORsr  è  fatto  risalire  a  un  lat.  vicus  Niimius,  ma  sostiene  che 
esso  continua  una  forma  locativa,  perché  altrimenti  si  vorrebbe 
No'ni,  basandosi  su  vendéma  (il  Ricamboni  à,  per  una  svista, 
vendémia)  (cfr.  però  Malagoli,  Arch.  Glott.,  XVII,  p.  186,  e  Oli- 
vieri, Studi,  p.  91,  s.  Postiimius;  Escursioni,  p.  123,  s.  Postióma).  Sen- 
nonché, per  una  svista  ben  pili  grave,  eglià  letto  e  quindi  trascritto 
con  'deus  Numius  il  vicus  nummius  dell'ORSi,  Saggio,  IV,  p.  9, 
N.  130  (non  124,  come,  per  un'altra  svista  ancora,  à  il  Ricam- 
boni). L'Orsi  cita  appunto  il  nome  gentilizio  N  u  m  m  i  u  s,  atte- 
stato [C.  I.  L.  ^,  1217),  contro  il  quale  non  à  più  valore  l'osser- 
vazione del  Ricamboni.  E  si  noti  che  i  documenti  danno  Xumium 
o  Nomium,  non  Numi  o  Nomi  (v.  quanto  dico  s.  Mori).  In  un 
documento  del  1259  immediatamente  dopo  la  forma  Numii  [de 
castellanza-)  sta  scritto  Mummii  [de  terra-)  {ìniewàì:  il  territorio 
di  Nomi)  (Schneller,  Tir.  Nani.,  p.  103).  Se  questa  fosse  la 
forma  originaria,  converrebbe  partire  invece  da  M  u  m  m  i  u  s 
(Olivieri,  Studi,  p.  88). 

Onizo  (al-)  (nome  antico) 

Designava  un  luogo  in  quel  di  Tressila  (ant.  Trassilà)  (Ba- 
selga,   Pine,  distr.  di  Civezzano),  come  si  apprende  da  un  catasto 


h 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  241 

composto  pochi  anni  prima  del  1429  [Trid.,  X,  p,  425).  Il  nome 
compare  ivi  a  p.  428  e  il  Gerola,  editore  del  catasto,  lo  fa  se- 
guire da  un  punto  di  domanda,  il  che  vuol  dire  che  è  di  lettura 
incerta.  Però  trattandosi  di  una  forma  che  riesce  del  tutto  chiara, 
ragguagliandosi  al  trent.  oniz  "  ontano  „,  non  sarà  da  dubitare 
molto  delhi  sua  genuinità.  Essa  è  importante  per  due  motivi, 
perché  ricorre  in  una  regione,  posta  a  oriente  di  Trento,  che 
costituisce  l'estremità  orientale  del  territorio  del  derivato  in 
-1  e  e  u  di  a  1  n  u,  che  à  per  patria  la  Lombardia,  da  dove  si 
estende  al  trentino,  al  ladino  centrale,  all'emiliano,  alla  piemon- 
tese Valsésia  (Salvioni,  Arch.  Gloff.,  XV^  p.  455),  e  perché  non 
è  noto  alcun  nome  locale  lombardo,  che  dipenda  da  esso,  ed  anche 
da  altre  regioni  il  Salvioni.  Boll.  Stor.  d.  Svizz.  Ital.,  XXIV, 
p.  57,  non  sa  citare  che  un  Aunlccéi  da  auniccia  nella  Valsésia. 

Ossàna 

Villaggio  nel  distretto  di  Male  (Val  di  Sòl). 

Lo  ScHNELLER,  Tir.  Art/zh,  p.  109;  Sudtir.  Landsch.,  I,  p.  81, 
pensò  a  un  V  o  1  e  s  a  n  u  m,  da  V  o  1  e  s  u  s,  basato  sulla  forma 
documentata   Vulsana  o    ì'olsana. 

L'Orsi,  Saggio,  IV,  p.  10,  riporta  pure  un  Malsana  del  1309, 
cui  accenna  anche  lo  Schneller,  ed  è  da  notare  ch'esso  à  un  pre- 
decessore in  Vallis  Sane  del  1183,  che  non  so  donde  abbia  rica- 
vato il  Malfatti,  Arch.  Stor.  p.  Trieste,  l'Istria  e  il  Trent..  II, 
p.  318.  Altre  forme  sono:  1200:  Uolsana  ;  1220:  Volsana,  Wl- 
sana,  JJulsana,  Fidsana,  Fi^Zsa??«  (Schneller.  Trid.  Urh.,  p.  173, 
17,  19,  20,  23,  35);  1525;  Olsa  {Trid.,  II,  p.  30,  n.  4)  (?).  Se  non 
fossero  attendibili  le  forme  con  a  protonico,  si  presterebbe  bene, 
quale  base,  il  nome  romano  Volsius  (Pieri,  p.  29;  cfr.  il 
nome  femm.  V  o  1  s  u  n  i  a  di  una  lapide  romana  dell'Istria  :  Pag, 
Tstr.,  XI,  p.  101,  n.),  ma  siccome  non  c'è  motivo  di  dubitare  di 
esse,  è  dajammettere    che   Va   di    Volsana   ecc.,  da  cui  Ossàna. 


242  Angelico  Prati, 

sia  dovuto  all'azione  della  labiale  e  cosi  si  tratterebbe   di  una 
valle  sana. 

Per  la  soppressione  del  v  in  Osseina  cfr.  Omlk  (forma  letter. 
0/nigo),  parte  di  Terlago  (Vezzano),  in  documenti  Vomicum  (Ce- 
SARiNi  Sforza,  Nota  di  toponomastica  trentina.^  Boll.  d.  Soc.  d. 
Alp.  Trid.,  VII,  p.  21;  Arch.  Trent.,  XXVI,  p.  194,  all'a.  1333). 

OStre  (a-)  (nóme  antico) 

È  il  nome  di  un  luogo  in  quel  di  Lévico,  che  si  legge  in  un 
documento,  di  cui  v.  Arch.  Treni.,  XXIV,  p.  65,  e  die  significa 
"  austro,  ostro  „.  Cfr.  ven.  ant.  hostro  ecc.  [Revue  de  Dialectol. 
Boni.,  IV,  p.  191,  N.  807;  B.  E.  W.,  807). 

Pais 

Campagna  presso  Besagno  (Tierno,  Mori). 

11  Battisti,  Catinia,  §  8,  p.  104,  scrive  che  I'Ettmayer,  Rom. 
Forsch.,  XIII,  p.  482,  fu  tratto  in  inganno  a  portare  come  esempio 
di  J  -^  é  >  j  -\-  ì  nel  trentino  antico  il  nome  locale  ^ja/s,  essendo 
questo  derivato  dal  bavarese  i^ais  {beitz),  e  in  nota  dice  che  vi 
corrisponde  presentemente  alle  Baise  in  Cimone.  Chi  fu  tratto  in 
inganno  è  invece  il  Battisti,  il  quale  lesse  evidentemente  troppo 
in  fretta  ciò  che  sta  a  p.  110  delle  Tir.  Nam.  dello  Schneller, 
che  riporta  Paijs  (1256)  e  Payso  (1454)  quali  forme  antiche  del- 
l'odierno Pais,  non  delle  Baise  di  Cimone  (Villa  Lagarina,  Rove- 
reto). Sarebbe  poi  superfluo  il  notare,  per  coloro  che  anno  pra- 
tica di  documenti,  che  il  ij  non  indica  punto  che  sia  da  leggere 
Pàjs,  anziché  Pais.  Cfr.  ad  esempio  la  forma  ragaysa  del  1312 
per  le  Begaif'e  di  Samón  (Strigno,  Valsugana)  (Morizzo,  III,  p.  1). 

Pargóna  (con  o') 

Campagna  presso  Besagno  (Mori). 

Con  forma  uguale  compare  nel  1256,  come  scrive  Io  Schneller, 


Jl 


I 


Ricerche  di  toponomiistica  trentina  243 

Tir.  Nani.,  p.  110,  che  chiede  se  possa  dipendere  da  pargus  ^er 
jìarcus  "  chiuso  per  le  pecore  „  del  Du  Gange,  Il  Ricamboni,  San 
Marco,  HI,  p.  39,  osservando  che  il  digradamento  di  e  a  <;  dopo 
consonante  è  caso  inaudito  nel  dialetto  trentino  ^,  propone,  du- 
])itando,  la  derivazione  da  pèrtica^  ma  anche  il  t'enomeno  richiesto 
da  questa  base  è  pure  inaudito,  perché  il  trentino  non  è  il  nònese, 
che  à  pérghja,  o  il  bergamasco,  che  à  pure  perga  (Battisti,  Le 
dentali,  p.  127,  n.  3).  Del  Yes,to  pnrgus  non  dipende  da  p  a  r  e  u  s, 
ma  da  *p  a  r  r  i  e  u  {R.  E.  W.,  6253). 

Patóne  (pron.  loc.  jonto'm) 

1242:  Patonum  (Schneller,   Tir.   Nani.,  p.  111). 

Lo  Schneller  cita  ivi  alcuni  altri  luoghi  detti  Patón  ed  un 
Patìlz,  nome  di  un  campo  presso  al  Galiano  (Rovereto).  Questo 
dà  la  chiave  per  spiegare  anche  Patóin  ecc.,  che  farà  quindi  parte 
della  famiglia  di  patùz  (Trento:  patih;  poles.,  veron.  ecc.  patuéó) 
"  pattume  „  ^,  di  patào  (valsug.),  d'ugual  senso,  di  pattume 
(tose.)  ecc.  [R.  E,  W.,  6138  a). 


^  Casi  di  rk  >  >'</  presentano  il  trent.  lart^o  "  arcobaleno  „  {Krit. 
Jahresber.,  IX,  i,  p.  102),  venez.  argo  "  cielo  „  (iferg.),  il  nome  ven.  Tergala 
[Escurzioni,  p.  130)  e  qualche  voce  lombarda,  di  cui  tratta  il  Salvioni,  Ro- 
mania, XXXIX,  p.  453,  454.    In  !ar,/o,   del    pari  che  nel    pisano  ant.  argho 

arco  „,  il  Salvioni,  Kì-it.  Jahre.'iber.,  IX,  i,  p.  91,  ammette  come  possibile 
l'influsso  di  largo. 

Pargo'iia  potrebbe  anche  essere  da  anteriore  ^Barkona  (cfr.  CuHelbarco, 
di  cui  ScHXELLEK,  Tir.  Nam.,  p.  33,  e  v.  Prati,  Escursioni,  jj.  95;  Jud,  Bull, 
de  Dialedol.  Roin.,  Ili,  p.  9;  li.  E.  W.,  958;  Salvioni,  Revue  de  Diuledol. 
Rodi.,  IV,  p.  200,  N.  958:  v.  pure  rover.  bark  "  catasta  di  legna  „),  con 
quella  specie  di  metatesi,  che  è  additata  dal  Nigra,  nella  Zeitschr.  f.  Roin. 
P/iilol.,  XXVIII,  p.  4.  Sennonché  la  forma  Pargona  compare  già  in  docu- 
mento del  1256;  e  poi  si  spiega  benissimo  da  *purricu. 

•  Cfr.  anche  patusara  (poles. J  "  ingombro  al  libero  passaggio  delle  acque 
di  un  canale  formato  da  un  groviglio  di  piante  acquatiche,  e,  più  in  genere, 
da  un  cumulo  di  materie,  fluitate  da  una  corrente  contro  un  ostacolo  qua- 
lunque ,   (Lorenzi,   Riv.  Geogr.  Itah,  XV,  p.  82,  88). 

Archivio  glottol.  itaL,  XVIII.  16 


244  Angelico  Prati, 

Il  Salvioni,  Quisquiglie,  p.  379,  cita  del  pari  un  nome  locale 
Patone,  limitandosi  a  dire  come  esso  non  si  possa  contrapporre 
all'etrusco  Patu  (I'Orsi,  Saggio,  III,  p.  212,  n.,  adduce  un 
etr.  P  a  t  u  n  a),  in  causa  del  t. 

Pavióne  (pron.  loc.  pabjo'ni  ;   Pabjonéri  gli  abitanti). 

Luogo  con  alcune  case  presso  Pissavaca  (Trento). 

Corrisponde  ai  Pavagión  del  Veueto  [Escursioni^  p.  90-91,  n.. 
Olivieri,  Appunti,  p.  196)  ed  equivale  a  "  padiglione  „  (cfr.  trent. 
a  pahjo'm  "  a  padiglioue  (tetto)  „).  II  solandro  à  paveón  "  assito 
del  tetto  „  (Battisti,  Zur  Sulzb.  Mund.,  p.  218-219)  (non  "  assito 
della  copertura  del  carro  „,  come  à  il  R.  E.  W.,  6211).  Per  rj 
secondario  >  bj  cfr.  trent.  andibja,  libi  (venez.  ecc.  tirjo). 

Pavión  è  anche  il  nome  della  più  alta  delle  vette  feltrine 
(m.  2336),  che  si  eleva  tra  la  valle  di  Primiero  e  quella  di  Feltre. 
ma  qui  il  nome  è  dovuto  alla  forma  di  cono,  che  à  il  monte, 
rassomigliante  quindi  ad  una  tenda. 

Pedersàno  o  Pederzàno  (pron.  popol.  pref'àm] 

V^illaggio  nel  distretto  di  Villa  Lagarina. 

1211  :  Peresana;  poi:  Petresanum,  Pedrexanum^  Pederzanum,  ecc. 
(ScHNELLER,  Tir.  Nani.,  p.  113)  ^ 

liO  ScHNELLER  lo  Crede  un  P  e  t  r  e  j  a  n  u  m,  da  P  e  t  r  e  j  u  s, 
ch'è  foneticamente  impossibile,  e  il  Ricamboni,  San  Marco,  III, 
p.  39,  un  P  e  t  e  r  -|-  e  s  i  a  n  u,  del  quale  non  si  sa  che  cosa  sia 
il  Peter.  Inoltre,  mentre  P  e  t  e  r  -[-  e  s  i  a  n  u  sarebbe  l'etimo 
di  Pref'am,  per  la  forma  Pederzàno  egli  ricorre  a  Peter  +  icianu. 


'  L'Orsi,  Saggio,  IV,  p.  10,  rendendo  con  forma  letteraria  la  forma  dia- 
lettale, scrive  erroneamente  Pré-ssa»».  Le  forme  antiche  da  lui  recate  sono  : 
1235:  Petresanum;  1266:  Pederzanum;  1285:  Perexanum;  1307:  Pedrexannnr, 
1339:  PedreUanHtn  (!!);   1341:   Predexanum. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  245 

ed  aggiunge:  "  seppure  non  si  vuole  supporre  un  Petr'iciu  -\-  anu 
(ciò  che  noi  però  riteniamo  ozioso)  „.  Qui  non  si  sa  invece  che 
cosa  sia  quell'-i  clan  u,  né  dove  sia  stato  pescato,  ma  si  sa  che, 
nel  caso,  bisognerebbe  ammettere  proprio  un  derivato  in  -a  n  u 
di  un  *P  e  t  r  i  e  i  u  s  (cfr.  Petrus),  che  in  Pederzdno  però  non 
c'entra  per  nulla. 

La  forma  Pederzano  non  è  dovuta  che  ad  una  delle  tante  grafie 
poco  conseguenti  od  errate  dei  notai,  copiata  e  conservata  quindi» 
attraverso  le  scritture,  fino  a  noi,  e  le  persone  colte,  che  la  usano, 
o  nella  forma  dialettale  Pederzàm,  o  in  quella  letteraria  Pederzano, 
sia  pure  con  z  (sordo),  non  fanno  che  ripetere  una  forma,  che 
trovano  ancora  usata  nelle  carte,  nei  libri  ecc.  Ad  essa  non  è 
da  dare  alcun  peso,  in  vista  della  ricerca  dell'etimo  del  nome. 
E  poi  non  è  da  scordare  che  essa  à  accanto  a  sé  la  forma  Peder- 
sàno,  che  non  può  naturalmente  avere  un'origine  diversa  dal  popo- 
lare Pref'àm,  il  quale  si  mostra  per  un  derivato  per  -ensianu 
(-e  n  s  i  s  -|-  -a  n  u  s)  di  P  e  t  r  u  s  ^  L'Olivieri,  Studi,  p.  90,  n.  2, 
ricorda,  al  séguito  dei  derivati  da  P  e  t  r  u  s,  una  Silva  Petre- 
seya,  nel  Padovano,  mentovata  nel  1181,  nel  qual  nome  par  di 
vedere  lo  stesso  doppio  suff.  -e  n  s  i  e  a,  che  comparisce  anche 
in  Brufalé/ega  (v.  ivi,  p.  72,  n.  1),  in  Seteméfega  (v.  p.  94)  ed  in 
ArUfega  (Mestrino,  Pàdova). 

Penin  (Col) 

Colle  non  elevato  presso  Isera  (Rovereto). 

Lo  ScHNELLER,  Tir.  Nani.,  p.  85,  il   quale  fa  cadere  l'accento 


'  Possibile  sarebbe  anche  la  derivazione  da  P  e  t  r  u  s  i  u  s  (Pieri,  p.  58), 
ma  le  forme  dei  documenti  non  la  comprovano. 

Col  z  si  volle  forse  indicare  il/'  dopo  consonante.  Son  anche  da  confron- 
tare, ma  non  forse  per  il  z,  i  casati  Federzg'li  e  Ferzq'li  (Schneller,  Tir. 
Nani.,  p.  299,  N.  117). 


246  Angelico  Prati, 

snWe  per  una  svista,  ch'egli  stesso  corregge  a  p.  373,  ci  vede  un 
*pi?iin,  diminutivo  di  pino,  con  i  sostituito  da  e  come  in  fem'r  ecc. 
Un  tale  diminutivo  si  può  scartare  senz'altro.  Nel  caso  si  sa- 
rebbe ricorsi  ad  altro  suffisso,  che  qui  c'era  anche  il  motivo 
di  evitare  l'incontro  dei  due  /.  Meglio  è  dunque  pensare  alla 
voce  pernia,  da  pinna,  che  si  trova  con  tanta  frequenza  nella 
toponomastica,  alludente  a  alture  o  monti  appuntiti  o  a  fianco 
di  monte  a  picco,  ma  che  forse  venne  anche  a  significare  sola- 
mente "  altura,  colle  „.  V.  in  ogni  modo  Malfatti,  I,  p.  94; 
Pieri,  p.  160;  D'Ovidio,  Zeitschr.  f.  Som.  Philol.,  XXVIII,  p.  539 
e  seg.;  Grasso,  Riv.  Geogr.  Ital.,  XV,  p.  340.  Cfr.  Pennino,  Pen- 
nóne ecc.  nell'Appennino  ed  avverti  che  un  colle  Penile  si  eleva 
presso  Strigno  nella  Valsugana  (v.  Brentari,  I,  p.  371). 

Pesna  (pron.  pé/'na) 

Malga  del  comune  di  Brentònico  (Mori). 

Il  RiCAMBONi,  San  Marco,  III,  p.  40,  crede  che  sia  il  latino 
p  ì  e -|- i  11  ^)  indicante  originariamente  un  tratto  piantato  a 
picei.  "Saiebbe  una  spiegazione  molto  comoda,  che  servirebbe 
anche  per  Péfina  (Caprino,  Verona)  (Olivieri,  Studi,  p.  55,  n.), 
se  si  potesse  partire  da  p  i  e  e,  anziché  da  *p  i  e  e  u  !  !  Che  sia 
pi  Cina,  forma  attestata,  da  pix,  piceni,  pare  poco  pro- 
babile. 

Di  questi  nomi  ò  fatto  cenno  nelle  Escursioni,  p.  120.  Nel 
BoNELLf,  II,  p.  479,  a.  1183,  trovo  nominata  una  Pesena,  che  sarà 
quella  veronese. 

Pllcante 

Villaggio  presso  Ala,  alla  destra  dell'Adige. 

Lo  ScHNELLER,  Tir.  Nam.,  p.  117,  conosce  le  forme  di  docu- 
menti de  Pulcanto  (1203)  (una  volta  de  Pulcayto),  de  Pilcante  (1285), 
de  Plicante  (1454), 


^ 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  247 

In  un  lunghissimo  elenco  di  luoghi  del  Veronese  che  è  conte- 
nuto in  un  documento  del  1184,  dopo  Ani  è  nominato  Puhli- 
cantus,  cioè  l'odierno  Pilcante  [Nuovo  Arch.  Ven.,  X,  1895,  p.  480; 
AvoGARo,  p.  32,  ove  si  doveva  citare  la  p.  480,  non  la  p.  478, 
nella  quale  incomincia  il  documento). 

Come  da  Puhlicantus  possa  essersi  svolto  Pilcante  non  si  sa  bene 
(per  via  di  ^puhilcante  ben  difficilmente),  e  vorrei  supporre  che 
Puhlicantus  sia  un  errore  di  lettura  per  * Pullicantus  ^ 

Altra  cosa  dovrà  essere  la  valle  di  Polcanto  (Firenze). 

Pre 

Villaggio  nella  Val  di  Ledro. 

1323:  de  Pre,  de  Prato  [Trid.,  X,  p.  40). 

Quàere 

Casale  di  Lévico. 

L'Altón,  p.  57,  cita    Qiiaire,   burroni   in  Ampezzo,  e  il  Gra- 


*■  Per  l'alternarsi  deUVf  coli'»  nella  sillaba  protonica  cfr.  ant.  Mugazone  o 
Migazone  (Migazón)  (Bosentino,  Lévico)  (Malfatti,  I,  p.  52  ;  Trid.,  X,  p.  334, 
N.  16,  17);  trent.  bu'saka,  liimaga,  liumiz,  padov.  linie'ga,  ecc.  e  i  nomi  locali 
veneti  raccolti  nell'are/*.  Glott.,  XVII,  p.  426,  e  quelli  citati  dall'OLiviERi, 
Studi,  p.  205  (v.  anche  a  p.  171,  s.  limus  (?));  pùnata  (Cavedago,  nònese) 
(Battisti,  Die  Nonsb.  Mutui.,  p.  85),  cui  fa  riscontro  pugnataro  per  pigna- 
taro  ■*  pentolaio  „,  usato  dal  valsuganotto  Giacomo  De  Castelroto  (sec.  XVI) 
[Arch..  Trent.,  XXVII,  p.  26,^;  Finadri,  cognome  solandro,  cui  in  antico  cor- 
risponde Funadro  (Lorenzi,  7'W(/.,  IV,  p.  354)  ;  5ri*/"«(70  (Bedollo,  Civezzano), 
nel  1253  de  Brisago  [Ti-id.,  Il,  p.  204,  penult.  r.);  Lufe'rna  (Lévico)  (Prati, 
Nomi,  p.  169).  nel  144"3  Luserna  e  nel  1471  Liserna,  e  un  monte  Liferna 
in  quel  di  Énego  (Asiago,  Vicenza)  (Reicu,  Notizie,  p.  138,  215,  216);  Lin- 
fàno  0  Lufdno,  di  cui  v.  s.  Grafidm;  Lizzàna  (Rovereto),  in  documenti  anche 
Lugana,  Luzana  (Schneller,  Tir.  Nani.,  p.  93).  Il  valsug./d^o'r^rt,  da  cicória, 
è  uno  storpiamento.  Si  noti  anche  trent.  i/'e'rdola  e  liìf'e'rdola.  Tra  i  nomi 
studiati  dairOLiviERi,  va  segnalato  Listoldde  {l^iihón,  Belluno  ,  ant.  Ustolatae 
(p.  155),  e  tra  quelli  studiati  dal  Salvioni,  Boll.  Star.  d.  Svizz.  Bai.,  XXIV, 
p.  64,  Lumino  nella  Mesolcina  {\)yo\\.  limin),  che  connette  con  limen. 


248  Angelico  Prati, 

ziADEi,  Tì'td.,  Il,  p.  359,  riferisce  la  forma  qumjro  di  carta  del  1400 
corrispondente  all'odierno  Quàiero,  luogo  presso  Caldonazzo  (Lé- 
vico),  il  quale  sarà  da  anteriore  *kuuero  ed  avrà  subito  l'inser- 
zione di  j,  come  bojàr,  vajo'm,  Prajól,  Largaióli  e  forse  Coraióla 
(da  Corrà  "  Corrado  „,  che  è  pure  un  casato)  (Prati,  Ricerche^ 
I,  p.  41:  Escursioni,  p.  128,  s.  Saùgo).  Cfr.  le  formo  triestine 
presso  ViDÒssiCH,  N.  115  a  ^ 

Non  v'à  dubbio  che  i  nomi  citati  rispecchino  (anziché  aquaria, 
aquari  u)  quadra,  quadru,  che  ricorrono  con  frequenza 
nella  toponomastica  (Schneller,  Tir.  Nam.,  p.  130-132;  Olivieri, 
Studi,  p.  178)  e  si  ricordi  che  il  veronese  a  kuàra  (quara) 
"  brània  „,  ch'io  mi  lusingavo  di  spiegare  da  *koàra,  da  ko'a 
[de  Uro)  [Arcìi.  GloU.,  XVII,  p.  406),  ma  che  invece  deriva  proprio 
da   q  u  a  d  r  a,  come  nota  il  Goidànich,  ivi,  n.  3  -. 

Quàere  ecc.  è  forma  interessantissima  dal  lato  fonetico^  in 
quanto  mostra  lo  sviluppo  di  d  r  in  ;V,  da  cui  poi  er  ^. 

È  noto  che  nel  veneziano,  nel  polesano  e  nel  triestino  vive  la 
voce  sknéro  [squero]   "  piccolo  cantiere  „   (Luzzatto,  N.  1),  pas- 


'  Coraióla  può  cioè  aver  indicato  in  origine  una  donna  della  famiglia  dei 
Cordi  "  Corradi  „  ed  essere  quindi  una  forma  derivata  da  un  plurale.  Anche 
per  bojày  però  si  pensa  all'influenza  del  plur.  boj  (v.  Salvioni,  Aì-cJi.  Glott., 
XVI,  p.  366,  n.  1).  Cfr.  i  casi,  tuttavia  non  uguali,  indicati  dal  Salvioni 
negli  Studj  di  Filol.  Rom.,  VII,  p.  215. 

^  V.  pure  AvoLio,  Saggio  di  toponomastica  siciliana,  Sappi.  Period.  dXVArch. 
Glott.,  VI,  p.  10,  s.  s  q  u  e  r  a.  In  documenti  trentini  si  trova  usata  la  voce 
quadra  "  quartiere  „,  parlandosi  dei  quartieri  di  'R\v&{Trid.,  X,  p.  82,  n.  1). 

^  Non  lungi  dalle  Quàere  e  dal  Qudjero,  che  sono  in  un  territorio,  in  cui 
si  parla  un  trentino  influenzato  dal  veneto,  si  trova  quella  Calcerdnica 
(pvon.  loc.  halzerànega),  di  cui  v.  sopra. 

In  relazione  a  ciò  che  ò  detto  nell'are/?.  Glott.,  XVII,  p.  278,  n.  1,  si  os- 
servi pure  che  il  dialetto  roveretano,  a  differenza  del  veneto  e  del  fiamazzo, 
mantiene  il  •(//•-,  mentre  lasciò  cadere,  su  vasta  scala,  il  d  intervocalico, 
anche  secondario  (Battisti,  Catinia,  §  73,  p.  180-181;  Le  dentali,  p.  103). 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  249 

sata  pure  nella  lingua  letteraria,  cui  corrisponde  in  antico  squadro 
(Ascoli,  Arch.  Glott.,  I,  p.  458)  e  che,  stando  al  Battisti,  Le 
dentali,  p.  180,  sarebbe  l'unico  caso,  in  cui  dr  si  risolse  in  er, 
ma  egli  aggiunge  che  di  questo  /  avrebbe  dovuto  rimaner  traccia 
nella  toponomastica  veneta  (specialmente  nel  padovano),  mentre 
non  ne  rimase. 

Invece,  come  si  vede,  ne  rimase  in  nomi  locali  trentini  pros- 
simi al  veneto,  ma  non  in  quelli  di  territorio  veneto,  per  quanto 
se  ne  deduce  dall'OLiviERi,  1.  e,  ed  io  ritengo  tuttavia,  anche 
avuto  riguai'do  al  fatto  che  non  si  è  finora  rinvenuto  nelle  vecchie 
scritture  uno  "^squai/ro,  che  skuéro  sia  stato  attratto  da  -^/•<;;-ar  iu 
(ViDÒssiCH,  N,  1  ;  Escursioni,  p.  138,  n.)  ^  Invece  è  a  chiedere 
se  il  fenomeno  sopra  notato  non  abbia  avuto  luogo  in  quel  me- 
riga  (ven.  ant.)  "  cursore  del  comune  „  ant.  mayricus,  da  *m  a- 
t  r  I  e  a.  di  cui  è  fatta  parola  nell'^-lrcA.  Glott.,  XVII,  p.  411-412  ^. 

Randéna  (forma  letter.  Bendena) 
Valle  nel  distretto  di  Tiene  (Giudicane). 

Negli  antichi  Ada  s.  Vigilii  :  vallis  Randena  (Schneller,  Tir. 
Sani.,  p.  68);  1155:  Bandina  (ripetutamente:  Trid.,  X,  p.  257,  n.); 


^  Qtiero  (pron.  feltr.  A,-Mf';-)  (l^^eltre,  Belluno)  potrebbe  essere  da  quadru, 
ma  è  richiesta  la  prova  dei  documenti,  perché  non  è  forse  esclusa  la  deri- 
vazione da  aquariu,  malgrado  il  k-,  o  fors'anco  da  *cotariu  {Escur- 
sioni, p.  125).  Nel  veronese  antico  qiiaro,  in  doc.  lat.  Aquarum,  significava 
"  ponte  „  (SiMEONi,  Atti  e  Mem.  d.  Accad.  di  Verona,  s.  IV,  v.  XII,  p.  412,  428). 
L'Ascoli,  Arch.  Glott.,  I,  p.  4ò8,  riteneva  che  questa  voce  corrispondesse  a 
q  u  a  d  r  u. 

^  Da  quanto  circa  a  mariga,  ecc.  aveva  detto  il  Salviom  e  da  ciuanto  ne 
ò  detto  io  neirjrc-/;.  Glott.,  XVII,  p.  279-280,  il  Meyer-Lììbke  à  tratto  un 
articolo  del  R.  E.  W.,  il  5417.  matricula,  che  basta  da  solo  a  dimo- 
strare come  del  R.  E.  W.  non  ci  si  possa  fidare  affatto  e  che  qua  correggo.  La 
voce  Madricha  (non  madrica;  in  Madricha  si  à  una  grafia  assai  diffusa  nei 
secoli  andati  e  che  va  rispettata)  non  è  del  trentino  antico,  ma  del  valsu- 


250  Angelico  Prati, 

1168:  Ramdena  (Cesare  Battisti,  Guida  delle  Giudicane,  Trento, 
1909,  p.   140). 

Fo  parola  di  Randéna  per  rendere  attenti  che  tal  nome  è  pure 
ricordato  in  una  carta,  che  forse  risale  al  983  e  poi  in  altre 
posteriori,  come  si  vedrà  tosto.  La  carta  del  983  (?)  si  riferisce 
ad  una  donazione  fatta  da  Rodolfo,  vescovo  di  Vicenza,  al  mo- 
nastero dei  SS.  Vito  e  Modesto  di  molti  terreni  nel  Vicentino 
e  altrove,  come  a  Fonzase,  Facino,  Petro,  Barbucia,  Fidinario 
(Fenèr)  (Alano,  Belluno)  (Gloria,  Cod.  Pad.,  I,  p.  97),  Tituio 
(Teólo)  (Pàdova),  Causelvo  (Conselve)  (ivi),  Montecleda  (Mon- 
tecchia  [pron.  loc.  -cia^^)  (S.  Bonifacio.  Verona),  il/o;?/?V?/Zo  (Mon- 
técio)  (nel  territorio  di  Verona?),  Alhotune  (Albetone)  (Vicenza), 
poi  in  Vivarolio  (in  altra  copia:  Vitririo)  curfem  unam  cum  ca- 
pella  sancii  Petri  extra  Benacum  lacum  in  loco  qui  dicitur  Ran- 
déna et  hraida  sancii  Gorzii  et  Lainedo  vites  et  oliveta  (p.  98). 
Altro  documento  del  Cod.  Pad,,  T,  p.  121,  del  1013,  parla  di  una 
donazione  di  molti  beni  al  monastero  dei  SS.  Felice  e  Fortunato 
da  parte  del  vescovo  di  Vicenza  Girolamo.  Il  documento,  dopo 
aver  nominato  luoghi  vicentini,  ricorda  Menervi  {in-)  (Minerbe) 
(Legnago.  Verona),  villam  Zumellae   (Zimella)  (Verona),    Colonia 


ganotto  antico,  poiché  essa  si  trova  in  un  docmnento  della  Valsugana,  nella 
quale  si  parla  e  si  parlò  un  dialetto  veneto  e  non  trentino.  Anzi  il  dirla 
trentina  è  tanto  più  errato  in  quanto  che  l'istituzione  della  il/rt(7r/V/;rt  e  del 
mariga  fu  estranea  al  Trentino  ed  una  tal  voce  non  s'incontra  infatti  nei 
documenti  trentini.  Essa  ricorre  nel  tei'ritorio  veneto  oppure  in  paesi,  che 
un  tempo  furono  sotto  il  dominio    veneto. 

Un  rover.  niarugele  "  lucertola  verde  „  non  esiste!!  Esiste  invece  il  rover. 
maràgola  ".cavalletta  verde  „!  La  voce  trentina  corrispondente  e  indicante 
la  mantis  religiosa  non  sona  mariigela,  ma  mariì'gola. 

Il  Meyeu-Lubkk  ammette,  pur  dopo  quello  che  ò  esposto  n^WArch.  Gìott.. 
1.  e,  che  Madrichn  ecc.  sia  stato  rifatto  sn  mai  ri  cu  la,  cosa  ch'io  invece 
non  sento  di  poter  ammettere.  Una  forma  marigola,  quantunque  io  la  abbia 
riportata  dal  Salvioni,  non  so  se  sia  attestata. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  251 

(Cologna),  poi  in  Vivarolo  capellam  sancii  Pelvi,  Montecleda,  in 
Coloniola  (Colognóla)  (Verona)  petias  de  vite  duas  et  ortos  duos 
et  extra  Bennacum  lacuin  in  Raudina  (errore  per  Bandina)  viles 
et  oliva.  In  altro  documento  ancora  del  1033  {Cod.  Pad.,  I,  p.  162) 
si  legge:  in  Coloniola  casalem  unum  et  ortos  duos.  extra  Benacum 
lacum  in  loco  qui  dicitur  Randena  et  hraida  sancii  Georgii  et 
Laginedo  viles  et  oliveta,  in  Vivariolo  corlem  unam  et  capellam 
sancii  Petri. 

Confrontando  questo  passo  nei  tre  documenti,  sì  notano  delle 
trasposizioni  e  quindi  delle  confusioni,  ma  risulta  però  certo  che 
al  di  là  del  "  Benacus  lacus  „,  ossia  del  Lago  di  Garda,  c'era 
un  luogo  detto  Randena  o  Randina,  dove  aveva  possessi  il  ve- 
scovo di  Vicenza.  Conviene  osservare  che  il  Glokia,  come  risulta 
dall'indice  del  Cod.  Pad.,  pone  nel  Vicentino  nientemeno  che 
tutti  i  luoghi  qui  sopra  citati,  fatta  eccezione  per  Titulo  e  per 
CauselvoW  Si  tratta  di  un  abbaglio  altrettanto  strano  quanto 
grande.  Egli  arriva  persino  a  fare  tutt'uno  di  Montecleda  e  di 
Monticulo,  identificandolo  con  Montécchio  (pion.  loc.  -eco)  (Vi- 
cenza) (p.  390),  non  badando  neppure  al  fatto  che  Montecleda 
nel  medesimo  documento  è  seguito  da  Monticulo,  e  che  quindi, 
anche  astraendo  da  ragioni  fonetiche,  si  tratta  di  due  luoghi 
diversi,  E  di  Randena  e  di  Raudina  fa,  viceversa,  due  luoghi  di- 
stinti, naturalmente  tutti  due  nel  Vicentino!  (p.  396),  non  accor- 
gendosi nemmeno  che  Raudina  non  può  essere  che  un  errore! 
E  il  Gloria  ammetteva  l'esistenza  di  un  "  Benacus  lacus  „  vi- 
centino, da  non  confondere  quindi  con  quello  veronese!! 

Come  si  apprende  dai  documenti  citati,  il  vescovo  di  Vicenza, 
come  altri  in  quei  tempi,  possedeva  dei  beni  anche  lontani  dalla 
propria  diocesi.  Cosi  è  possibile  che  ne  avesse  anche  in  Ran- 
dena, poiché  vien  fatto  di  chiedere  se  non  sia  possibile  l'iden- 
tificazione della  Randena  o  Randina  di  quei  documenti  colla 
valle  omonima.   Si  ricordino  anche  i  diritti  feudali  del  vescovo 


252  Angelico  Pniti, 

di  Verona  sa  alcuni  paesi  pure  nelle  Giudicane  nei  secoli  X-XIII 
(Cesare  Battisti,   Guida  delle  (liudicfo-if,  p.  13,   Trento,   1909)' 

Però  essendovi  un  ostacolo  a  tale  identificazione  nell'accenno 
agli  ulivi,  che  avrebbero  dovuto  crescere  nell'alpestre  valle  di 
Randena,  alta  poco  più  di  600  metri,  (la  vite  vi  alligna  tuttora), 
né  essendo  forse  molto  probabili  errori  o  confusioni  in  propo- 
sito da  parte  del  notaio,  converrà  ammettere  che  si  chiamasse 
pure  Eaiìdetìa  un  luogo  vicino  al  Lago  di  Garda  ^.  Sarebbe 
quindi  assai  notevole  il  ripetersi  del  medesimo  nome  in  due 
luoghi  relativamente  non  molto  lontani  l'uno  dall'altro. 

Per  quanto  riguarda  la  forma  Uandina  sovviene  che  nell'alta 
Randena  l'f  seguito  da  nasale  passò  ad  /  (Battisti,  Catinia, 
§11.  p.  110).  ma  è  da  ricordare  che  nei  documenti  latini  Ve 
e  To'  sono  resi  spesso  con  i  ed  u.  V,  una  nota  s.  Folgavki  e 
si  avverta  appunto  la  forma  Bandina  del  1013,  se  non  si  tratta 
della  valle  del  distretto  di  Tiene. 

Rigolór  (el-)  (con  o) 

Rivo  affluente  di  sinistra  dell'alta  Fèrsena,  che  passa  a  Ro- 
veda  e  sbocca  presso  Caneza. 


•  Oggigiorno  l'ulivo  vegeta  lungo  i  laghi  di  Garda  e  di  Toblino  (Perini, 
I.  p.  431).  Nel  Bellunese  esso  cresce,  quale  pianta  di  ornamento,  fino  ai 
400  ni.  (ScuAviA,  Tecnol,.  boian.-forest.  ci.  prov.  di  Belluno,  Belluno,  1877, 
p.  134).  11  Brkntari,  I,  p.  357,  dà  notizia  dell'esistenza  di  un  ulivo  nell'orto 
della  canonica  a  Garzano  (m.  429)  nella  Valsugann.  Un  Col  de  l'Olirò  (e.  400  m.?) 
sorge  presso  Agnedo  (pron.  loc.  ne)  pure  nella  Valsugana. 

Dnl  nome  dell'ulivo  fu  anche  tratto  quello  pel  ligustro  (ital.  olive'lla,  oli- 
rfllo,  bellun.  oliveta]  (cfr.  anche  il  nome  locale  Olivóne  nel  Canton  Ticino  : 
Meyer-Lììbke,  Einfilhricng',  p.  243),  ma  nei  documenti  suaccennati  si  allude 
certamente  ad  ulivi   fruttiferi. 

Occorre  appena  rammentare  in  fine  che  in  tempi  andati  l'ulivo  era  col- 
tivato in  punti  dell'Italia,  della  Francia  ecc.,  nei  quali  ora  non  frutta  più, 
il  che  accennerebbe  a  mutamento  di  clima. 


I 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  253 

Questo  nome  si  legge  in  forma  errata  in  più  libri  ed  è  bene 
mettere  sull'attenti  dell'errore,  affinché  non  venga  tratto  in  in- 
ganno anche  qualche  studioso  di  toponomastica.  Rigolo'r  cioè 
compare  come  Bigolèr,  per  esempio,  presso  il  Malfatti,  Saggio, 
I,  p.  104,  e  cosi  [Rigoler]  k  il  Brentari  a  p.  240  della  sua  Guida,  I, 
mentre  a  p.  274,  276  à  la  forma  giusta  Bigolor.  E  il  Baragiola, 
1  "  Mòcheni  „,  Venezia,  1905,  che  pure  fu  sui  luoghi  più  volte 
(v.  p.  24),  accoglie  precisamente  la  forma  errata  Bigolèr  (p.  9, 
12,  21,  22),  anzi,  a  p.  9,  ult.  r.,  arriva  persino  a  scrivere,  forse 
copiando  da  qualche  autore  tedesco.  RigolerbachW  Chi  non  cre- 
derà che  questa  sia  una  forma  inventata  di  sana  pianta?  ^ 

Il  nome  mòcheno  (ted.)  è  invece  Glurtol  (v.  Beentari,  I,  p.  274) 
»/d  esso  farebbe  sospettare  in  Rigolo'r  un  composto  di  '*Ri  -\-  goìo'r. 
Se  ciò  non  è,  Rigolo'r  dovrebbe  essere  un  derivato  in  -o  r  i  u 
di  rivùlu.  Cfr.  Rugolàra,  rio  in  provincia  di  Vicenza  (Oli- 
vieri, Studi,  p.  179.  ult.  r.)  e  v.  Pieri,  p.  163,  e  pel  v  in  g  v.  anche 
Prati,  Nomi,  p.  167,  s.  Cùgola  (pron.  kiìgola),  a  proposito  della 
quale  si  avverta  che   il    polesano  à  appunto   kùgola   "  cupola  „. 

Rinalbo  (nome  antico) 

Luogo  nella  valle  di  Fieme,  nominato  nel  1378  (Lorenzi,  p.  139). 

Dice  "  rivo  bianco  „.  Circa  la  voce  rin  v.  Marinelli,  Riv. 
Geogr.  Ital.,  Vili,  p.  166;  Schneller,  Zeìtschr.  d.  Ferdin.,  III. 
F.,  50.  H.,  p.  125;  Meyer-Lubke,  Einfuhrung-,  p.  222;  Prati, 
Ricerche,  I,  p.  14;  Jud,  Bidl.  de  Dialertol.  Rom.,  Ili,  p.  74,  n.  5. 

Rizzolàga  (pron.  loc.  borldga) 

Villaggio  in  Pine  (Civezzano,  Trento). 

1253,   1388:  Arzolaga  [Trid.,  II,  p.  204;  Cod.  Cles.,  Riv.  Trid., 


*  Rigolor  à  invoce  il  Gkam.vtica,  p.  5,  8. 


254  Angelico  Prati, 

X,  p.  200);   sec.    XV:   Arzollaga  (doc.  volg.)  [Trid.,  X,  p.  430, 
433,  ult.  r.). 

Da  un  nome  personale  *A  r  t  i  o  1  u  s  ?  (Cfr.  Artius:  Oli- 
vieri, Studi,  p.  68). 

Roméno  (pron.  loc.  romén) 

1185:  Romenum  (Schneller,  Tir.  Xain.,  p.  69);  poi  anche 
Bumenmn. 

Oltre  quello  che  ne  dice  ivi  lo  Schneller,  v.  l'accenno  del 
Battisti,  Die  Nonsh.  Mund.,  p.  36,  n.  Io  aggiungo  che  si  trova 
il  cognome  R  u  m  e  n  u  s  weW'Indice  Epigrafico  del  v.  XXIV,  N.  S., 
dell'yl/'cA.  Triest.,  p.  234,  dove  si  cita  il  v.  VII,  p.  129.  Come 
è  naturale,  non  esiste  relazione  alcuna,  contrariamente  a  quanto 
scrive  lo  Schneller,  p.  69-70.  col  nome  del  romito  Bomèdio 
(pron.  non.  romjédi),  che  deriva  da  R  e  m  e  d  i  u  s  {v.Arch.  Trent., 
XXVI,  p.  254-255)  (non  R  o  m  e  d  i  u  s,  come  è  stato  stampato 
nella  Pro  Cultura,  III,  p.  300).  Cfr.  invece  la  Val  dei  Bumini 
in  Vallarsa  {Tir.  Nani.,  p.   199). 

Boro 

Campagna  in  quel  di  Caldonazzo  (Lévico)  (Ctraziadei,  Trid., 
II,  p.  359). 

rò'ro,  che  è  qui  la  rispondenza  di  r  o  b  o  r  e,  ritorna  anche 
in  Montero'ro  (forma  letter.  Monteróvere)  (Lévico),  forma  d'uso 
nel  distretto  di  Lévico.  Il  Graziadei,  ivi,  p.  358,  che  à  Monte- 
rovo,  ceito  per  errore  di  stampa  come  in  pili  altri  casi,  riporta 
la  forma  Monterover  del  1300.  Dal  Reich,  Notizie,  riporto:  1503: 
il  monte,  detto  volgarmente  jRovero  (p.  147);  1537,  1556:  monte 
Bover  (p.  163,  165);  1604:  la  montagna  di  Monte  Bov re  (p.  190, 
r.  10-11  dal  b.);  sec.  XVII:  al  Monterovero,  dal  Monte  Bovero 
(p.  214). 

Il  Cesarini  Sforza,  Di  alcuni  nomi  loc,  p.  117,  118,  cita  La- 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  255 

roré  e  Eoré  luoghi  presso  Terlago  (Vezzano)  e  nel  distretto  di 
Cavalese  (Fieme),  verso  Cembra,  c'è  un  casale  Eóver,  volgar- 
mente denominato  'l  Boi  o  Ma/i  di  Eova  (?)  (Brentari,  II,  p.  100), 
Cfr.  Borei,  forma  ladina  del  nome  della  città  di  Roveréto  (pron. 
loc.  rovere:  Schneller,   Tir.  Nam.,  p.  136)  (Altón,  p.  60). 

Nel  1365  è  mentovato  un  luogo  in  pertinentiis  montis  Sersi, 
ubi  dicitur  a  Borre  (Pòrgine)  (potrebbe  essere  un  *Bovré)  [Trid., 
V,  p.  394)  e  nel  secolo  XV  un  luogo  al  Boaro,  al  Bovre  e  a  Bovre 
in  Pine  (Civezzano)  {Trid.,  X,  p.  430;  XI,  p.  378,  382;  XII, 
p.  193,  321).  Y.  poi  in  una  n.  s.  Varéna. 

Nel  1382,  pure  in  Pine,  è  ricordato  Lovere  {de-)  {Trid.,  II, 
p.  244)  (che  qui  pare  non  possa  essere  un  *Lovére).  da  confron- 
tare con  l'odierno  Lo'ver  (Mezzolombardo);  che  nei  documenti 
compare  come  Loverniim  e  da  cui  trae  il  nome  il  torrente  Lo- 
vernàdek' .  V.  Reich,  Notizie,  p.  58,  dove  si  legge  anche  la  forma 
Lovro,  nel  1385  de  Lover  {Biv.  Trid.,  IX,  p.  122).  La  città  di 
Rovereto  dagli  abitanti  del  vicino  Teragnól  (Terragnolo)  è  detta 

L0V7'é. 

È  opportuno  ricordare  che  ro'ì-o,  oltre  che  nel  distretto  di  Lé- 
vico,  vive  nel  trevisano  {Ardi.  Glott.,  XVI,  p.  320),  che  roro 
riporta  I'Ascoli,  ivi,  I,  p.  415,  da  una  vecchia  scrittura  feltrina; 
rore  ricorre  nel  bellunese  e  nel  valsuganotto  occidentale  (di- 
stretto del  Borgo)  e  rori,  róul  o  rol  nel  furiano  (ivi,  p.  503,  529). 
Nel  vernacolo  di  Trento  c'è  rover.  nel  ro\eretano  ro'vro  (qui 
anche  Uvro  "  lepre  „;  cfr.  levro  e  róvoro  nel  triestino:  Vidòssich, 
N.  215,  219,  226),  nel  valsuganotto  orientale  (distretto  di  Strigno) 
rovre,  nel  veronese  ro  varo  o  rq  aro.  Il  nònese  à  ro'ver,  ma  Bo'r 
quale  nome  di  campagne  presso  Cloz  e  presso  Tassili,  e  Bore 
presso  Tret  (Battisti,  Die  Xonsb.  Muud.,  p.  35,  53).  V.  anche 
il  plur.  rq'ri  ivi   a  p.   102. 


256  Angelico  Prati, 

Rovéda  (con  e). 

Villaggio  dell'alta  valle  della  Fèrsena,  nel  distretto  di  Pòrgine. 

Nel  noto  documento  del  1166,  del  quale  si  è  già  fatto  cenno 
in  una  nota  s.  Canéia,  compare  nella  forma  latina  Bohure  e  in 
quella  tedesca  Hoicìilait  (Bonelli,  II,  p.  438)  ^ 

Dai  Mòcheni  Roveda  è  infatti  detta  Oacìilait  (ted.  letter. 
Eichleit),  che  equivale  quindi  a  "  costa  del  rovere  „  (v.  s.  Latemdr). 
Nelle  Eicerche,  I,  p.  30,  n.  3,  osservavo  che  Rohiire  sembra  tratto 
dal  nome  tedesco,  il  quale  si  presenta  come  una  falsa  tradu- 
zione di  Bovéda,  nome  che  gli  immigrati  tedeschi  avrebbero  cre- 
duto tratto  dal  rovere,  invece  che  dal  rovo,  ma  domandavo  poi 
se  Bovéda  non  sia  al  contrario  una  forma  dissimilata  di  un 
*Bovréda,  visto  che  lo  storico  valsuganotto  Montebello  scrive 
Rovereda  (p.  403). 

Ora  sono  in  grado  di  rispondere  di  si  a  questa  domanda  ed 
è  quindi  da  abbandonare  la  derivazione  da  rùbéta. 

Infatti  nel  1572,  oltre  che  Boveda  (Momzzo,  II,  p.  337),  com- 
pare la  forma  Bovereda  lurisdictionis  Perzini  (ivi.  III,  p.  50).  La 
prima  forma  si  trova  anche  nel  1424,  nel  Cod.  Cles.,  nel  quale 
è  fatta  menzione  di  Sicherius  de  Boveda,  detto  poi  Sicherius  Bo- 
vede  de  Eno  (di  Den  in  Val  di  Non),  nel  1437  apud...  Sicher'mm 
Bovedam  [Biv.  Trid.,  XII,  p.  199,  203,  209).  Anche  se  si  rinvenisse 
la  forma  Boveda  in  documenti  molto  più  antichi,  non  ne  ver- 
rebbe difficoltà  contro  il  ^Bovréda,  poiché,  come  si  avverte  di 
molti  altri  nomi,  i  notai  eran  soliti  di  usare  spesso  forme  già 
superate  nella  parlata  comune  e  che  essi  leggevano  in  docu- 
menti anteriori.  Tale  è  il  caso  del  Bovereda  del  1572,  di  fronte 


*  Non  Hochlait,  come  scrivono  il  Gkamatica,  p.  38,  39,  e  il  Battisti,  Pro 
Cultura,  1,  p.  183.  Nella  traduzione  del  documento  del  1166,  che  il  Gra- 
MATicA,  p.  12,  riproduce  dal  Gar,  parte  dei  nomi  compaiono  in  forma  arbi- 
traria ed  errata.  Di  un  Canestia  (v.  sopra)  si  fa  un  Canesia  e  cosi  via! 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  257 

alle  altre  forme  anteriori.  E  il  Montebello  non  faceva  uso  di 
Rovereda  ancora  nel  1793,  cioè  dopo  secoli  che  il  popolo  di- 
ceva E 0 veda?  ^. 

II  ted.  Oachlaìt  [eh-,  i  nomi  di  Vallarsa  addotti  dallo  Schneller, 
Tir.  Xani.,  p.  208.  N.  302,  303)  non  è  dunque  una  falsa  traduzione, 
ma  corrisponde  in  parte  a  Rovereda,  mentre  il  Robure  del  1166 
parrebbe,  come  ò  detto,  suggerito  al  compilatore  del  documento 
dal  nome  tedesco,  pure  da  lui  usato. 

Roverséi  (con  é) 

Località  boscosa  posta  sopra  la  frazione  di  Fontèchel  del  paese 
di  Brentònico  (Mori)  {Trid.,  IL  p.  297). 

Controia  spiegazione  dello  Schneller,  Tir.  Nam..  p.  138,  N.  5, 
che  lo  interpretò  come  rovericelU,  il  Ricamboni,  San  Marco,  III, 
p.  40-41,  osserva:  "  La  sibilante  nel  nome  odierno  non  ci  per- 
mette di  accogliere  questo   etimo,  perchè,  a  seconda  dell'epoca 


'  Il  Gramatica,  p.  5,  I  col.,  dice  che  si  scriveva  Bovereda  (la  forma  Ho- 
vedera  da  lui  pure  riferita  è  naturalmente  un  errore,  forse  di  stampa)  due 
secoli  fa,  ma,  come  si  vede,  lo  si  scrisse  anche  dopo.  Perché  il  lettore  non 
perda  il  bonumore  ricorderò  che  di  recente  I'Unterforcheu,  Zeitschr.  f.  Boni. 
Philol.,  XXXIV,  p.  201,  à  derivato,  pur  dubitando,  Rovèda  da  rupada  {rti- 
p(ita)V.\  E  dire  che  lui  rimanda  allo  Schnelleu,  Beitrage,  IH,  p.  80,  il  quale 
propende  appunto  per  la  derivazione  dal  rq'ver.  A  Boreda  I'Unterforcher 
pone  accanto  Bevo  (v.  Bicerche,  I,  p.  20),  di  cui  riporta  la  t'orma  Boado,  la 
quale,  come  avverto  anche  nelle  Escursioni,  p.  127,  n.,  non  è  affatto  atte- 
stata, come  non  lo  sono  il  Bevado  e  il  Cugnado  del  1190,  riferiti  dal  Bat- 
tisti, Cafinia,  §  3,  p.  92;  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  25,  n.  1.  Queste  due  forme 
sono  invece  del  latino  chiesastico  (del  quale  si  sa  quanto  ci  si  può  fidare!) 
e  del  1190  sarebbe  la  forma  Cagnao,  e  del  sec.  XII  sono  le  forme  Boao,  Boo, 
come  risulta  dalTETTMAYER,  Boni.  Forsch.,  XIII,  p.  397,  che  è  la  fonte  del 
Battisti.  Io  trovo  la  forma  Cagnao  solo  nel  documento,  nel  c|uale  si  legge 
Boao,  Boo  [Bicerche,  I,  p.  19).  Si  avverta  poi  che  anche  il  Caudonacio  del  1205, 
riferito  dal  Battisti,  Catinia,  §  3,  p.  94  (v.  pure  Pro  Cultura,  I,  p.  199),  è 
erroneo.  La  forma  giusta  e   Caufonacio   (v.  le   mie  Ricerche,  I,  p.  29,  30). 


258  Angelico  Prati, 

in  cui  Vi  antecedente  al  celli  cadde,  avremmo  avuto  la  z  sorda 
0  sonora,  ma  non  mai  un  s  che  dev'esser  qui  originario.  Si 
tratta  quindi  di  un  riversii  ~\-  ellu,  significante  per  tal  modo  la 
posizione  di  questa  località  rispetto  al  sole  „. 

A  1'  e  V  è  r  s  u  (non  r  i  v  e  r  s  u,  come  à  il  Ricamboni)  ricon- 
duce infatti  I'Olivieri,  Studi,  p.  152,  un  Boversello  (Cologna,  Ve- 
roiìa);  ma  i  Roverséi  sono  posti  a  tramontana?  ^  E  poi,  a  roveri- 
celli  non  corrisponderebbe  *rovere/'éJ,  {ch-.monfef'él,  venie/' él  eco.)? 
E  i  Roverséi,  derivati  da  rover,  non  trovano  forse  riscontro  m  pe- 
gorséla  àa,  pégora,  in  {por)  laorsél  "  povera  creaturina  „,  da  lao'r? 
Una  formazione  uguale  devB  essere  il  trevis.  ant.  harsella  "  ba- 
riletto, barletta,  piccolo  otre  „,  che  andrà  quindi  letto  con  s,  non 
con/',  come  suppone  il  Salvioni,  Ardi.  Gioii.,  XVI,  p,  288. 

Saluga  (la-) 

Rivo  di  Trento. 

11  Grubf.r,  p.  317-318,  riporta  dei  nomi  di  fiumi,  che  si  spie- 
gano al  solito  dalla  radice  sai-  "  scorrere  „  ^,  ma  aggiunge  che 
si  tratta  di  fiumi,  i  quali  percorrono  regioni  saline,  e  che  quindi 
si  derivano  meglio  da  sale.  Ma  per  la  Salilga,  la  quale  del 
resto  non  passa  per  terreni  salini,  data  la  terminazione  -i'iga,  è 
appunto  da  pensare  alla  base  s  a  1-,  sopra  indicata.  Nel  voca- 
bolai"io  del  celtico  antico  dello  Holder  c'è  la  terminazione  -u  e  a 
e  vi  son  citati  alcuni  nomi  di  luogo  forniti  di  essa.  Per  nomi 
analoghi  v.  Altón,  p,  60,  61,  e  cfr.  Ricerche,  1,  p.  43,  n.  1.  Cosa 
interessante  è  che  vicino  a  Trento  vi  è  pure  il  piccolo  torrente 


^  Notisi  inoltre  che  il  trentino  à  reve'r's  (veron.  rove'rso,  roe'r'so,  non. 
rove'r's),  ma  è  possibile  che  in  un  nome  locale  sia  subentrato  Vo. 

^  Della  radice  s  a  r-,  che  si  presenta  pure  in  nomi  di  corsi  d'acqua, 
V.  anche  Jud.  Bull,  de  Dialectol.  Rom.,  Ili,  p.  74-76. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  259 

Saie,  di  cui   v.  ivi.  p.  43,  e  cfr.  il  monte  SaUi  dell'alta  Fassa, 
citato  dall' Altón,  p.  60  ^. 

Di  altre  basi  preromane,  che  anno  dato  luogo  a  nomi  di  fiumi, 
di  torrenti,  di  ruscelli  delle  Alpi  v.  Jud,  Bull,  de  Dialectol.  Bom., 
Ili,  p.  742. 

Samborlva 

Monte  presso  Caldonazzo  (Lévico). 

Nel  1500:  Summaripa  (Graziadei,  Trid.,  II,  p.  359).  Cfr.  Pieri, 
p.  135:  Olivieri,  Studi,  p.  154,  s.  summw,  Salyioììi,  Boll.  Stor. 
d.  Si-izz.  Ifal.,  XXIV,  1902,  p.  6.  Per  Vo.  v.  anche  Samokléf  so- 
landro  (Ricerche,  I,  p.  44)  e  Saìiionfe  veronese  (Avogaro,  p.  50). 
L'o  si  dovrà  all'azione  della  labiale.  Ma  forse  nacque  uno  scambio 
ti-a  Vo  e  Va.  Con  mm  >  mb  cfr.  un'end  nel  trent.,  feltr., 
bellun.  spanda   "  spanna  „   [Arch.  Glott.,  I,  p.  311). 


^  A  quanto  tu  detto  nelle  Ricerche,  \.  e,,  circa  Sale  va  soggiunto  che  forse 
è  pur  possibile  la  derivazione  da  oxalis  "  acetosa  „  [E.  E.  W.,  6129)  e 
circa  i  nomi  locali  Salina  è  da  rammentare  che  saline  sono  dette  dai  cac- 
ciatori i  luoghi,  ove  spargono  il  sale  per  attirare  la  selvaggina,  e  che  nel 
Cadore  salina  0  salerà  vale  "  sorgente  salata  „,  come  riferisce  il  Marinelli, 
Riv.  Geogr.  Ital.,  Vili,  p.  166,  il  quale  osserva  che  però  a  volte  sembra  siano 
semplici  stillicidi,  che  si  giudicano  salati,  perché  ad  essi  sogliono  abbeve- 
rarsi i  camosci. 

Un  luogo  Salina  {la-)  c'è  presso  Lévico  (nominato  anche  dal  Brentari,  1 
p.  297)  ed  è  menzionato  in  un  documento,  di  cui  v.  Jrch.  Treni.,  XXIV,  p.  63 

^  Nel  lavoro,  molto  attraente,  intitolato  Dcclla  storia  delle  parole  lombardo 
ladine,  ivi  pubblicato,  il  Jud  addita  un'origine  preromana  di  molte  voci 
anche  usate  fuori  dei  territori  lombardo  e  ladino.  V.  però  il  parere  del  Sal 
VIGNI,  Rendic.  d.  R.  Ist.  Lomb.,  s.  11,  v.  XLV,  p.  272. 

Il  .hid  usa  erroneamente  la  parola  preromanzo  (p.  5,  8,  68,  74,  82  ecc.) 
invece  di  preromano,  ma  il  bello  e  che  in  ciò  lo  segue  anche  il  Guarnèrio, 
Rendic.  d.  R.  Ist.  Lomb.,  s.  II,  v.  XLIV,  p.  966  N.  31,  p.  1088,  Ir.  (A  p.  3, 
n.  4,  Jud  dà  poi  una  deflnizione  amenissima:  bregagliotto  siitx  "  vitello 
che  non  dà  latte  ,.  Chi  dubiterà  di   questa  definizione?!) 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIIl.  17 


260  Angelico  Prati, 

Scandolàr 

Luogo  su  quel  di  Vigolo  Baselga  (Vezzano).  Un  altro,  pure 
ivi,  è  nominato  nel  1303  [scandolàr]  (Arcìi.  Tre.ìit.,  XXVI, 
p.  54,  n.  5). 

Non  stanno  per  *scandelar  "  luogo  coltivato  a  scandella  „, 
come  ivi  dice  il  Cesarini  Sforza,  ma  riflettono  senz'altro  il 
lat.  scandula  "  spelta  „  (Flechia.  Ardi.  Glott.,  II,  p.  383; 
Pieri,  p.   104;  Avogaro,  p.  28;  Olivieri,  Studi,  p.  129). 

Sommo 

Presso  Serada  in  Folgaria  (Rovereto)  ci  sono  due  dossi,  i  cui 
nomi  vengono  scritti  Sommo  (m.  1(311)  e  Doss  del  Sommo  (m.  1669) 
dal  Brentari,  I,  p.  116.  Il  primo  compare  come  Sommo  alto 
(m.  1614)  nella  C.  M.  L'Olivieri,  Studi,  p.  169  è  nel  vero,  sup- 
ponendo che  questo  nome  corrisponda  a  ^on  (scritto  anche  Xon, 
Xom  e  Xomo,  nella  C.  M.  Colle  di  Xomo  [m.  1056J)  presso  Pósena 
(Vicenza)  e  ad  altri  nomi  uguali  del  Veneto,  che  egli  deriva  da 
*lovón.  Infatti  nel  1276  si  trova  la  forma  Zono  Folgarido  (Ri- 
cerche, I,  p.  34)  e  da  Valsuganotti,  che  furono  da  quelle  parti, 
ò  udito  pronunziare  do'mo,  f'o'mo,  le  quali  forme  ci  dicono  che 
si  tratta  di  --  e  che  solo  chi  volle  vederci  sommo  <i&\imm\\ 
si  è  indotto  a  scrivere  Sommo.  Di  -iti  <C  -n  fissato  pure  nella 
forma  letteraria  (-wo)  v.  altri  casi  nelle  Ricerche,  I,  p.  12,  13, 
n.  1,  e  presso  Sabersky.  p.  50  [Baldimo,  con  cui  cfr.  il  Monte 
Baldo:  Salvioni,  Literaturhl.  f.  germ.  v.  rom.  Philologie.  XXI, 
col.   145).  ■ 

Tigneróne 

Villaggio  nel  Bléggio  (Sténico). 
1155:  de  Tignarone  [Trid.,  X,  p.  257,  n.). 
Il  Salvioni,    Boll.   Stor.  d.  Svizz.  Ital.,  XXII,  p.  100,   ritiene 
non  improbabile  che  in  Tegna  (Locamo)   si   abbia  la  voce  féna 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  261 

"  tigna  „,  notando  che  un  tal  nome  poteva  darsi  a  un  terreno 
arido,  pieno  di  sterpi  ecc.,  e  ricorda  pure  Tegnogno  (Mal vàglia, 
Elenio)  e  il  Monfignoso  di  Massa.  V.  pure  Pieri,  p.  135. 

Di  un  Mafarè  di  Val  Tegnofa  nel  gruppo  della  Marmolada 
in  Fassa,  si  fa  cenno  nella  Zeitschr.  d.  Ferdin.,  III.  F.,  55.  H., 
p.  121,  n.  Un  Tegnóne  esiste  presso  Como,  e  gli  fu  mutato  il 
nome  in  Bevellino  ^ 

Il  Salvioni  cita  pure,  1.  e,  n.  1,  a  confronto  il  vogh.  riign 
"  rogne  „,  terreni  infecondi  (Nicoli,  Studi  di  Filol.  Rom.,  Vili, 
p.  233)  e  s'aggiunga  che  il  rover.  grufa  "  chiazza,  schianza; 
lattime,  croste  lattee  „,  applicato  a  terreni,  venne  a  dire  "  ter- 
reno sodo,  sterile,  infruttuoso  „  (Azzolini).  V.  inoltre  Olivieri, 
Studi,  p.  154,   180. 

Per  Tignale  al  Lago  di  Garda  invece  è  forse  da  pensare  a 
tìgnu  "  trave  „  (Meyer-Lubke,  Einfuhrung-,  p.  37).  Forme 
antiche:  1425:  Tignalis  (genit.);  1447:  Tegnalum  [Cod.  Cles.,  Riv. 
Trid.,  XII,  p.  150,  285).  Tigneróne  poi  avrà  avuto  la  spinta  ad 
assumere  il  suffisso  -óne  dai  molti  altri  nomi  locali  in  -óne  delle 
Giudicarle  {Ricerche,  I,  p.  21.  n.). 

Toràm 

Case  isolate  presso  Pedersano  (Villa  Lagarina,  Rovereto). 
Lo   ScHNELLER,    Tir.    Nam.,  p.   177,   fa   conoscere  le  varianti 
letterarie   Torrano   e   Turano  e  riferisce    la   forma   Tarano  {in-) 


^  Gabriele  Grasso,  Sul  cambiamento  di  nome  nei  comuni  attuali  d'Italia, 
Riv.  Geoijr.  Ital.,  Vili,  p.  264.  Come  è  noto,  furono  mutati  i  nomi  a  pa- 
recchi villaggi,  che  ne  portavano  di  quelli  con  brutto  significato,  sia  reale, 
sia  apparente.  V.  in  proposito  Otello  Cavara,  1  paesi  che  hanno  cambiato 
nome,  La  Lettura,  XII,  N.  8,  Milano,  1912,  p.  748-752.  Si  ricordi  che  come 
il  villaggio  di  Pissavàca  presso  Trento  da  molti  è  detto  Belvede'r,  cosi  è 
detto  pure  Belvedére  il  paese  di  Vaccàro  in  quel  di  Fobello  (Varallo,  No- 
vara), riscontro  che  ò  già  notato  nelle  Escursioni,  p.  122. 


26'2  Angelico  Prati, 

del  1259  e  l'etimologia  dell'ORSi,  da  Taurianum.  L'a  di  Tarcmo, 
se  non  è  errore,  sarà  per  assimilazione  all'd,  poiché  è  poco  pro- 
babile che  Vo  odierno  sia  da  anteriore  a  ed  inutile  sarebbe  il 
confronto  coi  trent.  ago'ét  e  angiiràr  [angurar  anche  nel  vero- 
nese: AvoGARO,  p.  35).  Come  è  ben  noto,  la  consonante  o  il 
nesso  di  consonanti,  che  segue  al  dittongo  au  viene  a  trovarsi 
come  in  posizione  posconsonantica.  Cosi  si  spiegano,  per  esempio, 
il  é  di  k^'éa  e  di  poédda  (cfr.  Ascoli,  Arch.  Glott.,  XVI,  p.  182- 
183  ;  Parodi,  ivi,  p.  349)  e  il  e  del  genov.  noce  <Cnaucléru 
(Parodi,  ivi,  p,  338  ;  Salvioni,  Romania,  XXXIX,  p.  442).  Ora, 
si  attenderebbe  che  anche  il  r  j,  che  segue  ad  a  u,  rimanga  rj. 
E  i  fatti  paiono  confermare  tale  deduzione,  dico  paiono,  perché 
sembra  vi  sia  qualche  oscillazione. 

Turano  (Lavagne,  Verona),  compare  nell'  862  e  nell'  883  come 
Tonano,  nel  994  come  Turiano  (Avogaro,  p.  15),  nel  1158  Tu- 
rano (Olivieri,  Studi,  p.  95).  L'Olivieri  riporta  pure  la  forma  Tor- 
riano  dell'  883.  Questo  nome  sembra  stare  contro  la  supposi- 
zione che  aurj  dia  oìj,  ma  come  provare  ch'esso  risale  a 
Tauri  US?  Conti'o  questa  base  stanno  appunto  le  forme  an- 
tiche, poiché,  ben  ammettendo  che  l'a  u  fosse  già  chiuso  in  o 
prima  del  secolo  IX,  è  strano  che  i  compilatori  dei  documenti, 
che  tanto  ci  tenevano  alle  forme  latine  (di  nomi  con  au  c'è  do- 
vizia nelle  vecchie  carte),  non  scrivessero  Taurianum  almeno  in 
epoca  SI  remota.  Ma,  giacché  sarebbe  da  escludei-e  quest'etimo 
per  Turano,  clie  risalirà  invece  a  T  h  o  r  i  u  s  o  a  T  u  r  i  u  s, 
nome  attestato  da  una  lapide  romana  scoperta  nell'Istria  [Pag. 
Isfr.,  XI,  p,  101),  si  chiederà  se  T  a  u  r  i  u  s  à  lasciato  dei  deri- 
vati con  rj.  Si,  li  à  lasciati,  e  sono:  Tauridno  (Spilimbergo, 
Udine),  1204:  Taureano;  Torcano  [Torreàno]  (Cividale),  1259: 
Tauriano;  Costa  Turiana  (Torrebel vicino,  Vicenza).  L'Olivieri, 
Studi,  p.  95,  dal  quale  tolgo  questi  nomi,  li  deriva  da  T  a  u- 
r  i  1  i  u  s,    ma   basta   invece   T  a  u  r  i  u  s,    ed    infatti    si  noti   che 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  263 

nelle  forme  antiche  il  /  non  compare.  V.  poi  anche  i  nomi  deri- 
vati  da    a  u  r  e  Ò  1  a  a  p.  95  delle  Escursioni  (cfr.  R.  E.  ÌV.,  791). 

Sopia  ò  però  detto  che  sembra  ci  sia  qualche  oscillazione.  A 
Moràdega  (Sorga,  Verona)  corrisponde  infatti  Mauriatica  nell'SlS 
e  neir  883  (Olivieki,  Studi,  p.  86),  né  si  vorrebbe  sospettare  di 
questa  vetusta  forma.  Potrebbe  darsi  tuttavia  che  qui  a  u  sia 
divenuto  o,  prima  che  rj  divenisse  r  ? 

Noto  infine  che  aulj  diede  oj  (v.  Escursioni^  p.  122  s.  Pojàn, 
Olivieri,  Studi,  p.  68  s.  Aulius,  Appunti,  p.  188  [P.  72]),  come 
1  Ij  diede  j,  g  (ven.),  ma  r  rj  >  rj  (v.  s.  Mori). 

Traslél  (pron.  traf'jél)  (forma  lettor.  Trafiello) 

Case  presso  Castellano  (Villa  Lagarina,  Rovereto). 

V.  ScHNELLER,  Tir.  Nani.,  p.  189,  che  cita  le  forme  Trascm- 
darium  del  1309  e  Trasidorum  del  1450.  S'aggiunga  Tresse- 
dnrium  del  1305  [Ardi.  Trent.,  XVI,  p.  46,  penult.  r.).  11  Ricam- 
BONi,  San  Marco,  III,  p.  41,  al  quale  sono  note  le  due  sole  forme 
riferite  dallo  Sghneller,  dopo  aver  detto  che  sono  curiosamente 
diverse  dalia  forma  moderna,  deriva  Trafiél  da  t  r  a  n  s  i  t  u  s  -[- 
e  1 1  u. 

E  ammissibile  che  si  possa  diffidare  a  volte  delle  forme  di 
nomi  locali,  che  offrono  i  documenti,  quando  vi  è  una  solida 
ragione,  ma  non  credo  che  questo  sia  il  caso.  Infatti  Trasan- 
darium,  sia  esso  una  forma  dovuta  solo  al  compilatore  del  docu- 
mente.  sia  forma  dovuta  al  popolo,  fu  evidentemente  avvicinata 
a  trarandél  (trent.)  "  transito,  chiassuolo,  chiassolino  „,  da 
*t  r  a  n  s  i  e  n  d  a  (Salvioni,  Romania,  XXXVI,  p.  250,  XXXIX, 
p.  471,  N.  68),  e  Trasidorum  non  può  essere  che  errore  per 
Trasidarum,  per  il  facile  scambio  grafico  tra  o  ed  a,  dato  il 
brutto  vezzo  di  certuni  di  scrivere  Va  uguale  all'o,  mentre  Tres- 
sedarium  potrà  anche  essere  invece  di  Tra-.  L'etimo  ne  è  *tran- 
sitar  i  u  (cfr.  *s  e  m  1 1  e  r  i  u,  da  cui  éentér  o  éintér),  donde,  nella 


264  Angelico  Prati, 

Val  Lagaiina,  *traf'edér  e  di  qui  traf'jél,  con  /  dissimilativo,  e 
la  forma  letteraria  Trafiello  per  l'illusione  che  V-él  sia  il  suf- 
fisso -èlio,  nel  dialetto  -él. 

Trento  (pron.  loc.  trént) 

V.  le  mie  Ricerche,  I,  p.  51,  n.  8;  Escursioni,  p.  98,  n.,  Bat- 
tisti, Le  dentali,  p.  135,  ed  aggiungi  che  si  legge  de  trento  anche 
in  un  documento  del  1028  {Ardi.  Star.  p.  Trieste,  l'Istria  e  il 
Treni.,  I,  p.  298). 

Tres  (con  e')  [Tréf'i  gli  abitanti) 

Villaggio  nel  distretto  di  Cles  (Val  di  Non), 

Senza  dire  donde  la  abbia,  il  Malfatti,  Ardi.  Star.  p.  Trieste, 
l'Istria  e  il  Treni.,  II,  p.  99,  fa  conoscere  la  voce  irés,  signifi- 
cante "  spazio  di  erba  rigogliosa,  che  circonda  un  casolare  o  una 
malga  „  ^ 

Tresénga  (la-)  (con  e') 

Rivo,  che  passa  presso  il  paese  di  Tères  (Cles). 

L'aveva  messa  tra  i  nomi  in  -i  n  g  {Bicerche,  I,  p.  26),  ma 
nonio  consentono  le  forme  antiche,  e  quindi  va  levata.  Cfr.  1891: 
aqua  Tresignegi  {Cod.  Cles.,  Riv.  Trid.,  X,  p.  270)^;  1401:  aqua 
Tresinegi  (ivi,  XI,  p.  57);  sec.  XVIII:  Valle  Trisinica  [Pro  Cul- 
tura, II,  p.  245,  n.  2). 


^  Nella  Valtellina  c'è  tres  "  mucchio  di  fieno  „.  V.  Salvioni,  Boll.  Sfar.  d. 
Svizzera  Bai.,  XXI,  p.  96,  n.  1.  Niente  potrà  aver  di  comune  il  solandro 
tres  "  concio  del  maiale  „  (Battisti.  Ziir  Sulzb.  Mund.,  p.  222)  con  Tre's, 
di  cui  V.  anche  Orsi,  Saggio,  IV,  p.  17. 

^  Pel  gti  cfr.  il  Tugegnum  del  1214  a  p.  59  delle  Ricerche,  I,  la  villa  Ca- 
varegni  del  1403  [Cod.  Cles.,  Riv.  Trid.,  XI,  p.  113),  forma  da  aggiungere  a 
p.  23  delle  Ricerche,  I,  s.  Cavareno  (con  cui  cfr.    C  a  v  a  r  i  n  u  s,  nome  cel- 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  265 

Tresslla 

Villaggio  della  valle  di   Fine  (Civezzano). 

Y.  i  miei  Nomi,  p.  174.  La  forma  Traxilla  rìcoYve  pure  nel  1262 
[Rie.  Trkl.,  X,  p.  226)  e  cfr.  ancora  Tregióvo  (Revò,  Cles),  nel  1424 
Trazocum  [Cocl  Cles.,  Riv.  Trid.,  XII,  p.  200)  ^. 

Valdàcole  (le-) 

Luogo  presso  Viliazzano  (Trento). 

Una  spiegazione  fu  da  me  data  nelle  Ricerche^  I.  p.  46,  ma 
un'altra  la  può  offrire  il  lat.  a  e  e  ò  1  a,  da  cui  il  poschiav.  ant. 
accola  "  tenuta,  fattoria  „.  l'obwald.,  engad.,  akla  (Salvioni, 
Rendic.  d.  R.  Ist.  Lomb.,  s.  II,  v.  XXXIX,  p.  569;  R.  E.  (F.,  81). 
y.  anche  Gtruber,  p.  355,  ov'è  addotto  un  lat.  m.  "^accola  "  po- 
deie;  fattoria:  novale  „. 

Varéna  (con  e) 

Villaggio  nel  distretto  di  Cavalese  (Fieme). 

V.  Ricerche,  I,  p.  25,  26,  e  i  nomi  locali  Varenna  presso  lo 
HoLDER,  e  Varenna  (Como).  Il  D'Arbois  de  Jubainville,  p.  451, 
riporta  il  nome  Vare  n  u  s  -. 


tico  presso  Cesare  :  v.  Thesaurus  e  Arch.  Treni.,  XII,  p.  .39),  e  VArsignadige 
(genit.)  del  1.336  per  la  Sendiga,  affluente  di  destra  del  Zismón  (^Wr?.,  Ili, 
p.  164,  n.  57;  cfr.  Ricerche,  I,  p.  9;  Pro  Cultura,  III,  p.  128,  n.  12);  nel  1525 
ancora  Aqua  arsignatie  (probab.  errore,  per  (crsignafice):  Morizzo,  II,  p.  313. 
V.  anche  Gargniya,  per  Garni'ga  {Ricerche,  I,  p.  24),  presso  Schneller,  Tir. 
Nam.,  p.  78,  n.,  e  de  Sargnis  a  p.  146.  Della  grafia  inversa,  cioè  di  n  per  gn 
V.  Ricerche,  I,  p.  50,  n.  1.  V.  pure,  per  altre  grafie,  ivi,  p.  44,  n.  1,  e  qua 
sopra,  s.   Cojmajóm,  ed  Escursioni,  p.  110. 

'  La  grafia  Tressilla  e  Siila  (il  torrente,  dal  quale  trae  il  nome)  non  è 
giustificata,  e  ciò  tanto  pili  se  si  riconosce  la  parentela  della  Sila  coi  nomi 
da  me  ivi  ricordati  (p.  175).  V.  anche  Holder,  s.  Silis  (F  1  u  v  i  u  s-).  Lo 
ScHNEt,LER,  Zeitschr.  d.  Ferdin.,  III.  F.,  50.  H.,  p.  133-134,  pensava  ad  un'ori- 
gine germanica. 

'^  Un  monte   Verena   si    trova   in    provincia  di  Vicenza,  presso  il   confine 


266  Angelico  Prati, 

Vela  (la-)  (con  e') 

Rivo,  presso  il  quale  si  trova  un  casale,  detto  pur  esso  la 
V^'la,  vicino  a  Trento. 

Negli  Ada  S.  Vigilii  (IV  sec.)  :  in  via  quae  dicitur  Vela  {Arcìi. 
Treni.,  XXVI,  p.  62;  v.  Orsi,  La  topografia,  p.  27).  V.  inoltre 
(/ESARiNi  Sforza,  Piazze  e  strade,  Ardi.  Treni.,  XIII,  p.  90-91, 
104  n.  1,  107.    Velón  è  un  rivo  dell'alta  Val  di  Sòl  (Perini). 

L'Ettmayer,  Bom.  Forsch.,  XllI,  p.  528,  n.  1,  la  deriva,  pur 
dubitando,  da  *a  q  u  e  1 1  a,  ma  egli  scrive  erroneamente  {la)vrla, 
mentre  essa  à  e  .  Basta  dunque  questo  fatto  ad  escludere  l'eti- 
mologia da  lui  proposta  ^. 

La  Vela  è  pure  una  campagna  in  quel  di  Samón,  nella  Val- 
sugana  (v.  Susteb,  Trid.,  III,  p.  166,  n.  80).  ma  qui  il  nome 
avrà,  in  origine,  designato  un  prato  od  un  campo  triangolare, 
a  forma  di  vela.  Anzi  il  dizionario  polesano  del  Mazzucchi  ac- 
coglie la  voce  oela  proprio  nel  significato  di  "  campo  irregolare 
in  forma  di  triangolo  o  di  trapezio,  pigola  „. 

Saran  forse  da  avvicinare  alla  Véla  trentina  i  due  Vélo  ve- 
neti (Olivieri,  Studi,  p.  185)  (v.  anche  Velo  casale  :  Massone, 
Oltresarca,  Arco).  Il  nome  dei  due  villaggi  tirolesi  Vols,  nei  do- 


cci distretto  di  Lévico,  dalla  parte  di  Lavarone.  Nel  1537  compare  nella 
forma  Varena  (Reich,  Notizie,  p.  162).  Per  la  forma  antica  Avarena  (v.  Ri- 
cerche,  1),  cf'r.  oltre  Ambh'ir  (v.  ivi,  p.  26,  e  Schneller,  Beitruge,  III,  p.  23), 
le  seguenti  forme  antiche  di  nomi  locali  in  quel  di  Lévico:  in  arivara  [Arch. 
Trent.,  XXIV,  p.  62,  63);  in  aronre,  in  arovere  (ivi);  in  arerna  (ivi,  p.  65). 
Cfr.  anche  un  Alenticlar  del  1386  [Cod.  Cles.,  Riv.  Trid.,  X,  p.  141,  142), 
in  quel  di  Mezzolombardo  [Medium  S.  Retri),  da  *  1  e  n  t  i  e  ù  1  a  r  i  u  (cf'r. 
Schneller,  Beitrlige,  HI,  p.  29;   Tir.  Nani.,  p.  84). 

^  Questo  non  è  al  certo  l'unico  nome  eri*ato  addotto  dall'ETTMAYER.  Egli 
p.  511)  riferisce  un  erroneo  treni,  di  contro  a  un  trento  del  ceto  civile; 
ma  tanto  questo,  quanto  il  popolo  dicono  tre'nt  e  il  trent  dell'ErrMAVER 
ci  dice  quanto  poco  sia  da  fidarsi  delle  forme  raccolte  dagli  stranieri.  Vi- 
ceversa, a  p.  527,  n.  6,   Brenta  va  corretto  in  Bre'nta  ! 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  267 

cumenti  Vellis,  Velles,  Vels  ecc.  vengon  derivati  dallo  Schneller, 
Zeitschr.  d.  Ferdin.^  III.  F.,  50.  H.,  p.  150-151,  da  velia  per 
villa    di  Varrone. 

Almeno  i  nomi  dei  due  corsi  d'acqua  Vela  e  Velón  sono  pro- 
babilmente di  origine   preromana  ^ 

Uiazolo  (casamsntum-)  (alta  Val  di  Sòl)  (nome  antico) 
E  nominato  nel  1200  (Schneller,  Trid.  Urb.,  p.  173).  Deriva 
da  viaticum  nel  senso  di  "  strada  „  (v.  Du  Gange).  Cfr.  viaggio 
"  via  ,, ,  usato  nei  secoli  XIII  e  XIV,  nel  vocab.  ital.  Viazo 
"  strada  „  ricorre  pili  volte  nei  documenti  della  Valsugana,  bensì 
come  designazione  locale,  ma  con  significato  sentito:  1513,  1528: 
Viazum  (in  quel  di  Tel  ve  di  Sotto)  (Morizzo,  I,  p.  266,  293); 
1516:  ViazHS  consortalis,  1522:  Viatium  consortale,  1545:  Via 
Consortalis  (ivi,  p.  269,  276,  308);  1543:  Viazo  Consortali  (in 
Garzano)  (ivi,  p.  305). 

Vinchel 

Campagna  ad  occidente  di  Mori  fra  il  torrente  Camaràs  ed 
un  fosso,  che  sbocca  in  esso. 

Basandosi  su  questa  circostanza,  lo  Schneller,  Tìì\  Nani., 
p.  223,  vede  in  Vlncliel  senz'altro  il  ted.  Winkel  "angolo,,, 
come  se  tale  spiegazione  sia  la  cosa  pili  naturale  del  mondo. 
Anzi  egli  scrive  addirittura  Winrhel,  foima  che  non  so  se  egli 
abbia  letta  altrove.  In  ogni  modo  la  presenza  del  ted.  Winkel 
in  quel  di  Mori  sorprenderebbe  assai,  ma  per  ammetterla  ci  vor- 
rebbero ben  altre  prove,  oltre  la  circostanza  suaccennata,  colla 
quale  il  nome  può  anche  non  avere  alcuna  relazione. 

Vlncliel  è  identificabile  col  trent.   vhikol    "  giunco  ...    cui  cor- 


^  La   Velia,  torrente   presso    Sulmona  (Abruzzo),    già  descritto  da  Ovidio 
{Amorttm  lib.  Ili,  elegia  VI),  non  so  se  qua  possa  esser  ricordato. 


268  Angelico  Prati, 

risponde  mi  nome  locale  in  vinculo  {(yi\'ez7Aino),  nominato  nel  1284 
{Trid.,  X,  p.  355,  n.  2).  In  quanto  all'è,  basti  ricordare  temei 
"  temolo  (pesce)  „,  te'mhel  "  sorbo  salvatilo  „,  ko'el  (valsug., 
vicent.  ko'golo,  veron.  ko'volo)  <  *c  ti  b  ti  1  u  (v.  Escursioni,  p.  103- 
104),  Montéghel  (Noréi,  Rovereto)  {Tir.  Nani.,  p.  100),  Fontéchel 
(Brentònieo)  (ivi,  p.  65),  Grumel  (Lenzima,  Rovereto)  (ivi,  p.  83) 
(per  il  fenomeno  inverso  v.  Battisti,  Catitiia,  §  37,  p.  144),  una 
parte  delle  quali  forme  valgono  anche  quale  riscontro  per  la 
assenza  della  sincope  da  vinkel.  Cfr.  a  proposito  Battisti,  Die 
Nonsh.  Mund.,  p.  69.  Notevole  il  rover.  r^o'nkola,  veron.  rust. 
do'nkola  [Ardi.  Glott.,  I,  p.  303).  di  fronte  al  trent.  go'nca  "  ca- 
pestro con  cui  si  legano  i  bovi  per  le  corna  „.  Molto  singolare 
è  però  Montéghel,  in  quanto  continui  un  *monte'kolo  d'epoca 
tarda  (cfr.  invece  i  Monte  co  veneti:  Olivieri,  Studi,  p.  173).  E 
difficile  che  sia  un  *inonte'glo  (cfr.  la  Montigla  del  1285,  di  cui 
Schneller,  Tir.  Nani.,  p.  100,  e  l'antico  Moiitegluin  [Fornàs,  Ci- 
vezzanoj,  qui  più  avanti),  con  ''^'-e  già  in  -e'gliel  anteriore  alla 
palatizzazione,  o  addirittura  un  *mo'nt  -j-  *e  ghel  <C  e  b  u  1  u.  Nel 
trent.  imhol  "  mangime  ,,  [lì.  E.  W.,  6131),  per  il  quale  biso- 
gnerebbe ammettere  un  *pàboIo,  che  avrebbe  evitato  la  ridu- 
zione di  b'I  a  bj  e  del  pari  di  -b-  a  -v-,  o  un  b  da  anteriore  r 
assimilato  al  p-,  si  dovrà  invece  riconoscere  un  superstite  di 
condizioni  antiche.  Cfr.  il  nome  locale  Stàbol  nella  valle  alta 
del  Ces  (Cliiese)  {Ardi.  Glott.,  I,  p.  313)  e  v.' Battisti,  Catinia. 
§  57,  p.  164,  n.  3.  La  forma  pabel  o  pabol  ricorre  pure  nel  ber- 
gamasco, il  quale  à  del  pari  stàbel  (Ascoli,  Ardi.  Glott.,  XIII, 
p.  457). 

Volano  (pron.   loc.  oldm) 
Villaggio  nel  distretto  di  Rovereto. 

Sembrerà  a  più  d'uno  che  non  ci  sia  da  dire  altro  intorno  a 
questo  nome,  dopo  l'accurata  illustrazione  fattane  dallo  Schneller, 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  269 

Tir.  Nani.,  p,  223-224.  Eppure  c'è  ancora  da  dire  qualche  cosa. 
Egli  non  riferisce  che  la  forma  Avolanum  dai  documenti,  e  questa 
è  infatti  la  forma,  che  compare  in  essi  comunemente.  Nel  1563 
trovo  però  Olanum  (Morizzo,  III,  p.  125),  che  è  interessante  in 
quanto  rappresenta  la  forma  dialettale,  che  à  riscontro  nel  rover., 
veron.  okina  "  nocciola  „  (non  olano,  come  sta  nel  B.  E.  ir.,  17). 
Secondo  lo  Schneller  non  vi  può  essere  alcun  dubbio  fondato 
che  Volano  sia  il  Volaenes  nominato,  tra  i  castelli  del  territorio 
trentino  distrutti  dai  Franchi  nel  590,  da  Paolo  Diacono,  Hist. 
LcuKjoh.,  III.  31  [JSlon.  Genn.  hist.,  Script,  rerum  langob.  et  ital. 
saec.  VI-IX,  Hannoverae,  1878,  p.  Ili),  e  tale  opinione  è  diffusa 
tra  gli  studiosi  di  storia.  Invece,  malgrado  anche  l'asserzione 
decisa  dello  Schneller,  essa  è  assolutamente  insostenibile.  Dal 
lato  linguistico  l'impossibilità  dell'identificazione  di  Volano  con 
Volaenes  e  tanto  chiara,  che  non  ci  sarebbe  motivo  di  porre  una 
quistione  in  proposito.  Tuttavia,  dato  anche  l'interesse  storico 
dell'argomento,  è  utile  di  esporre  le  ragioni,  pei-  le  quali  è  da 
lasciare  l'identificazione  in  parola. 

a)  In  primo  luogo  Volaenes  non  si  può  identificare  con  Vo- 
lano in  causa  delle  due  vocali  accentate,  inconciliabili  tra  loro. 
Ma  il  bello  è  che  lo  Schneller  (v.  anche  a  p.  197  e  le  sue  Sildtir. 
Landsrh..  II,  p.  38)  riteneva  che  Volaenes  si  dovesse  leggere 
*Voldnes\  Ma,  ammesso  per  un  momento  che  tale  lettura  sia 
possibile,  com'è  che  Paolo  scrive  invece  Tesana,  Sermiana.  Ap- 
inanum,  Fagitana,  Vitianum?  Perché  proprio  il  solo  Volaenes 
compare  scritto  diversamente?  Da  questa  difficoltà  non  si  sfug- 
girebbe che  col  ritenere  non  attendibile  la  forma  Volaenes  e, 
viceversa,  col  prendere  in  considerazione  le  varianti  Volannes  e 
Volancs,  anzi  solo  quest'ultima^. 


*  Il   Brentari,  I,  p.  102,  scrive    addirittura   Volenes  e   il    Catalogus  Cleri 
tanto  coerente  nello   spropositare,  à  "  Avolanus  rectius   Volenum  ,!! 


270  An,£>e!ico  Prati, 

b)  La  mancanza  della  vocale  iniziale  in  Volaenes  è  un  altro 
ostacolo.  Presso  Paolo  il  nome  avrebbe  dovuto  comparire  nella 
forma  Avolanum,  che  ricorre  nei  documenti  medievali  ed  anche 
posteriori.  E  in  proposito  è  da  poi-re  attenzione  al  fatto  che,  se 
si  fa  eccezione  pel  Ferruge  castrxm  (Verruca  Castel  lum 
presso  Cassiodoro,  III,  48  \Arch.  Treni.,  XIII,  p.  100]),  gli  altri 
luoghi  trentini,  da  lui  nominati,  compaiono  in  schietta  forma  la- 
tina, non  tocca  da  alcuna  impronta  dialettale:  Tesami,  Malehim, 
Serniiana.  Appianum,  Fagitana,  Cimbra,  Vitiaman,  Bremtonicum  ^. 

e)  E  poi  Volaenes,  con  qnell'-é's,  non  corrisponde  affatto  ad 
Avolanum.  Esso  allude  a  un  nome  in  -e  (cfr.  alcuni  nomi  deir845 
s.  Mori  in  n.).  E  bensì  vero  che  lo  Schneller,  basandosi  appunto 
sulla  forma  di  Paolo  Diacono,  ammette  un  primitivo  ad  A  v  e  1- 
1  a  n  a  s^  ma  questo  è  inaccettabile,  perché  non  ne  sarebbe  ve- 
nuto Volano  e  i  documenti  medievali  non  conoscono  che  Avo- 
lanum. Una  forma  in  -a  s  avrebbe  dato  altro  risultato  (cfr.  Bat- 
TLSTi,  Catinia.  §  23,  p.  125  e  seg.)  2. 


^  Dopo  Volaenes  è  nominato  un  Ennemase  non  identificato  e  probabil- 
mente scomparso  da  molto  tempo.  Un'evoluzione  dialettale  si  nota  invece 
hqW Alsuca,  nominato  subito  dopo,  che  era  fuori  del  territorio  trentino  e 
che  corrisponde  all'A  u  s  u  g  u  m  romano,  ossia  all'odierno  Borgo  di  Valsu- 
gana.  Gli  altri  luoghi  si  identificano  cosi:  Tisens,  ant.  Maletum  (v.  Malfatti, 
Ardi.  Stor.  p.  IVieste,  l'Istria  e  il  Trenf.,  II,  p.  319;  Valenti  [non  Valentini], 
Trid.,  V,  p.  425),  Sinnian,  Eppan,  Fadàna  presso  Cembra  (malgrado  l'opi- 
nione contraria  del  Gerola,  Trid.,  II,  p.  20-41),  Cembra,  Yezzdno,  Brentò- 
nico.  V.  pure  Escursioni ,  p.   130-131,  n. 

^  Il  Rkich,  Notizie,  p.  11-12,  riferendo  dal  Tartakotti,  Memorie  antiche  di 
Rovereto,  p.  25,  una  parte  dei  nomi  locali,  che  compaiono  nel  placito  del- 
l'anno 845  (v.  una  nota  s.  Mori),  cita  anche  Volanes  (Volano)  e  poi  sog- 
giunge (p.  12):  "  Di  fronte  a  questo  documento  nessuno  potrà  sostenere  con 
serietà  p.  e.  che  Volano  è  chiamato  originariamente  col  nome  di  Nassdorf 
e  Pergine  con  quello  di  Persen  „. 

Vista  soprattutto  la  importanza  grande  che  avrebbe  una  forma  Volanes 
dell'  845,  forma  che  verrebbe  a  sconcertare  la  mia  argomentazione,  ò  letto 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  271 

d)  Naturalmente  tutto  ciò,  presupponendo  che  già  il  latino 
abbia  avuto,  come  pare,  accanto  ad  ab  el  lana  la  forma 
*a  u  1 1  a  n  a,  e  in  considerazione  dell' avo  lana  del  Corpus 
Glossar.  Lai.,  III.  358,  53  [R.  E.  W.,  17);  che  se  si  dovesse  par- 
tire dalla  prima  forma  latina  e  quindi  mettere  a  debito  del 
dialetto  locale  tutta  l'evoluzione  della  voce,  allora  ci  sarebbe  un 
ostacolo  di  più  contro  il  Volaenes  =  Volano.  Presso  Paolo,  in 
tal  caso,  si  attenderebbe  *Avella.num  od  ^Abellanum. 

e)  Ed  ora,  quasi  non  bastassero  le  ragioni  d'ordine  lingui- 
stico fin  qui  addotte,  s'aggiunge  una  ragione  d'altro  genere. 
Paolo,  enumerando  i  castelli  trentini  distrutti,  li  nomina,  l'uno 
dopo  l'altro,  come  s'incontrano  scendendo  per  la  valle  dell'Adige 
e  seguendo  cosi  verisimilmente  la  marcia  dei  Franchi  verso 
mezzogiorno.  Ora,  nella  Val  Lagarina  s'incontra  prima  Volano 
e  dopo  un  bel  tratto  Brentònico.  Ma  Paolo  nomina  prima  Brem- 
tonicum  e  poi  Volaenes,  che  dovette  essere  quindi  dopo  Bren- 
tònico. E  vero  ch'è  supponibile  che  i  Franchi,  dopo  aver  distrutto 
il  castello  di  Vitianum  (Vezzano),  siano  scesi  per  la  valle  della 
Sarca,  e,  distrutto  il  castello  di  Breintonicion,  siano  saliti  per 
la  Val  Lagarina  e  che  abbiano  distrutto  il  castello  di  Volano, 
dirigendosi  poi  alla  volta  della  Valsugana,  ove  distrussero  due 
castelli  in  Alsuca  (Borgo),  e.  ritornando  nella  valle  dell'Adige, 
siano  andati  a  Verona,  ma  tutto  questo  giro  non  pare  probabile, 
ed  è  da  pensare  che  solo  una  parte  dell'esercito  da  Trento  sia  pas- 
sato nella  Valsugana  e  l'altra  parte,  dopo  aver  rovinato  ad  occi- 


e  riletto  tanto  la  lista  dei  nomi  del  placito  quale  è  data  dal  Tartarotti, 
quanto  l'intiero  documento,  sia  nell'edizione  del  Muratori,  sia  nell'edizione 
del  Cipolla,  ma  Volnnes  non  si  rinviene  né  presso  il  Tartarotti,  né  nel  docu- 
mento. Volano  non  vi  è  nominato  né  in  questa,  né  in  altra  forma.  Sembra 
incredibile,  ma  il  Volanes  non  può  esser  dovuto  che  ad  un  abbaglio  del  Rkich, 
come  ò  detto  in  una  nota  s.  Mori,  ove  sono  riportati  i  nomi  che  si  leggono 
nel  placito. 


272  Angelico  Prati, 

dente  il  castnnn  di  ViiiiOììon,  sia  discesa  per  la  Val  Lagarina, 
distruggendo  i  castra  di  Bremtonicum,  di  Volaenes,  di  Enne- 
mase  e  poi   uno  a  Verona  ^ 

Da  tutto  quanto  si  è  detto  appare  dunque  manifesta  l'asso- 
luta impossibilità  di  identificare  Volano  con  Volaenes.  Non  è 
tuttavia  da  lusingarsi  che  gli  storici  la  ammettano  tanto  facil- 
mente. Pili  d'uno  continuerà  a  ritenere  la  vecchia  opinione,  chi 
sa  per  quanto  tempo  ancora,  poiché  avviene  alle  volte  che  ab- 
biano più  accoglienza  supposizioni  poco  probabili  o  addirittura 
fantastiche,  che  non  fatti  provati  da  critica  rigorosa  ^. 


^  V.  anche  le  congetture  del  Malfatti.  Arch.  Stor.  j).  Trieste,  V Istria  e  il 
Treni.,  11,  p.  326,  e  cfr.  Filati,  San  Marco,  li,  p.  71-72.  Comunque  possa 
essere  avvenuta  la  marcia  dei  Franchi,  rimane  però  il  fatto  dell'ordine,  con 
cui  enumera  i  luoghi  Paolo  Diacono  e  questo  basta  per  la  dimostrazione 
nostra  E  non  si  dimentichi  che,  come  ivi  dice  il  Malfatti,  p.  289,  Paolo,  nel 
raccontare  i  fatti  accaduti  nel  Trentino,  mostra  quasi  altrettanta  cura 
quanta  nell'esporre  i  casi  del  nativo  Friuli. 

^  Basti  rammentare  a  proposito  il  caso  della  Chiarentana  dantesca  (cfr.  Bren- 
tari,  I,  )).  287;  Ricci,  Trid.,  I;  Sustkr,  L'Alto  Adige,  a.  XX VII,  N.  234, 
12-13  ottobre  1912,  p.  2). 

Del  resto  vi  sono  ancora  studiosi  di  storia  che  dubitano  delle  identifica- 
zioni di  bona  parte  dei  nomi  di  luoghi  del  territorio  trentino  del  passo  di 
Paolo  Diacono,  quasi  che  possano  avere  ancor  valore  le  argomentazioni  del 
BoTTÈA,  Arch.  Treni.,  Ili,  p.  83-94,  e  chiamano  congetture  le  identificazioni  di 
Tesana,  di  Maletum,  di  Sermiana  e  di  Appianimi  fatte  dal  Malfatti,  1.  e  ! 
Lo  ScHNELLER  nei  Beiirilge,  III,  p.  24,  e  poi  nelle  Sildtir.  Landsch.,  I,  p.  77, 
ossia  ancora  16  anni  dopo  il  lavoro  del  Malfatti,  riteneva  che  Maletum  fosse 
ilfa^e  nella  Val  di  Sol. 

Giacché  si  deve  escludere  che  Volaenes  sia  Volano,  si  chiederà  che  cosa  sia 
dunque  Volaenes.  Ecco  :  se  esso  è  una  forma  giusta,  rimane  un'incognita, 
come  Ennemase.  Ma  se  è  possibile  dubitare  della  sua  autenticità,  vorrei  cre- 
derlo uno  sbaglio  per  *Volarnes  e  quindi  identificarlo  col  villaggio  di  Vo. 
largne  (Dolce)  alla  chiusa  di  Verona.  Il  Malfatti,  o.  c,  p.  328,  s'attiene  in- 
vece alla  lezione  Volaenes,  certo  soprattutto  in  vista  dell'identificazione  con 
Volano,  da  lui  ritenuta  giusta,  ma  qual  calcolo  si  debba  fare  dell'opinione 
sua  lo  si  deduce  da  quanto  egli  scrive  un  po'  sotto,  che  cioè  non  v'à  dubbio 
che  il  codice  archetipo,  perduto,  portasse  Volaenes,  e  meglio  forse  Volanaes  (!  !)> 


I 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  273 

Ed  ancora  una  parola  su  Oìatn,  il  quale  non  deiiva  quindi 
da  ad  avellana  s,  ma  risponde  esattamente  al  tose,  avellano 
(cfr.  i  Vellano,  di  cui  Pieri,  p.  79).  E  notisi  che  è  un  nome^  il 
quale  non  trova  alcun  riscontro,  ad  esempio,  nella  toponoma- 
stica veneta  (v.  Olivieri,  Studi,  cap.  II). 

il  che  è  quanto  dire  che  la  forma  Volaenes  non  è  punto  sicura,  e  quasi  che 
l'avere  il  codice  archetipo  un  Volaenis  oà  \\n  Fo^rtnae.s  sia  cosa  indifferente! 
Un  argomento  vi  è  invece,  che  indxarrebbe  a  ritenere  Volaenes  forma  auten- 
tica, ed  è  che  gli  altri  luoghi  nominati  insieme  con  esso  compaiono  in 
forma  del  tutto  corretta.  Ma,  insomma,  è  possibile  che  almeno  uno  non  sia 
del  tutto  sicuro,  in  vista  anche  di  qualche  variante  di  altri  codici  :  cosi 
Volannes  può  essere  errore  per  *Volarnes,  e  Volaernes  parrebbe  alludere  a 
quella  forma  Volemuni,  nella  quale,  nel  secolo  XII,  compare  Volaiy/tie  in 
qualche  documento  (v.  Escursioni,  p.  1321.  Nel  1055  Volargne  si  trova  proprio 
scritto:  in  vico  Volarnes  (ivi,  p.  133.  n.  lì.  Siccome  Paolo  Diacono  dopo 
Volaenes  nomina  ancora  Enneinnse,  cosi,  nella  migliore  delle  supposizioni,  sa- 
rebbe da  ritenere  che  questo  castello  si  trovasse  molto  vicino  a  Volargne. 
Va  però  aggiunto  che,  contro  l'identificazione  con  Volargne,  il  Malfatti, 
1.  e,  oppone  che  questo  luogo  appartenne  sempre  alla  provincia  veronese. 
Ma  non  adduce  nessuna  prova  decisiva  e  che  questa  non  vi  sia  lo  si  deduce 
da  ciò  che  scrive  il  Cipolla  a  p.  283  del  v.  I  del  medesimo  Ardi.  Stor.,  ove, 
dopo  aver  citato  qualche  autore,  il  quale  ritenne  che  Volaenes  fosse  Volargne, 
ed  aver  detto  che  ora  lo  si  identifica  con  Volano  (si  vede  sopra  con  quale 
fondamento!),  osserva  che  resta  ancora  indecisa  la  quistione  dei  confini  tra 
il  territorio  veronese  e  il  trentino,  nell'alto  medio  evo.  Il  Malfatti  stesso, 
ivi,  a  p.  7  del  v.  Il,  scrive:  "  Il  ducato  comprendeva...  la  valle  dell'Adige 
dallo  sbocco  della  Venosta  sin  circa  alle  Chiuse  veronesi.  Dove  fosse  il  con- 
fine meridionale,  non  ci  è  fatto  sapere  con  precisione  :  forse  al  rivo  di  Bel- 
luno sotto  ad  Avio.  Certo  è  che  al  Comitnto  di  Lagare  si  attribuirono  ter- 
ritori appartenuti  in  antico  a  Verona  ,.  Di  fronte  a  questa  incertezza  non 
rimane  altro  che  l'attestazione  di  Paolo,  alla  quale  si  appella  lo  stesso  Mal- 
fatti parlando  di  Brentònico  (II,  p.  326-827):  "  Il  capitolo  di  Paolo  non 
lascia  dubbio  fhe  nel  590  fosse  aggregato  al  ducato  di  Trento.  Ma  in  età 
piì;  antica  e  fbrs'anco  ai  tempi  dei  Goti,  doveva  aver  fatto  parte  della  per- 
tica veronese  ,.  Si  potrebbe  adunque  fare  la  medesima  deduzione  riguardo 
a  Volaenes,  che  del  pari  che  Ennemase,  doveva  essere  a  mezzogiorno  di 
Brentònico  e  ritenerlo  per  una  forma  errata  in  luogo  di  *  Volarnes.  Le 
supposizioni,  che  fa  il  Malfatti,  p.  329-333,  intorno  ad  Ennemase  sono  da 
trascurare. 


274  Angelico  Prati, 


Nomi  di  luoghi  dei  distretto  di  Civezzano,  rammentati  nel  secolo  XIV. 

Si  trovano  nella  raccolta  del  Morizzo.  I  seguenti  spettano  al 
territorio  di  Fornàs  : 

1331:  ad  Monregluni,  che  è  un  errore  per  Monteglum  (dal 
lat.  montìciìlu),  come  si  vede  dal  documento  del  1358;  in 
Sogoclo,  a  la  grava,  in  Cir,  sub  Case,  a  Camporotondo,  in  Costa- 
longa,  aseifontane  (I,  p.  100)  ^. 

Alla  forma  Monteglum  si  è  già  accennato,  a  proposito  di  un 
Montéghel,  qui  sopra,  al  nome  Vfnchel.  Monteglum  renderà  effet- 
tivamente un  *Montéghel  della  pronunzia  locale,  mentre  il  mon- 
teclo  citato  qui  appresso  fu  avvicinato  di  più  alla  forma  latina. 

1358:  in  Villa  Fornaciis  in  monteclo  (I,  p.  127),  in  Tonelle, 
in  loco  dicto  Bodoledo  (v.  qui  addietro),  ad  Paludem,  a  Tradoc, 
in  Tavanigo,  mons  Guimelle^,  a  Castenario  (i,  p.  128),  in  Valle, 
a  Casteneto^,  in  Cimedro  (I,  p.   129). 


^  Per  una  svista  il  Suster,  Trid.,  IJI,  p.  159,  attribuisce  i  tre  ultimi  nomi 
alla  Valsugana  e  ad  un'altra  svista  metto  che  sia  pur  dovuto  quell'o  bodo- 
ledo, che  egli  cita  ivi,  p.  168,  n.  100,  come  spettante  al  Perginese,  da  un 
documento,  pure  della  raccolta  del  Morizzo,  redatto  a  Fornace,  del  1279.  Deve 
invece  trattarsi  del  Bodoledo  di  Fornas,  citato  da  me  sopra,  del  1358. 
V.  anche  una  n.  s.   Bodoledo. 

Un  luogo  denominato  Seifontane  si  trova  presso  Castelnovo  (Bardolino, 
Verona)  ed  un  Settefontane  c'è  presso  Rovere  di  Velo  (ivi)  (Olivieri,  Studi, 
p.  208).  Lo  ScHNELLER,  Tir.  Nain.,  p.  189,  riporta  da  un  catasto  del  1820  e. 
il  nome  alle  sette  Fontane  (Trambileno,  Rovereto). 

^  Cosi  scrive  chiaramente  il  Morizzo,  ma  deve  essere  invece  un  mons 
Giumelle,  nome  non  raro  nei  monti,  che  presentano  due  cime  d'ugual  gran- 


*    Per  la  nota  3  vedi  la  pagina  seguente. 


Ricerche  di  toponomastica  trentina  275 

Altri  luoghi  di  Pine  sono  ricordati  in  un  documento  del  1390, 
a  proposito  di  parecchie  decime,  conferite  dal  vescov'o  di  Trento 
ad  un  signore  del  Castelalto  nella  Valsugana  (Morizzo,  III,  p.  62): 

Decima  Platearum  de  Pinedo,  Decima  Stramazolo,  Decima  Campi 
lorìf/i,  Manso  de  CasteUazzo,  Decima  de  Lavino,  Decima  Mansi  de 
Campasterno,  Decima  de  Rancho,  Decima  de  Novale,  Decima  Cam- 
ponim  de  j^orta  grossa,  Decima  Ronchatijs,  Decima  Plazzarum, 
Decima  Hendrici  de  Lavi  ^,  Decima  de  Lona  ^. 


dezza,  una  vicina  all'altra,  oppure  la  forma  di  giumella  (jumella  nel  Du 
Gange).  V.  Altón,  p.  44.  Un  monte  cosi  denominato  [Giìtméla)  (m.  3596)  c'è 
anche  nelle  Alpi  Retiche.  Si  ricordi  anche  Timella  veronese  (cfr.  Avogaro, 
p.  48),  cosi  nominata  già  nel  1184  {Nuovo  Arch.  Veti.,  X,  1895,  p.  479). 
Anche  Me'l  nella  provincia  di  Belluno  un  tempo  si  chiamava  Znmelle.  In  un 
documento  del  1590  si  trova  nominato  un  Signor  Anzelicìio  del  q.  Girolamo  de 
Angelis  della  Contea  di  Mei  (Melli),  fattore  di  Castel  Telvana  (Valsugana)  (Mo- 
rizzo, II,  p.  92),  che  in  un  documento  del  1592  si  presenta  invece  come 
Angelictis  q.  Hieronimi  de  Anzolis  Comitatus  Zumellarum,  abitante  a  Telve 
di  Sotto  (ivi,  p.  95).  Per  la  scomparsa  della  sillaba  iniziale  v.  Romania, 
XXXI,  p.  287:  Arch.  Glott.,  XVI,  p.  224,  s.  dòrie;  ivi,  XVII,  p.  281, -n.  1. 
L'Olivieri,  Studi,  p.  122,  non  conoscendo  che  l'antica  forma  Mello  e  igno- 
rando la  pron.  me'l,  lo  deriva  da  *m  è  1  u  s. 

'  Cfr.  il  Ca.'iteneto  (Pèrgine)  citato  nelle  Ricerche,  I,  p.  10,  51.  n. 

^  Si  tratta  evidentemente  di  un  nome  di  un  proprietario  passato  a  nome 
locale. 

^  Sopra  il  H  di  Lona  il  Morizzo  pose  un  v  seguito  da  un  punto  di  domanda, 
ma  la  forma  giusta  sarà  Lona,  che  è  appunto  un  villaggio  di  Pine,  del  pari 
che  le  Piazze.  Di  Lo'na  v.  indietro  s.  v. 


Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  18 


LESSICO  PIVERONESE 

DI 

GIOYANNI    FLECHIA 

edito  da   CIUSEPPE    FLECHIA  * 


1  ahsun  '  bisogno  ', 

2  asa  '  accia  ',  '  scure  ',  '  accetta  '. 

3  acuin  '  lattugliino  '. 

4  Qra  da  alra  '  aja  '. 

5  ev  'ape'  e  'api',  propr.  del  plur.,  passato  anche  al  sing. 

6  èva  '  acqua  ',  ant.  pieni,  aiva.  L'è  (e)  piv.  e  di  dialetti  conter- 
mini è  generalmente  nato  per  contrazione  da  ai  romanzo  : 
cfr.  era,  tor.  aira,  tumera,  tor.  tumaira  '  tomajo  ',  gè,  tor.  gai 
'  ghiandaja  '  [cfr.  B.  Et.  TF.,  n.  3640],  le,  aviglianese  lai 
'  lago  ',  ecc.  È  Ve  nato  da  a  tonico  nell'umbrico,  aretino,  emi- 
liano e  anche  in  qualche  altra  varietà  piemontese  (cfr.  Flechia, 
Arch.,  Vili,  320  s.  aigua). 

7  ajel  '  ramarro  '  [cfr.  Flechia,  Ai'ch.,  Ili,  161  ;  Nigra,  XIV, 
369-70  ;  Salvioni,  Rom.  Jahr.,  v.  I,  135  ;  Bertoni,  Romania, 
1913]. 


^  [Con  un'  "  Appendice  „  più  volte  citata  dal  Maestro,  e  della  quaJe  non 
s'è  potuto  rinvenire  che  qualche  frammento,  il  presente  "  Saggio  lessicale  „ 
doveva  andare  unito  allo  scritto  postumo  :  "Atone  finali,  determinate  dalla 
tonica,  nel  dialetto  piveronese  „  comparso  in  questo  Archivio,  XIV,  111-120. 
Lo  scritto  è  dell'autunno  del  1889]. 


Lessico  piveronese  277 

8  aljam  laetamen  [cfr,  REW.,  349]. 

9  alsiva  *lixiva  [REW.,  5089,  2]. 

10  aloani  'lievito'  levamen:  cfr.  FLECHiA,^rc/i.,II,  25  \^REW., 
4998]. 

11  amboss  'capovolto',  'inverso':  cfr.  Arch.,  Vili,  383-4  [e 
NiGRA,  XIV,  376]. 

12  ambili/  '  ombelico  '. 

13  ambussà  '  rovesciare  '  :  v.  amboss. 

14  anibusso7-  'imbuto':  v.  REW.,  1425,  s.  buttia  '  Fass '. 

15  atnentase  '  ammentarsi ',  'ricordarsi',  'rammentarsi'. 

16  amnuja  e  amniiga  =  manicala  *manucula  '  ansa  ',  '  ma- 
nico ',  '  manichette  '. 

17  ampi  u  /  ^  riempire',  da,  pieno  pieno,  *implenire:  cfr.  lomb. 
impieni. 

18  a/»7)s/ 'intirizzito'  [cfr.  Parodi,  ftomawi'a,  XXVII,  228  ;  Nigra, 
Arch.,  XV,  504]. 

19  anave  '  aire  ',  '  mossa  ',  '  spinta  ',  '  rincorsa  '  :  pjà,  dà  l'anave 
'  prendere,  dare  l'aire,  la  mossa,  la  rincorsa  '.  Nome  dever- 
bale :  *a  n  a  V  i  0  da  *ana  vjà  =  *  inavviare,  *in-ad-viare, 
'  avviare  ',  '  incamminare  '.  *Anavjà,  aferetizzato  in  *navjà,  e 
poi,  per  protesi  di  s  intensivo,  fatto  snavja,  ha,  tra  l'altre,  la 
notevole  forma  snavfe  o  snaute  ('avviati'),  che  ritirata  ad 
organica  base  latina  sonerebbe  *ex-in-ad-via  te. 

20  ancarmd  '  incantato  ',  in- carni  in  are  :  cfr.  Caix,  SttidJ  ecc., 
364  [REW.,  1699,  s.  in  carminar  e  '  bezanbern ']. 

21  ande  'sentiero',  *andio  andito  [cfr.  Arch.,  XIV,  115]. 

22  andja  '  anatra  ',  da  *a  n  i  a  *a  n  e  a  *a  n  e  d  a  a  n  a  t  e.  La  den- 
tale epentetica  di  questa  forma  presenta  un  fenomeno  perfet- 
tamente identico  a  quello  della  labiale  inserta  nell'it.  combiato, 
mil.  simbia,  ecc.  [cfr.  J.  Storm,  Voyelles  atones  en  italien,  Paris, 
1873,  p.  30]. 

23  andjer  '  endice  ',  indicarlo   o   n  i  d  a r  i o   ( '  endice  ',  '  guar- 


278  Giovanni  Flechia, 

danidio  ')  :  cfr.  bresc.  nal  nidale,  sic.  niddli,  friul.  nijar  [cfr. 
NiGRA,  Arch.,  XV,  291:  REW.,  5908.  s.  *nidale]. 

24  andri'c  '  la  parte  diritta  '.  opposta  a  '  rovescio  '  [cfr.  genov. 
indrltu]. 

25  anén  ed  anche  nen,  chierese  enaint  '  innanzi  ',  'avanti'  [quindi 
va  ne»,  che  a  Torino  vale  '  non  andare  ',  a  Piverone  dice  '  va 
innanzi  '  (cfr.  torin.  va  nans),  mentre  per  '  non  andare  '  si  dirà 
a  Pi  ve  ione  va  nin]. 

26  anfld^  torin.  anfìé  'sporcare',  'insudiciare',  infaedare. 

27  ankènia  '  tacca  ',  '  taglio  '  [cfr.  Nigra,  Arch.,  XV,   106]. 

28  anlim  '  veleno  '  {=*anrlim,  *envenimé)  [cfr.  Korting^,  10039]. 

29  ankìdfo  'incudine',  torin.  ankitfo  [cfr.  BEW.,  4307]. 
80  anseni  '  insieme  '. 

31  ansia  'innestare',  da  insitare,  e  quindi  ense  'innesto'; 
insito,  mil.  insedi,  insed. 

82  antavól  '  ovunque  '  :  oa  antavól,  quasi  '  va  dove  vuoi  '  :  cfr. 
ante  '  dove  '  :  ante  ka  va  ?  '  dove  va  ?  '. 

83  anierpe.  tor.  anterpi  '  inetto  '.  '  pigro  ',  '  dappoco',  '  disutile  '. 
'incomodo',  'inerte'.  Poco  verisimile  parmi  l'etimo  d'inter 
pedes  (cfr.  Promis,  Storia  dell' ant.  Torino,  p.  132),  nonostante 
l'interpedio  per  impedio  di  Macrobio  (v.  Forc.  s.  v.).  Il 
NiGRA  lo  confronta  con  torpido  {Arch..  Ili,  13  n.  3),  con- 
nessione che  potrebbe  dirsi  suffragata  dall' in  tor  peo  delle 
Note  Tironiane.  GoW  int erpica  del  Voc.  arei.  del  Redi,  signi- 
ficante '  impaccio  ',  la  parola  piemontese  corrisponderebbe 
assai  bene  dal  lato  fonetico,  ed  anche  potrebbe  ammettersene 
l'identità  etimologica,  confondendosi  assai  facilmente  nel  si- 
gnificato i  nomi  '  impaccio  '  ed  '  incomodo  '  o  '  disutile  '  appli- 
cati a  persona.  E  sia  infine  ancor  messo  avanti  un  intrepidus 
antifrastico.  L'accompagnarsi  però  che  anterpi  fa  generalmente 
coll'articolo  indeterminato  e  il  non  aver  forma  speciale  pel 
femminile,  come  per  es.   in  inalavi  malavia,  spali  spalla,  candi 


Lessico  piveronese  279 

candia,  rendono  assai  probabile  che  qui  si  tratti  di  un  sostan- 
tivo originario  e  sia  quindi  verisimile  la  corrispondenza  eti- 
mologica tra  Vanterpi  piemontese  e  VinterjAco  aretino. 

34  anfungun  '  ginocchioni  '  :  v.  funég. 

35  aprefac  '  di  seguito  ',  '  senza  interruzione  '  :  cfr.  torin.  apress 
fait,  e  V.  Fonol. 

36  aps>\  V.  anipsi  :  man  apsie  '  mani  intirizzite  '. 

37  arbit  'tinozza',  'alveo';  ma  urbe,  arbio  (cfr.  Arch.,  XIV, 
115]. 

38  arbiucimd  '  rattoppare  ',  v.  bioc. 

39  arbuteic  '  rimessiticcio  '. 

40  arkeica.  propr.  "  ricaduta  '  ;  e  dicesi  comunemente  di  quella 
specie  di  nebbia  o  caligine  che  la  sera  sembra  cadere  e  ri- 
cingere l'orizzonte.  Trarrei  questa  voce  da  una  base  *r e  ca- 
di t  a.  In  vari  dialetti  anche  il  partic.  keic  keica,  keit  keita  ; 
e  nel  genov.  keitu  keita  e  rekeita  (v.  Ardi.,  Vili  382,  s.  re- 
chaia).  Notevole  il  monf.  arkenca  (Ferraro,  p.  11).  V.  ancora 
Arch.,  XI,  363,  s.  cdjt\  XII,  61,  s.  cej  ;  cfr.  questo  lessico, 
s.  keic  (N.  137). 

41  arkobalestro  '  arcobaleno  ',  '  iride  '. 

42  argalisia  *  liquirizia  '. 

43  arias,  ariasera  '  corda  o  catena  adoperata  per  vari  usi  '. 

44  ariundde  '  malva  ',  malva  r  o  t  un  d  i  f  o I  i  a  di  Linneo  : 
propriam.  *ritondella,  cosi  detta  per  la  forma  delle  foglie. 

45  ariiis  '  malfatta  '  :  Va  fah  'n  ariiis  '  à  fatto    una    malfatta  '. 

46  arleva    rilevare:  arlevase  'rimettersi',    H  temp  a  s'arleva. 

47  armane  ;  propr.  '  rimanere  ',  quindi  '  rimanere  stupito  '  : 
annas  e  armaìiil  :   '  rimasto  '  (cfr.  Ferraro,  GÌ.  monf.,  p.  12). 

48  armasse  '  raccogliere  ',  '  ammucchiare  '. 

49  arme  d'  kossa  '  animelle  ',  '  .semi  '  di  zucca. 

50  armidiva  '  ramo  d'oliva  '  ;  quindi  tautol.  :  'n  ram  d'armtdiva. 

51  arpasùa  '  ripasciuta  ',  detto,  verbigr.,  della  vacca. 


280  Giovanni  Flechia, 

52  arpia  '  erpicare  '  :  cfr.  vicent.  arpegare. 

53  ar/und  'ragionare',  'discorrere'. 

54  armanga  e  arvanga  '  rivincita  '  :  rivendica  (cfr.  fr.  re- 
vanche)  o  rimangia? 

55  arvok  '  ristucco  ',  '  sazio  '. 

56  arwitiila  '  rivoltolare  '  :  *r  e  v o  1  ut u  1  a r e. 

57  askós  '  nascosto  '  :  d'askós  '  di  nascosto  '  :  cfr.  monf.  e  genov. 
askunde. 

58  asi  '  tutti  i  mobili  attrezzi  d'una  cantina  '  e  '  gli  attrezzi  di 
campagna  '  :  monf.  asia  e  aste  '  vasi  vinari  '  (cfr.  Ferraro,  14)  ; 
cfr.  ital.  le  asia,  e  v.  Arch.,  II,  398. 

59  babe  'rospo',  *babio  bablo  babulus  (cfr.  Flechia,  Jrc/i., 
II,  34)  [REW.,  852,  s.  bab]. 

60  babe  '  campo  \  '  prato  ',  pabbio,  da  pablo,  pabulu  [REW., 
6131,  pabulum], 

61  bakàt  '  bastoncino  ',  '  ramoscello  ',  piem.  baket. 

62  badfà  '  battezzare  '. 

63  èa/ei/r  '  pianerottolo ',  'loggia':  ballatorium  [i^jEJPI^.,  909, 
ballare\ 

64  barbarot  '  mento  ',  cfr.  sicil.  varvarottu. 

65  barela  '  barella  '. 

66  barjà  '  cacciar  via  '  :  baréja  via  sa  besca  '  caccia  via  quella 
bestia  '. 

67  barjola  '  trottola  '  [cfr.  valbross.  birola,  bèrjola,  e  v.  Nigra, 
Arch.,  XIV,  294.  —  Non  credo  però  che  queste  e  le  altre 
parole  dal  Nigra  riferite  derivino  da  pìrum.  Noto  che  il  ven. 
impiràr  significa  '  infilare,  infilzare  ']. 

68  barlàt  'secchio  fatto  a  mo'  di  barile'  :  bariletto. 

69  barnas  'paletta':  cfr.  le  varietà  lombardo-piemontesi  bernass, 
bernas,  quasi  *prunacium  da  pruna  '  bragia  '  :  cfr.  Flechia, 
Arch.,  II,  331  [KortingS,  N.  7494]. 


Lessico  piveronese  281 

70  hautia  'altalena'  [cfr.  Parodi,  Gioni.  Lig.,  XII,  251]. 

71  begna  'maggiolino',  melolontha  vulgaris  (tor,  givu, 
fr.  ìianneton)  :  in  altri  vernacoli  canavesani  gebra,  e  nel  mon- 
ferrino  genka,  che  non  possono  essere  che  tre  varietà  di  forma. 
Ma  donde  questo  nome  ?  [Vedasi  ora  Nigra,  Ardi.,  XIV,  365  : 
si  noti  però  che  il  Nigra  dà  come  piveronese  la  forma  bègra, 
laddove  la  vera  forma  di  questo  dialetto  è  quella  data  dal 
Flechia.  Vedi  inoltre  il  recente  scritto  del  Merlo  sul  '  mag- 
giolino 'J. 

72  beikà  '  guardare  ',  '  osservare  '  :  beiklu  lilu  o  kuilu  '  vedilo  li 
0  qui  ',  col  pronome  encliticamente  ripetuto  [cfr.  Arch.,  XIV, 
US].  Cfr.  ant.  ven.  balkar  'guardare',  balko  'occhio'. 

73  beìfula  o  bifida,  prov.  musar,  ted.  gaffen,  it.  musare  :  '  ba- 
loccare', '  contemplare  ',  '  guardare  oziosamente  '  e  '  guardare 
andando  oziosamente  a  zonzo  '  :  fa  7  bel/ola  e  anche  'l  bei- 
fuliin  (o  bifuìun)  '  fare  il  perditempo  girando  e  guardando 
come  a  caso  '. 

74  benola  'donnola':  cfr.  crem.  bennula,  e,  coli' inserzione  di  (/, 
sardo  pindida  (mer.),  ferr.  bendida,  mant.  bendala,  regg. 
bendla,  ecc.,  da  *bellula  [cfr.  Flechia,  Arch.,  II,  47]. 

75  bèrìia  '  prugna  '. 

76  bina  '  acchiappare  ',  '  raggiungere  ',  '  giungere  '. 

77  bindìà  o  binlà  '  partorir  gemelli  '  {binel  'gemello  ')  :  cfr.  genov. 
abbinellà. 

78  binon  '  mastello  [siiber]  pel  bucato  ',  cfr.  it.  bugno  e  v.  Diez, 
I,   s.    V. 

79  blob  'toppa',  propriam.  =  bioccolo,  flocculus;  di  qui 
'rbjucà  arbjucd,  'rbjucund  arbjucimà  'rattoppare',  *refloc- 
culare:  cfr.  fakund  'tacconare',  '  rimendare '. 

80  biov^  biava  '  turchino  ',  '  livido  ',  fr.  bleu,  ecc.,  dal  germ.  blaw, 
blao  [v.  Diez,  I,  s.  biavo]. 

81  bifnlun  '  curioso  '  :  v.  beifuld. 


282  Giovanni  Flechia, 

82  bJHìi  'tronco  d'albero  segato'    [cfr.   Niora,  Arch.,  XV,  99|. 

83  hoassat  '  piccolo  bucato  '  propriamente  *b  u  e  a  t  a  e  e  e  1 1  o  :  cfr. 
pili  sotto,  bua  '  bucato  '. 

84  bog  'buco',  torin.  òoé,  monf.  boijìj  |cfr.  Ferraro,  p.  24]. 

85  boja  '  insetto  '.  '  baco  ',  '  verme  ',  '  bacherozzoli  in  genere  ', 
specialmente  nel  linguaggio  dei  bambini. 

86  bólja  *bnllica,  3^  pers.  sing.  ind.  di  huljd  [v.  sotto]. 

87  bolkf  boìka  '  bidente',  da  bifurcus,  pamp.  bork,  gen.  burku. 
Frequente  \'u  tonico  mutato  in  o  largo,  quindi  p.  e.  forka  da 
furca.  Quanto  alla  riduzione  fonetica  del  vocabolo  lat.  cfr. 
mil.  io/c  =  bubul  cns  e  Arch.,  1,  less.,  s.  bifure.o  jv.  ora 
Salvioni,  Rom.  Jahr.,  IV,  i,   168]. 

88  braska  'bragia',  pur  proprio  dell'ant.  lomb.  e  dell'odierno 
mil.,  come  pure  di  qualche  varietà  ligure  con  senso  di  '  gran 
fame  '  :  cfr.  Arch.,  Vili,  318  [e  Salvioni,  Arch.,  XII,  392]. 

89  Brei  ni.  '  bruoli  ',  prati  attigui  al  villaggio  di  Piverone  ove 
il  popolo  teneva  le  sue  adunanze.  Cfr.  i  nnll.  it.  Broglio,  Brolo, 
Broletto,  ecc.  e  il  lomb.  brol,  hro  '  frutteto  ',  '  pometo  ',  '  orto  ' 
[Su  Broljo,  brogilum,  ecc.  v.  Bianchi,  Arch.,  XIII,  201; 
REW.,  1324]. 

90  bretta  '  berretta  ',  torin.  barèlla. 

91  brìi  'erica',  'brontoli',  'scopa':  nome  di  origine  celtica 
vivo  anche  nella  Liguria  [briigii)  e  nella  Lombardia  (briig). 
Cfr.  Flechia,  Nomi  locali  derivati  d.  n.  di  .pie,  p.  9  ;  Arch.., 
Vili,  334. 

92  brua  '  orlo  ',  '  margine  ',  tor.  brila. 

93  bruà  '  bollire  ',  cfr.  lomb.  brovà  (Biondelli). 

94  bruàkul,  pi.  bruakuj,  '  uva  orsina  ',  m  y  r  t  i  1 1  u  s  v  a  e  e  i  n  i  u  m, 
propriamente  *brugakkolo,  dim.  di  brìi  {brugo),  onde  bruakera 
=  *brugakkiera. 

95  Bruera,  ni.  da  brìi,  'brughiera',  fr.  bruyère  :  cfr.  i  nnll.  it. 
Brughera,  Bruera,  ecc.  e  v.  Flechia,  Nomi  loc.  cit.,  p.  9. 


Lessico  pi  veronese  283 

96  br'àmas  '  galaverna  '  ;    cfr.    bruma,    tV.  frimas.  Diez   da  ant. 
nord  ìirhìi  :  cfr.  prina. 

97  bruwantan,  bruwantana,  agg.  con  cui  viene  dinotata  una 
grossa  specie  di  fava,  dai  botanici  chiamata  vi  ci  a  faba 
semine  oblongo  e  volgarmente  fiva  napoUtana.  Questo 
vocabolo  nel  torinese  suona  baravantana ,  nel  parm.  barbantana, 
nel  piac.  barbintcaia.  nel  bresc.  sboventana  [v.  Vocab.  del  Ga- 
GHAEDiJ,  e  signilìca  sempre  la  medesima  specie  di  fava  che 
alcuni  traducono  per  fava  bagiana,  o  meglio  baggana  = 
bajana  da  Bajae,  e  cosi  pur  con  nome  che  accennerebbe  ad 
origine  campana  o  napolitaua.  Non  dubito  punto  di  affermare 
che  questo  vocabolo,  insieme  coll'altre  forme  vernacolari.  ri- 
spondono a  beneventano,  -na.  Cade  poi  ogni  dubbio  dinanzi 
all'antico  piemontese  proventana,  con  manifesto  senso  di  be- 
neventana, quale  si  legge  nel  "  Memoriale  di  Giovanni  Andrea 
Saluzzo  di  Castellar  dal  1482  al  1528  „,  dove  tra  le  varie 
terre  del  reame  di  Napoli  conquistate  da  Carlo  Vili  re  di 
Francia  si  enumera  "  la  provincia  de  terra  Proventana  „ 
[V.  Miscellanea  di  Stor.  Ital.,  edita  per  cura  della  li.  Depu- 
tazione di  Storia  Patria,  tomo  Vili,  p.  418].  L'r  da  n  per 
dissimilazione  (cfr.  sardo  o  piem.  novanta  =  *nonanta,  nona- 
ginta,  e  il  bresc.  sboventana  da  sbvoventana  con  8  profetico). 
Notevole  la  varia  designazione  d'origine  meridionale  data  a 
questa  sorta  di  fava  coi  nomi  di  napoUtana,  beneventana, 
baggiana,  a  cui  sarà  pur  da  aggiungere  la  lucana  faba 
del  vocabolista  Papia.  Osserverò  in  fine  come  il  Redi  nel  suo 
■  Voc.  ar.'  s.  bagiana  dica  che  "  le  fave  più  glosse  che  si  se- 
minano negli  orti  di  Firenze  e  di  Arezzo  ci  sono  mandate 
ogni  anno  dal  regno  di  Napoli  „  [Lo  stesso  etimo  di  bru- 
wantan ecc.  dà  ora  il  Salvioni  in  Postille  ital.  al  Vocab.  del 
Korting,  p.  5]. 

98  bua  '  bucato  ',   femm.  come  generalmente  fuor  del  fior,  bucato 


284  Giovanni  Flechia, 

■     che  s'impose  naturalmente  all'italiano  [sull'etimo,  v.  Flechia, 
Arch.,  II,  328;  Nigra,  XV,   102-3].  Dim.  honssaf,  v.  sopra. 
99  bugà  *  moversi  '  {boga  '  si  muove  '),   tor.  bìigé  =  *bulcare 
b  u  1 1  i  e  a  r  e  :  v.,  più  sotto,  buljd. 

100  bùje  '  bollire  ',  come  a  dire  *bógliere  it.  ;  tor.  boje  :  cfr.  bólja 
bulica. 

101  bìildric  :  fa  'l  buldric  '  far  quercia  querciola ',  propriamente 
'  far  l'albero  diritto  '  :  cfr.  piem.  fé  l'erbu  furkii,  collo  stesso 
significato  [v.  Sant'Albino  e  Gavuzzi,  s.  erbu]. 

102  bìiljà  'essere  indispettito'  bulli  care  (cfr.  biigà)  :  bólja 
bullica:  cfr.  koljase  'coricarsi',  s'kolja  "si  corica'  [e  cfr. 
Arch.,  Ili,   122]. 

103  burb  '  furbo  ',  donde  ambilrbi  '  infurbire  ',  '  scaltrire  '. 

104  burenfe  (=  -enpo)  '  gonfio  '  :  cfr.  Diez,  Et.  tv.,  IP,  233, 
s.  bouder  ;  Flechia,   Arch.,  II,  327  [e  XIV,  115]. 

105  bilrera  '  zangola  ',  da  biiru.  come  se  in  Toscana,  da  burro, 
*burraja. 

106  burlai  '  treccia  di  capelli  naturali  fatta  a  forma  di  ghir- 
landa per  acconciatura  del  capo  femminile  '. 

107  bìlrtel  e  briifel  '  fuscello  '  .  'n  biirtel  ant  in  eg  '  un  bruscolo 
in  un  occhio  '. 

108  biiru  '  butirro  ',  piem.  biìr  e  btitir  o  bitir. 

109  buse  '  bosco  '  e  '  legno  ',  '  legname  '.  Notevole  u  per  o. 

110  bufrìard  '  bugiardo  '  =  *b  u  g  i  o  n  a  r  i  o  (cfr,  moden.  bufon  = 
*bugione  e  v.  Arch.,  II.  58).  Nel  Bainardo  e  Lesengrino  del 
cod.  bodlejano  canoniciano  di  Oxford,  edito  dal  mio  amico 
Teza  (Pisa,  1869)  ricorre  il  nome  Biisnardo  (v.  pag.  17). 

Ili  butelia  '  bottiglia  '  ;  voce  ant.,  francesismo. 

112  biivrd  'beverone',    'broda    per    gli    animali',    quasi    fosse 

beverato  :  cfr.  beverare,  beveraggio,  e  Arch.,  VII,  518,  s.  bu- 

vronda. 


Lessico  piveroiiese  285 

113  huiva,  tor.  hila,  vald.  pila,  '  rebbio  ',  '  dente  di  pettine,  della 
forchetta  ',  ecc.  Incerto  se  si  connetta  collo  sp.  e  port.  pua 
'spina'  ecc.,  che  il  Diez  dice  verisimilmente  nato  da  pugio 
pugionis  [Il  NiGRA,  Ardi.,  XIV,  359,  connette  ora  tutte 
queste  voci  con  pupa:  v,  anche  Korting^,  Nn.  7511  e  7557]. 

114  hilf  '  alveare  ',  '  arnia  '. 

115  cabra  'baccano',  'chiassata':  fé  la  cabra  'dar  la  baja ', 
'  minchionare  '. 

116  kanin  "bizzarro',  'irascibile',  ' adirato ':  cfr.  lionese  c/i«nÌM 
'  aigre  ',  '  horgneux  ', 

117  kaìiina  'bizza',  'collera',  'stizza'  \REW.,  1583J. 

118  kantaranna  'raganella'  [v.  Ardi.,  XIV,  118,  e  XV,  109  n.]. 

119  kanteri  '  palo  '  ;  cfr.  genov.  e  lomb.  canta. 

120  kanva  '  canapa  ',  canval,  canvera  ;  al  canve  '  le  canape  '  :  il 
torin.  canna  per  canva  presenta  lo  stesso  fenomeno  del  gr. 
èÀccvvo}  per  *£Ì«rFoj  [cfr.  Brugm.,  Griech.  Gr..,  §  54 1. 

121  capiileura  '  tagliere  ',  tor.  capiiloira,  vald.  capidoira  =  *ca- 
pulatoria  dal  b.  lat.  capulare  'tagliare'.  Ant.  fr.  cha- 
peler,  chapler,  chaploier,  pro.v.  chaylar,  tor.  capiìlé  '  tagliuz- 
zare ',  '  tritare  ',  indi  tor.  capulùr  '  mezzaluna  ',  propr.  Ha- 
gliuzzatojo,  *tritatojo.  Il  sic.  kapuUari  '  tagliuzzare  ',  con  kapn- 
liaturi  '  tagliere  '  è  verisimilmente  una  delle  importazioni 
pedemontane  |cfr.  ora  Nigra,  Ardi.,  XIV,  378-91. 

122  capilsà  '  chiacchierare  ',  '  contendere  '  (il  monf.  capisse,  come 
il  genov,  capìlssà  vale  '  acciarpare  ',  '  lavorare  alla  peggio  '). 

123  kar'ass  '  palo  secco  per  le  viti  '  :  biellese  e  genov.  karassa. 

124  karche  'calcele',  termine  dei  tessitori. 

125  kardo,  propr.  cardine,  'la  capruggine  delle  doghe'  [cfr. 
Nigra,  XV,  106]. 

126  kareja  'sedia'  da  *catreda  (cathedra):  cfr.  Diez,  II, 
s.  chaire  ;  Schuchardt,  I  159,  III  81;  Mvssafia,  Beitrag.,  42. 


28(5  Giovanni  Flechia, 

127  karver  'carnevale',  passato  all'analogia  dei  nomi  in  -cr  = 
-a rio  [cfr.  Flechia,  Ardi.,  Vili,  3361. 

128  kaskurera  '  specie  di  mestola  propria  della  cantina  '. 

129  kaspe  o  kaske  '  parte  inferiore  del  torchio  da  vino  '  [cfr. 
Ferraro,  p.  33]. 

130  kastàse  '  pizzicarsi  '. 

131  kastian  '  cristiano  ',  anche  col  senso  d'  '  uomo  '  :  p.  es.  merda 
d'  kastian  '  sterco  umano  '  :  cosi  nel  soprasilvano  [v.  Ascoli, 
Arch.,  I,  10  n.  4,  e  I,  242]  e  nel  genov.  [cfr.  Casaccia,  s.  v.]. 
V.  ancora  De  Lollis,  Arch.,  XII,  3  n.  5. 

132  kastina  'castagna'  da  castena.  Cfr.  Meyer-Lììbke,  It.  Grainrn., 
§  35. 

133  card  '  chiudere  ',  piem.  cave. 

134  caveura  'toppa',  'serratura',  genov.  caróa  =  *clavatoria: 
cfr.  sopra  capi'deura  e,  più  sotto,  faceura. 

135  cavette  '  varietà  di  fagiuoli  che  si  seminano  dopo  raccolte 
le  biade  '. 

136  sèndre  '  cenere  '. 

137  kdc  e  keit  (Lugnacco  kenc),  ant.  fr.  caeit  'caduto'  =  ca- 
de ctum. 

138  keìi  '  covone  '  (dieci  eliéu  formano  una  boria  '  bica  ')  :  cfr. 
lad.  kòf,  Ascoli,  Arch.,  1,  314. 

139  keina  '  catena  del  focolare  '  (cfr.  genov.  kena  collo  stesso 
significato). 

1 40  cisrà  '  ceci  cotti  '  :  *c  i  e  e  r  a  t  a. 

141  hit  '  piccolo  ',  tor.  pcit. 

142  kluka  'chioccia',  voce  onomatopeica,  s^.  Mucca:  cfr.  Diez, 
Et.  IV.,  s.  chiocciare  ;  Ascoli,  Arch.,  1,  304  ;  Korting-,  2265. 

143  ktné  [me  a  Palazzo)  'come'  [kiiemé  nel  dial.  di  Albertville: 
v.   Brachet,  p.  154]. 

144  ko  k'  a  t  ve?  '  che  cosa  vuoi  ?  '  anche  kue  q'  e  t  ve  ? 

145  code  'chiudere'  claudere:  éo/ 'chiuso' :  cfr.  ^reA.^  I,  123. 


Lessico  piveronese  287 

146  koja  'cotenna',  da  cutica,  lomb.  codega,  ecc..  come  da 
*cutina  il  tor.  ki'ma.  Per  la  riduzione  fonetica  cfr.  naja 
*n  a  t  i  e  a ,  sarcaja  s  i  1  v  a  t  i  e  a.  Cfr,  Ardi.,  Ili,  1 35  ;  Korting, 
Lat.-rom.  Wort.,  2369,  dov'è  poco  avvertita  la  forma  *cutica 
co' suoi  derivati  |cfr.  ora  Korting^,  Nn.  2721,  2722]. 

147  kóje  'cogliere':  tor.  koje  e  kujf;  part.  kolexi,  kolic,  kolica 
(=  coUecto),  tor.  kiìji  e  kiljeit. 

148  A'or/ '  tardivo  '  :  detto  principalmente  della  frutta.  Si  dice 
anche  s'èinnà  korf  'seminar  tardi'.  Lat.  *chordius  =  '  se- 
re ti  nus  '. 

149  kor/à  '  scoreggiare  '. 

150  cos  'chiuso',  'siepe':  cfr.  code  (145)  e  cuvenda  (170). 

151  kosa  'coscia'  e  'zucca'.  Nel  primo  senso  da  coxa  e  nel 
secondo  da  cucurbita,  donde  con  forte  e  varia  evoluzione 
anche  l'it.  cucuzza,  zucca,  fr.  courge,  ecc.  Cfr.  Diez,  1,  s.  cu- 
cuzza  ;  Mayer,  Gramm.  d.  Rotti.  Sjìr.,  I,  88  ;  Korting-,  N.  2652. 

152  krattia  '  crema  '.  '  panna  ',  '  fior  di  latte  '. 

153  krupa,  krape  '  stoppa  ',  '  capecchio  ', 

154  ^rjèi  '  crivello  '  *cribio  *criblo  cribro  \ch\  Arch.,X\V, 
Ilo],   mil.  crihhi. 

155  krivele  '  gheppi  '  '  falchi  terraiuoli  ',  '  specie  di  gufi  '  ;  cfr. 
griva  '  tordo  '. 

156  krova  o  kruva  '  cadere  ',  detto  di  foglie,  frutti,  ecc.  ;  monf., 
krué,  bresc.  krodar.  Per  l'etimo,  v.  Ascoli,  Arch.,  1,  59  n.  ; 
Flechia,  Riv.  di  Filol.  class.,  I,  387  seg.  ;  Arch.,  II  837-8, 
Vili  844  (gen.  cruvà  e  croci). 

157  krustiùn  '  torso  del  cavolo  ',  '  crosta  di  pane  secco  '. 

158  ksetit  0  aksent  '  lievito  ',  da  *kesent,  *kersent  kresent,  vald. 
krèssant,  gen.  kr esente. 

159  ksisé  'molto':  propriamente   cosi   assai. 

160  kiier  o  kii^r  '  cotario  '. 


288  Giovanni  Flechia, 

161  /i(l/\  fida  'questo',  'quello'  (ecce- ho  e-illic,  -illac), 
che  sarebbe  nell'it.  ciò  li,  ciò  là:  cfr.  tor.  so)ì,  lon  'questo', 
'  quello  '. 

162  kulina  '  palo  che  sostiene  il  pergolato  '  :  anche  mil.  -na 
'  colonna  '.  Il   pieni,  kulona  è  termine  catastale. 

163  kuljase  'coricarsi':  tor.  kugese  :  's  kólja  'si  corica':  cfr,, 
sopra,  buljà  e  bólja. 

164  kiinc  '  sporco  ',  '  unto  '  :  cfr.  it.  sconcio,  sconciare. 

165  kunsà,  kunsàse  'confessare',  'confessarsi':  ìmi^ersit.  kmisti 
'  confessati  '.  Cfr.  monf.  kimsesc  '  confessarsi  ',  kunsur  '  con- 
fessore '  :  V.  Ferraro,  p.  41. 

166  kurdis  '  bruscolo  '. 

167  Kurieur,  ni.  (propriamente  corri  do  jo)  designante  una 
parte  del  borgo. 

168  kurnel  '  corniolo  '. 

169  kìiria,  agg.  :  èva  kuria  'acqua  corrente',  propr.  acqua 
corriva. 

170  cuvenda  'siepe',  'palizzata':  cfr.  gen.  ciienda:  cludenda, 
e  V.  Ascoli,  Arch.,  I,  123. 

171  kuaira  '  quaglia  ',  forse  per  via  di  quakra,  forma  propria 
del  ladino  [v.  Carigiet,  Rdtorom.  Wort.,  p.  248]:  cfr,  pieni, 
aire  *akro,  maire  makro, 

172  kuaja  'treccia  di  capelli'  scodacela  da  coda  :  cfr.  lomb. 
kuaza,  ant.  lomb.  koasa,  koasinna  '  codaccina  '  [cfr.  Salvioni, 
Arch.,  XII,  395]. 

1 73  kuassa  '  coprire  ' ,  daskuassd  '  discoprire  '  copertiare, 
bresc.  koverier  (ant.  gen,  covertilo,  Rime  gen.,  52,  12  [Ardi., 
I,  230]  '  integumento  ',  propriam.  '  coperticelo  ',  da  aggiungere 
al  Lessico  del  Nostro). 

174  kaeis,  kueise  '  stantio  ',  detto  delle  uova  barlacce,  Propriam. 
'  covaticce  '  :  cfr.  tor,  curis,  sic.  cuvatizzu  [BEW.,  2351]. 


Lessico  piveronese  289 

175  kuer  co  tari  o  'astuccio  per  la  cote'. 

176  kui  'qui';  come  l'it.  e  come  il  biell.  ki  da  eccu-hic, 
mentre  il  torin.  si  da  ecce-hic  [cfr.  Flechia,  Ardi.,  II,  333; 
REW.,  4129]. 

177  kuartarola  '  quarto  fieno ',  '  quarta  fienagione  '  :  cfr.  riorda. 

178  daìi  'danno',  'male'  damnum:  cfr.  so^i  somnum,  scan 
scamnum  [cfr,  sp.  daìio  e  v.  Ascoli,  Arch.,  I,  87  n.]. 

179  dahà  'spandere',  'trapelare'  (detto  dell'acqua  e  dei  liquidi 
in  genere),  da  dan  :  cfr.  monf,  fé  dati,  gen.  fa  dannu  '  goc- 
ciolare '  [cfr.  BEW.,  2467]. 

180  dantarel  '  anello  d'osso  che  si  dà  ai  bimbi  perché  lo  ten- 
gano in  bocca  '. 

181  dapé  '  vicino  ',  '  appresso  '  :  anche  valdese. 

182  darrjere    deretrariae   [cfr.  Arch.,  Vili,  345;  XII,  399]. 

183  darfeinase  '  mangiare  un  boccone  per  calmar  l'appetito  '  : 
sdigiunarsi?  cfr.  feinà  [V.,  inoltre,  Salvioni,  Zeitschrift  filr 
rom.  Phil.,  XXII,  471,  s.  dersét]. 

184  daf barata  '  cambiar  moneta  ',  tor.  déf  barate. 

185  dafdoc  '  sgarbato  ',  tor.  dèsdòit  :  cfr.  doc. 

186  c^rt/f/rt  ' svegliare '  disvegliare:  imperat.  6?f(/r/f/a  ' sveglia ', 
dafoigte  '  svegliati  '  ;  dafgà  e  dasvig  '  svegliato  '  o  '  sveglio  '. 

187  daf  mura,  da/mora  '  divertirsi  ',  senza  il  pron.  rifless. 

188  dasparà  '  disimparare  '  :  cfr.  dasprende. 

189  daspcà,  daspéca  'indispettirsi',  'pigliare  in  dispetto'  :  detto 
degli  uccelli  che  abbandonano  come  per  dispetto  il  nido  colle 
uova  0  coi  pulcini  quando  sono  stati  molestati. 

190  dasprende  '  disimparare  '  :  cfr.  sopra  dasparà. 

191  dastjd,  dastija  'stigliare',  'stiglia':  levar  la  tija  (ti  li  a) 
alla  canapa  [cfr.  Salvioni,  Post,  al  Kórt.,  22]. 

192  dastre'c  '  morsa  ',  '  strettojo  ',  propr.  distretto. 

193  dafvig  '  sveglio  ',  '  furbo  '  :  cfr.  sopra,  dafgà. 


290  '  Giovanni  Fleclna, 

194  cla/vnjà  '  dipanare  '  :  cfr.  ventini,  defgojà,  dejgol'a,  propr. 
*disoogliare  [cfr.  invogliare  ^  in  volgere,  Ardi.,  II,  20-21], 
monf.  svìijé  ;  e  v.  Flechia,  Arch.,  Vili,  348,  s.  desvoio. 

195  demoda  '  in  voga  ',  '  di  moda  '. 

196  dial  '  anello  da  cucire  ',  propr.  ditale. 

197  diji  'dita',  monf.  ir  dije  'le  dita'. 

198  dinta  '  dentro  '. 

199  doc,  doca  'garbato,  -ta  '  ;  sost.  doc  'garbo'  (notevole); 
dasdoc,  dasdoca  'sgarbato,  -ta'.  Il  tor.  à  dòit  'grazia',  'garbo', 
dèsdóit  '  sgarbato  ',  ma  non  a  il  positivo  in  senso  aggettivale, 
quale  dovrebbe  avere  come  originato  da  doctus,  donde  ven- 
gono tutte  coteste  voci.  Il  Diez  (II,  s.  duir)  da  doctus  non 
trae  se  non  il  prov.  dohts  e  non  accenna  né  allo  spagnuolo 
dìiecho  '  esperto  ',  '  atto  ',  né  alle  voci  piemontesi  ;  come  non 
v'accenna  punto  neppure  il  Kòrting  nel  Lat.-rom.  W.,  n.  2650 
[REW.,  2712]. 

200  drinà,  deìnera  '  slombare  ',  '  lombaggine  '  :  cfr.  it.  direnato 
'lombaggine',  parm.  dernara  'lombaggine'. 

201  f/ro^^  (=  *drópere,  de-operire)  'aprire'.  Varie  le  forme 
di  questo  verbo  nel  piemontese  :  diirri,  drilvì,  diirbl,  doì've, 
drove.  Notevole  qui  ì\  b=p  proprio  d'altri  vernacoli  conter- 
mini e  del  monferrino.  Quanto  all'etimologia,  cfr.  Diez,  less., 
II,  s.  ouvrir  ;  Ascoli,  Areh.,  Il,  397  sg.  Altre  forme  vernaco- 
lari  :  romsco  ìipH,  rupH,  ma  opre  ecc.  ;  romagn.  genov.  arvi, 
ferr.  avrir,  pav.  c?m*  =  d(ea)per(ere)  ;  parm.  regg.  arvir 
e  darvir  (de-aprire),  e  contad.  vérer  (=*apérere). 

202  due  '  dunque  '. 

203  duminiki  '  domenica  '  :  biell.  dnieha. 

204  dunkra  (proprio  del  dialetto  di  Palazzo)  '  dunque  '  :  la  stessa 
forma  propria  del  valdese. 

205  dunfeina  '  dozzina  '  :  notisi  l'epentesi. 

206  dven  'davanti':   cfr.  anén  i nauti. 


Lessico  piveronese  291 

207  ebo  :  più  raro  ehul  '  ebolo  '  :  monf.  Ubo  coU'art.  agglutinato. 

208  éi  '  loglio  '.  '  zizzania  ',  tor.  Idi.  A  Palazzo  Vei  coWe  molto 
largo.  Notevole  l'aferesi  del  /. 

209  ense,  ensià  'innesto',  'innestare',  da  insitare:  cfr.  mil. 
msed ,  énsed,  insedi,  insidi,  e  v.  Flechia.  Ardi.,  II,  353 
|XIV.    115]. 

210  erpe  *erpio  *erpico  'erpice'  [cfr.  Arcìi.,  II,  9  ;  X,  92  ; 
XIV,   115]. 

211  faceura  'fiscella',  'cascino',  tor.  fassela ,  mil.  fassera. 
Faceura  da  *factatoria  come  da  factare  il  tor.  faité 
'  conciare  ',  faità  '  conciato  ',  faitùr  '  conciatore  '.  Dallo  stesso 
tipo  l'equivalente  feittoria  del  Promptuarium  di  Vopisco  (Mon- 
dovi,  1564).  Cosi  il  fr.  chanteur  da  cantatore,  non  da 
cantore  [cfr.  Littré,  Dict.,  s.  v.].  [V.  ancora  Flechia,  Arch., 
VIII,  3491. 

212  falospa  '  scintilla  '  :  forma  contratta  di  falavospa,  che,  ac- 
canto a  fcdavesca,  falavosca,  faluspa,  falispa,  vive  in  qualche 
varietà  piemontese:  tutte  queste  forme  procedono  da  *l'alliva, 
metatesi  di  favilla  [v.  Flechia,  Arch.,  II,  342]. 

213  Farger,  ni.  :  incerta  la  fon.,  potendosi  postulare  una  base 
*frigdario    frigidario    ed  insieme  la  base  *filiculario. 

214  farvaja  '  briciola  ',  '  triciclo  '  :  anche  fragili,  gen.  fregugga 
[REW.,  3501]. 

215  fauda  '  grembo  ',  propr.  falda  :  cfr.  sottoselv.  foda,  Ascoli, 
Arch.,  1,  123. 

216  faudal  'grembiale',  dim.  faudarel  o  fodarel,  propriam. 
*faldajiiolo  [BEW.,  62]. 

217  fausat  '  falcetto  ',  '  roncolo  ' ,  '  pennato  '  :  tor.  fauset. 

218  fé  '  fai  '  e  '  fate  '  ;  feje  '  facevi  '  e  '  facevate  '.  Notevoli  le 
forme  analogiche  che  in  molte  varietà  dialettali  anno  i  verbi 
dare,  stare  da  fare  :  onde  p.  es.  torin.  dasia,  stasia  per  anal. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIIl.  19 


292  Giovanni  Flechia, 

di  fasta;  dasend  ('dando'),  stasend  ('stando')  per  anal.  di 
fasend  ('facendo');  dait,  stait  per  anal.  di  fait  'fatto'.  Sin- 
golare che  in  altre  varietà  e  nello  stesso  toscano  l'analogia 
proceda  al  rovescio,  cioè  fare  si  foggi  per  alcune  forme  ana- 
logicamente da  dare  ;  quindi  piv.  fé  '  fai  ',  '  fate  '  foggiato 
sopra  de  '  dai  ',  '  date  '  e  ste  ^  sta  ',  '  state  '  ;  feje  '  facevi  ', 
'  facevate  '  sopra  deje  e  steje  ;  faje  '  faccia  ',  '  facciate  '  (cong. 
2*  pers.  sing.  e  plur.)  sopra  daje,  sfaje  ;  faja  sopra  daja,  staja, 
e  l'it.  (tose.)  fo,  fai,  fa  sopra  sto,  ecc.  [cfr.  i  paradigmi  delle 
forme  verbali  viveronesi  in  Nigra,  Misceli.  Ascoli,  pag.  16 
dell'estr.]. 

219  feja  'pecora',  piem.  fea,  prov.  feda  ecc.,  dal  lat.  feta 
(ovis):  cfr.  Diez,  II,  s.  feda  [REW .,  3269]. 

220  fennu  :  sinonimo  di  dare  '  sedere  '. 

221  fèrsa  'cicciolo  di  majale  fritto  '  :  *frixa  per  fri  et  a.  Cfr. 
frixura  per  frictura  e  frixorium  per  frictorium 
'padella',  ven.  fersora,  frinì,  fersorie  :=  *irìK ori r  [REW., 
3520]. 

222  fiera  '  fiamma  '  e  '  puzza  ',  romsco  /ìan/  :  v.  fiera. 

223  fiera  '  puzzare  ',  altrove  finire,  *f  1  a  i  r  a  r  e  *f  1  a  g  r  a  r  e  fra- 
grare :  cfr.  fr.  fiairer,  prov.  fiairar,  sic.  carari,  cauru, 
corari,  coriari  e  sauru,  saurari,  sauriari,  nap.  saiirejare,  saor-, 
savor-,  ;  sauro  '  fiato  '. 

224  fiarel  '  ceneracciolo  ',  anche  filarel  (=  -elio  od  -nolo). 

225  fic  '  fitto  '. 

226  fica  '  fittare  ',  '  prendere  '  o  '  dare  in  fitto  '. 

227  ficeur  '  fittavolo  '. 

228  Flcc,  ni.  filectum,  propr.  'felcete':  cfr.  i  nuli.  Flet, 
Feletto,  ecc.,  e  v.  Flechia,  Nomi  loc.  d'It.  der.  d.  n.  d.  pie,  p.  13. 

229  fnd  '  fonare  ',  '  far  fieno  '. 

230  fneur  '  fienatore  '. 


Lessico  piveronese  293 

231  fragili  'briciolo',  cfr.  gen.  fregugga,  mil.  f ergili  [Bion- 
DELLI,   p.    66]. 

232  fraja  'fragola',  riflesso  di  fraga  (plur.  di  fragum), 
come  braja  di  braga  braca,  lilrbaja  di  la  uri -baca.  Il 
tor.  frola  da  *fraula  *fragula  :  cfr.  sp.,  port.  e  ant.  it.  fraga 
'fragola'  [REW.,  3480]. 

233  fraufini  '  cesoje  ',  '  forbici  ',    propr.  forbicine  :    var.    forsine. 

234  fra/à  '  abortire  '  :  detto  delle  bestie,  vacche,  ecc.  [cfr. 
campob.  fraga,  gallur.  fraggya  'abortire',  i^E'TF.,  3472.   G.]. 

235  frel  '  fratello  ',  plur.  frej. 

236  frug  '  catenaccio  "  :  v.  furég. 

237  frìiscà  'fregare',  'strofinare'  [<;;  frusti  care  ?,  cfr.  fr. 
froisser,  e  anche  frotter.     G.]. 

238  filbjanna  'salamandra',  la  certa  palustris,  piem.  piu- 
vana,  valsoanino  pilbjàna.  Parrebbe  quasi  accennarsi  ad  una 
medesima  origine  :  il  piem.  pinvana  viene  manifestamente  da 
*p  1  u  V  i  a  n  a  e  probabilmente  anche  il  vals.  pilbjàna  [cfr.  Nigra, 
Ardi.,  Ili,  26  n.]  ;  ma  il  piv.  filbjanna  trarrebbesi  piuttosto 
da  *foveana  [cfr.  Flechia.  Di  ale.  forme  di  nomi  loc. ,  ecc., 
p.  81,  s.  Foppate],  donde  anche  il  mil.  foppano,  nome  di  una 
specie  di  anatra  fossajuola,  detta  cosi  per  l'aggirarsi  che  fa 
nelle  fosse  [Purché  non  si  tratti  di  una  singolare  metatesi.  G.]. 

239  fujas  '  fogliaccio  ',  '  foglione  '. 

240  fu)Ér  'fogliajo',  'deposito  del  fogliame  secco';    cfr.  pajer. 

241  fujel  'cartoccio',  'involucro'  della  pannocchia  della  me- 
liga, ecc.  ['fogliello'  G.]. 

242  fuJJer  'focolare'. 

243  filmela  '  femina  '  (per  contrapposto  a  masc  '  maschio  ')  = 
1.  fame  11  a.  Non  inverisimile  che  la  labialità  dell'e  atono  di 
femella  abbia  pur  determinata  quella  deWe  tonico  del  lat. 
femina   in  finima  (cfr.  fr.  femelle). 

244  funina  '  donna  ',  propriam.  femina  :  cfr.  filmela. 


294  Giovanni  Flechia, 

245  fimég  'finocchio'  fenuculum:  cfr.  furég  e  funég. 

246  fioìf  '  fungo  '. 

247  funfatole  o  funfètte  '  funghi  pratajoli  '. 

248  fura  i  dent  '  metter  fuori  i  denti  '  :  detto  dei  bimbi  che 
cominciano  la  dentizione. 

249  furég  'catenaccio',  biell.  fureg,  can.  furig,  monf.  frug,  torin. 
fruj,  ant.  ast.  ferrougl  [cfr.  Giacomino,  ^rc^.,  XV,  411],  gen. 
ferrugà. 

250  fnrgd  '  dare  il  catenaccio  (furég)  '  :  3*  pers.  sing.  ind.  pres. 
furiga,   1-"*  plur.  furguma. 

251  gè  '  ghiandaja ',  tor.  gai,  fr.  geai:  cfr.  Diez,  less.  s.  gajo 
[REW.,  3640]. 

252  gera  '  ghiaja  '  g  1  a  r  e  a. 

253  gajo,  gaja  '  biondo,  -a  '  [REW.,  3640,  3663]. 

254  ganeso  o  ganesul  (cfr.  nesjm  e  nespul)  '  nocciolo  '  di  pesca, 
ciliegia,  ecc.  [Sarà  un  *gallicciolo  ;  galla  o  un  suo  derivato 
à  spesso  valore  di  nocciolo  :  abruzz.  galle  ecc.,  v.  REW., 
3655.     a.]. 

255  garabion  '  calabrone  '  (torin.  galavrun)  :  v.  fonolog. 

256  garafion  '  ciliegia  marchiana  ',  '  ciliegia  duracina  '  :  torin. 
grafiuri,  mil.  grafion  [Biondelli,  p.  68]. 

257  garat  'calcagno',  tacco:  cfr.  ir.  jarret,  it.  garetta  \^REW., 
3690].   Plur.  garitt. 

258  garatul  '  mastello  ',  '  secchio  per  mungere  le  vacche  '  ['^car- 
rettolo  ;  il  trapasso  di  significato  carretto  >  recipiente  non  è 
nuovo,  cfr.  REW.,  1721J. 

259  garbià  o  dafgarbià  '  slegare  le  viti  '  [^  *disgrovildre.  G.]. 

260  garg  '  pigro  ',  '  ozioso  ',  '  dappoco  '. 

261  gargas  e  gargun  '  poltronaccio  '  :  cfr.  garg. 

262  gargun  :  v.  gargas. 


Lessico  piveronese  295 

263  gurnel  '  corniolo  '  :  questo  nome  designa  propriamente  una 
specie  di  '  corniolo  '  selvatico,  mentre  il  '  corniolo  '  proprio 
è  detto  kurhal  o  kurhel. 

264  garoful  '  garofano  '. 

265  garun  '  mezzereo ',  'camelea',  daphne    mezzereum. 

266  garilsole  '  residuo  del  grasso  suino  nel  processo  della  pre- 
parazione dei  salami  '. 

267  gas  '  strame  ',  *iinpatto  :  fa  'l  gas  '  impattare  '  :  indi  argasà 
■  rifare  1'  *impatto  ',  '  *rimpattare  '  :  cfr.  gen.  gassu. 

268  gasa  '  legacela  '. 

269  gavan  'bucato',  '  forato  ',  'cavo'  :  pan  gavan,  fera  gavanna. 

270  gavei  '  quarti  di  cerchio  delle  ruote  '  e  '  fusi  delle  ruote  '  ; 
cfr.  nap.  gavel'a  '  quarto  della  ruota  '. 

271  gavér  '  gozzo  '. 

272  gàvja  'catino',  'ciotola'.  Dal  lat.  gabàta  '  vas  escarium ', 
'  vaso  da  tavola  '  :  cfr.  nap.  gaveta  '  abbeveratoio  ',  gavetella 
'  ghiotta  ',  '  leccarda  ',  gavetone  '  truogolo  '  ;  sic.  gavita  '  gior- 
nello  ",  '  vaso  di  legno  da  portar  calcina  '.  Il  piem.  gavja  da 
gabata  è  normalissima  riduzione  fonetica:  gavja  gavia  gavea 
gaveta  gabata  [cfr.  Flechia,  Ardi.,  Vili,  351  ;  Nigra,  Ardi., 
XV,  401].  In  quanto  gabata  significò  poi  largamente  'gota', 
cfr.  DiEZ,  E.  W.,  s.  V.  :  Korting^,  N.  4108. 

273  gafiij  e  gafiijim  '  torsolo  ',    '  i-osi  echio  '  di  pera,   mela,   ecc. 

274  gebtia  '  maggiolino  '  :  forma  propria  del  dial.  di  Palazzo  : 
a  Piverone  begna,  v.  sopra. 

275  geddu  'garbo',  'grazia',  'vezzo'  [cfr.  ^rc7?..,  XIV,  117]. 

276  gefia  '  chiesa  '. 

277  gii  'ghiro',  lat.  gì  ire,  tor.  gi,  agi.  Per  la  forma,  efr. 
rul  =  *rur  roborem,  tirul  =  *tirur,  ecc.  [cfr.  REW.,  3787]. 

278  gilard  '  sudicio  ',  '  sconcio  ', 

279  ginà  '  ghignare  ',  '  sogghignare  ',   '  deridere  '. 

280  ginet  '  stranome  ',  '  nomignolo  '  :  efr.  girici. 


296  Giovanni  Flechia, 

281  gola  'fiamma  allegra'  e  'baldoria'  [cfr.  Nigra,  Arch., 
XV,  112-3]. 

282  gornhalètte  'salti',  'capriole'. 

283  gora  'salcio',  'vimine'  [cfr.  Nigra,  Ardi.,  XV,  113-14]. 

284  gorin  dim.  di  gora,  v.  sopra. 

285  grampo  '  afferrare  '  ;  anche  grampo,  sostant.,  '  manata  '  [cfr. 
Nigra,  Arch.,  XV,  101]. 

286  griota  '  ciliegia  agriotta  ',  '  amarena  '. 

287  groja  '  guscio  ',  tor.  groja. 

288  gniifu  '  brivido  ',  'ribrezzo'  [cfr.  Arch.,  XIV,  117]  =  -iggine 
[cfr.  ora  Nigra,  Arch.,  XV,  118,  ove  è  fatto  risalire  a  *grtdfiilu  ; 
si  confronti  però  gruifu  col  basso  canav.  pruifu  '  pruriggine  ', 
atikuifu  *incudigine,  ecc.]. 

289  gilb,  la  giiba  '  gobbo  ',  '  gobba  '  :  basso  lat.  gybbus  :  cfr. 
DiEZ,  Et.  W.,  s.  gobbo  ;  Flechia,  Arch.,  Ili,  168  (Guarnerio, 
Arch.,  XIV,  407  ;  Parodi,  Rom.,XV[l,  53  ;  Meyer-Lììbke,  If.  Gr., 
§  265  ;  Salvioni,  Krit.  Jahr.,  I,  126  ;  Korting^,  N.  4241  ; 
BEW.,  3755]. 

290  giìbés  o  gilbésk  '  versi  che  fanno  i  bambini  ',  '  strilli  '. 

291  giiblat  '  bicchiere  ',  plur.  gublitt  (ora  cedente  a  bicer),  pr.  fr. 
gobdet,  torin.  goblet  e  goblot. 

292  giik  '  pollajo  '  :  cfr.  fr.  jucher,  juchoir,  prov.  azhouchié,  sic. 
gukku,  aggukkarisi  (cfr.  Biundi,  Diz.  sic,  s.  vv.)  [v,  ora  Nigra, 
Arch.,  XIV,  273]. 

293  guj  (*goglio)  '  pozza  ',  '  gora  ',  '  pozzanghera  ',  '  lavatojo  ' 
[Gouille  nel  savojardo  di  Albertville]. 

294  guliard  '  ghiotto  ',  '  goloso  '  :  cfr.  Arch.,  VII,  509  n.  [e  Sal- 
vioni, Arch.,  XII,  406]. 

295  gurin  '  coriaceo  ',  '  duro  ',  pieni,  gureh  :  incerto  se  da  gora 
'vimine',  'salcio',  o  da  *cutrineus:  v.  Flechia,  Arch., 
III.  135. 


Lessico  piveronese  297 

296  isula,  it.  cisciola,  specie  di  ciliegia  :  dal  ted.  vlhsela  ;  cfr. 
DiEZ,  Et.  w.,  343,  s.  visciola,  e  Targ.  Tozzetti,  II,  79  [cfr.  pure 
KortingS  N.  10392]. 

297  ji'm  'uno  '  :  cfr.  Ardi.,  IX,  52  n.  5,  dove  pur  brianz.  ji'm. 

298  jiis  '  acuto  '  :  v.  fonol. 

299  jusiira  '  punta  dei  pali  che  sosteugono  le  viti  '  :  v.  fonol. 

300  Lacuin   '  lattughino  '  :  v.  in  addietro  aciiin  :  tor.  sarset. 

301  lam  'allentato',  'lento':  di  qui  lama,  slama,  ecc. 

302  landa  '  lamentazione  ',  ecc.,  usato  principalmente  al  plurale 
in  senso  di  'lungherie',  '  noje ',  ecc.  Dal  lat.  legenda,  it. 
'  leggenda  '.  Quanto  all'  -anda  per  -enda,  cfr.  bevanda,  vivanda, 
piem.  pnivjanda  da  providenda,  '  provvisione  ',  '  vetto- 
vaglia '.  La  riduzione  foneticamente  normale  sarebbe  lienda, 
quale  appunto  nell'equivalente  aretino  e  milanese.  Il  novarese 
ha  lienda  '  nenia'  [Rusconi,  Origini  novaresi,  p.  88  ;  v.  49-69]. 

303  lavro  'labro':  cfr.  Arch.,  II,   113  n.  ;  Vili,  364. 

304  le  '  lago  '  :  aviglianese  (Alp.)  lai  ;  squasilv.  lai  [Ascoli, 
Arch.,  I,  77],  oltrengad.  leich,  lei  [ivi,  207],  friul.  lag,  lat 
o  lad  [ivi,  523]. 

805  leca  '  scelta  ',  gen.  necca  [Olivieri,  Diz.  gen.-it.,  s.  v.],  piem. 
leta,  lad.  legga  [Arch.,  VII,  533]  =  electa:  cfr.  Flechia, 
Arch.,  II,  325. 

306  lein,  leina  'facile',  'scorrevole',  'pronto',  propr.  latino 
(cfr.  ladi,  ladin,  latin,  ecc.,  e  v.  Arch.,  Vili,  321,  s.  alainar). 

307  leina  'lendine',  1.  lens  lendis:  cfr.  Diez,  I,  s.  lendine 
[BEW.,  4978]  ;  tor.  lendna  :  nel  piv.  si  à  il  dileguo  di  nd  da 
*leindna,  metatesi  d'^. 

308  leifna  '  lesina  '. 


298  Giovanni  Flechia, 

309  leio  '  grasso  del  porco  ',  piem.  sleivo  :  cfr.  sleivé  accanto  a 
slingué,  *e x- 1  i  q  u  a  r  e  |  v.  Salvioni,  Nuove  post,  al  Kórting,  143, 
e  LoRCK,  Lautlehre,  p.  49]. 

310  lèsca  'specie  di  carice'  (carex   acuta?). 

311  Usura  '  licciuola ',  termine  dei  tessitori. 

312  livrà  'finire',  'terminare',  fr.  livrer  |Korting^,  5561]. 

313  lóbia  '  ballatoio  ',  '  palco  ',  '  balcone  '. 

314  Ioga  '  cagna  '  :  cfr.  mi).  Ioga. 

315  loira  'poltrone':  nel  torin.  vale  'inerzia',  '  fiaccona  '  e 
anche  '  ghiro  ',  probabilm.  per  influsso  del  fr.  ìoir  '  ghiro  '  e 
'  poltrone  '.  Il  nome  vero  per  '  ghiro  '  nel  piv.  è  gii  e  nel 
torin.  agii  (v.  sopra,  s.  gii),  accennanti  entrambi  a  gl'ire,  non 
glire  come  dà  il  Meyer-Lubke  [v.  REW.,  3787 J. 

316  lolio  '  lauro  ',  '  alloro  '. 

317  liija  '  vaso  di  terra  ',  quasi  '  alberello  '. 

318  makd  (tor.  inaké)  '  ammaccare  ',  '  picchiare  ',  '  battere  '  : 
makla  'picchiala'  |  cfr.  vicent.  makare  'battere']. 

319  makaroka  '  bambola  ',  mattarotta. 

320  makàt  '  il  colore  che  lasciano  le  noci  alle  dita  quando  si 
smallano  '  :  cfr.  sopra  ni.akd. 

321  makkahà  '  pestare  ',  '  ammaccare  ':  macc-aneare? 

322  makkasia  '  comechessia '. 

323  mek  'solamente',  tor.  mak:  cfr.  numek,  niimak,  non  magis 
quam:  v.  Flechia,  Ardi.,  Vili,  372-3,  e  cfr.  friul.  nóme, 
pad.  lomé. 

324  magistri  '  maestro  ',  tor.  magister,  che  non  è,  come  i  più 
credono,  l'incolume  forma  nominativale  del  latino,  ma  una 
normale  riduzione  della  moderna  forma  scolastica  magistro 
in  *magistr,  che  si  mutò  in  magister  come  *quadr  in  quader, 
*libr  in  liher,  *vedr  in  veder,  ecc.  La  normale  evoluzione 
dell'antico    magistro    nel    piem.    è   generalmente  meistr,  e, 


Lessico  piveronese  299 

come  proclitico,  meis,  come  meis-da  miir  '  mastro  da  muro  ', 
'  muratore  ',  meis  da  bosk  '  falegname  ',  nu^is  Giuvan  '  mastro 
Giovanni  '. 

325  mal,  agg.  '  molto  '. 

326  maìstia  'lento',  'pigro',  malesuadus? 

327  manàt,  tor.  maniot  '  piccolo  manico  '. 

328  manka  '  bisogno  '  :  avei  manka  'abbisognare  ',  cfr.  avei  basta 
'  averne  abbastanza  '. 

329  mannera  '  accetta  ',  '  mannarolo  '  :  cfr.  it,  mannaja. 

330  maraiia  '  balocco  ',  '  giocattolo  ',  '  bazzecola  ',  '  inezia  '. 

331  marana  '  baloccarsi  ',  cfr.  maraha  e  v.  Sp. 

332  maranun  (plur.  -hen)  '  baloccone  '. 

333  marel  '  stronzo  '. 

334  marela  '  matassa  '.  Notevole  la  connessione  etimologica  che 
à  con  questa  voce  piemontese  l'equivalente  sic.  marredda  av- 
vertita già  dal  Pasqualino  che  suggerisce  l'etimo  manus 
(manarella  ?). 

335  mari/  '  mezzodì  '  :  cfr.  Ascoli,  Ardi.,  I,  346,  e  v.  fonol. 

336  marifanna  '  melanzana  '. 

337  marlingin  (canav.  e  biell.)  '  il  sonare  a  morto  per  bambini  ': 
propriam.  *minimellinghino  (cfr.  marlin  =  inarmlin,  mini- 
mellino  '  dito  mignolo  ')  :  v.  Flechia,  Ardi.,  II,  366-7,  n. 

338  maska  '  strega  ',  maskun  '  stregone  '  (senza  maschile  al  po- 
sitivo :  cfr.  trecca,  treccone),  maskunà  '  stregare  '. 

339  mascà  '  masticare  '  :  tor.  mastié. 

340  maskunà  '  stregare  '  :  v.  maska. 

341  masera  '  muro  diroccato  ',  propriam.  '  maceria  ',  e  cfr.  i 
nnll.  Masera,  Masera  (cfr.  Macerata),  Macerata,  Macerato,  Ma- 
cereto e  ammasso  di  macerie')  e  il  fundus  Maceriatus 
delle  /.  R.  Neap.,  n.  216. 

342  masarun,  propr.  '  macerione  '  :  v.  masera. 

343  massakiil  o  bassaki'd  '  scanno  di  radicione  di  salice  '. 


300  Giovanni  Flechia, 

344  mat,  mata,  niatot  '  ragazzo,  -a  ',  plur.  matoit  (plur.  anche  di 
niat),  matota,  matolina,  mafas,  matusa  ;  maton,  plur.  matén  ; 
bresc.  matel,  matelo  '  fanticello  '  \REW.,  5401]. 

345  mate  *  mettere  '. 

346  mapa^  maparel  '  pannocchia  '  del  granturco,  ecc. 

347  maunat,  tor.  niaunet  (Gavuzzi  maonet)  '  sudicio  ',  '  sporco  '  : 
cfr.  Ascoli,  Arch.,  VII,  505  [Nigra,  XIV,  372  ;  Salvioni, 
BoìH.  Jahr.,  V,  i,   135]. 

348  meir  'tralcio',  meirel  magliuolo?  cfr.  Meirel  ni. 

349  meur  '  maturo  '. 

350  minsa  '  milza  '  :  anche  gen.  minsa. 

351  miola,  miulat  'falce',  'falcetto'. 

352  moj,  tor.  moj  '  molle  '.  '  bagnato  '. 

353  inor  '  amore  '  :  de  parmor,  propr.  '  di  per  amore  ',  ma  anche 
generalm.  '  per  causa  ',  ed  anche  '  per  odio  ',  'per  avversione'. 

354  morjo  '  muojono  ',  '  muojano  '.  Notevole  la  permanenza  dell'i 
non  attratto  :  ìnorj  '  muojo  ',  moì'je  '  muori  ',    morja  '  muoja  '. 

355  mas,  mois  '  matto  '  :  cfr.  moifo.  già  cit.  in  Arch.,  II,  399, 
come  proprio  del  dial.  di  Sassello  (Acqui).  V.  ora  Arch.,  Vili, 
361,  s.  inmocij. 

356  'in  peria  '  dinanzi  ',  '  rimpetto  '  (a  ^joi'o  ?). 

357  insun,  msimà  'spigolatura',  'spigolare'  [cfr.  iovìn.  messun, 
alomb.  messoti  '  messe  ',  '  raccolto  '  :  Salvioni,  Arch.,  XII,  414]. 

358  muà  '  mutare  '  e  '  movere  ',  muivi  '  muti  '  e  '  muovi  '  :  nel- 
l'ultimo senso    dal    freq.  lat.  mot  are:    muà  'n  pé  par  baia. 

359  ìHuJà  'bagnare',  'intingere',  'mettere  in  molle';  ìnoja 
'  bagna  '. 

360  muUja  o  mulés  '  mollica  '. 

361  murdajd  '  morso  ',  '  dentata  ',  '  morsicatura  '  ;  torin.  murdjà 
e  murdjun. 

362  murflun,  plur.  fem.  -uni  '  moccioso  ',  tor.  murflus  :  da  murfel 
'  moccio  '  [cfr.  Nigra,  Arch.,  XIV,  291]. 


Lessico  piverouese  301 

363  musei  'gomitolo',  forma  aferetica  di  glomicello:  cfr.it. 
ghiomo,  lat.  glomus. 

364  mussa  '  insegnare  ',  '  mostrare  ',  '  indicare  ',  cfr.  poschiav. 
tnussà,  e  v.  Ascoli,  Arch.,  I,  284  ;  soprasilv,  mussar,  Ascoli, 
VII,  537. 

365  miit,  muta  'monco',  '-a'. 

366  mufin  'tenero',  'morbido',  'maturo',  propriam.  molli- 
ci no,  tor.  muljin:  cfr.  ant.  lomb.  amulexinar  (Par.  Lomb.  107). 
Cfr.  Storm,  Voyelles  atones  du  lat.,  des  dial.  italiq.  et  de  ì'itaL, 
p.  52. 

367  nero  '  nidariolo ',  'éndice',  nidarius:  cfr.  fr.  niais  ni- 
dace  :  cfr.  ven.  niaro  e  piem.  rìard  '  cacheroso ',  'lezioso' 
(cfr.  bilfiard  accanto  a  hosiaro)  \REW.,  5908]. 

368  naja  'natica';  cfr.  sarvaja  silvatica,  koja  *cutica. 

369  na rissi  '  narici  '. 

370  nan'ifià  'ficcare  il  naso':  nare -]- f  1  ar  e  ? 

371  naca  '  nuotare  '  :  tiaee  '  tu  nuoti  '  e  '  voi  nuotate  '.  Verbo 
denomin.  derivato  senza  pili  da  nave  (cfr.  fr.  nager  navi- 
gare); da  natare  foneticamente  problematico. 

372  neiro  '  nero  '. 

373  nelia  '  inedia  '  :  v.  Fonol. 

374  tiié  '  affogare  '  n  e  e  a  r  e. 

375  nin  '  niente  '  e  '  non  '  :  va  nin  '  non  andare  '  (tor.  va  nen), 
propriam.  '  va  niente  '  {fìi  hint,  nent  nen)  :  veicell.  aless.  nent 
e  nenia,  Brezzo  nit,  Vico  Canavese  niit  ;  v.  inoltre  Flechia, 
Ardi.,  Vili,  373  n.  4. 

376  niyisó  '  manomettere  '  :  i  n  i  n  i  t  i  a  r  e  ;  cfr.  com.  crem.  ininid, 
mil.  inninià,  bresc.  inensi,  mod.  regg.  linier,  parm.  liniar, 
piac.  linià,  ecc.  e  v.  Flechia,  Arch.,  II,  356-7  ;  Mussafia, 
Beitr.,  69  [REW.,  4440]. 


302  Giovanni  Flechia, 

377  ninula  '  ellera  '  :  bresc.  ledena,  gen.  lellua  :  cfr.  Flechia, 
Arch.,  VIIT,  364. 

378  nis  'livido':  cfr.  Flechia,  Ardi.,  IV,  375    [^REW.,  5614]. 

379  nos  '  il  noce  '  e  '  la  noce  '  :  cfr.  nusat. 

380  'nt,  'nt  al  '  nel  '  ;  'nt  la  '  nella  '  ;  'nt  al  pra  '  nel  prato  '  ; 
'nt  la  strà  '  nella  strada  '  ;  'nt  ij  kemp  '  nei  campi  '. 

381  ntè  (in  tu-?)  'dove'.  Es.  :  ntè  ka  V  ve?  'dove  vai?';  mi 
vai  ntè  ka  t'  ve  ti  'lo  vado  dove  vai  tu  '  ;  nt'  elo  cai  la  ?  '  dov'è 
colui  ?  '  ;  nt'  elo  ndà  ?  '  dov'è  andato  ?  '. 

382  numek  'solamente',  'fuorché':  non  magis  quam  \  da  non 
magis  il  pieni,  e  lomb.  mima,  nome,  noma,  doma  (per  dissim.); 
da  magis  quam  il  pieni.  waA-  e  mek  ;  da  magis  il  piem. 
e  lomb.  ma,  mae  [cfr.  Flechia,  Arch.,  Vili,  373  ;  BEW.,  5228]. 

383  nufàt  '  noce  '.  albero  ;  propriani.  '  nocetto  '. 

384  nufera  '  terreno  a  noci  '  ;  cfr.  i  unii.  Nocara,  Nachera,  No- 
cera,  Noghera,  Nizzolaro,  ecc.  e  v.  Flechia,  Nomi  loc.  da 
nomi  di  piante,  p.  16,  s.  nux,  *nuceo  1  a. 

385  nnstin  '  piccolo  noce  ',  '  piccolo  7iusat  '. 

386  'nival  '  uguale  '  :  cfr.  Ardi.,  Vili,  350,  s.  enguar. 

387  'ntvald  '  uguagliare  ',  '  compensare  '. 

388  olba  'la  nicca  del  gran',  'pula':  lat.  voi  va:  cfr.  ivalba 
|v.  Salvioni,  Postille  al  Korting,  24]. 

389  oin  '  uomo  ',  plur.  omne. 

390  ora  '  aria  '. 

391  pafarin  'passerotto'  e  'uccellino'  in  genere. 

392  pajer  '  pagliajo  '  :  cfr.  fujer  '  fogliajo  '. 

393  pjan  pana  '  compagno  ',  '  conforme  ',  '  simile  '. 

394  pjanà  '  nettare  ',  da  panno  :  cfr.  panai. 

395  pandt  '  moccichino  ',  '  fazzoletto  ',  '  nettatojo  ',  propriam. 
'piccolo  panno';  monf.  panel  [cfr.  Ferraro,  p.  81]. 

396  pancarel  '  granello  d'uva  saracinata  '  ;  v.  pancorla. 


Lessico  piveronese  303 

397  pancorlà,  mil.  pencorà,  pincorà  '  vajolare  ',  '  saraciuare  ', 
detto  dell'uva  che  comincia  ad  annerire.  Da  *pinctura, 
*p  i  n  e  t  u  r  a  r  e  ,  coni  e  nell  '  it.  pittura  da  pitturare  (pictura 
*picturare):  cfr.  fr.  peinture  *pinctura.  Il  piv.  panharel 
(v.  sopra),  mil.  pinciro  'grappolo',  'racimolo'  mettono  capo 
a  *p  i  n  et  u  ri  ol  o,  it.  pintajuolo.  Pancorlà  'vajolare',  da 
*pin  cturu  1  are,  mil.  pincirolà  'racimolare',  'raspollare', 
da  piticiro,  *pincturi  ol  are.  Pine-,  pene-,  pane-  qui,  com'è 
noto,  rispondono  foneticamente  a  *pinct-. 

398  pancilk  '  acetosella  selvatica  '. 

399  panjóla  'lucciola'  [v.  Salvioni,  Boni.  Jahr.,  IV,  i,  171]. 

400  paper  'carta':  cfr.  Ascoli,  Ardi.,  I,   177  n.  3. 

401  parél  '  pajuolo  ',  tor.  pairol. 

402  parjór  '  priore  '.  plur.  parjóre. 

403  parmor  '  per  causa  '  :  v.  mar. 

404  paróla  '  grosso  pajuolo  '. 

405  parqué  e  purqué  '  perchè  '. 

406  par/al  '  lo  spazio  tra  2  filari  di  vite  '. 

407  pase  'mansueto'  [cfr.  Ardi.,  XIV,  115]  pacidus?  Cfr. 
Paculus,  Pacidianus  (Pacidius?)  da  *Pacidus.  Pos- 
sibile per  avventura  anche  da  placido  [anche  il  genov.  ha 
paze  '  mansueto  ',  detto  delle  bestie]. 

408  pat  '  crepitus  ventris  '  ;  fem.  petta  :  patta  d'  liiv. 

409  patanil  '  nudo  ',  fem.  -nua,  plur.  -nuvi  (cfr.  Ardi.,  XIV,  114). 
[Cfr.  Salvioni,  Rom.  Jahresb.,  IV,  i,  179,  s.  crii  criia.  Per 
l'etimo,  V.  NiGRA,  Ardi.,  XIV,  293]. 

410  pé,  dapé  '  presso  ',  '  vicino  '. 

411  ptec  '  tette  delle  vacche  '. 

412  peco  '  pettine  ',  pcind  '  pettinare  ',  pheiìia  '  pettina  ',  pcineur 
'  pettinatore  ',  pcineta  '  pettinetta  '  ;  tor.  epentetico  :  pento, 
penine,  pentena,  pentnor  o  pentnaire,  pentnèta  ;  monf .  peccio, 
péiné,  pcinaura,  painetta. 


304  Giovanni  Flechin, 

413  peìr  '  pero  '. 

414  peivre  o  pevre  '  pepe  '  :  dal  caso  obliquo  come  il  tor.  peiver, 
mil.  pever. 

415  penkna  'cingallegra'.  Da  *pinctula,  donde  anche  i  con- 
termini pentna,  p'mtna  (cfr.  ìodna  '  lodola ',  alaudula).  No- 
tevole nel  piv.  la  gutturale  per  la  dentale  ;  e  pur  notevole  nt 
da  net  quale  anche  nell'equivalente  lomb.  p^H^rt  da  *pincta, 
mentre  la  legge  fonetica  di  tutti  questi  dialetti  vorrebbe 
penca,  pencna.  pincna  come  p.  e.  in  tenca  da  tincta,  strenca 
da  *strincta.  Diminutivo  di  pentna  è  il  zimonese ^jawim'w'wa, 
come  di  penta  il  com.  pentin,  che  il  Monti  fa  venire  dal  lat. 
pem'tus  {!  !). 

416  pesse  '  pesco  ',  '  pesca  '  ;  plur.  pessie  vecchio  :  oggidì  masco- 
linizzato sul  singolare  :  diij  pesse  (vecchio  duj  pessie)  :  a  Ma^ 
guano  (biell.)  pénsie. 

417  pewr  '  paura  '. 

418  pikaja  '  legaccio  ',  parm.  pikaja,  genov.  vie.  pikaga. 

419  picareld  'specie  di  trottola'. 

420  pikin  '  gallinaccio  ',  '  tacchino  '. 

421  picìirus  '  pettirosso  '. 

422  j;jA:m/  '  gambo  ',  '  peduncolo  '. 

423  piéy  'pidocchio':  come  l'it.  da  pedo  ciò;  cfr.  mil.  piòc  ; 
var.  piem.  ^jj'mJ,  puj,  pioj  ;  v.  Ascoli,  Arch.,  I,  314, 

424  2^jova  '  pioggia  ' ,  piem.  piova. 

425  pisseur  '  bocciulo  '  dond'esce  il  ranno  del  bucato  ;  propria- 
mente '  pisciatoio  '. 

426  piulat  'accetta',  tor.  piidet,  propriam.  '  pioletto '. 

427  piulin  '  zipolo  ',  '  zipoletto  ',  propriam.  '  piolino  '. 

428  pivi  'specie  di  gabbiano' :  la  sterna  nigra  o  la  sterna 
fluvialis  degli  ornitologi  [cfr.  Zublena,  Avifauna  del  lago 
di  Viverone,  Biella,  1896,  p.  36-37].  Da  pluvius.  Nel  tor. 
pivi  è  chiamato  il  'rondone',  hirundo   major. 


Lessico  piveronese  305 

429  plija  'buccia',  'scorza',  'corteccia'.  Da  pel  li  ci  a  pelli- 
cula,  donde  normalmente  sarebbe  da  aspettarsi  *pli()a,  come 
si  à  da  ori  eia  iirirja,  da  manici  a  anmiga.  Forse  per  ana- 
logia del  piem.  iirija^  ploja  da  *pellocla,  ecc. 

4:30  pnarel  o  pnarola  '  pratajuolo  '  (agaricus  campestris), 
da  *prarel  pratariolo  (cfr.  it.  pratajuolo)  per  dissimilazione 
\EEW.,  6732]. 

431  pìiun  '  più  nessuno  '. 

432  póla  fola  '  folaga  '. 

433  péra  '  zuffolo  quasi  simile  alla  suhiarola  ' . 

434  pot  'poltiglia'  e  '  pollentina '.  Lat.  puls  pultis,  ìt.  polta, 
ant.  fr.  poiU  [cfr.  Forster,  Romania^  IX,  580]  [alomb.  polle  : 
cfr.  Salvioni,  Ardi.,  XII,  422  ;  REW.,  6836]. 

435  prd  '  sassata  '  petrata  [v.  ora  Nigra,  //  dialetto  di  Vire- 
rone,  p.  12]. 

436  pre  '  vicino  '  prope. 

437  prel  '  ventriglio  dei  polli  ',  da  prer,  proprio  del  canav.,  lat. 
*petrarius  [cfr.  Garlanda,  Il  dial.  di  Val  di  Strona,  in 
Misceli,  in  onore  di  G.  I.  Ascoli,  p.  327  :  REW.,  6446]. 

438  pres  '  presso  '. 

439  j?rj^a  'pevera',  'imbottatoio'.  Da  *precla,  *pretla, 
*pletra  [v.  Ascoli,  Studj  critici,  II,  94  e  96;  Brugmann, 
Grumi.,  II,  201].  Ne'  dialetti  contermini  prega,  pèrga  (Azeglio), 
dove  -ga  da  -ti a  come  p.  e.  in  vega,  sega  da  *vecla  *vetla, 
*sicla  si  ti  a.  Il  palazzese  à  prèja,  come  à  vèja,  séja.  Piut- 
tosto che  una  delle  varie  figure  latine  del  suffisso  -tra  [cfr. 
Ascoli,  op.  cit.,  81  e  segg.],  qui  più  ovvio,  forse,  scorgere 
una  metatesi  reciproca  delle  liquide,  come  p.  es.  in  grolia  da 
gloria,  colurus,  colurnus  da  corulus,  ecc.  Nel  Prow- 
ptuarium  di  Vopisco  (1564),  p.  92  :  "  Pitia,  vaso  da  porre  il 
vino  dentro  il  bottale  senza  effonderlo,  lacus  „.  Cfr.  com. 
plédria,  mi),  pidria,  monf.  prec  \REW.,  6597 1. 


306  Giovanni  Flechia, 

440  pni  '  abbastanza  '. 

441  prui'fu  '  pruriggine  '  :  cfr.  ursifu,  (jruifu,  ankuifu. 

442  pruvi  'prudere'.  Come  nell'it.,  cosi  pure  nel  piv.  il  lat. 
prurire  passa  alla  conjug.  3*  e  muta  per  dissimilazione  il 
secondo  r  in  d  che  poi  si  dilegua,  come  anche  nel  tor.  prui, 
mantenendosi  però  nella  quarta. 

443  psià  '  pizzicare  '  ;  psija  '  pizzica',  parossitono  come  nel  biell. 
e  nell'odierno  gen.  pessiga  (ant.  peciga  :  cfr.  Arch..  Vili.  376), 
mentre  il  tor.  pésya  corrisponde  all'it.  pizzica. 

444  psijùn  '  pizzicotto  ',  propr.  '  pizzicone  ',  tor.  pessjón. 

445  pii  '  pili  '  :  cfr.  Ascoli,  Arch.,  I,  101  n.  2. 

446  ^:>j/ya  '  pipita  ',  torin.  piìoja. 

447  pìdat  '  pulcino  ',  propriam.  *poUetto. 

448  piiliifel  'pollino':  cfr.  bergam.  piliiol  *puliciolum  [cfr. 
LoRCK,  Sjautlehre  eines  Lat.-Bergam.  Glossare  des  XV.  Jahr- 
hunderts,  p.  30]. 

449  punèaril  '  puntuto  ',  '  acuminato  ',  propriam.  *punteruto. 

450  pKsà  '  scodellare  ',  '  minestrare  ',  '  attingere  col  ramajuolo 
la  minestra  e  versarla  nella  scodella  '.  Verisimilmente  da 
puteus,  *puteare.  Cfr.  fr.  puiser,  prov.  po\ar,  vald. pouc:j:ir 
(Salvioni,  Ardi.,  XI,  301);  [v.  ora  Nigra,  Arch.,  XV,  120. 
Anche  il  genov.  ha  apussd  '  immergere  '.  detto  specialmente 
dei  panni  che  si  lavano',  da  *ad-puteare]. 

451  pussà  '  spingere  ',  '  urtare  ',  tor.  pussé  :  pussun  '  urtone  '. 
È  il  lat.  pulsare,  fr.  pousser  [v.  ora  Nigra,  XV,   120]. 

452  pupù,  fem.  'upupa',  mil.  buba;  cfr.  Diez,  s.  upupa  [Korting^, 
N.  9910]. 

453  pùfa  'grossa  cimice  di  campagna',  la  pentatoma  grigia 
degli  entomologi.  Da  putida  *put'da,  putta  (cfr.  tietto  ni- 
tida, ratto  rapidu).  Un  nome  pur  significante  'la  puzzolenta' 
à  questo  insetto  nel  fiairana  dell'aviglianese,  da  fiairé  ^= 
^flagrare,    fragrare    'puzzare'.   Erroneamente  il  Cheru- 


Lessico  piveronese  307 

BINI  (s.  scìmes  salvadeg)  e  il  Sant'Albino  (s.  punas)  contrap- 
pongono al  nome  di  questo  insetto  il  grecolatino  buprestis 
{^ovjiQtjoTic,,  cfr.  Saalfeld,  Tensaurus  italograecus,  col.  194), 
nome  d'una  specie  di  scarafaggio  velenoso  che  trangugiato 
dai  buoi  li  fa  gonfiare  [cfr.  Isidoro  di  Siviglia,  Orig.,  12,8,  5|. 

454  PurrnH  '  Piverone  '. 

455  kuaira  '  quaglia  ',  forse  per  via  di  quakra,  forma  propria 
del  ladino  [v.  Carigiet,  Bàtorom.  Wort.,  p.  248]  :  cfr.  pieni. 
(lire  *a  k  r  0 ,  maire  m  a  k  r  o . 

456  kuasa  '  treccia  di  capelli  '  =  cedacela  da  coda:  cfr.  lomb. 
kiia^a,  ant.  lomb.  koasa,  koasinna  '  codaccina  '  [cfr.  Salvioni^ 
Ardi.,  XII,  395]. 

457  kuassà  'coprire',  daskuassà  'discoprire'  copertiare, 
bresc.  kover^er  [ant.  gen,  covertilo,  Rime  gen.,  52,  12  {Arch., 
1,  230).  '  integumento  ',  propriam.  '  coperticcio  ',  da  aggiun- 
gere al  Lessico  del  Flechia]. 

458  kueis,  kiieise  '  stantio  ',  detto  delle  uova  barlacce.  Propriam. 
'  covaticce  '  :  cfr.  tor.  cuvis,  sic.  cuvatinu  [REW.,  2351]. 

459  kuer  cotario    'astuccio  per  la  cote'. 

460  kuì  'qui';  come  l'it.  e  come  il  biell.  ki  da  eccu-hic, 
mentre  il  torin.  si  da  e  eoe -hi  e  [cfr.  Flechia,  Arch.,  II,  333  ; 
REW.,  4129]. 

461  kuartarola  '  quarto  fieno  ',  '  quarta  fienagione  '  :  cfr.  riorda. 

462  rakastnat  '  reattino ',  'redimacchia ',  'sgricciolo' ;  propriam. 
'  re  castagnette  '.  Altri  nomi  di  questo  uccello  sono  nel  pieni. 
re  dij  biisson  (tor.),  j^cit  re,  reatel.  Cfr.  it.  reattino  (garfagn.), 
recacco  (fior.),  sgricciolo  (pis.),  redimacchia  (sen.  e  fior.),  fora- 
macchie (sen.)  [Savi,  Ornit.  tose,  I,  297]  ;  mil.  reat,  reot,  riot, 
re  di  ufi)  ;  lomb.  re  di  sef  ('  re  di  siepe  '),  reaton,  re  de  loder  ; 
trent.  reatol  ('reattolo');  v er on.  imperatorel,  retel  ('reottello'?); 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  20 


308  Giovanni  Flechia, 

mant.  reatin  ;  parm.  riaten,  re  d'j  o/len,  oflen  del  fredd,  oflen 
moska,  parpajó,  arjetén  ;  boi.  arjatein,  arjetein  [cfr.  Flechia, 
Del  nome  Ariosto,  p.  7];  fr.  roitelet;  s^.  reye-ueìo  ;  ted.  Zaim- 
honig,  gr.  ^aoiÀioxog  |cfr.  Caix,  Studi  di  etim.  ital.  e  rem., 
N.  4751. 

463  rama  '  ramo  ',  '  frascone  '. 

464  rama  d'eva  'rovescio  d'acqua',  'sgrollone'  (lucchese); 
genov,  rama  d'égua  \a  ramata  nel  v.  5°  del  Pataffio^. 

465  rangà  'accomodare',  tor.  rangé^  genov.  an-angà,  ir.  ranger, 
arranger  [cfr.  Mackel,  Die  germ.  Eleni,  in  der  fr.  u.  prov.  Spr., 
p.  96]. 

466  rania  '  falce  '  ;  ranid  '  falciare  '  il  fieno,  la  stoppia. 

467  rapel  'grappolo';  mil.  grapel  =  pinciro  'racimolo':  cfr. 
monf.  rap,  genov.  rappu  '  grappolo  '. 

468  Rapela,  ni.  di  regione  essenzialmente  vitifera  :  cfr.  rajjel 
'  grappolo  '. 

469  rase,  rese,  resca  (Ivrea  rese  rèsca)  '  ruvido  ',  '  scabro  ', 
'  aspro  '. 

470  raska  'tigna',  'scabbia':  cfr.  sp.  raskar  'grattare',  ra- 
si care. 

471  raskit  '  raspollo  ',  andà  ai  raskitt  '  raspollare  '  :  cfr.  andà 
ai  raplit. 

472  re  '  corda  alla  quale  sta  appesa  la  lucerna  nelle  stalle  '  ; 
propriam.  '  ruolo  '.  Avei   re    '  riuscir   bene   in  qualche   cosa  '. 

473  rei  '  rete  '  :  cfr.  sei  '  sete  '. 

474  reid  '  rattratto  ',  '  duro  ',  'stecchito'  :  rigidus  ;  reide  plur.; 
ma  tor.  sing.  masch.  reidi  [cfr.  Isler,  Poes.  piem.,  p.  52  ; 
Salvioni,  Post,  al  Kart.,  pag.  19  ;  Korting^,  N.  8080]. 

475  reime  '  restituire  ',  propriam.  'redimere'  [cfr.  Flechia,  Ardi., 
Vili,  383;  Salvioni,  Ardi.,  XII,  425;  BEW.,  7144]. 

476  rela  '  panzana  ',  '  zacchera  delle  vesti  '  (tor.  kuiru),  da 
rotella? 


Lessico  piveronese  309 

477  vésta  '  sega  '  :  resici  '  segare  ',  resieur  '  segatore  '. 

478  riga,  rige  (al  rigi)  'rughe'  =  'righe'  rigulae;  ant.  alto 
ted.  riga. 

479  r'iorda  '  seconda  fienatura  ',  '  guaime  '  ;  cfr.  quartarolo. 

480  riva  :  da  riva,  frop  da  riva  '  presso  ',  '  da  presso  ',  '  vicino  '. 

481  roida  'comandata',  sost.,  equivalente  a  un  dipresso  al 
fr.  corvée,  con  cui  si  connette  anche  etimologicamente,  poiché 
entrambi  questi  vocaboli  metton  capo  al  verso  rogare  'do- 
mandare ',  '  esigere  ',  '  comandare  '.  Quanto  a  corvée  =  *c or- 
rogata  V.  DiEz,  IP,  s.  corvée  [REW.,  2255].  Il  piem.  roic?a 
viene  da  un  sostantivato  *rogita,  forma  participiale  di 
rogare,  assai  frequente  nel  linguaggio  medievale  di  cose 
legali  e  amministrative  ;  e  dinotava  e  dinota  ancora  una 
specie  di  servizio  obbligatorio  prestato  al  signore,  al  co- 
mune, ecc.  Quanto  all'evoluzione  fonetica  di  roida  da  *rogita 
cfr.  ant.  coìto,  colo,  coitoso  da  cogito-;  vuoto,  ant.  ar.  volto, 
piem.  void,  voida  da  *vocitus,  piaito,  piato  da  pi  a  ci  tu  m, 
arroto,  arrota,  arruoto,  arruota  da  *arrogitus,  arrogere; 
e  nel  Ducange  roitus  per  rogitus.  Registrando  il  nome 
roida  da  statuti  saluzzesi,  il  Ducange  aggiugne  :  "  prò  rheda 
ni  fallor  „  riferendosi  al  gallico  ré  da  '  currus ',  che  qui  non 
à  proprio  punto  che  fare,  quantunque  la  nozione  di  '  carro  ', 
'  veicolo  ',  '  vettura  '  non  possa  dirsi  estranea  alla  roida,  con- 
sistente anche  in  condutture,  trasporti,  ecc. 

482  réd  'rovere',  per  ror  (robur)  :    cfr.  tirul,  ecc.;    monf.  ru. 

483  rua  'via',  fr.  rue,  lat.  ruga  [cfr.  REW.,  7426]. 

484  rubi  'giallo':  potrebbe  venire  anche  da  ruvido,  ma  più 
probabilm.  da  rubeo,  donde  anche  l'it.  rebbio  e  ro^^/o|cfr. 
REW.,  7408]. 

485  riig,  rikjd  '  rutto  ',  '  ruttare  '  :  cfr.  il  com.  e  leventin.  riiccà, 
e  V.  Ascoli,  Ardi.,  I,  205. 


ino  Giovanni  Flechia, 

486  rujà  '  mestare  ',  '  rimescolare  '  :  rujà  la  pulenta  '  limenare 
la  polenta':  rotulare;  ì'ója  rotula. 

487  ruitulase  'voltolarsi':  piuttosto  da  rivoltolarsi  che  da 
rotolarsi,  stante  la  dentale  (cfr.  sopra  rujà)  [il  monf.  ar- 
vitese  (Ferraro,  p.  14)  e  il  biell.  arvitulàse  tolgono  ogni  dubbio 
a  cotesta  etimologia]. 

488  rumià  '  ruminare  '  :  cfr.  monf.  rime-,  friul.  bresc.  crem.  gali. 
rumia,  sp.  port.  prov.  parm.  e  piac.  rumiar,  mod.  arìuier,  ecc., 
da  rumi  gare  [cfr.  Ardi.,  II,  7-8]. 

489  runkafo  '  fiisaggine  '.  tor.  runkajo.  mil.  runkafen  (cfr.  Ardi., 
XIV,  117].  Evonymns  europaeus,  del  tipo  *runcaggine.  L'etimo 
è  incerto,  ma  la  forma  è  latina  (*runcago),  come  quella  di 
fusaggine  che  viene  da  fusus  perché  con  questo  legno  si 
fauno  fusa  ;  cfr.  anche  il  ted.  Spindelbaum. 

490  rìisjnn  '  torsolo  ',  '  rosicchio  ',  tor.  rusij. 

4:91  fa  '  già  '. 

492  sakaìià  '  agitare  ',  '  scuotere  '. 

4:9'ò  fabia  "giovedì",  pieni,  gobia,  j  o  v  i  a. 

494  falerta  '  lucertola  '  :  metatesi  di  Inserta  come  nel  tor.  [cfr. 
Ardi.,  Ili,   160;  v.  anche  Salvioni,  J?om.  ./cy^r.,  V.  I,  136]. 

495  fé  '  giuoco  '. 

496  SQ  '  assai  ',  '  abbastanza  '. 

497  fein,  feind,  dar/einase  '  digiuno  ',  s.  e  agg.,  '  digiunare  ', 
'  sdigiunarsi  '.  Queste  forme  accennerebbero  ad  una  riduzione 
finale  di  jejiuno  in  *j  è  n  o  :  se  per  aferesi  o  sincope,  può 
restare  incerto;  più  verisimile  forse  la  seconda  (cfr.  prov. 
zeonar,  fr.  zeuner).  Darfenaise  da  *d  i  s  -  j  e  j  i  u  n  i  a  r  e  (cfr. 
genov.  desaffiiìiase);  non  molto  probabile  un  *de-re-jeju- 
nare  [cfr.  ancora  Flechia,  Ardi.,  Vili,  348,  s.  desfafunao]. 

498  /emme  '  gemere  '. 


Lessico  pi  veronese  311 

4:99 /erbe  'luogo  incolto',  'sterpeto',  'sodaglia',  ecc.  Risponde 
normalissimamente  a  *g  e  r  b  i  d  o  (cfr.  cande=  e  sui  dì  d  o 
[e  V.  Arcìi.,  XIV,  115]).  Gerbo,  gcrbido,  ferbo,  ferbido,  forme 
medievali  proprie  dell'Italia  superiore  e  segnatamente  della 
Lombardia  e  del  Piemonte.  Dial.  gerb,  Jerb,  yerbi,  yerbia, 
ferbi.  /erbe,  ferbia  agg.  e  sost.,  con  forme  derivate  special- 
mente in  nomi  locali  propri  d'oltre  60  luoghi,  quali  p.  es. 
Gerbo.  Gerbido,  Gerbino,  Gerbona,  Gerbone,  Gerbosa,  ecc.,  Zerbo, 
Zerbaglio,  Zerbone,  Zerboso,  ecc.  [V.  Dizion.  geogr.  post.  d'Italia]. 
Noterò  ancora  come  gerbii  '  terreno  incolto  '  sia  anche  proprio 
del  siciliano  e  come  il  Pasqualino  lo  tragga  dall'arabo  gerba 
'  sterile  ',  sebben  forse  d'origine  pedemontana.  L'etimologia 
può  dirsi  incerta,  ma  verisimilmente  germanica,  e  il  tipo  la- 
tino *g  e  r  b  i  d  0  sarebbe  di  formazione  romanza,  come  p.  es. 
ripido,  sbianrido,  muffido,  emil,  fbiavido  {fbiaved,  fbiavad, 
fbiavod,  fbiavd),  piv.  flave  da  *flavido  (v.  sopra),  mil.  flened 
{ f  legnido) 'i\g\\os,o\  ecc.  Negli  Statuti  di  Valle  Anzasca  e  di 
Intra:  "in  terris  Zerbijs  „  (terre  incolte):  v.  Ascoli,  Arch., 
I,  253  n. 

bOO  /neivre,Jneuro  'ginepro';  monf.  fneiv,  fneiver,  juniperus. 

501  fov  'giogo  '  jugum  (cfr.  gen.  fiivi,  ni.  it.  Giovi),  moni. /uve. 

502  favo,  fòvna  '  giovane  ',  m.  e  f.  ;  cfr.  ligure  zuènu,  zuma. 

503  fud  '  giocare  ',  '  scommettere  '. 

504  fune  '  giunto  ',  '  congiunto  '  :  j  u  n  e  t  u  :  mm  funce  '  mani 
giunte  '  ;  fcf  funca  '  prestarsi  la  vacca  ', 

505  Jinikuli  '  correggia,  cinghia  di  cuoio  che  tiene  attaccate  le 
corna  dei  buoi  al  giogo';  monf.  fiinkre  [v.  Ferr.,  p.  129], 
valtellin.  jongola  (v.  Ascoli,  Arch.,  I,  303)  =  *j  u  n  e  t  u  1  a, 
*Juncfla,  *j  u  n  e  u  1  a,  *j  u  n  e  1  a,  poi,  per  epentesi,  ;w/jco/a. 
[Nel  dialetto  di  Albertville  la  voce  mériva  à  lo  stesso  signi- 
ticato). 

506  funeg   e  f/ìug   '  ginocchio  ',   tutti    e    due    al    plur.  funigi  ; 


312  Giovanni  Flechia, 

fungun  '  ginocchioni  '  ;  anfimgase  (cfr.  gen.  infennugase)  '  in- 
ginocchiarsi ';  anche  anfungunase  (propriam.*i«^mocc/iiowam), 
anfunigte  e  anfungunte  '  inginocchiati  '. 

507  salarili  '  saliera  '. 

608  samnà  '  seminare  '  :  sàmna  o  smelna  '  semina  '  ;  sanine  '  se- 
mini '. 

509  santarel  '  passaggio  ',  '  valico  ',  propriara.  sentieruolo. 

510  sajyel  '  chiudenda  ',  '  valico  delle  siepi  ',  '  callaja  '  ;  altrove 
(mod.  zapell,  genov.  sapellu)  vale  '  inciampo  ',  'impigliamento'. 
Circa  l'etimo,  v.  Flechia,  Ardi.,  Ili,  167-69. 

511  saré  '  chiudere  ',  '  serrare  '. 

512  saren  '  ciglio  '. 

513  savà  '  sciacquare  '. 

514  sausisa  'salsiccia'. 

515  savei  '  sapere  '. 

516  fbalkà  '  finire  ',  '  cessare  ',  '  scemare  '  ;  cfr.  mi),  halka  (Bion- 
DELLi)  [monf.  barké,  can.  balkar,  emil.  balka,  e  v.  Nigra, 
Ardi..  XIV,  355]. 

517  fbardlà  '  spargere  ',  '  sparpagliare  '  :  cfr.  sjìalura. 

bis  fbarnd  '  snidiare ',  'uscir  del  nido',  tor.  sfiirnié  ^  *ex- 
foris-nidare.  Questo  verbo  con  le  sue  derivazioni  nomi- 
nali (v.,  sotto,  fbar7Ìeur)  è  pur  proprio  della  Francia  meri- 
dionale, e  il  neoprovenzale  ha  eifournid,  fournid  [cfr,  Romania, 
I,  89].  Il  piv.  fbarnd  '  uscir  del  nido  ',  per  quanto  singolare 
nella  sua  evoluzione  fonetica,  non  può  non  connettersi  etimo- 
logicamente col  torinese  e  col  neoprovenzale.  —  Vedi  Ascoli, 
Ardi.,  Ili,  90  n. 

519  fbardeiir,  fbarneura  (tor.  sfiìrniur,  sfiirnioira).  Dicesi  di 
uccello,  che,  già  messe  le  penne,  sta  per  uscire  o  può  uscire 
del  nido.  Risponde  ad  un  ital.  *sfornidatoJo  [cfr.  Arch.,  XIV, 
113],  dal  verbo  ^iv.  fbarnd,  tor,  sfUrnié  (v.  sopra), 

520  fbarnd  'spaventare'  *ex-pavorare  (cfr.  it.  are,  spaurare). 


Lessico  piveronese  313 

b2l  fbilrdi  'sbigottire',  'sgomentare',  'impaurire'. 

522  scera  *  vedere  '  ;  sceì'  '  vedo  ',  tor.  scairu. 

523  skan  '  sedile  ',  '  scanno  '  :  cfr.  Arch.,  VIIT,  386. 

524  skaravel  '  gradino  '  o  '  pinolo  '  della  scala  a  pinoli. 

525  skarun  '  vomero  ',  '  coltro  '. 

526  scass  '  spesso  ',  '  fitto  ',  '  compatto  '  ;  monf.  scasse,  genov. 
scaiiu,  mil.  scassak,  piac.  scassag,  pav.  scassik,  ant.  lomb. 
schiasseo  [cfr.  Nigra,  Arch.,  XIV,  378]. 

527  skavià  'scarmigliare  i  capelli':  scapigliare. 

528  skivi  'schifo',  'schifiltà'  =  *skivio.  Notevole  il  tipo 
skivio,  skifìo  per  l'it.  'schivo',  'schifo',  proprio  essenzial- 
mente dei  dialetti  lomb.  e  pieni.  :  Bonvesin  sgivio,  sgivioso 
(1.  schi),  Seifert,  GL,  p.  67  ;  mil.  skivi,  sost.  skivia,  skiviett, 
skivietta,  skivio,  skivios,  skiviaria  [v.  Cherub.,  Voc.  mil.,  s.  vv.]  ; 
tor.  skèfl,  skèfius,  skivié,  monf.  skive  sost.  Il  tipo  schifio  è  pur 
del  siciliano  :  schifìu,  schifiari,  schifìusii,  schifignusu  e  schinfi- 
gnusu.  Quest'ultima  forma  ricorda  lo  schinfi  Valenzano  (Aless.  : 
Papanti,  p.  751,  10),  e  vien  pure  a  mente  se  anche  qui  non 
si  tratti  d'elemento  pedemontano.  Circa  l'origine  germanica 
v.  Muratori,  Diss.,  XXX,  s.  schifare,  e  Diez,  P,  s.  schivare 
[KoRTiNG,  N.  3785]. 

529  skot  '  bruscolo  ',  '  fuscello  '  ;  nel  monf.  scott  '  spina  delle 
acacie  '  [cfr.  afr.  escot,  nfr.  écot  e  v.  Kòrting^,  N.  8514]. 

530  skova  '  scopa  \ 

531  skrivfà  '  graffiare  ',  '  lacerare  ',  '  sbrindellare  '. 

532  skuó  '  scopare  '  :  scuci  al  nòs  '  bacchiar  le  noci  '  :  scóva 
■  scopa  '. 

533  skuat  '  piccola  scopa  ',  '  scopette  '  ;  plur.  scuitt. 

534  skum  '  soffocare  ',  '  estinguere  ',  ad  es.  il  fuoco.  Aggett. 
scmius. 

535  skurfatd  '  scoreggiare  ',  '  tirar  delle  coregge  '  ;  propriam. 
*scoreggiattare. 


314  Giovanni  Flechia, 

536  skutiun,  pi.  '  bordoni  ',  '  spuntoni  delle  penne  degli  uccelli  '  ; 
skutiun  fiurl  '  bordoni  già  bene  spuntati  '. 

537  skiirs  '  sorta  di  rettile  '  ;  cfr.  skilrsé  '  accorciare  ',  e  v.  Diez, 
II,  129. 

538  skiiarà  'scivolare',  'sdrucciolare'  [cfr.  Nigra,  Arch., 
XIV,   379]. 

539  skuarenta  '  sdrucciolo  ',  '  slitto  '  :  fa  la  skuarenta  '  far  lo 
sdrucciolo  '  :    cfr.  skuard. 

540  skiteis  '  pattume  ',  '  spazzatura  ',  *s  e  o  p  a  t  i  e  o. 

541  skiiìca  'pollina'.  Da  un'antica  radice  germanica  skit  'ca- 
care ',  donde  più  forme  di  nomi  e  verbi  nei  dialetti  teuto- 
nici fino  all'odierno  tedesco  scheissen,  scheisse  (v.  Fick,  Vergi. 
Wort.,  ecc.,  IIP,  336),  donde  anche  più  nomi  e  verbi  dei  dia- 
letti dell'Italia  superiore  {skit,  skita,  sketa,  skito,  skiiita,  skuitta, 
sgit,  sgita  \  skitar,  skuitta ,  sgitar,  ecc.).  Il  piv.  skui'ca  veri- 
similmente  da  *skuicla  *skuit'la  *skuitula.  la 
quale  ultima  forma  verrebbe  suffragata  per  es.  dal  berg. 
bresc.  com.  skitula,  ven.  skitolar,  monf,  skitld,  parm.  skuitterà 
(*s  k  u  i  1 1  u  1  a  r  e),  mant.  mirand.  skitna  (*s  k  i  t  u  1  a.  cfr. 
pieni,  lodna  =:  a  1  a  u  d  u  1  a).  Alla  stessa  radice  gemi,  mette 
capo  secondo  il  Diez,  li,  e.  s.  v.  l'ant.  fr.  echiter  '  mac- 
chiare ',  '  sporcare  '.  Cfr.  ancora  Schneller,  Die  romanische 
Volksmund.  in  Sudtirol,  184,  s.   sghitar. 

542  sei  '  sete  '  :  cfr.  rei  '  rete  '. 

543  seja  '  setola  '. 

544  seind  '  salassare  ',  piem.  sa7Ìé.  Seine  '  sanguini  '  :  notevole 
V  ei  da  ai  per  assimilazione  come  in  keina  da  *kaina  '  catena  '  ; 
cfr.  fr.  seigner. 

545  seinia  '  salasso  ',  cfr.  piem.  santa. 

546  sele,  selja  '  liscio  ',  '  liscia  '  :  tor.  soli,  solja,  mil.  soli  o  soli, 
gerì,  sorju,  da  solidus  [cfr.  Ardi.,  XIV,  115]:  all'o'  lat.  si 
corrisponde  nel  piveronese  con  e  e  con  o  :  v.  Fonol. 


Lessico  piveronese  315 

547  ségn  '  ciglio  '. 

548  sene,  senha  '  cintura  ',  '  cintola  '  :  cfr.  sirene. 

549  sfajà  '  stanco  '. 

550  /gara  '  sgarrare  ',  '  sbagliare  '. 

551  /(jarbiUà  '  frugare  ',  '  rimescolare  '. 

552  fgera  '  sprecare  ',  '  sciupare  '.  tor.  sgairé  [genov.  sgrejà  : 
cfr.  Parodi,  Giorn.  Lig.,  XII,  250  ;  Gius.  Flechia,  Postille  al 
gloss.  mediev.-Ug.  di  Gr.  Rossi,  N.  5]. 

bb3  fgilrbia  'scalpello  a  doccia',  'sgorbia'. 

554  slbbi,  *  subbio  '  fischio  ',  '  sibilo  '  (anche  silbi  [cfr.  Areh., 
XIV,   115]). 

555  silni  o  sirni  '  cortile  ove  abitano  più  famiglie    o    persone  '. 

556  sivera  '  specie  di  barella  ',  diversa  da  quella  che  in  piem. 
si  dice  baréla.  Dal  lat.  cibaria:  cfr.  monf.  sfeni.  ìt.civaja, 
sp.  ciberà  [v.  REW.,  1895]  ;  cfr.  Diez,  II,  257,  s.  civiére. 

557  sivula  '  cipolla  '  ;  cfr.  piem.  siula,  genov.  sioula  e  slvula,  e 
V.  Arch.,  VIII,  338. 

ùhS  flave  'pallido',  'smorto',  probabilmente  da  tipo  in  -ido, 
*ex-lavido.  Cfr.  elavare,  eluere  'lavando  auferre  '  ;  it. 
slavato,  dilavato;  ar.  sci«/èec?o  =  *exalbidus,  e  sbiancido, 
sbiancato  [Il  Salvioni,  Rom.  Jahresbericht,  IV,  i,  131  (contro 
Parodi,  Rom.,  XXVII.  234)  postula  *làvitus.  V.  ancora 
Salvioni,  Belcazer,  pag.  968]. 

559  fleivrd  '  lampeggiare  ',  '  balenare  ',  sinonimo  di  losnà. 

bQO  flengud  'liquefare',  exliquare. 

561  fleura  '  aratro  ',  tor.  sloira,  pav.  sloria,  niil.  siloria  (e  non 
sciloira,  come  in  tutte  le  edizioni  del  Diez,  I,  s.  aratro  e  II, 
s.  siller,  e  quindi  anche  nelVIndex  del  Jarnik).  Accennano 
tutti  colla  speciale  loro  forma  ad  un  prototipo  *silatoria 
che  sarebbe  nome  significante  propriamente  lo  stromento  del 
solcare,  *solcatoJa  (cfr.  it.  cesoja,  strettoja,  mangiafoja),  e  cosi 
si  renderebbe   tanto    pili    probabile    l'antica    forma    francese 


316  Giovanni  Flechia, 

silloìre  0  silleoire  congetturata  dal    Diez   (s.  aratro),    analoga 
ad  écumoire,  nageoire,  ecc.  [cfr.  Diez,  Et.  tv.,  s.  vv.]. 

562  fmorhe  'smorfioso',  'schizzinoso',  'delicato',  da  morbidus; 
cfr.  Ascoli,   Arch.,  VII,  536,  s.  miervi. 

563  fmune  '  offrire  ',  '  esibire  ',  partic.  pass,  smos,  stnost,  smunti 
(cfr.  ant.  gen.  semoso  [Arch.,  Vili,  389])  ;  cfr.  prov.  e  fr. 
semondre  da  su mm onere  [cfr.  Tobler,  Ugucon  de  Laodo,  hi); 
Ascoli.   Arch.,  IV,  395]  ;  smoste  '  esibite  '. 

564  fnaviase  '  incamminarsi  ',  '  avviarsi  '  *ex-in-adviare-se  : 
cfr.  s.  anave. 

565  soja  :  voce  colla  quale  si  chiama  una  persona  di  cui  s'ignora 
il  nome:  cfr.  mil.  sòj.  Il  Ferraro  (p.  110)  registra  il  monf. 
so;,  soja  collo  stesso  significato. 

566  sora  :  sorasse  'sfogarsi':  sorte  'sfogati',  *ex-aurare, 
tose,  sdorare,  sciorinare  'spiegare  all'aria':  cfr.  Ascoli,  Arch., 
I,  328,  9,  10  ;  Mussafia,  Beitr.,  108,  s.  sorar,  e  Diez,  Et.  Wort., 
I,  366  [BEW.,  2941]. 

567  sparangun  '  laccio  ',  '  lacciuolo  da  prendere  uccelli  '.  È  pur 
proprio  del  comasco.  Verrebbe  dall'a.  a.  ted.  springa  '  vincolo  '; 
'  ceppo  '  :  V.  Diez,  II,  6,  s.  afr.  esplinquer,  dove  è  pur  citato 
il  prov.  esperenc. 

568  sparfità  '  osservare  esplorando  ',  '  spiare  '. 

569  spatarà  '  dispergere  ',  '  sparpagliare  '. 

570  spcà  '  aspettare  ',  speca  '  aspetta  '  ;  tor.   speté,  spela. 

571  spia/  'mallo  della  noce'. 

572  spinga  '  spilla  '  =  s  p  i  e  a  :  cfr.  Ascoli,  Arch.,  IV,  171  [e 
NiGRA,  Atrh.,  XIV,  298]. 

573  spuas  'sputo',  propr.  'sputaccio',  mil.  sjjiias,  -sa,  ant.  lomb. 
spua/ar  [cfr.  Salvioni,  Arch.,  XII,  433],  ant.  gen.  spnazao 
[Flechia,  Arch.,  Vili,  392],  nap.  spotazza,  sic.  sputazza. 

574  spungarola  o  spungola  '  piccola  spugna  '. 


Lessico  piveronese  317 

575  sputjiì  'molle',  'fangoso',  *spoltigliuto,  àa. 'putija  'poltiglia': 
cfr.  pòt  '  poltiglia',  '  pollentina  '. 

576  starcera,  si  dice  della  noce  malescia:  nuf  staì'Cera  =^  n  u  e  e 
*strictaria;  lomb.  nos  strenca,  parm.  uosa  stretta.  È  la 
juglans   regia   fructu    perduro  de'  botanici. 

577  steiva  '  manico  dell'aratro  ',  '  stegola  '.  Nel  dizionario  del 
Sant'Albino  e  del  Ponza  [e  del  Gavuzzi]  si  anno  le  due 
forme  stiva  e  steioa  ;  e  cosi  il  tose,  stiva  e  stegola. 

578  stera  '  stuoia  \  tor.  storia,  It.  s  t  o  r  e  a. 

579  sterne  '  selciato  ',  tor.  sterni,  verisimilmente  da  s  t  e  r  n  i  o 
(cfr.  lectisternium,  lectisterniator). 

580  stibi  'tramezzo',  'assito',  tor.  stèbi ^*stìbìo.  Nella  parte 
it.  del  voc.  De  las  dos  lenguas  tose,  y  cast,  di  De  las  Casas  ... 
[il  ms.  non  dice  altro]. 

581  storfe  '  torcere  ',  '  storcere  ',  partic.  pass,  sturfil. 

582  stra  '  sotterrare  ',  stera  '  sotterra  '  ;  cfr.  streur. 

583  straia  '  giacitelo  ',  '  fenile  '  ;  detto  del  fieno  od  anche  della 
paglia,  riposti  sotto  la  tettoia,  considerati  principalmente 
come  luogo  dove  una  o  pili  persone  (contadini  o  poveri)  vanno 
a  dormire.  Questo  vocabolo  riverrebbe,  secondo  me,  per  evo- 
luzione, foneticamente  normale,  a  *s  t  r  a  t  a  1  i  a,  collettivo 
del  lat.  strato,  '  giacitoio  ',  '  dormitorio  '.  Sarebbe  dalla 
stessa  radice  donde  l'it.  strame  col  significato  di  '  letto  ', 
'  luogo  dove  giacere  '. 

584  strassuà  '  sudare  ',  '  sudato  ',  propriam.  '  strasudare  '  ;  ma 
sildór  ;  tor.  strassué. 

585  stravakà  '  rovesciare'  :  cfr.  Flechia,  Arch.,  Ili,  149  [e  Pa- 
rodi, Rom.,  XXVII,  201]. 

586  streur  '  becchino  ',  sotterratore. 

587  striasa  'averla',  propriam.  'stregacela':  cfr.  monf.  e  genov. 
stria  '  strega'.  Pesto  :  '  lamias,  quas  gallica  lingua  strias  dicunt'. 


318  Giovanni  Flechia, 

588  strufa  'logorare',  'rompere',  'segare':  strufun  'guasta- 
mestieri '. 

589  strunà  e  struhà  'rintronare',  'assordare';   tor.  ^stnini". 

590  strunpd  '  recidere  ',  '  discerpere  ',  '  troncare  '. 

591  stiibia  'stoppia',  stipula. 

592  stiljà  '  nettare  ',  '  pulire  '.  Notevole  questo  verbo  proprio 
del  piv.  e  di  alcune  varietà  biellesi  e  canavesane,  più  note- 
vole in  quanto  è  anche  proprio,  collo  stesso  significato,  del  na- 
politano {stojaré)  e  del  siciliano  [stujari).  Nel  Voc.  sic.  etim.  ecc. 
del  Pasqualino  sono  proposti  come  etimi  di  questo  verbo  lo 
spagnuolo  estrusar  'spremere"  o  il  lat.  ex  tergere.  Quanto 
a  me.  non  dubito  di  vedervi  il  verbo  neolatino  studiare, 
donde  normalmente  l'evoluzione  fonetica  come  nel  nap.  rajare, 
sic.  rajari  da  radiare,  nel  canav.  an  Vreja  da  in  E  p  o- 
r  e  d  i  a.  Quanto  al  processo  logico,  come  da  cura  r  e,  e  x- 
curare,  vennero  ai  dialetti  i  verbi  significanti  '  nettare  ', 
'  pulire  ',  ■  nettare  strofinando  ',  ecc.  [v.  Arch.,  Ili,  137],  cosi 
da  studiare  derivaronsi  con  analoga  significazione  le  ci- 
tate forme  nap.,  sic.  e  pieni.  [Già  nel  lat.  curare  valeva 
'nettare',  'pulire'.  Cosi  leggiamo  in  Plauto  {Cist.,  II,  115): 
"Cura  te  amabo,  siccine  immunda,  obsecro,  ibis?  „  'di 
grazia,  nettati,  pulisciti  '. 

598  standa  [il  ms.  ha  qui  una  lacuna]. 

594  su,  voce  con  cui  si  disperge  o  metto  in  fuga  il  pollame  : 
monf.,  id. 

595  suat  '  poltiglia  '  :  s  u  g  h  e  1 1  o. 

596  silbri  '  bigoncia  ',  '  mastello  '  :  varietà  piem.  sèbe?',  suber, 
mil.  ziber,  gen.  sebbru,  pav.  sebar,  trent.  zever  |  cfr.  Schneller, 
Bie  rom.  Volksm.,  131,  s.  cever,  zever  ecc.].  Questo  vocabolo, 
|)roprio  di  dialetti  dell'Italia  superiore,  specialmente  lomb.  e 
piem.,  viene  dal  germ.  (aated.  ziiibar,  oggi  ted.  zuber,  ingl. 
fub,   ecc.).    Nel    piem.    sebré,    siibré  'mastellaio';   indi  il    co- 


Lessico  piveronese  319 

gnome  Sobrero.  Nei  documenti  medievali  cevro,  zivro,  civrio. 
Negli  Statuta  civitatis  Montisregalensis  (Mont.,  1570,  p.  313) 
si  legge:  "prò  quolibet  tinello,  cibrio  et  situla  magna,. 
Notevole  la  fortuita  coincidenza  etimologica  del  primo  membro 
dei  due  composti  su- ber  e  bi-goncia.  Il  germanico  znibar,  zuber, 
ricostruito  a  forma  indoeuropea,  metterebbe  capo  a  dyii-bhoro, 
gr.  ói-g)OQo,  lat.  b  i  -  f  e  r  :  e  bi-goncia  viene  da  b  i  -  e  o  n  g  i  o  ; 
e  il  cognome  Sobrero,  venuto  normalmente  al  latino  per  an- 
tico canale  italico,  sonerebbe  *biferario.  Vedi  inoltre  Lorck, 
o}).  cit.,  p.  55. 

597  Sili  '  accetta  '  s  e  e  u  r  e. 

598  Stila,  ni. 

599  sìdat  '  accetta  '  ;  dimin.  di  siìl. 

600  siuita  '  bovina  '  ;  cfr.  fr.  fiente,  bi'esc.  e  gen.  sola,  tor.  biifa. 

601  supartilra  '  funerale  ',  propr.  sepoltura. 

602  superbe,  da  superbio  :  canibe  '  cambio  ',  armare,  armario  [e 
v.  Flechia,  Ardi.,   XIV,   115]. 

603  supiatà  e  supiatund  '  zoppicare  ',  propr.  *zoppettare,  *zop- 
pettonare. 

604  suì'asse,  v.  sera. 

605  surti  '  uscire  ',  come  in  generale  negli  odierni  dialetti  set- 
tentrionali. 

606  siistà  'raspolare',  'appetire',  'far  lappa  lappa':  tor.  silsné, 
sic.  susfari  [cfr.  Flechia,  Ardi.,  XV,  393;  Salvioni,  Post,  al 
Kort.,  21:  KoRTING^   N.   9297]. 

607  silstun  'ghiotto',  tose,  'lembrugio';  tor.  susnun,  nap.  su- 
stante,'sìc.  sustussu  :  v.  siistà. 

608  silstunà  'appetire',  tose.  '  lembrugiare ';  v.  susta  e  silstun. 

609  siì'J'iija  '  cicigna  ',  lat.  e  a  e  e  i  1  i  a  [cfr.  Nigra,  Canti  pop. 
del  Fiem.;  cfr.  ciìfija,  valbross.  safiilja,  e  v.  Flechia,  Ardi., 
XIV,  114.  NiGRA,  XIV,  271-2;  Salvioni,  Rom.  Jahr.,  V,  i,  132J. 

610  fvertid,  svartid  '  ripiegare  ',  exverticare. 


320  Giovanni  Flechia, 

611  tarane  'ragnatela'  [cfr.  ant,  gen,  taraghà,  neogen.  tana,  e 
V,  G.  Rossi,  Gloss.  med.-liy.,  p.  127;  Gius.  Flechia,  Postille 
al  gloss.  del  Rossi,  N.  99J,  torin.  rarìd. 

612  tarsarel  '  terzo  fieno  '  :  cfr.  riorda. 

613  far/loia  '  specie  di  allodola  '.  Risponde  anche  di  significato 
alla  terraneola  della  XXXI^  delle  Novae  fahulae  di  Fedro, 
pubblicate  nel  1811  dal  nap.  C.  Jannelli  secondo  il  Codice 
Perottino  : 

avis  quam  dicimt  terraneo  la  m  rustici 
in  terra  nidum  quia  componit  scilicet. 

A  questa  terraneola  si  risponde  pur  sempre  col  senso 
d' 'allodola'  dal  terragnolo  barese  e  pugliese,  taragnola  lec- 
cese, tarragnola  umbrico,  tartìola,  tèrhola,  trènola,  trinola  ca- 
navesano;  e  l'alto  piemontese  à  tararla  per  l'alauda  arborea 
degli  ornitologi.  Questi  echi  vernacolari  di  t^e  r  r  a  n  e  o  1  a, 
propri  delle  varie  parti  d'Italia,  ben  possono  affermare  un'alta 
romanità  del  vocabolo  latino  e  insieme  col  secondo  dei  due 
versi  sopracitati  far  del  tutto  contro  la  variante  terantula 
del  Codice  Vaticano  (cfr.  Mai.  CI.  anct.,  t.  3,  p.  300).  Il  piem. 
^ara/ia  :=  *t  e  r  r  a  n  e  a  ci  darebbe  il  primitivo  di  terra- 
neola rappresentato  con  diverso  significato  dall'  it.  terrana 
e  ad  ogni  modo  suffragato  morfologicamente  da  center- 
r  a  n  e  u  s,   m  e  d  i  t  e  r  r  a  n  e  u  s,   s  u  b  t  e  r  r  a  n  e  u  s. 

614  teja  '  baccello  '  da  t  h  e  e  a  [cfr.  bi(teja  =  a  p  o  t  h  e  e  a].  Nel 
ven.  mant.  com.  tega,  emil.  tega  e  teiga  che  il  Biondelli  con- 
nette con  t  e  g  e  r  e  e  col  ted.  decken  '  coprire  '  e  il  Monti 
con  tegmen.  Non  popolare  l'origine  del  mil.  tekka  'reli- 
quiario'. Da  theca  verrebbe  ancora  [v.  Diez  e  Littrè 
(KoRTiNG^,  N.  9512)]  il  fr.  taie  'fodera  del  guanciale';  e  il 
gen.  con  teiga  à  destegà  '  sbaccellare  '. 


Lessico  piveronese  321 

615  teppa  '  zolla  erbosa  ',  '  piota  '  :  cfr.  sp.  tepe,  com.  tepa,  corso 
teppa,  tipponi. 

616  tertifola  'patata':  cfr.  tartufo  terrae-tuber;  il  piem. 
proprio  à  trifola  '  tartufo  ',  tartifia  '  patata  '  [notevole  il  chia- 
varese  (Ligure  orientale)  triifia  '  patata  ',  trilfina  '  patatina  '  ; 
tifra  Albert  ville]. 

617  tnebri  '  raganelle  '.  .  .  ;  lucchese  tenebrone  '  il  giorno  delle 
tenebre  '  ?. 

618  tneja  '  tanaceto  ',  '  atanasia  '  (tanacetum  vulgare 
de'  bot.),  tor.  tnea,  volg.  tose,  daneta. 

619  inesca  'bagolaro'  (e  e  1 1  i  s    a  u  s  t  r  a  1  i  s),  tor.  tanèsca. 

620  tolat  '  stagnaio  '. 

621  topia  '  pergola  ',  '  pergolato  '. 

622  Tupièl  e  Tnpièi  (plur.)  ni.  ant  ij  Tnpièi. 

623  torna  '  di  nuovo  '  :  a  piov  fa  torna  '  piove  già  di  nuovo  '  : 
pur  proprio  dell'alto   Piemonte  e  del  genovese. 

624  tra,  fem.,  '  spago  '. 

625  ^m/wq/' tramaglio',  'tremaglio',  rmX.tremagg  {ge.n.  trémagi), 
perché  pel  mil.  '  maglia  '  suona  magga. 

626  trampà  '  sfreddare  '  (temperare  ?). 

627  travess  '  traverso  '  :  cfr.  pésse  '  persico  '  :  cosi  trauscì  '  tra- 
versare ',  transa  '  traversa  '. 

628  traun'à  'inghiottito',  da  traimele,  travonde  'inghiottire', 
t  r  a  n  s  f  u  n  d  e  r  e  ?  ant.  lomb.  traonne  [cfr.  Salvioni,  Arch., 
XII,  437].  Cfr.  monf.  travus  coll'ant.  gen.  travoso:  v.  Flechia, 
Arch.,  Vili,  399.  Piv.  trawunuji  '  inghiottitole  ',  ij  u  trawunuji 
'  le  ò  inghiottitole  '. 

629  trèbiil  '  torbido  '  :  cfr.  mil.  tórber,  nap.  trurolo,  friul.  turgul, 
beli,  targala,  dialetti  veneti  turvolo  [cfr.  Ascoli,  Ardi.,  I,  ind. 
less.,  s.  tiirbnlo]. 

630  trèmme  'tremare',  lat.  tremore:  cfr.  prov.  cremer,  fr. 
craindre. 


322  Giovanni  Fleehia, 

631  trètte  'pillacchere',  tor.  fèrie. 

632  triat  e  triétta  '  mezzaluna  ',  sin.  di  ciapUleura. 

633  triés  '  tritarne  ',  '  minutaglia  ',  t  r  i  t  i  e  e  i  o. 

634  trincat  e  trincetta  '  roncolo  ',  '  roncoletto  '. 

635  f riunì,  sinon.  di  triés,  prop.  t  r  i  t  u  ni  e. 

636  tre  [tró)  '  truogo  ',  che  nel  toscano  assunse  anche  la  forma 
sdrucciola  del  dimin.:  truogolo:  cfr.  stegola,  heggioìa,  ecc. 

637  trusa  '  fascio  di  erba  ',  '  fagotto  di  biancheria  ',  ecc. 

638  ti'ic'  'tutto':  v.  Fono),  e  cfr.  Storm,   Voy.  at.,  p.  61. 

639  ttiméra  '  tomaio  '. 

640  turni  '  caciuole  '  |v.  Arch.,  XIV,  114 1.  Cfr.  Diez,  s.  for- 
maggio [e  NiGRA,  Arch.,  XIV,  289]. 

641  tup  '  oscuro  ',  '  bujo  '. 

642  turceur  'imbuto',  gen.tm'faio,  bresc.  tortarol,  ecc.  [v.  Nigra, 
Arch.,  XV,  II,  97,  e  Bertoni,  Le  denominazioni  dell'  '  imbuto  ']. 

643  ua/a  '  gleba  '  :  cfr.  Diez,  s.  gazon. 

644  i\(j<t  '  ago  '  a  e  u  e  u  1  a. 

645  ilgà  '  agugliata  ',  '  gugliata  ',  genov.  aguggà. 

646  ìlgon  'grosso  ago':  cfr.  iljon. 

647  iljnn  '  aguglione  '  :  l'uno  e  l'altro  da  a  e  u  1  e  o  n  e  :  cfr.  Fle- 
CHiA,  Riv.  di  fil.  class.,  I,  385   e  seg.  ;  Arch.  glott.,   Ili,    167. 

648  umhreng  '  ombroso  ',  detto  di  cavallo  o  vacca. 

649  upi  '  oppio  ',  opulus  ;  v.  Fonol. 

650  ural  'uragano',  'bufera':  da  aura:  cfr.  piem.  oms,  orme, 
or  issi  (Ponza,  Gavuzzi)  a  u  r  i  e  i  o  ;  fr.  orage;  Bonvesin  orada; 
cfr.  Seifert,  Gloss.  zu  den  Gedichten  des  Bonv.  da   Riva,  p.  52. 

651  tirsi/ u  '  rosolia  ',  da  tipo  che  nel  latino  sarebbe  *russigine. 
Cfr.  sic.  russaina  o  riissania  (come  vurrania  e  vurraina  da 
b  o  r  r  a  g  i  n  e),  gen.  russaffe  od  anche  russa/fine  da  *r  u  s- 
sagine  [cfr.  monf.  rusafu,  arsafu,  Ferraro,  p,   113]. 

652  urtidse  '  orti  carsi  '. 


Lessico  piveronese  323 

653  urtU  '  luppolo  ',  tor.  liivertin,  pann.  avertis  {eh.  Crescenzio, 
voi.  3°,  p.  357).  [Vedasi  ora,  a  proposito  dei  vari  nomi  neo- 
latini del  '  luppolo  ',  Salvioni,  Romania,  XXXI,  555-58]. 

654  urtiun  '  cercine '  =  rer^mw  :  cfr.   il    ni.   f/rZm^  =  Verolengo. 

655  urubi  '  grosso  succhiello  '.  Questa  forma  è  anche  propria  di 
dialetti  contermini,  massime  biellesi,  e  verisimilmente  con- 
nessa d'etimo  cogli  equivalenti  lomb.  oeropol  (valtellin.),  ve- 
robi  (vai  Vergasca),  sgarobi  (com.).  Le  due  prime  forme  fanno 
naturalmente  pensare  all'it.  verrina  (gen.  verina),  'trivello', 
che  il  DiEZ  (P,  442)  connette  con  molta  probabilità  col  lat. 
V  e  r  u,  propr.  '  spiedo  ',  quindi  a  ogni  modo  '  strumento  per 
forare'  (infiggendo,  trapassando).  Or  come  da  veru  me- 
diante il  suff.  second.  -ina  ne  sarebbe  venuto  verrina  (cfr. 
DiEZ,  ivi),  cosi  per  analogia  del  suff.  primario  -buio,  quale 
appunto  nei  nomi  di  strumento  v  e  n  a  b  u  1  u  m,  fibula, 
s  u  b  u  1  a,  i  n  s  u  b  u  1  u  m,  ne  venne  pure  foggiato  per  suf- 
fisso secondario  il  nome  *v  e  r  u  b  u  1  o,  donde  come  in  forma 
toscana  ne  sarebbe  potuto  risultare  *verubbio  (cfr.  v.  gr. 
pabbio,  stabbio,  subbio,  nebbia,  sabbia),  cosi  nei  dialetti  del- 
l'Italia superiore  ne  dovrebbe  risultare  verubi,  verobi.  Da 
*verubi  il  piveronese  urubi  come  da  vertiim,  urtiun,  da  Vero- 
lengo  il  piem.  Urleng.  Il  v  e  r  r  u  b  i  u  s  ('  terebrum  ',  '  in- 
strumentum') di  Papias  non  può  essere  che  una  sua  latiniz- 
zazione del  lomb.  verubi  (cfr.  Mussafia,  Beitr.  z.  Kunde  der 
nord-it.  Mund.,  p.  119  ;  Ascoli,  Studi  crit.,  II,  503  n.).  Vedi 
inoltre  Lorch,  op.  cit.,  p.  42. 

656  urfel  '  orzajuolo  '  h  o  r  d  e  o  1  o,  mil.  or/di,  arfòl,  sardo  ar- 
zolu,  piem.  urfeul.  "  urzel  urzel  —  ven  gross  cm' in  curbel  „, 
dice  una  canzonetta  popolare. 

657  ufel  '  uccello  ',  uflat  '  uccelletto  '. 

658  uslat,  V.  usel. 

659  utubri  '  ottobre  '.    Noto   questa   forma  per  osservare  come 

Archivio  glottol.  ital.,  XVm.  21 


824  Giovanni  Flechia, 

qui  la  pura  ragion  fonetica  abbia  operai. >  senza  die  quosto 
nome  siasi  menomamente  risentito  dell'  attrazione  analogica 
che  poteva  subire  per  effetto  degli  altri  tre  nomi  morfologi- 
camente identici  stembre,  nuvemhre,  dfembre.  Cfr.  l'ant.  fr.  oc- 
tembre. 

660  vadrana  '  sorta  di  erba  '  v  i  t  a  n  e  a  ? 

661  vai  '  vaglio  '  v  a  1 1  u  s. 

662  vaia  'vagliare',  v.  vai  e  cf.  Mussafia,  Beitr.,  117. 

663  Valfanna,  ni.  valligiana  o  *Vaìgiana  da  Valgius?  cfr. 
tose.   Valgiano. 

664  vantajina  '  ventaglio  '. 

665  vargun  '  bastone  '. 

666  varlera  'bastonata',  'bussa':  de  die  varlere  'dar  delle  botte'. 

667  Vaì'tiei,  ni.  da  verna  '  ontano  '  *v  e  r  n  e  t  u  m;  v.  verna. 

668  va/il),  va/iva,  va/iva  '  vuoto  ' ,  '  vuota  ' ,  '  votare  '  ^  v  a- 
ci  V  u  s  :  cfr.  lo  sp.  e  port.  vasio,  sp.  vasiar,  port.  vasar;  Diez, 
II  b,  s.  vasio;  e  il  vald.  odierno  va/iva  '  vuota  di  latte  ',  detto 
della  pecora  [cfr.  Morosi,  Arch.,  XI,  346;  v.  ancora  Kòrting^, 
N.  9949]. 

669  vei  'vero':  l'è  oei  'è  vero':  a   l'è  nin    vei  'non  è  vero'. 

670  veina  '  vena  '  e  '  avena  '. 

671  veira  'ghiera',  '  viera  '  v  ì  r  i  a,  mil.  v'era;  virola,  nap.  ve- 
roletta,  campob.  varuletta  [cfr.  D'Ovidio,  Ardi.,  IV,  157). 

672  veirole  e  virole  '  vainolo  '  :  cfr.  Ascoli,  Ardi.,  1,  50. 

673  vei  '  vitello  '  =  *ve{d)el  [cf.  Nigra,  Arch.,  XIV,  367]. 

674  verna  '  ontano  '.  Nome  di  origine  celtica  :  v.  Flechia,  Arch., 
II,  367;  Nomi  loc.  d'it.,  ecc.,  p.  22-23.  Vivissimo  in  tutto  il 
Piemonte,  mentre  nel  vicino  biellese  auna,  gen.  dna,  fr.  aune, 
lat.  alnus. 

675  vess  '  rumore  ',  propriam.  '  verso  '. 


Lessico  piveronese  325 

676  vgard  '  vecchiaia  '  =  *vetulariata  *vecchiajata  :  cfr.  ve- 
gliardo =  vetulario,  vecchiaia  vetularia. 

677  viera  '  filare  di  viti  '  v  i  t  a  r  i  a  :  cfr.  vrera. 

678  viag  '  volta  '  :  'n  viag  '  una  volta  '  :  '  viaggio  '  per  '  volta  ' 
è  pur  proprio  del  toscano,  di  alcune  varietà  napolitane,  del 
romaico  delle  province  meridionali,  dei  contadini  lombardi,  di 
alcuni  luoghi  del  Piemonte,  ecc.  [V.  Flechia,  Rivista  di  filol. 
class.,  1873,  p.  389.  Nella  Liguria  è  proprio  dei  dialetti  di 
vai  Polcevera]. 

679  viaga  '  presto  ',  propriam.  '  viaggia  '  imperat. 

680  viai'd  (a)  'presto',  'subito',  'in  fretta '.  Neil' Alione  (ediz. 
mil,,  1865),  p.  265:  '  ven  a  vieird'.  Nel  biellese  viarése  'in- 
camminarsi '  :  kmensa  a  viaréte  equivale  al  piv,  cumensa  a  sna- 
vidte.  —  Cfr.  Mussafia,  Monmn.,  p.  122,  s.  via/amento.  Anche 
anviarase  nel  piv. 

681  vijì-él,  vijrei  (da  vejr  -  vair  v  a  r  i  o  1  o)  '  grillo  '  (specie  di) 
che  canta  la  sera  e  la  notte  in  agosto  e  settembre  quando 
l'uva  comincia  a  saracinare  e  si  matura  ;  forse  così  detto  dal 
vOjare  o  vajolare  (variolare)  che  fa  l'uva,  indicato  dal  suo 
canto. 

682  vira  '  volta  '. 

683  vira  '  girare  ',  '  volgere  ',  '  voltare  '. 

684  viruja  '  calza  priva  della  soletta  '. 

685  virulin  '  fusaiuolo  ',  da  virare  '  girare  '  :  lat.  vorticillus. 

686  oifdsse  '  ricordarsi  '  :  cfr,  friul.  visassi. 

687  vito  '  presto  ',  anche  biell.  (fa  vitto),  gen.  fUu,  fr.  vite  [cfr. 
KoRTiNG%  N.  10234]. 

688  vivi,  vivia,  vivido,  vivida,  '  vivace  '.  L'it.  vivido  e  della 
lingua  letteraria;  indi  probabilmente  all'italiano  la  mancanza 
dell'astratto  vividezza  che  potrebbe  tuttavia  adoperarsi  al  par 
di  vivido  qual  voce  letteraria,  come  p.  es.  '  la  vividezza  dei 
fiori  ',  ad  analogia  di  morbidezza,  pallidezza,  ecc. 


326  Giovanni  Flechia, 

689  vni  e  ni  '  venire  '. 

690  voj,  voja  '  vuoto  '  :  vujà  '  votare  '. 

691  vole  'volo',  tor.  voli,  dal  lat.  *v  o  1  i  t  u  s.  Il  vocab.  ital,  à 
due  antichi  esempì  di  volito  e  il  sardo  ha  bólidu.  Il  Tramater 
cava  l'it.  volito  da  volitare;  più  verisimilmente  da  v  o- 
I  a  r  e  come  spiritus  da  spirare,  anhelitus  da 
a  n  h  e  1  a  r  e,  lascito  da  lasciare,  lievito  da  levare. 

692  vrera  '  impannata  '  :  da  *v  i  t  r  a  r  i  a,  propr.  vetraja  '  inve- 
triata ',  ma  oggi  '  impannata  ',  per  essere  al  vetro  succeduto 
panno,  tela  o  carta  [cfr.  Nigra,  Arch.,  XIV,  282].  Vopisco 
ha   nel  suo   '  Promptuarium  '  :   "  ver  èra,  fenestra   chartacea  „. 

693  vriia  '  ruca  ',  '  eruca  '. 

694  waka  *  vacca  '. 

695  wacd  '  guaitare  ',  '  guatare  '  [cfr.  Nigra,  Arch.,  XIV,  384]. 

696  wero  '  guari  ',  '  non  molto  ',  aated.  weigaro  [cfr.  Korting^, 
N.  10372].  V.  Arch.,  VIII,  358,  s.  guairi. 

697  wamja  *  zia  ',  da  *amea,  lomb.  ameda,  lat.  a  m  i  t  a,  con  pro- 
tesi di  w,  mentre  il  palazzese  ha  amia.  Cfr.  Mussafia,  Beitr., 
s.  ameda.  Il  piemontese  magna  potrebb'essere  dal  lat.  [amita] 
magna,  sorella  del  nonno.  V.  Forcell.  s.  amita.  [Il  Sal- 
vioNi,  per  contro  {Arch.,  XIV,  480)  spiega  màtia  come  pro- 
cedente da  mamja  e  il  piveronese  wamja  da  *vamja  =  *mamja. 
V,  ancora  Salvioni,  Rom.  Jahresb.,  IV,  I,  132]. 

698  walba  (non  valba)  '  tratto  di  terreno  '. 

699  wand  '  guadagnare  '  :  cfr.  fr.  gagner  :  ant.  alt.  ted.  tvei- 
denen. 

700  wantér,  wantéra  '  volentieri  '.  Cfr.  Storm,  Voy.  at.,  p.  56. 

701  wardà  '  guardare  '  [cfr.  Nigra,  Arch.,  XIV,  384]. 

702  wari  *  guarire  '  [cfr.  Nigra,  Arch.,  XIV,  384]. 

703  warnà  '  custodire  ',  '  conservare  '  ;  piem.  guerné,  prop.  '  go- 
vernare '. 


Lessico  piveronese  327 

704  warni  '  guernire  ',  germ.  warnjan  [v.  Korting^,  N.  10357]. 

705  warnijon  '  guarnigione  ',  v.  warni. 

706  wastà  'guastare', 

707  wata,  watin  '  corpetto  '  (ora  korp)  :  nel  biellese  qualsiasi 
'  giubba  '. 

708  ivatula  'gleba',  monf.  natarun  [Ferraro,  p.  121]:  di  qui 
watulà  '  gettare  la  gleba  '. 

709  werg  '  storto  '  e  '  guercio  '  :  werge,  verfia,  verfije.  Le  forme 
piveronesi  accennano  a  tipo  in  -io,  al  quale  accennano  pure 
guercio,  guerzo,  ecc.  [cfr.  Nigra,  XIV,  384]. 

710  wev,  weva  'vedovo',  'vedova':  cfr.  Mussafia,  Mon.,  121, 
s,  véva. 

711  windul  'arcolaio'  [cfr.  Nigra,  Arch.,  XIV,  384]. 

712  wisca  'verga',  'sferza' =*viscla,  *viscula  (cfr.  Ascoli, 
Arch.,  I,  284  n.,  356;  Mussafia,  Beitr.,  121);  [cfr.  ora  Nigra, 
Arch.,  XIV,  383-4]. 


328  Angelico  Prati, 


ETIMOLOGIE  E  APPUNTI  VARI 


angondra  (veron.),  ingonàra  (padov.  e  venez.  del  contado),  an- 
gonàda  (Roncegno,  Borgo  [valsug.],  nònes)  ecc.  '  gugliata  ', 

Nel  V.  XVIl  p.  393  di  C{\xesi' Archivio  connettevo  queste  ed 
altre  forme  corrispondenti  con  un  *ac6ne,  termine  che  è  però 
superfluo,  poiché  la  desinenza  -onàta  trova  riscontro  nei  valsug. 
balonàa  '  sassata  '  (cfr.  balg'to  '  sasso,  pietra,  ciottolo  ')  e  pikonàa 
'picconata',  da,  piko. 

In  quanto  poi  all'i-  di  ingonàra  si  confronti  il  valsug.,  poles. 
ingg'éa  <Iangùstia,  vicent.  ingordre,  poles.  ingurdre,  ingùrjo 
(cfr.  veron.  angurdr,  trent.  angilrdr). 

babilg'li  (a-)  o  babilg'jo  (a-)  (trent.). 

E  questa  una  voce  equivalente  a  baiilg'jo  (a-)  ecc.,  di  cui  ò 
parlato  a  p.  396  del  v.  XVII  di  questo  Archivio.  Per  la  con- 
servazione del  -li  cfr.  il  nònes  olik^'li,  cui  si  accenna  nella  Pro 
Cultura  II  p.  383. 

bakdre   (padov.)    'boccheggiare'  (di    chi    è   vicino  a  morire); 

bakagàre  (poles.)  '  sbaccaneggiare;  cornacchiare ',  bakagq'n  'ur- 
lone '. 

Cfr.  le  voci  valsuganotte  citate  a  p.  395-396  del  v.  XVIL 

baldrigo  (Lévico,  trent.)  '  roventino  '. 


Etimologie  e  Appunti  vari  329 

È  il  veron.  hrigdldo,  rover.  brigàlt  ecc.  (Schneller  Die  roìttr. 
Voìksmund.  p.  123,  221),  con  scambio  reciproco  degli  elementi, 
implicante  pur  la  vocale  accentata,  scambio  aiutato  o  determi- 
nato forse  dalla  voce  haldonàz  (trent.)  (valsug.  baldo'n,  padov,, 
venez.  baldo  n  o  baldQ'n). 

boeékdr  (valsug.)  '  parlare  in  fretta  o  male,  in  modo  da  non  essere 
intesi,  biascicare',  boééko  (valsug.)  'chi  boééka,  biascione':  im- 
boescare  (pavano)  '  parlare  o  scrivere  in  modo  da  non  essere 
intesi  '. 

Magagnò  nel  suo  proemio  scrive: 

Mi  mo,  eh'  a  son  Pavan, 
No  sera  ve  na  bestia,  s'  a  lagasse 
Questa  mia  lenyua,  o  che  la  stramuasse? 

Che  me  vai  se  a  parlasse 
Miegio  del  mondo,  e  che  a  no  sea  intendù 
In  quela  Vila  donde  a  son  nassìi? 

L'è  con  dise  quelli, 
Fa  con'  gì  altri,  s'te  no  viiò  falare, 
E  laga  ai  Pulitani  imboescare. 

Il  Pasqualigo  La  lingua  rust.  padov.  ecc.^  p.  25  osserva  che 
questi  Pulitani  che  s'imboscavano  erano  gli  umanisti  napoletani, 
Giovanni  Fontano,  il  Sannazaro  ed  altri,  le  cui  opere  latine  veni- 
vano stampate  a  Venezia  e  che,  mentre  erano  la  delizia  dei  let- 
terati, rimanevano  oscure  ed  impenetrabili  al  popolo,  il  quale 
parlava  unicamente  il  suo  dialetto. 

Il  Pasqualigo,  col  tradurre  imboescare  con  '  imboscarsi  ',  di- 
mostra di  non  aver  compreso  la  natura  e  il  significato  di  tal 
verbo,  che  trova  invece  la  sua  spiegazione  nelle  due  voci  val- 
suganotte  addotte  sopra.    La   base   pare  ne  sia  b^'  '  bue  '  e  la. 


330  Angelico  Prati, 

formazione  fu  probabilmente  determinata  dai  sinonimi  todééko, 
todeékàr  o  todeékàr  su  (valsug.)  (poles.  intodeskàre)  ^ 

broéga  (valsug.,  padov.,  venez.)  '  vilucchio  '  ^  ;  roéga  (poles.) 
'  piselli  ;   vilucchio  '  ;  orde'ga  (poles.)  '  piselli  '  ;   erhjg'ni  (padov.) 

*  piselli  ';  ruvigdre  (padov.)  '  involgere,  abbatuffolare  '  ;  r.  intorno 

*  aggraticciare,  avviticchiare  '  ;  ruvigo  {de  rq'hà),  ruvigg'io  '  vi- 
luppo, batuffolo  '  ;  ruvigo'la  de  filo  '  grovigliolo  ',  ruvigo  lo  '  ba- 
tuflfoletto';  ruvigo  n  '  ciarpone '. 

Per  un  mio  sbaglio  è  comparso  a  p.  424  del  v.  XVII  di  questo 
Archivio  il  padov.  inroegdre,  inroegdrse.  inroegiare,  inroegiarse;  e 
forma  del  padovano  d'un  tempo  (v.  Ruzante  SproUco)  e  il  pa- 
dovano odierno  à  invece  le  forme  sopra  citate.  Il  De  Toni 
L'Ateneo  Ven.  a.  XXVII  v.  I  p.  358,  già  prima  di  me,  aveva 
fatto  notare  la  parentela  di  roégia  (forma  ch'egli  cita  come  pa- 
dovana) e  di  broégia  (il  Patriarchi  à  broeia;  v.  pure  broeggia 
nel  Vocab.  ital.)  con  ruvigiare  (non  ruvigiar,  com'egli  scrive)  e 
con  ruhiglia  da  e  r  v  T  1  i  a  3.  Il  Meyer-Lìjbke  R.  E.  W.  3792  trae 
al  contrario  il  tose,  groviglia  (non  grooigliol),  grovigliolo  (non  gro- 


*  intoescare  anche  presso  Ruzante  (Wendriner,  Die  paduan.  Mund.  bei 
Ruzante  Breslau  1889  p.  45  N.  86). 

0  si  tratterà  invece  di  un  toesco,  {in)toescar{e)  dell'antico  veneto,  in  cui  si 
sia  introdotto  bg"i  Non  sarà  poi  facile  supporre  che  le  voci  in  parola  deri- 
vino dai  Boji,  il  popolo  celtico  della  valle  del  Po,  che,  accanto  ai  Lingones, 
era  prossimo  ai  Veneti,  pei  quali  il  linguaggio  dei  Boi  doveva  essere  incom- 
prensibile. Si  dovrebbe  qui  partire  da  -iscus,  suffisso  diverso  da  quello 
di  todf'sko  ecc.  (Meyer-Lììbke,  Rom.  Gramm.  II  §  520). 

^  Nella  Storia  di  Bassano  di  Ottone  Bkentari  (Bassano  1884)  p.  292,  293 
si  legge  che  la  Contrada  Zudii  di  quella  città  un  tempo  (dal  secolo  XIII) 
era  detta  Contrada  Cagabroegia  (cfr.  per  simili  nomi  R.  de  D.  R.  V  p.  115, 
122,  129  e  le  citazioni  ivi  fatte). 

^  Il  Bokrio  riporta  rovigiòla  '  grovigliola  '  quale  voce  usata  nel  contado 
verso  Pàdova,  rovigiolà  '  aggrovigliato  ',  rovigiòn  '  ciarpone  '. 


Etimologie  e  Appunti  vari  331 

viglinolo,  com'à  egli!!)  da  un  *g  1  o  b  i  1  i  a,  ma,  dopo  quanto  ò 
esposto  neW'A.  G.  I.  XVII  p.  423-425,  non  sarà  da  insistere  contro 
una  tale  etimologia.  Ricordo  invece,  a  maggior  conferma  della 
base  e  r  V  T 1  i  a,  la  forma  toscana  gruiglio,  che  il  Pieri  A.  G.  I. 
Suppl.  V  p.  86  riporta  allato  ad  orhiglio. 

In  testa  a  quest'articolo  ò  notato  le  varie  forme  venete  con- 
tinuatrici  di  e  r  v  T 1  i  a,  qualcuna  delle  quali  richiede  due  tre 
parole  di  spiegazione,  broéga  procede  verisimilmente  da  *orb^' ya, 
con  scambio  degli  elementi,  e  da  *rodéga  (con  d  inserito)  (cfr.  il 
moden.  rudéa)  procede  il  poles.  ordéga.  Il  padov,  erhjo'ni  è  sin- 
golare per  la  riduzione  I  j  >  j,  con  dileguo  poi  di  questo.  Che 
sia  voce  capitata  dal  di  fuori?  (cfr.  milan.  erhJQn). 

Bidcintg'ro  (term.  stor.)  '  nave  maestosa  di  Venezia  destinata 
allo  sposalizio  annuale  del  mare  '. 

A  proposito  di  questo  nome,  che  un  tempo  s'usò  anche  scri- 
vere Buccintoro  e  su  cui  v.  Luzzatto  1  dial.  di  Veti,  e  Pad. 
Pàdova  1892  N.  105,  E.  Musatti  Guida  stor.  di  Yen.  Ili  ediz. 
Milano  1912  p.  35  n.  1  noto  che  in  un  documento  stipulato 
a  Pàdova  nel  1194  è  nominato  un  bucentaurus  index  {Arch.  Ven. 
XX  p.  323).  Per  altre  attestazioni  antiche  della  stessa  voce 
v.  Gloria  Cod.  Dipi.  Pad.  II  p.  CVIII,  CIX. 

endérno  (trent.)  '  inutilmente  '. 

Tale  voce,  da  me  udita  nel  contado  dì  Trento  e  precisamente 
in  Camp  Trentim,  viveva  un  tempo,  come  si  sa,  nella  Lombardia 
(v.  Ettmayer  Rom.  Forscìi.  XIII  p.  389  n.  2)  e  a  Genova 
{indérnu  [Parodi  A.  G.  I.  XVI  p.  108]),  oltre  che  nella  Toscana, 
nella  forma  indarno.  Il  De  Gregorio,  proponendo  un  etimo  nuovo 
per  indarno,  su  cui  v.  Ascoli  A.  G.  I.  XII  p.  135-136,  scrive 
che  questa  parola  non  à  riflessi  negli  altri  dialetti  italiani  e 
la  considera  infatti  come  propria  del  toscano  {Romania  XLI 
p.  373-374)! 


332  Angelico  Prati, 

feràr  la  épg'/'a  (trent.),  nferàr  la  épo'/'a  (valsug.)  '  comprarle 
gli  ori,  le  gioie,  ingioiarla';  nferàr  ago  àio  (valsug.)  'festeggiare 
il  ferragosto  '. 

Da  *f  e  r  i  a  r  e  '  festeggiare  '  (cfr.  f  e  r  i  a  r  i  e  ital,  ant.  fe- 
riaré). 

gravatelo  (Pieve,  tasino)  '  slittino  ferrato  per  scivolare  sul 
ghiaccio  '  (e  v.  A.  G.  I.  XVII  p.  434-435). 

Ritorno  su  questa  voce,  della  quale  fo  cenno  ivi,  per  chiedere 
se  essa  non  sia  della  famiglia  medesima  del  poschiav.  gràt  o 
grami  '  barella  ',  valtel.  garovat  '  corba  grande  da  trasportar 
concime  su  carretta  ',  engad.  girtùn  e  gratùn  '  carro  da  concime 
a  due  ruote  '  (Salvioni  Tìendic.  d.  B.  Ist.  Lomh.  s.  II  v.  XXXIX 
p.  511). 

gjarnic  (nònes)  (a  Còredo  graniz),  graniz  o  greniz  (trent.)  '  fi- 
liggine  ',  engrenizàr,  engranizdr  o  negrizar  '  lordar  di  filiggine  o 
di  carbone;  annerire;  imbrattare,  insudiciare,  tingere;  sparlare, 
calunniare  '. 

Per  l'etimo  il  Battisti  Die  Nonsb.  Mund.  p.  79  (ove  sta 
scritto  gjàrnlc,  mentre  a  p.  99  c'è  gamie,  come  nell'indice)  ri- 
manda al  Salvioni  A.  G.  I.  XVI  p.  435,  ma  a  p.  99  ammette 
quale  base  nigru  con  metatesi  sillabica.  Questo  infatti  è 
Tetimo  preferibile;  gjarnic  ecc.  corrisponde  quindi  al  tose,  ne- 
riccio e  non  andrà  posto  assieme  colle  voci  lombarde,  delle  quali 
ragiona  il  Salvioni  nel  1.  e.  (s.  calèna). 

kampanjél  (venez.)  '  campanile  '. 

Il  R.  E.  W.  1556  rimanda  per  la  spiegazione  di  questa  forma 
al  MussAFiA  Beitrag  p.  41  e  al  Salvioni  A.  G.  I.  XVI  p.  304  n., 
il  quale  propone  quale  base  un  collettivo  *cam})anédo,  -da.  L'as- 
senza però  della  vocale  finale  in  kampanjél  ci   avverte    dell'in- 


Etimologie  e  Appunti  vari  333 

fluenza  di  kampanU,  come  rilevò  già  il  Luzzatto  I  dial.  di  Ven. 
e  Pad.  Pàdova  1892  N.  16  (cfr.  invece  kampjélo  [v.  A.  G.  I. 
XVII  p.  501  N.  1563]  e  tabarjélo  [\it)Òs^icb.  Studi  sul  dial.triest. 
N.  6]).  Il  ViDÒssiCH  (ivi)  pensava  all'innesto  di  -elio  su  -ile 
(v.  anche  le  Aggiunte  e  correzioni  ai  suoi  Studi  e  Parodi  A.  G.  I, 
XVI  p.  354). 

kato'co  (venez.)  '  prigione  '  ;  katg'ca  (gergo  solandro)  '  chiesa  ', 
katocg'n,  -a  '  pinzochere,  -a  '  (Battisti  Atti  d.  I.  R.  Accad.  Rover, 
d.  Ag.  s.  IV  V.  II  p.  310). 

È  parola  scherzevole,  che  va  unita  alle  altre  affini,  delle  quali 
tratta  il  Salvioni  nella  Romania  XXXIX  p.  451-452  ^ 

kro'noìo  (padov.)  '  bernòccolo  '  (dicesi  di  ciò  che  rilevi  alquanto 
sulla  superficie  di  qualunque  cosa)  ;  krg'nolo  de  pan  '  orlicelo  ' 
(l'estremità  del  pane)  ;  krónol  (plur.  kró'iioj)  (rover.)  '  pugno  ', 
kronolàr  '  dar  pugni  '. 

Il  BoÈRio,  s.  crògnolo,  la  dice  voce  del  contado  verso  Pàdova 
e  la  fa  equivalere  a  gnoco  *  bernoccolo  '.  Il  De  Toni  invece,  os- 
servando erroneamente  che  crògnolo  non  è  registrato  dal  Boèrio, 
lo  traduce  con  '  còrniòlo  '  ed  aggiunge  che  per  l'analogia  coi 
frutti  passò  a  indicare  la  sporgenza  dell'articolazione  ossea  della 
mano  tra  il  metacarpo  e  le  dita,  che  si  rende  visibile  stringendo 
il  pugno  {L'Ateneo   Ven.  a.  XXVII  v.  I  p.  337). 

In  prima  è  da  pensare  che  crògnolo  in  quanto  dica  '  còrniòlo  ' 
non  sia  affatto  una  voce  reale,  ma  solo  supposta  dal  De  Toni. 
Infatti  se  le  sporgenze  della  mano  accennate  traessero  il  nome 
dal  frutto  del  corniolo,  il  nome  sonerebbe  *krg'nola,  cioè  dovrebbe 
entrar  in  campo  il  nome  del  frutto,  non  dell'albero!!    E  poi  si 


'  11  trentino  à  invece  ko'tega  *  gattabuia,  prigione ',  il  roveretano  ArtJ^reya 

(V.    AzZOLINl). 


334  Angelico  Prati, 

sa  che  i  vernacoli  veneti  anno  invece  kg  mola  (veron.  korndla) 
(v.  R.  de  D.  R.  V  p.  90  n.,  139),  Nel  polesano  v'è  kroìióla,  ma 
per  indicare  la  ciliegia  corniola,  mentre  il  corniolo  è  detto  kor- 
nolaro,  come  nel  padovano,  e  con  kornàle  si  indica  il  suo  legno. 
Neppure  è  a  ritenere  che  krg'nolo  risalga  a  e  o  r  n  e  u  '  fatto  a 
corno  '  (cfr.  R.  E.  W.  2235  a). 

Molto  probabile  è  al  contrario  che  krq'nolo  proceda  da  un  *kóno, 
con  inserzione  di  r  come  in  altri  casi,  di  cui  v.  Salvioni  Krit. 
Jahresber.  IX  i  p.  102.  Cfr.  valsug.  krùkolo  '  rilievo  rotondeg- 
giante '  (di  terreno  ecc.),  padov.  krukiiióla  '  cima,  cocuzzolo  ; 
vetta  (degli  alberi)  ;  comignolo  del  tetto  '  ^  trent.  krukol  '  crocchia  ', 
triest.  kródiga  <  e  ti  ti  e  a,  furi,  kródje,  skroded  {&ai.ywniA.G.  I. 
XVI  p.  236),  ven.  bréépa  (valsug,  héépa)  '  vespa  ',  brufolo  '  fi- 
gnolo  '  [R.  E.  W.  1373,  A.  G.  L  XVII  p.  399),  bellun.  brédol 
'  betulla  '  <  *b  e  t  ù  1  u  ecc.  Quel  *kóno  poi  sarà  una  forma  otte- 
nuta, con  scambio  di  sillabe,  da  ng'ko  (cfr.  vicent,  kóno  '  gnocco  ' 
[Salvioni  A.  (J.  I.  XVI  p.  313  n.  1])  ^.  Poco  probabile  che  la  base 
sia  invece  e  ìi  n  e  u,  da  cui  nel  veneto  kùho  (nel  valsug.  però 
k^'no  e  nel  triestino  ko'no  accanto  a  ki'mo  [Vidòssich  Studi  sul 
dial.  triest.  N,  19]).  La  toponomastica  à  però  forme  con  ó  (v. 
Olivieri  S.G.I.  Ili  p.  165-166). 

morélo  de  fàào  (venez.)  *  rocchio  di  legno,  pezzo  di  legno  della 
lunghezza  d'un  braccio  in  circa,  che,  accoppiato  a  de'  legni  più 
sottili,  compone  un  fascio  '  ;  morélo  (venez.)  (termine  dei  pesca- 
tori) '  modano  '  ;  Uhi  de  morélo  (venez.)  '  legni  di  misura  per  le 
costruzioni  navali  ';  morélo  {de  lugànega)  (venez.),  morélo  {de  luga- 


*  Cfr.  veron.  krukune'l  o  kukune'l  '  crocchia  '  (poles.  krikene'la  =  krika 
'sommità  [d'un  edificio]'  [cfr.  valsug.  klko  'crocchia']'. 

-  Cfr.  anche  poles.  gèna  o  nóka  'protuberanza',  venez.  góna  'grinza  nel 
vestito...'. 


Etimologie  e  Appunti  vari  335 

neghéta)  (valsug.),  morelét  (trent.)  '  rocchio  di  salsiccia  '  ;  morélo 
de  hif'àto  (venez.)  'rocchio  d'anguilla,  pezzo  tagliato  di  anguilla'; 
morèna  {de  kaétéhe,  de  fighi  ecc.,  de  u/'éj,  de  fJQJ)  (valsug.)  '  filza 
(di  castagne,  di  fichi  ecc.,  di  uccelli);  branco  di  figlioli';  morèna 
(valsass.  |lomb.])  'giunture  della  mano';  moróna  (enb.,  bad., 
livinàl  longh.)  '  catena  '  (ScHìNeller  Die  rom.  Volksmund.  p.  240), 
V.  ancora  Boèmo  s.  morelo. 

Tutti  i  termini  citati  sono  evidentemente  i  discendenti  di  una 
base  *m  o  r  -,  che  si  presta  al  più  bel  confronto  col  tose,  rg' echio, 
per  quanto  riguarda  i  vari  significati,  pei  quali  questo  passò.  E 
detta  base  non  sarà  diversa  da  quella  del  tose,  mo'ra  e  degli 
altri  derivati  raccolti  dal  Jud  B.  de  D.  R.  Ili  p.  11  n.  2  e 
dal  GuARNÈRio  Rendic.  d.  R.  Ist.  Lomb.  s.  II  v.  XLIV  p.  966 
N.  31.  e  che  avrà  avuto  appunto  anche  il  valore  di  'rocchio'. 
Cfr.  inoltre  la  voce  *m  arra  coi  suoi  derivati  {A.  G.  I.  XVII 
p.  285-287,  409,  e  le  Ricerche  di  topon.  trent.  II  di  questo  vo- 
lume, s.  Lamdr). 

paruéola  (venez.),  parùsola  o  peruéola  (triest.,  poles.),  parùsule 
(furi.)  parisóla  (trent.),  parisuéla  (nònes)  '  cinciallegra' ^ 

Il  ViDÒssicH  Studi  sul  dial.  triest.  N.  108,  osservando  che 
l'unico  esempio  triestino  di  e  j  >  s  è  parùsola,  suppone  che  esso 
forse  sia  importato,  ma  aggiunge  che  è  curioso  che  anche  il 
BoÈRio  scriva,  contro  il  suo  metodo,  parnssola  {non  parùsola)  (e 
parussolìn).  E  pur'auco  il  Mazzucchi  à  forme  con  -ss-,  con  un  -s- 
cioè  che  non  è  il  solito  é  della  pronunzia  veneta  del  z.  Vano  è 
quindi  il  supporre,  come  fa  il  Battisti  Die  Nonsb.  Mund.  p.  146 
per  la  forma  nònesa  (e  quindi  per  la  trentina)  la  provenienza 
dal  lombardo,  che  à  parasóla,  o  dal  veneziano!  Non  occorre  quindi 


'  L'AzzoLiNi  (rover.)  à  parissola  e  parnssola.  TI  Marchi  Note  e  osserv.  in- 
torno all'avifauna  trident.  p.  60  riferisce  anche  la  forma  parussa. 


336  Anorelieo  Prati, 

neppure  ammettere  l'importazione  nel  triestino.  Naturalmente 
pariUola  ecc.  col  suo  é  non  è  un  caso  isolato,  ma  si  possono 
porre  in  sua  compagnia  le  forme  seguenti  ;  gandùsa  (ven.)  (v,  Sal- 
vioNi  A.G.I.  XVI  p.  305,  De  Toni  L'Ateneo  Ven.  a.  XXVII  v.  I 
p.  346),  ganduéa  o/'ganduéa  (trent.),  ganuée  (plur.)  (fiam.)  (non 
ganùse,  come  c'è  nell'ai.  G.  1.  I  p.  346);  nagóéa  (venez.  ecc.), 
negósa  (vicent.,  poles.)  (Salvioni  A.  G.  T.  XVI  p.  313  n,  1, 
Z.  f.  R.  Ph.  XXX  p.  534;  tì.  E.  W.  5881);  pekóèo  (ven.)  'ginoc- 
chiello; peduccio'  (forse  con  avvicinamento  a  kg'éa);  f'bééola 
(ven.)  '  bazza  (mento  sporgente)  ',  héjla  (novell.  [regg.])  '  mento  ' 
(Malagoli  a.  G.  1.  XVII  p.  149  N.  198),  se  dipendono  da 
*beccea  da  beccu  (Salvioni  A.  G.  I.  XVI  p.  600);  emhe- 
éolàrse  o  f'beéolàr  (trent.)  '  biasciare  '  (I'Azzolini  scrive  il  primo 
anche  con  -z-),  bééola  (rover.)  '  scilinguatello  ',  che  vanno  coi 
valtel.  bécola  (Bormio),  bèsciole  '  labbro  ',  bergam.  bézzole  '  lab- 
broni ',  pei  quali  il  Salvioni  R.  de  D.  R.  IV  p.  203  N.  1013 
propone  un  plur,  *bécci  'labbra';  gg'éo  (ven.)  'gozzo'  (ma 
valsug.  gg'/'o;  emil.  gg'f  [A.  G.  I.  XVII  p.  185]);  rasàr{e)  (ven., 
trent.),  7'asd  (furi.)  'raschiare'  da  razzen  (alto  ted.  ant.) 
[R.  E.  W.  7101)  ;  vésa  (valsug.)  '  veccia';  fràèela  (valsug.)  '  specie 
di  coltella,  coll'estremità  della  lama  più  larga  della  rima- 
nente, che  s'usa  dal  macellaio  ecc.',  in  un  documento  del  1576 
scritto  frazelo  (probabilmente  errore  per  frazela)  (Momzzo 
Doc.  II  p.  349),  e  si  connetterà  con  un  *fractiare  (cfr. 
*frictiare,  *f  ri  et  a  re);  nésa  (valsug.)  'inedia',  che  è  pro- 
babilmente *n  e  e  e  a  da  n  e  e  e  (cfr.  chian.  [tose]  anecéto  '  af- 
famato grandemente  ',  da  néce  '  carestia  '  [Pieri  A.  G.  I.  XII 
p.  127]);  arkdéo  (valsug.)  'acacia',  che  non  è  però  voce  an- 
tica ;  ficassar  (trevis.  ant.)  '  trafiggere  '  (Salvioni  A.  G.  I.  XVI 
p.  301),  fichassar  fuocìio  'appiccare  il  foco',  che  s'incontra 
nella  Regola  di  Scurelle  (Valsugana),  del  1552,  pubblicata  dal 
SusTER  (Lanciano  1887)  (P.  I   cap.  16);  kapHé  (trent.)    'cavolo 


Etimologie  e  Appunti  vari  337 

cappuccio  ',  di  contro  al  ven.  kapùéo  con  -s-  di  pronuncia  veneta 
(BoÈRio,  Patriarchi,  Mazzucchi:  capuzzo),  valsug.  kapiipo;  Ni- 
colussi  (cognome  di  Luserna,  presso  Lavarone  [distr.  di  Lévico 
trent.])  (cfr.  Nicolùzzi  altrove  nel  Trentino  [Lorenzi  Saggio  di 
coinm.  ai  cogn.  trid.  Trento  [1895]  p.  60]).  Cfr.  ancora  il  nome 
Campo  Lusso  presso  Teragnól  (Rovereto)  (Schneller  ^^V.  Nam. 
p.  31)  e  V.  per  il  trevisano  antico  VA.  G.  I.  XVI  p.  260.  Altri 
casi  nei  quali  il  -s-  non  è  tra  vocali  sono:  sùpa  (ven.),  supa 
(trent.),  sàpa  e  sapar  (valsug.)  allato  a  Papa,  f>apar,  sidjàr(e) 
(ven.)  (v.  però  A.  G.  1.  XVII  p.  417),  éego'éta  (trent.)  'catena 
del  camino  '  (v.  Schneller  Die  rom.  Volksmund.  p.  181)  di  contro 
a  zigo'éta  del  contado  di  Trento,  a  meno  che  questa  non  pre- 
senti un  caso  quale  in  zo'éta  (trent.)  '  molla  ;  susta  ecc.  '  e 
in  pjéf'la  (valsug.)  {A.  G.  I.  XVII  p.  415-416).  Nei  trent.  éesar 
(cfr.  anche  Salvioni  A.  G.  I.  XVI  p.  294,  Romania  XXXIX 
p.  467  N.  60),  séf'a,  sérco  (Battisti  Catinia  §  58  p.  165), 
éelcàr  o  éercàr  '  coreggiate  ',  éénga  vi  è  naturalmente  assimi- 
lazione 0  dissimilazione. 

Si  noti  a  proposito  di  parùsola  ecc.  che  il  valsuganotto  à  pe- 
nìsola; e  peruzzola  scrive  pure  il  Patriarchi  (padov.).  In  quanto 
a  quest'e  protonico,  che  s' incontra  pure  nel  triest.  penisola 
(ViDÒssiCH  Studi  sul  dial.  triest.  N.  38)  e  nel  veron.  épero'néola, 
cfr.  peruka  (valsug.,  padov.,   ventiz.,  poles.). 

regolg'to  (valsug.)  '  confusione  di  gente  '  ;  regoléta  (venez.) 
'  pranzo  o  merenda  fatti  in  brigata  ', 

Il  valsug.  regolg'to  è  un  derivato  di  règola,  voce  che  un  tempo, 
nel  Feltrino  (al  quale  spettava  la  Valsugana)  e  nel  Trentino, 
indicava,  tra  altro,  la  radunanza  degli  uomini  del  villaggio  per 
per  deliberare  ^  regolg'to  è  quindi  un  diminutivo  con  senso  spre- 


^  Cfr.  tra  altro,  Bottèa  Le  carte  di  regola,  Arch.  Trent.  X  p.  259-265.  Nella 
Valsugana  vive  tuttora  il  termine  regola  per   denotare    il    territorio  spet- 


338  Angelico  Prati, 

giativo.  Da  esso  non  pare  sia  facile  di  staccare  la  venez.  re- 
goléta,  quantunque  non  mi  sia  noto  un  fondamento  storico  per 
tale  connessione.  Potrebbe  tuttavia  trattarsi  in  origine  di  una 
voce  del  gergo  e  in  tal  caso  sarà  stata  accattata  altrove.  Gli 
studiosi  del  diritto  e  delle  usanze  passate  del  Veneto  son  forse 
in  grado  di  chiarire   la  cosa  ^ 

Santuàri  (cognome  di  Trento). 

Nella  prima  metà  del  secolo  scorso  lo  trovo  scritto  nella  forma 
Saltuari.  Non  si  tratta  quindi  d'altro  che  del  trent.  saltar  '  guar- 
daboschi '  reso  nella  forma  letteraria  latina.  Per  /  -|-  cons.  >► 
w -j"  cons.  V.  Battisti  Catinia  §  61  p.  169  (aggiungi  mo'nier, 
allato  a  mo'lier,  e  monto' m,  per  cui  v.  però  Pieri  A.  G.  I.  XY 
p.  175;  B.  E.  W.  5739),  ma  in  Santuàri  vi  sarà  uno  storpia- 
mento e  precisamente  un  avvicinamento  a  éantuàri,  visto  che 
pili  non  si  sarà  sentito  il  significato  della  voce. 

ékùréo  (veron.)  '  avaro,  taccagno  '  (detto  spec.  a'  ragazzi  che 
non  vogliono  far  parte  altrui  delle  cose  loro);  ékùrz  (rover.) 
'  avaro,  taccagno  '.  V.  Schneller   Die  rom.   Volksmund.  p.  180. 

Come  la  voce  citata  si  connetta  con  *excurtiare  è  detto 
nella  Pro  Cultura  III  p.  140  n.,  ove  si  ricorda  opportunamente 
che  il  rumeno  à  curtà  '  risparmiare  '.  Qui  si  aggiunga  che  pure 
scarso  nell'italiano  d'un  tempo  valeva  '  avaro  '  e  cfr.  ital.  corto, 
corto  a  quattrini,  tenersi  corti,  trent.  lenir  kg'rt.  *excurtiare 


tante  ad  un  paese.  Notisi    che    nel  trentino,   in  cui  a  tal  voce   questo  si- 
gniBcato  è  estraneo,  essa  suona  re'gola. 

^  E  però  probabile  che  regole'ta  sia  da  recollecta  (cfr.  i  significati 
dell'ital.  ant.  colletta  e  di  accolta  e  il  napol.  scuglietta  'brigata  di  viziosi, 
combriccola  '  da  e  o  1 1  e  e  t  a  [v.  Salvioni  Rendic.  d.  R.  Ist.  Lomb.  s.  II 
V.  XLIV  p.  807  N.  86]).  regole'ta  poi,  inteso  come  un  diminutivo,  potè  pro- 
durre regolq'n,  che  si  usa  pure  a  Venezia. 


Etimologie  e  Appunti  vari  339 

8Ì   continua  inoltre    nel    padov,,    poles.    ékurédre,   padov.  ékùréo 
'  scorcio  '. 

staégo  {del  bévo  deh  karg'ée)  (padov.)  '  bracci  '  ;  étavigo  (valsug.) 
(a  Roncegno  stégo)  (v.  A.  G.  I.  XVII  p.  418). 

La  spiegazione  della  desinenza  di  étavigo  ivi  accennata  non 
va  forse  cercata  in  un  incontro  con  altra  parola,  ma  V-égo  e 
V-igo  delle  forme  recate  sono  ambedue  probabilmente  venuti  dal 
plurale,  riflettente  il  suffisso  -e  1 1  i.  Cfr.  il  vicent.  kavégo  da 
kavégi  (pavane  cavieggi  e  caviggi)  (Salvioni  A.  G.  I.  XVI  p.  374, 
252  n.,  Ascoli  A.  G.  I.  I  p.  426). 

La  base  non  è  basta,  ma  *statellu  (cfr.  stator,  sta- 
tumén). 

torpoii  (valsug.)  (a  Roncegno  torzo'n  o  terzo'n)  '  scopa,  erica  ' 
(che  serve  per  far  letto  al   bestiame). 

Questa  pianta,  com'è  noto,  presenta  tutto  un  viluppo,  ed  è 
quindi  da  ritenere  che  torPoii  sia  stato  tratto  da  ntorpàr  '  avvi- 
luppare ',  precisamente  come  il  lomb.  scopo'n  '  dianthus  caryo- 
phyUiis  '  fu  tratto  da  scojkì  (Salvioni  Rendic.  d.  E.  Ist.  Lomb. 
s.  II  V.  XLV  p.  281  n.  2,  A.  G.  I.  XVI  p.  406). 

Il  Battisti  Zitr.  Sulzb.  Miind.  p,  220  n.  5  riporta  la  voce 
torzón  da  Vermiglio  (pron.  loc.  varméj)  (Val  di  Sol)  nel  signifi- 
cato di  '  rimasugli  nella  mangiatoia  '. 

vedrice  (trent.)  '  vitalba  ' 

0  questa  voce  da  Pissavaca  (Ravina),  nel  contado  di  Trento, 
e  si  tratta  di  un  femminile  plurale,  che,  al  pan  del  tose,  ant. 
viticchio  '  vilucchio  ',  continua  il  lat.  viticìila.  LV  protonico  po- 
trebb'essere  sorto  per  dissimilazione,  ma  converrà  vedere,  sulla 
scorta  di  altri  nomi  vernacoli  della  vitalba  risalenti  a  vite, 
se  esso  non  abbia  ragione  diversa  (probabile  influsso  di  v  i  - 
ti  ce).  Per  il  r  inserito  sia  ricordato  il  tose,  oétrice  (trent.  védeé, 
valsug.  véf'e)  (v.  anche  s.  kn/holo). 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIU.  -22 


340  Angelico  Prati, 

Il  Ricci,  per  la  '  vitalba  ',  conosce  la  v.i^b  sogàza,  che  vale 
'  grossa  éo'ga  ',  alludente  alla  forma  della  pianta. 

velude  (trent.)  '  sbarre  (del  carro)  '. 

È  il  lat.  voluta  'voltata'  e  la  ragione  della  denomina- 
zione sta  nella  piega  formata  dalle  sbarre  caricate  specialmente 
colla  béna  (cfr.  il  valsug.  nio'ge,  che  è  pure  il  nome  delle  sbarre 
e  che  risale  a  *m  ò  1 1  i  a)  ^.  Singolare  è  Ve,  il  quale  ritorna  nei 
derivati  di  *v  o  l  ti  t  ù  1  a  :  trent.  menudola,  non.  settentr.  arnu  - 
dola  (che  nulla  à  che  fare  con  *m  i  n  ti  t  ù  1  a,  come  vuole  il 
Battisti  Die  Nonsb.  Mund.  p.  82,  111)  (cfr.  Salvioni  A.  G.  I. 
XVI  p.  490  n.  1),  poles.  relùca,  tose,  vilùcchio  ecc.  Cfr.  pure 
bellun.  helùrega.  Il  fatto  di  ritrovare  Ve  in  continuatori  di  si- 
gnificato COSI  diverso  da  quello  delle  veliìde  induce  a  supporre 
un'antica  forma  *velùta,  che  non  saprei  però  come  possa  esser 
sorta.  [Si  tratterà  di  dissimilazione  di  o-ù  in  e-ù.     G.]. 

;dga  (trent.),  daga  (valsug.,  bellun.)  '  lettuccio  che  si  usa  nelle 
malghe,  formato  di  quattro  assi  unite  a  forma  di  cassa  e  riem- 
pite di  ramicelli  di  abete  e  di  fieno  ecc.  '.  V.  anche  Schneller 
Die  rom.    Volksmund.  p.  211. 

Il  Battisti  Zur.  Sidzh.  Mund.  p.  222  riferisce  pure  la  voce 
zaga  '  giaciglio  '  dal  vocabolario  manoscritto  del  dialetto  di 
Mezzana  (Val  di  Sol)  del  Salvadori,  ma  egli  la  trascrive  con 
gàgq  (=  a;-),  forma  che  temo  sbagliata. 

La  base  dovrebbe  essere  un    *j  a  e  a,    di   cui    *j  a  e  1 1  e  ^   non 


^  È  termine  notevole  in  quanto  potè  passar  a  designare  delle  sbarre  di 
legno.  Qui  non  si  tratterebbe  dunque  di  (*férra)  m  o  1 1  i  a  (v.  Salvioni 
R.  de  D.  R.  II  p.  96).  Le  molle  nel  valsuganotto  son  dette  moge'ta. 

^  Che  diede  il  tose,  giaciglio  (D'Ovidio  A.  G.  I.  XIII  p.  408),  il  trent. 
fgafil  (plur.  r'gafij)  o  ^afil  {^afij),  il  rover.  Tiofil  o  dafil,  (plur.  -/;), 
(ScHNELLER  Die  voìn.  Volksmutid.  p.  212-213),  il  veron.  da/il,  il  valsug.  da- 
file  (plur.  dafni)  o  defilé,  '  sedile  (per  lo  pivi  di  legno)  delle  botti  '.  Il  d-  è 


Etimologie  e  Appunti  vari  341 

sarebbe  che  un  derivato.  Si  ricordi  a  proposito  la  postulazione 
di  un  *a  1  e  a  '  gazza  marina  '  (cfr.  a  1  e  e  d  o)  per  l'abruzz. 
dleke  (Salvioni  R.  de  D.  R.  IV  p.  105  N.  331  a). 

TI    nome   Vigilio    nei    documenti   d'un    tempo. 

Lo  ScHNELLER  Tir.  Nam.  p.  244-245  asserisce  di  aver  tro- 
vato il  nome  Vigilius  (nome  del  patrono  di  Trento)  solo  in  un 
documento  del  1397  (non  in  nessuno,  come  riferisce  il  Battisti 
Catinia  §  7  p.  103),  ma  egli  non  si  accorse  che  deriva  certo 
da  Vigilio  il  Villius,  che  cita  a  p.  261  N.  156,  dell'a.  1266, 
poiché  Villo  '  Vigilio  '  era  appunto  la  forma  del  trentino  antico 
(v.  Battisti  1.  e.  e  Salvioni  B.  S.  d.  S.  I.  XIII  p.  105  n.  8), 
mentre  ora  vive  la  forma  vigili  o  vegili.  Un  Villi  di  Folgaria 
(Rovereto)  è  nominato  nel  1200  e.  {Tridentum  XI  p.  260), 
•  nel  1386  un  Vilio  p.  Christiani  de  Roveredo  {Riv.  Trid.  IX 
p.  193),  nel  1415  un  Vilius  Carli  de  Telvo  (Valsugana)  (Mo- 
Rizzo  Doc.  I  p.  178),  nel  1526  un  Leonardo  de  Vilio  de  Burgo 
(Valsugana)  (ivi  p.  289).  Nel  1259  s'incontra  anche  la  forma 
Vezilli  (genit.)  (di  Brenta  presso  Caldonazzo  [Lévico])  (cfr.  trent. 
veiilja)  (MoNTEBELLO  Notizie  p.  27  dei  doc).  Cfr.  poi  i  casati 
odierni  Vili  e  Vilotti  (scritti  Villi  o  Willi  e  Villotti)  e  Giti,  Gi- 
lioni  (scritti  Gigli,  Gilli.  Gillioni)  (e  v.  Schneller  Tir.  Nam. 
p.  246,  295  N.  66).  Cfr.  anche  un  zilli  del  1431  {Tridentum 
X  p.  80). 

La  forma  Vilio  si  conserva  pure  in  San  Vilio  dei  Corner 
(Montebelluna  [Treviso])  (Olivieri  S.  G.  I.  IV  p.  197). 

Si  ricordi  infine  che  una  carta  dell' 883  nomina  Vigilium  et 
Leonem  Veneticos  (a  Venezia)   (Gloria  Cod.  Dipi.  Pad.  I  p.  32). 

Angelico  Prati. 


per  dissimilazione,  come  nel  trent.  ding'co  e  v.  Salvioni  Rendie.  d.  R.  ht. 
Lotnb.  8.  II  V.  XLIV  p.  946  n.  2.  Cfr.  l'inverso  nel  rover.  idfn  allato  a 
dà/*a  (ScHNKLLER  Die  rom.    Volksmund.  p.  137).  • 


34S  Angelico  Prati, 


GIUNTE 


P.  203.  Calìdno  {kaljdm)  richiama  un  Galiano  della  Toscana, 
che  il  Pieri,  S.  R.,  X,  p.  Ili,  trae  da  un  *Calejdno,  da  Cale- 
rianu.  Ora,  tenendo  conto  che  il  kaljdm  trentino,  come  si  è 
detto,  non  compare  mai  nei  documenti  in  una  forma  che  accenni 
a  una  base  con  Ij  o  llj,  pare  che  anche  in  esso  sia  da  rico- 
noscere un  *Calejdno,  il  quale  però  avrebbe  per  antenato,  in 
questo  caso,  non  Calerius,    ma  un  Calejus. 

P.  235.  Si  avverta  che  pure  la  forma  dialettale  del  Monastiér 
di  Treviso  è  Munistiér  (v.  Ninni,  Materiali,  ecc.,  serie  II,  p.  142). 

P.  249.  (Randéna).  Da  quanto  sul  limite  e  l'estensione  della 
coltivazione  dell'ulivo  espone  A.  R.  Toniolo  nella  Riv.  Geogr.  Bai., 
XVIII,  p.  532-537  (v.  pure  la  relazione,  di  cui  si  fa  cenno  ivi 
a  p.  540-541),  riferendosi  anche  al  Veneto  occidentale,  si  può 
arguire  che  del  pari  in  certe  parti  della  valle  di  Randena  sia 
stato  coltivato  l'ulivo,  come,  nel  medio  evo,  in  tutta  l'alta  Italia. 
Tale  coltivazione  subì  un  forte  e  costante  regresso  col  sorgere 
dell'olio  di  semi  e  poi  fu  lasciata  del  tutto  {Forum  Julii,  III, 
p.  100). 

È  accettabile  quindi  l'identificazione  discussa  nell'articolo,  di 
cui  v,  sopra. 

P.  328.  Alla  spiegazione  ivi  data  di  angondra  (veron.)  ecc. 
si  oppone  il  fatto  che  nel  vicentino  antico  viveva  proprio  il 
termine  angon  '  ago  '  (Bortolàn,  Vocabolario  del  dial.  ani.  vicent., 


I 


Giunte  343 

Vicenza,  1893)  e  siccome  non  pare  probabile  che  questo  sia 
stato  estratto  da  quella  {angondra  e  anche  del  vicentino),  è  oppor- 
tuno accogliere  la  mia  prima  dichiarazione,  voi.  XVII,  pag.  393, 
da  un    *acóne. 

P.  331.  Il  Ninni,  a  p.  128  delle  Giunte  e  correz.  al  Dizion. 
d.  dial.  venez.,  accoglie  il  termine  bocentòro,  corretto  a  p.  263 
in  bogentoro  e  quindi  da  pronunziare  bof'entóro,  per  '  barca  grande 
di  fiume  avente  la  prora  simile  a  quella  della  raékóna  (grossa 
barca  per  il  Po)  e  la  poppa  solo  un  poco  piegata  verso  l'interno  '. 

P.  332.  —  La  più  bella  conferma  che  in  kampanjél  c'entra 
campanile  è  data  dalla  forma  preziosa  campaniele  (venez.  ant.), 
che  il  MussAFiA,  Beitrag,  p.  41,  riporta  allato  a  campanile,  cam- 
paniel. 

P.  335.  parussola  e  peruzzola  dà  pure  il  Dizion.  bellun.-ital. 
del  Nazari,  parussola  e  perussola  quello  trevisano  del  Ninni, 
parussola  quelli  vicentini  del  Nazari  e  del  Pajello  ^ 

P.  337.  riegola  '  brigata,  comunità  '  c'è  nel  Cavàssico  (v.  Sal- 
viONi,  II,  p.  387)  e  vi  corrisponde  il  bellun.  régula  '  comunità, 
confraternita  ',  a  cui  il  Salvioni  pone  ivi  accanto  pure  il  venez. 
regoléta. 

P.  339.  V.  anche  bellun.  rust.  stadéi  '  chiavi  del  carro  '  (Nazari). 

P.  340.  Il  trentino  à  inoltre,  quale  nome  della  vitalba,  ve- 
daCQin  (v.  Ricci),  altro  bel  derivato  di   viticola.   L'g  c'è  fa- 


*  [Nell'articolo  su  parusola  ecc.  è  da  corregf^ere  la  scrittura  Bormio  in 
Bormio,  perché  la  pronunzia  locale  è  bo'rm  (cfr.  Burmium  nei  documenti 
latini)  (v.  LoNOA,  Vocab.  borm.,  S.  R.,  IX,  p.  294)]. 


344  Angelico  Prati,  Giunte 

cilmente  per  influsso  di  menudola <i*venudola^  di  cui  v.  s.  velilde 
(p.  340)1. 

P.  341.  A  proposito  dei  continuatori  del  nome  Vigilio  si  no- 
tino il  Vei  del  Cavàssico  (bellun.  del  sec.  XVI)  (v.  Salvioni,  II, 
p.  400)  e  i  sanesi  Viglio  e  viglia  '  veglia  '  (Romania^  XVIII, 
p.  595). 

Angelico  Prati. 


*  Altre  forme  però,  come  il  bellun.  vidi/'ón,  sembrano  richiedere  la  base 
vitice,    sia  pure  coU'incontro   di    vite. 


I 


Cesare  Poma  345 


NUMERI  COME  COGNOMI 


Abbiamo  in  Italia  in  uso  attuale,  e  più  ancora  ne  troviamo 
nelle  carte  medioevali,  una  curiosissima  serie  di  cognomi  for- 
mati da  Numeri. 

Non  sono  esclusivi  del  nostro  paese,  perché  ne  troviamo,  ad 
esempio,  anche  in  Inghilterra  :  Thousandpound  (1000  Libbre), 
Sixapple  (6  pomi),  Twentyinan  (20  uomini,  cioè  il  "  vintenarius  „, 
capo  di  20  soldati)  ^ 

Ma,  alla  stessa  guisa  dei  cognomi  composti  con  verbi  (tipo 
Bevi-l'-acqua)  ^,  i  cognomi  numerali  sono  più  frequenti  e  più 
svariati  nel  nostro  paese  che  in  quelli  esteri. 

Naturalmente  non  sono  altro  che  dei  soprannomi,  dovuti  a 
circostanze  diverse,  e  poco  per  volta  cristallizzati  in   cognomi. 

Li  colloco  in  ordine  numerico,  e  si  intendono  viventi  quelli 
che  non  sono  seguiti  da  data  di  secolo  o  da  fonte  antica. 

1/2. 
Mezzabarba. 
de  Megavachis,  XIV,  Bologna,  trad.  Mezzavacca. 


*  Sono  cognomi  medioevali  citati  da  Lower,  nella  sua  opera  English 
Surnames,  I,  253,  254,  143  (Londra,  4»  ed.,  1875). 

'  Veggansi  i  miei  opuscoli:  Il  composto  verbale  nell'Onomastica  italiana 
(Torino,  Artigianelli,  1910)  ;  Cognomi  italiani  formati  da  verbi  che  indicano 
azione  (Città  di  Castello,  Lapi,  1914)  —  che  formano  parte  dei  miei  studi 
sulla  Onomastica  italiana. 


346  Cesare  Poma, 

Mezzacapo,  da  "  capo  „  che,  come  osservò  Flechia,  è  femm.  in 
napoletano. 

Mezzacappa,  XV,  Abruzzo. 

Mezzadonna,  Sutri. 

Mezzamosca,  XV,  Abruzzo. 

Mezzanotte. 

Mezzapelle. 

dns  Mezarocha  de  Mezarochis,  XIV,  lomb.  —  da  mezza  rocca. 

Mezzasalma,  sicil.  —  da  salma  che  è  un  peso. 

Mezzaroma,  XV,  Sutri  —  da  mezza  Roma  ? 

Mezzofanti. 

Mezzopreti:  già  un  loh.  Muctiarellus,  alias  Mezoprete,  Cer- 
nete,  1406. 

Mezzorotolo.,  XV,  Abruzzo. 

Mezziconfi,  M°  E**,  Padova,  in  lat.°  de  Mediis  Comitibus  —  col 
n.  p.  Mezzoconte  dei  Mezzoconti,  XIV. 

Medius  panis,  de  Mediopane,  Cod.  Astensis. 

Mezzovillani,  XIV,  Bologna,  in  lat.°  de  Megovilanis  —  e  un 
Mediusvillanus,  magiscola  a  Modena,  XII-XIII. 

Mezamici,  XVII,  Romagna. 

Mezocelli,  Mezucelli,  Mezzucelli,  Teramo. 

loh.^  de  Megavrilis,  1327,  giudice  a  Modena,  anche  de  Medio 
Aprili  —  da  mezzo  aprile. 


Dovilli,  XIII,  Vicenza  —  che  in  latino  era  De  duahiis  villis. 
Ascherius,  Manfredus,  Ruffinus  de  Duohus  soldis,  Cod.  Astensis. 


Forse  Treanni,  Napoli  :  cfr.  Settanni,   Trentanni  e  Centanni. 
Trelancia  —  probabilmente  da  3  Lancio    e    d'origine    militare, 
come  il  seguente.  Tre  Lanze  è  anche  nome  loc.  in  Calabria. 
Trelanzi,  Milano  :  cfr.  Centolanzi,  per  3  e  100  lancia. 


Numeri  come  coofnomi  347 

Trepiedi. 

Trerotoli. 

Trecapelli,  Pofi  (Lazio). 

Tresoldi  :  cfr.  loh.  Tressolidi,  Chart.  Dertonense  in  "  Bibl.  Soc. 
St.  Sub.  „,  XXIII,  1203  —  Jacobus  Tresoldi,  Cod.  Astensis. 

Trisoldi  —  è  certo  una  semplice  variante  del  precedente.  E  però 
da  tener  presente  che  questi  due  cognomi  possono  essere 
delle  deformazioni  popolari  di  un  tutt'altro  nome  :  giacché 
nelle  nostre  carte  medioevali  troviamo  il  n.  p.  teutonico 
Thrasoaldus  che  in  italiano  diventava  Trasaldo  e  in  Lom- 
bardia Trasoldo,  da  cui  facile  la  trasformazione  ad  un  si- 
gnificato ovvio. 

Treré,  Milano. 

Trescove,  XIII,  Milano  ^  da  3  scope. 

Jacobus   Tria  Modia,  Cod.  Astensis. 

Triangoli,  XVII,  che  fu  il  cogn.  d'un  Marco  Antonio,  tipografo 
a  Gubbio,   1624,  in  latino   Triangulus^. 

Detregiache,  piem.,  dalle  3  giacche. 

Treddenti^  3  denti. 


4. 


Quattrocchi,  Quatrocolo,  Quattrocolo  (Torino)  ;  cfr.  lohanninus 
Quatuor  oculi,  Chart.  Derton.,  CHI,  1221. 

Quattr  orecchi. 

Quattromani  —  e  Francesco  de  Qiiatromeni,  impiccato  1388  (Cro- 
naca Carrarese  dei  Gatari,  in  RR.  II.  SS.,  pag.  323). 

Quattr ociocchi  —  o  da  ciocche  ;  cfr.  Braccialarghi  per  -larghe  ; 
—  0  da  ciocco,  ceppo,  come  Cavacìocchi. 

Quattr  osoldi. 


*  A.  Ratti,  A  Milano  nel  1266  (Milano,  1902). 

*  Fumagalli,  Lexicon  typogr.  tt.  (Firenze,  Olschki,  1905). 


348  Cesare  Poma, 

5. 

Cinque  (Campobasso). 

De'  Cinque  (Roma). 

Cinquegrana,  Napoli,  e  Cinquegrani. 

Cinquemani. 

Cinquini. 

Crescentius  qui  vocatur  Quinque  Dentes,  1011,  Roma. 


Seidenari,  Sanremo. 

Seidita,  sicil.  —  Un  cogn.  consimile  'E^aódxTvÀog  esiste  anche 
in  Grecia. 


Settamii,  Napoli  :  cfr.  de  Septemannis,  Cod.  Astensis. 

Settegrani. 

Settesoldi. 

Setteamanze,  XV,  Abruzzo. 

Settecoltelli,       „  „ 

Settepani,  Ponzano  (Lazio). 

dei  Settesoli,  XIII,  Roma,  appartiene  solo  apparentemente  a 
questa  categoria,  perché  la  famiglia  a  cui  appartenne  lacopa, 
la  discepola  di  S.  Francesco  d'Assisi,  prendeva  il  nome  dal 
suo  feudo,  il  castello  di  Settesoli,  che  sarebbe  stato  il 
Septesolium  di  Settimio  Severo. 
Nel  "  Liber  Instrumentorum  ,,  di  Mondovi  (B.  S.  S.  S.)  ricorre 
spesso  un  Set  (talvolta  scritto  Septem)  Molinarius,  1288, 
1293,  1305,  ed  è  forse  da  intendersi  per  il  nome  di  Settimo. 

11. 

Ubertono  Sartori,  detto  XI  lire,  1342,  Biella  ^ 


'  Da  UQ  doc.  conservato  nell'Arch.  della  Scuola  Professionale. 


I 


Numeri  come  cognomi  349 

12. 

Diecidue. 

Donzena,  Milano  —  lomb.  donsena  per  dozzina  :  forse  da  qualche 
maestro  raedioevale  che  teneva  scolari  a  dozzina  ^. 

Dodici- Schizzi^  famiglia  nobile  di  Cremona  :  il  2°  cognome  non 
à  relazioni  col  1°,  perché  dall'Annuario  della  Nobiltà  Ital. 
parrebbe  che  siavi  entrato  per  via  di  matrimonio,  e  d'al- 
tronde Dodici  esiste  nella  stessa  città  da  solo. 

13. 

Tredici,  Somma  Lombarda. 

14. 

Maynfredus  de  Xiiij  solidis,  1211 ,  doc.  562  Cartario  di  Staffarda, 

in  BSSS. 
Ma  Ubertus  Quatuordecim,  Cod.  Astensis,  e 
Henricus,    Guillelmus    Quatorge    o    Quatorze,    1185,  1200  Carte 

Arch.  Arciv.  Torino,  in  BSSS 
derivano  indirettamente  da  14  attraverso  al  nome  locale  che 

ora  è  Quattordio,  circ.  d'Alessandria. 

15. 

Passaquindici. 

19. 

Diexinuove,  XIV,  Venezia,  in  latino  Decem  et  novem. 

27. 

Delvintisette,  Nizza  Marittima  —  letto  nel  "  Corriere  della  Sera  „. 


^  Di  questo  uso  discorre  il  prof.  F.  Gabotto,  Lo   Stato   Sabaudo,   a    pro- 
posito delle  scuole  in  Piemonte. 


3B0  Cesare  Poma, 

30. 

Trenta. 

{Trentini  forse  è  etnico,  malgrado  l'analogia  di  Cinquini,  e  cioè 
originario  di  Trento). 

Trentanni. 

Trentacoste. 

Trentalance,  Napoli. 

Trentacapilli,  Napoli,  XVIII  ^ 

Trentoncie,  XV,  Abruzzo. 

Trente,  cognome  di  Gressoney,  tradotto  in  francese  dalla  sua 
forma  tedesca  Dreisiger,  trentesimo. 
Il  n.  p.  maschile  Trentafile  è  citato  dal  Molmenti  ^  tra  quelli 
in  uso  a  Venezia  fino  a  tutto  il  secolo  XII  —  e  siccome 
parecchi  erano  di  provenienza  bizantina,  congettui'o  che 
questo  sia  il  greco  TriantafiUis,  ora  cogn.  in  Grecia,  cioè 
30  foglie. 

34. 

de  Trentaquatris,  XIV,  Bologna. 

39. 


Trentanove. 


Quaranta,  Quarantelli. 


40. 


48. 


Quarantotto  (Trieste).  —  Quarantotti,  ma  già  Quarantaotto,  XVI, 
Padova. 


^  Gennaro  Grande,  Origine    dei    Cognomi   gentilizi    nel    Regno    di    Napoli 
(Napoli,  1756),  p.  268. 

^  La  Storia  di  Venezia  nella  vita  privata,  I,  440. 


à 


Numeri  come  cognomi  851 

50. 

Cinquanta,  Milano. 

100. 

un  notaio  Bertolinus  Centumpecudes,  Pavia,   1294  ^. 

Centomani,  nap. 

Centofanti. 

Centoniiglia. 

Centonza,  Centonze,  It.  merid. 

Centolanzi,  Milano  :  cfr.   Trelanzi. 

Centanni,  Di  Centanni,  Napoli. 

Centamori,  Perugia  —  Centamore. 

Johannes  Centum  Porci,  1026,  Roma. 

Sansoldi,  piem.  :  nel  Codex  Astensis  è  Censoldus,  Alba,  XIII  : 
ma  nelle  Carte  di  Signori  e  Luoghi  del  Pinerolese  (B.  S.  S.  S.) 
si  trova  un  dns  Ogerius  C.  solidi,  1234,  doc.  119,  che  il 
prof.  F.  Gabotto  spiega  in  nota  appunto  coll'attuale  forma 
Sansoldi. 

Centunviro,  è  probabilmente  cognome  di  Brefotrofio. 

1000. 

dns  Ruffinus  Milsolidi,   Alessandria,    1230   (Relaz.  Alba-Genova 

in  B.  S.  S.  S.). 
Millelire,  It.  merid. 
Millefiorini . 

Milleiari,  sicil.  —  cfr.  cogn.  Tari  a  S.  Maria  Capua  Vetere. 
Millunzi,       „      —  cioè  1000  oncie. 
Johannes  Millemusche,  1244,  Vercelli. 


*  Doc'  Arch.'  Pavia  relativi  a  Voghera,  B.  S.  S.  S. 


352 


Cesare  Poma,  Numeri  come  cognomi 


Enechus  (forse  leggi  Enochus)  Milemerce  e  Moyses    Milemerzia, 
1266,  Milano  (A.  Ratti,  1.  e.)  paiono  Ebrei. 

C'è  anche  il  cogn.  Millanta,  ma  sarebbe  forse  arrischiato  at- 
tribuirgli il  significato  di  mille  ^  :  certo  il  più  desiderabile 
cognome  fu  quello  di  Gumbertus  de  multis  denariis,  Cre- 
mona, 1207  ^ 


Cesare  Poma. 


Piazzo  34,  Biella. 


*  Ma  il  colmo  di  stranezza  in  siffatto  genere  è  un  cognome  che  leggo 
appunto  in  questi  giorni  nel  Times  di  Londra,  ove,  tra  le  persone  di  cui 
questa  sciagurata  guerra  ha  fatto  smarrire  le  traccie  nei  j^aesi  belligeranti, 
il  Console  americano  cerca  notizie  di  una  signora  di  sangue  indiano  (Pelli 
Rosse  d'America)  che  si  trovava  in  viaggio  in  Europa  e  che  porta  il  sin- 
golare nome  di  Mrs  Tivo  Tivo,  cioè  Due  Due. 

^  Documenti  di  Voghera,  num.  46  e  47,  B.  S.  S.  S. 


Cesare  Poma  353 


Fallaci  apparenze  in  cognomi  italiani. 


Nulla  vi  è  talora  di  più  fallace  dell'apparenza  etimologica 
nei  cognomi,  la  cui  forma  attuale  è  talvolta  una.  o  più  d'una, 
trasformazione  d'una  forma  anteriore,  e  il  cui  significato  appa- 
rentemente ovvio  non  è  che  l'effetto  della  tendenza  naturale 
del  popolo  di  dare  a  una  parola  incompresa  il  suono  di  altra 
che  gli  è  intelligibile. 

Nei  cognomi  vi  furono  due  correnti  contrarie  : 

1°  di  oscurare  nomi  di  significato  lesivo  dell'amor  proprio  ; 
2°  di  chiarire,  con  un  significato  attuale,  quelli  il  cui  senso 
originale  era  perduto. 

I. 

Della  prima  tendenza  fecero  già  cenno  l'illustre  Flechia  ^  e 
il  prof.  A.  Gaudenzi  2,  che  ne  danno  alcuni  cospicui  esempì. 

In  generale  i  nostri  proavi  del  Medioevo  non  erano  molto 
schifiltosi  per  i  loro  nomi,  e  ne  troviamo  che  non  nascondevano 
affatto  di  chiamarsi  F-ttivecchia  ^,   Tappac-lo  *,  C-c-losso  ^  e  C-c- 


^  Di  alcuni  criteri  per  Voriginazione  dei  Cognomi  italiani  (negli  "Atti 
dell'Accademia  dei  Lincei  ,,  III,  2,  Scienze  morali,  1877-78). 

^  Storia  del  cognome  a  Bologna  nel  secolo  XIII  (in  "  Bull.  Ist.  Stor.  It.  ,, 
n.  19,  1898). 

^  Bernardus  Fotuegla,  1241,  Cartario  Staflfarda,  B.  S.  S.  S.  —  Petrus  Fu- 
tevetula  e  Ruffinus  Fotevefulla,  Alessandria,  1227,  Relazioni  Alba-Genova, 
B.  S.  S.  S.  —  Aggiungasi  Girardus  Fotendarnus  (f-tte  indarno),  1193,  Doc' 
Arch.'   Pavia  relativi  a  Voghera,  B.  S.  S.  S. 

^  Un  "  dictus  Tapacul  , ,  1305,  Val  d'Aosta ,  Estratti  Conti  Camerali, 
B.  S.  S.  S. 

^  Bellonus  de  Caca^osso,  Novara,  1211,  Cart.  Museo  Civico  Nov.,  B.  S.  S.  S. 


354  Cesare  Poma, 

insacco  ^,  né  di  derivarsi  da  c-lo  si  vergognavano  Guillelmus 
Culus  niger  de  Pellio  (Pegli),  1209  ^,  Bonjohannes  Culflociis, 
Vercelli,  1167  ^,  o  Ugucio  Culhaatus,  ibi-d.,  1163  *,  se,  come  è 
tradotto  dal  prof.  F.  Gabotto,  significa  C-lbaciato  :  che  anzi  nel 
Codex  Astensis  troviamo  ad  Asti  nel  s.  XII  un  Guillelmus  Culus 
Aureus  ! 

Però,  col  graduale  affinarsi  dell'educazione  familiare,  certi 
cognomi  osceni  vennero  in  uggia,  e  furono  trasformati  per  ma- 
scherarne il  senso  primitivo. 

Il  Flechia  ne  cita  alcuni  di  significato  soltanto  molesto,  come 
Cappasanti  da  gabba-santi,  Pestalozza  per  pesta  l'ossa, 
il  ben  noto  Pallavicini^  ecc. 

Ma  il  prof.  Gaudenzi  ne  ricorda  alcuni  di  tenore  prettamente 
osceno,  come  i  medioevali  bolognesi  Corforati  e  Figahozza  ^. 

Cosi  oggidì  Feccarotta  ^,  ed  altri  si  potrebbero  aggiungere  se 
1'  "Archivio  „  fosse  scritto  in  quel  latino  che  permette  piìi  de- 
centemente la  esposizione  di  cose  invereconde. 


*■  Bregognonus  Cainsaccus,  Vere,  1175.  o  Bergognonus  Caginsaco,  ibidem, 
1183,  e  Cribaldus  Cacainsaco,  ibid.,  1143.  in  Carte  Arch.  Capit.  Vere,  B.S.S.S. 
—  Per  cognomi  derivati  da  c-c-re  e  p-sc-  -re,  veggansi  i  miei  due  opu- 
scoli citati  alla  nota  2  del  precedente  studio  "  Numeri  come  cognomi  ,. 

^  Doc.  23,  Relazioni  Alba-Genova,  B.  S.  S.  S. 

'  Doc.  215,  Carte  Arch.  Capit.  Vere,  B.  S.  S.  S. 

*  Doc.  180,  Carte  Arch.  Capit.  Vere,  B.  S.  S.  S. 

^  La  forma  anteriore  di  quest'ultimo  era  F-gabìisa. 

^  La  forma  F-carotta  è  tuttavia  rimasta  fino  ad  oggi.  Anzi,  mentre  scrivo 
trovo  tra  i  morti  di  Milano  il  cogn.  Fidarrotta,  che,  se  non  è  uno  sbaglio 
di  stampa,  è  un  deliberato  travestimento  del  cognome  in  questione.  — 
All'ombra  discreta  d'una  nota  menzionerò  solo  il  cogn.  Conrotto,  non  raro 
a  Torino,  l'ingiuria  del  cui  significato  deve  essersi  prolungata  ai  figli  e 
nipoti  della  femmina  a  cui  fu  applicato,  se  un  della  Crosa,  di  Albugnano, 
XIV  0  XV  s.,  chiamavasi  Conroto  di  nome  proprio  (Cartario  Grazzano,  in 
B.  S.  S.  S.,  p.  108,  regesto  105). 


Fallaci  apparenze  in  colorai  italiani  355 


II. 


Ma  io  voglio  invece  illustrare  il  fenomeno  contrario,  cioè  il 
trapasso  da  un  significato  perduto  a  uno  ovvio,  il  passaggio  di 
un  nome  oscuro  ad  una  forma  che  significhi  qualcosa,  e  con 
alcuni  esempì  mi  propongo  di  dimostrare  come  l'apparente  signi- 
ficato di  molti  odierni  cognomi  non  sia  che  una  fallace  parvenza. 

Prenderò  a  paradigma  il  bel  nome  medioevale  Tigrino,  por- 
tato in  Romagna  nel  Trecento.  In  mezzo  agli  Orsi,  Lupi,  Cani, 
Mastini,  Vitelli  che  erano  tanto  in  voga  in  quei  secoli  bestiali, 
Tigrino  pareva  avere  una  specie  di  superiorità.  In  verità  l'aveva, 
ma  non  per  il  suo  apparente  significato  di  maggiore  ferocia, 
bensì  per  la  sua  antica  origine  dal  bel  nome  teutonico  Tegrimo, 
Teudegrimo  ^. 

I  cognomi  che  seguono  —  elencati  in  ordine  alfabetico  —  si 
intendono  viventi,  se  non  altrimenti  specificato. 

Baldacchino  —  dal  n.  p.  Baldachus,  ex.  gr.  Friuli,  XIII  =  Baldo 
col  peggiorativo  -acco. 

Boemi,  sicil.  —  è  una  variante  di  Buemi.  Molti  altri  cognomi 
siciliani  cominciano  in  Bu-,  e  derivano  da  nomi  locali  di 
origine  araba,  cosi  denominati  da  antichi  proprietari  sara- 
ceni i  cui  nomi  principiavano  con  "  abu  „  padre,  cioè  la 
proprietà  del  tale,  padre  del  tale  2. 


^  Il  cogn.  Tegrini,  XVI,  Lucca,  era  del  pari  una  alterazione  di  Tegrimi. 
—  11  n.  p.  Tegrimo  fu  frequente  nei  conti  Guidi  del  Casentino. 

^  AvoLio  (Corrado,  di  Noto),  Di  alcuni  sostantivi  locali  del  siciliano,  in 
"Arch.  Stor.  Sicil.,,  Nuova  Serie,  anno  XIII,  a  p.  390  —  a  comprova  egli 
cita  i  nomi  locali  egiziani  Abukir,  Abuklea,  ecc. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIIl.  28 


366  Cesare  Poma, 

Carlomagno.  —  Il  trovare  nel  Chartarium  Cupersanense,  doc.  174 
del  1238,  un  Ioannacarus  de  Carolomango,  mi  fa  supporre 
che  si  tratti  del  n.  p.  Mangus  del  Reg.  Farf.,  da  cui  i  tre 
nomi  locali  San  Mango  e  i  cogn.  Mango  e  Santomango,  tutti 
dell'Italia  Meridionale. 

Catone,  Saluzzo  —  ove,  secondo  il  prof.  A.  Bongioanni,  della 
Biblioteca  di  Udine,  sarebbe  variante  di  Chiattone,  da  un 
dial.^®  ciattùn,  ciàt  =  gatto.  Per  contro  lo  stesso  cognome 
a  Gesualdo,  pr.  Avellino,  potrebbe  essere  uno  dei  tanti  de- 
rivati da  nomi  classici  romani,  adottati  nel  Medioevo  come 
nomi  personali  e  indi  passati  a  cognomi  ^  ;  ma  ciò  io  lascio 
a  qualche  studioso  di  quella  regione,  essendo  necessario 
che  ogni  cultore  di  studi  onomastici  si  occupi  della  propria 
regione  e  non  invada  quelle  di  altri,  ove,  accanto  ai  criteri 
comuni  di  formazione  dei  cognomi,  vi  sono  particolarità 
proprie  del  dialetto,  della  storia,  delle  vicende  delle  regioni 
stesse  che  solo  possono  essere  apprezzate  da  uno  studioso 
del  luogo. 

China,  Masserano  —  n.  p.  China  in  famiglie  biellesi  del  s.  XVII 
risulta  aferesi  di  Franceschina. 

Dardanelli.  —  Bardano,  nome  del  mitologico  antenato  dei  Troiani, 
fu  n.  p.  in  uso  a  Firenze  nel  Trecento,  da  cui  i  cognomi 
Bardani,  Dardano.  Del  resto  già  un  Dardanus  presbyter 
et  monaho  {sic)  nel  s.  X  ^  e  un  Dardanus  a  Bari  nel  1028  ^. 

Disegni,  isr.  —  per  Di  Segni,  uno  degli  innumerevoli  cognomi 
che  gli  Israeliti  dello  Stato  Pontificio  tolsero  da  nomi  locali, 
allorché  furono  costretti  dal  Governo  ad  adottare  un  co- 
gnome. 


*  Frequentissimi  nel  Lazio  i  cognomi  dovuti  a  reminiscenze  classiche: 
Ascani,  Catulli,  Cecilj,  Livi,  Manili,  Marcofulli,  Mevi,  D'Ortemi,  Pomponi, 
Quinzi,  Rotilj,  Sallusti  e  forse  Salustri,  Sestili,   Tarquini. 

'  D.  MoREA,  Chartularium  Cupersanense  (Montecassino,  1893). 

'  Cod.  dipi.  Barese,  voi.  IV,  doc.  18. 


Fallaci  apparenze  in  cognomi  italiani  357 

Disertori,  Trentino  —  equivale  a  "  di  Sertorio  ,,,  n.  p,  che  trovo 
portato  nel  s.  XV  a  Parma  da  un  Sertorius  Billiardus.  e 
a  Padova  nel  s.  XVII  da  Sertorius  Ursatus  comes. 

Efferati,  isr.  —  la  "  Jewish  Encyclopedia  „  menziona  già  a  Va- 
lencia nella  seconda  metà  del  s.  XIV  un  Amram  ben  Nathan 
Efrati,  rabbino  per  più  di  40  anni  :  la  desinenza  -i  denota 
una  derivazione  araba  da  località,  cioè  nativo  o  originario 
di  Ephratb.  altro  nome  di  Betlemme.  In  Russia  è  Ephrati 
e  in  Tunisia  Efrati,  che  il  Cazés  ^  colloca  infatti  tra  quelli 
che  indicano  il  paese  d'origine. 

Ghiotti,  pieni.  —  da  Gruyotus.  forma  franco-provenzale  di  Guido. 

Grassini,  isr.  —  diversamente  dai  cognomi  cristiani  che  deri- 
vano da  "  grasso  „,  il  cogn.  israelita  Grassini  (o  Grassino, 
XVIII,  Modena)  sta  per  Gersciom,  n.  p.  (dal  primogenito 
di  Mosé  e  Zipporah),  giacché  nella  "  Jew.  Enc.  „  trovo  che 
il  fondatore  della  fam.  Cantarini  fu  un  Gherescion  o  Grassin, 
n.  1546  ad  Asolo,  m.  1620. 

Lardi  —  aferesi  da  Ilardi  che  sta  a  Agilard,  Ailard,  come 
leardi  a  Aicardì. 

Leggieri  —  con  Leggeri  e  Liggeri  dal  n.  p.  Legerius,  Leggerius, 
nel  Trecento  Legerio  o  Leogieri,  dal  teut."  Leodegar  delle 
nostre  carte  del  s.  X,  come  Beringeri  da  Berengario  — , 
rad.  :   "  leudi  ,.   di  Forstemann. 

Lenzuoli,  XV  —  è  un  flagrante  esempio  della  tendenza  di  dare 
un  significato  italiano  a  nomi  forestieri  introdottisi  in  Italia, 
quale  quello  spagn.  dei  Llencol  parenti  dei  Borgia. 

Malattia,  Barcis  (distr.  di  Maniago).  —  Il  sullodato  prof.  Bon- 
gioanni, che  si  occupa  di  cognomi  friulani,  lo  crede  corru- 
zione di  Malachia. 

Marsiglia.  —  Non  dalla  città,  ma  con  Marsilia,  dal  n.  p.  Marsilia. 
Cosi  Marsili,  Marsilii,  Marsilio  dal  n.  p.  Marsilio  degli  an- 
tichi romanzi  cavallereschi,  il  quale  forse  significherà   "  ori- 


Histoire  des  Israélites  de  Tunisie  (Paris,  1889). 


358  Cesare  Poma, 

ginario  di  Marsiglia,  città  che  ebbe  già  nel  M.  E.  fre- 
quenti relazioni  commerciali  specialmente  con  la  Toscana  „ 
come  vuole  il  prof.  Fumagalli  ^  ma  non  è  certo,  come  so- 
stiene il  Bianchi  ^  citando  Ampère,  corruzione  di  Omaris 
fìlius  (ben  Omar),  principe  arabo  di  Spagna. 

Mattone  —  forse  da  Matteo,  come  indubbiamente  Mattucci. 
Mafucci,  e,  a  Roma,  XVI,  Mattuzzi  o  Matuzzo  dal  n.  p. 
Matuzzo  che  risulta  equivalente  a  Matteuccio  ^. 

Monelli,  XV,  Crema  —  aferesi  di  Simonelli. 

Mortali,  Torrita  Tiberina  —  da  qualche  n.  loc.  derivato  da  mirto, 
come  Pian  del  Mortale  in  Abruzzo  *. 

Mota  —  variante  di  Motta,  pure  da  n.  loc. 

Nono,  veneto  —  da  n.  loc.  :  cfr.  Giovanni  da  Nono,  cronista 
padovano  del  M.  E.,  in  lat.  lohannus  de  Naone,  cioè  del 
villaggio  di  Non,  sulla  sponda  sinistra  della  Brenta  ^. 

Patrassi  —  da  Pietro  :  cfr.  Patrasso,  Petraso  o  Petrasso  degli 
Anguillara,  XIII, 

Persia,  biell.  —  è  freq.  nei  documenti  di  Mosso  dei  sec.  XIV 
e  XV  colla  forma  Persica:  lohs  psica  de  Moxo  not.  e  Ubertin, 
fìlius  qda"Johis  psice  de  Moxo  not.  rogarono  rispettiva- 
mente le  due  pergamene  1,  VI  1316  e  30.  IV.  1352  ora 
nell'Arch.  della  Scuola  Professionale  di  Biella.  È  dalla  forma 
dialettale  per  "  pesco  „,  come  tanti  altri  cognomi  presi  da 
piante:  cfr.  cogn.  Carpo,  Mottalciata,  da  "  carpo  „,  carpine. 

Pesante,  XVI,  isr.  —  Come  cogn.  israelita,  significa  Bizantino: 
la  "  Jew.  Enc.  „,  tra  le  principali  famiglie  di  Widdin,  di 
origine  greca,  menziona  i  Pyzante  o  Byzante.  In  Turchia 
scrive  vasi  anche  Pizante,  XVI,   e   oggidì    Pesantij   (Gerusa- 


^  Piccolo  dizionario  dei  nomi  proprii  italiani  di  persone  (Genova,  1901). 

A.  G.  I.,  XIII,  192. 
3  V.  Indice  al  fase.  105  RR.  II.  SS. 

*  Prof.   P.  Rolla,   Toponomastica  abruzzese  (Casale,  1907). 
^  P.  Rajna,  Le  origini  delle  fam.  padovane  e  gli  eroi   dei    Romanzi    cavai- 
lereschi  (in  "  Romania  „,  anno  IV,  1875,  p.  162). 


Fallaci  apparenze  in  cognomi  italiani  359 

lemme).  Da  noi,  nell'Italia  meridionale,  il  n.  p.  Byzantius, 
freq.  nei  doc.  di  Napoli,  Bari,  Conversano,  ha  lasciato  i 
cogn.  Bisantis  a  Gimigliano,  Bisanti  e  Bissanti  a  Napoli, 
Già  Gennaro  Grande  ^  giustamente  derivava  Bissante,  nap., 
da  Bisancius. 

Pilato  —  da  pelato.  Infatti  Ugo  Pilatus  e  Ugo  Pdatus  in  due 
atti  di  Borgo  S.  Dalmazzo.  1285. 

Bava,  isr.  —  Mentre  il  cogn.  Bava  cattolico  è  naturalmente  un 
antico  soprannome  da  "  rapa  „ ,  la  forma  Bava  adottata  da 
qualche  israelita  che  tende  ad  occultare  la  propria  qualità 
è  in  realtà  il  cogn.  fìara,i?rtèa,  i^aèèd,  dall'ebraico  "  rabbah  „, 
il  grande,  signore. 

Cosi  i  Bapa,  XV,  israeliti  fissatisi  in  Italia  verso  il  1472, 
erano  dei  Bappe  di  Magonza,  da  "  rabe  ,  corvo,  che  poi 
adottarono  nello  stemma  allorché,  trasferitisi  in  Austria  ed 
altrove,  divennero  importanti  sotto  il  nome  di  Bappaport, 
ossia  Bapa  di  Porto,  per  aver  vissuto  qualche  tempo  a 
Porto  Mantovano  ("  Jew.  Enc.  „). 

Buscelli,  XVI,  isr.  —  Obbedendo  alla  tendenza  sovra  accennata 
l'israelita  spagnuolo  Mordecai  Raphael  ben  Jacob  Bosello, 
di  Barcellona,  trasferitosi  a  Napoli,  Roma  e  Ferrara  nel 
sec.  XVI,  fu  da  noi  conosciuto  sotto  il  trasformato  nome 
di  Buscelli. 

Santanera,  Villafranca  d'Asti.  —  Non  ha  alcuna  relazione  col 
Martirologio  :  ma  viene  da  qualche  n.  loc,  come  la  Cente- 
naria, Centanaria.  Centenera  in  terr.  di  Carmagnola,  fre- 
quente nel  Cartario  dell'Abazia  di  Casanova  in  B.  S.  S.  S. 
e  la  quale  naturalmente  in  origine  esprimeva  una  super- 
ficie di  cento  unità  o  la  parte  di  qualche   "  centenarius  „  ^. 


'   Origine  dei  Cognomi  gentilizi  nel  Regno  di  JV^a^o/t  (Napoli,  175fi),  p.  273. 

^  Resta  cosi  corretta  la  leggermente  diversa  etimologia  da  me  data  di 
questo  cognome  a  pag.  23  del  mio  opuscolo  :  /  cognomi  longobardi  in  Italia 
(Torino,  Artigianelli,  1911). 


360  Cesare  Poma, 

Spezia  —  non  dalla  città,  ma  dal  vender  spezie,  come  l'altra 
forma  Spetta,  cioè  "  della  spetia  „,  "  spitiale  „  come  dice- 
vasì  a  Roma  nel  s.  XV. 

Stuardi  —  cogn,  di  Poirino.  Non  à  alcuna  relazione  colla  Scozia, 
ma  deriva  dalla  borgata  di  Stoherda  presso  Poirino,  che 
nel  Cedex  Astensis  è  Stoherda  e  Stoarda  (col  cogn.  de 
Sto{h)arda)  e  che,  come  il  fondo  Stodegarda  presso  Vespo- 
late  \  e  come  la  località  Stoccarda  tra  Vergano  e  Roma- 
gnano,  rappresenta  il  teut.°  "  Studegarte  „,  steccato  di 
arbusti  ^. 

Suino.  —  Questo  apparentemente  brutto  cogn.,  freq.  a  Torino, 
è  invece  un  bel  residuo  teutonico,  aferesi  di  Ansuino. 

Varrone  —  cogn.  di  Chieri,  ove  si  trova  anche  la  forma  Varane 
che  è  la  vera,  dovendo  connettersi  col  franco-provenzale 
"  vairon  „,  "  veron  „,  detto  degli  occhi  coli' iride  cerchiata  di 
bianco,   "  les  yeux  vairons  „,  che  Littré  deriva  da  "  varius  „. 

Questa  lista  si  potrebbe  allungare  a  piacimento,  ma,  per  non 
stancare  il  cortese  lettore,  voglio  finire  con  un  esempio  cospicuo 
della  tendenza,  dirò  cosi  mimetica,  dei  cognomi  di  adattarsi 
all'ambiente  : 

Verderame,  Licata,  e  Verdirame,  in  prov.  di  Reggio  Calabria.  — 
Ognuno  resterebbe  ingannato  sul  loro  significato,  se  il  sul- 
lodato  Grande  non  ci  avesse  conservato  il  cogn.  Verteraimo 
di  Nola,  ch'egli  rettamente  a  p.  272  deriva  dal  n.  p.  teu- 
tonico Bertheraymus,  citando  un  comes  Bertheraymus  An- 
driae,  1322.  Questo  nome  ha  subito  l'influenza  di  Aymo, 
Raymo,  ma  la  sua  vera  desinenza  è  -amus,  come  si  trova 


'  Doc.  24.  XII.  989,  N»  101,  Cart.  Ardi.  Capit.  di  S.  M.  di  Novara,  in 
B.  S.  S.  S. 

^  V.  il  §  5  del  mio  art.  :  Gli  elementi  etnici  del  Novarese  verso  il  Mille, 
in  "  Boll.  St.  prov.  Novara  „,  anno  Vili,  fase.  IL 


Fallaci  apparenze  in  cognomi  italiani  361 

in  Trincherà  ^  :  f  Ego  Bertheramua  Bove  tester  :  infatti 
Forstemann  colloca  un  esempio  cassinese  di  Berteram  sotto 
Berlìta  (clarus)  hraban  (corvus). 

Per  concludere  questo  articolo  sui  fallaci  aspetti  di  molti 
cognomi,  non  v'è  esempio  pili  appropriato  dello  stesso  cognome 
Fallaci,  della  Sicilia  e  Calabria,  che,  colle  varianti  Falace, 
Faillaci,  appartiene  a  quella  categoria  di  cognomi,  numerosis- 
sima in  quelle  due  regioni,  che  derivano  da  nomi  greci  in  -axì]g, 
quali  Farace,  Gregoraci,  Jerace,  Peronace,  Starace,  ecc. 

Cesare  Poma. 
Piazzo  34,  Biella. 


*■  Syllabus  graecarum  memhranarum  (Napoli.  1865),  p.  547. 


362  P.  G.  Goidànich, 


ANCORA  DELLE  SINTESI  LINGUISTICHE 

(Rivendicazione  di  metodi  critici  alla  scuola  italiana). 


Nel  Cours  de  linguistique  generale  di  Ferdinando  de  Saussure, 
messo  piamente  insieme  su  appunti  di  scuola  dai  suoi  scolari 
Ch.  Bally  e  A.  Sechehaye,  professore  il  primo  e  libero  docente 
il  secondo  all'Università  di  Ginevra,  a  pag.  137,  al  quesito  se 
i  mutamenti  riguardino  le  parole  o  soltanto  i  suoni,  l'insigne 
Maestro  ginevrino  risponde:  "  la  réponse  n'est  pas  douteuse: 
"  dans  néphos,  méthu,  serpo,  etc.  c'est  un  certain  phonème,  une 
"  sonore  aspirée  indo-européenne  qui  se  change  en  sourde 
*  aspirée,  c'est  l' s  initial  du  grec  primitif ,  qui  se  change 
"  en  A,  etc,  et  chacun  de  ces  faits  est  isole,  indépendant  des 
"  autres  événements  du  méme  ordre,  indépendant  aussi  des  mots 
"  où  il  se  produit  „. 

Orbene,  a  queste  parole  del  Maestro  i  suoi  discepoli  fanno 
seguire  questa  annotazione  :  "  Il  va  sans  dire  que  les  exemples 
"  cités  ci-dessus  ont  un  caractère  purement  schématique;  la  lin- 
"  guistique  actuelle  s'efforce  avec  raison  de  ramener  des  séries 
"  aussi  larges  que  possible  de  changements  phonétiques  à  un 
"  méme  principe  initiale;  c'est  ainsi  que  M.  Meillet  explique 
"  toutes  les  transformations  des  occlusives  grecques  par  un  af- 
"  faiblissement  progressif  de  leur  articulation  (voir  "  Mém.  de 
"  la  Soc.  de  Lingu.  ^,  IX,  p.  163  et  suiv.).  C'est  naturellement 
"  à  ces  faits  généraux,  là  où  ils  existent,  que  s'applique  en  der- 
"  nière  analyse  ces  conclusions  sur  le  caractère  de  changements 
"  phonétique  „. 


Ancora  delle  sintesi  linguistiche  363 

Gli  egregi  colleghi  ginevrini  dicono,  invero,  "  /a  linguis- 
"  tique  a  et  nelle  s'efforce  „,  ecc.,  mala  citazione  ch'essi  fanno 
del  solo  Meillet  potrebbe  far  sorgere  nei  lettori  di  un  libro  de- 
stinato a  larga  diffcisione  l'opinione  che  il  merito  di  aver  inau- 
gurato questo  metodo  critico  delle  sintesi  linguistiche  nell'esame 
dei  fatti  glottologici  spetti  alla  scuola  francese,  laddove  esso  va 
attribuito  completamente  alla  scuola  italiana,  e  precisamente, 
mi  si  permetta  di  dirlo,  al  modesto  autore  di  queste  righe.  Gli 
egregi  colleghi  ginevrini  non  anno  che  a  vedere  la  mia  Prefa- 
zione al  voi.  XVII  dell'  "  Archivio  Glottologico  Italiano  „,  ed 
esaminare  i  miei  lavori  antecedenti  ivi  citati  a  p.  xxxvi  sg.,  in 
cui  io  ò  applicato  e  raccomandato  questo  metodo.  E  per  venire 
incontro  alla  curiosità  degli  egregi  colleghi  citerò  quattro  passi 
del  mio  libro  snW Origine  della  dittongazione  romanza,  due  da 
verso  principio,  uno  da  verso  il  mezzo,  uno  da  verso  fine:  "  Più 
"  che  fermarci  analiticamente  sulle  alterazioni  singole  ^  noi 
"  dobbiamo  considerare  il  complesso  delle  alterazioni  „  (pa- 
gina 21).  "  In  territori  etnologicamente  affini  noi  troviamo  una 
"  serie  di  fenomeni  omogenei  che  complessivamente  costituiscono 
"  una  bene  spiccata  caratteristica  fisiologica  di  tutto  il  gruppo  ; 
"  ma  per  una  ragione  o  per  l'altra  gli  effetti  di  una  tale  carat- 

*  teristica  possono  essere  i  più  vari  in  estensione  e  in  intensità  „ 
(pag.  22).  "  S'è  visto  replicatamente  quale  vantaggio  si  ricavi 
"  dalia  considerazione  complessiva  delle  alterazioni  fonetiche  di 
"  uno  0  più  idiomi  affini  „  (pag.  120).  "  Nel  volume  molto  van- 

*  faggio  ò  riscontrato  nella  considerazione  sistematicamente 

*  sintetica  delle  alterazioni  fonetiche,  spontanee  o  condizionate. 

*  Il  metodo  non  sarebbe  mai  abbastanza  raccomandabile  „  (pag.  193). 
Leggendo  il  mio  volume  essi  troveranno  molte  e  vaste  applica- 
zioni di  questo  principio  metodico  e  troveranno  altri  interessanti 


Gli  spazieggiati  sono  nel  testo. 


364  P.  G.  Goidànicli,  Ancora  sulle  sintesi  linguistiche 

principi  enunziati  ed  applicati.  Ma,  come  avverto  nella  citata  Pre- 
fazione al  voi.  XVII  dell'  "  Archivio  „,  non  solo  nelle  questioni 
fonetiche  ma  anche  nelle  questioni  morfologiche  va  seguito  il 
metodo  sintetico;  esempio  di  questo  procedimento  metodico  io 
ò  dato  nel  mio  studio  sul  Perfetto  e  aoristo  latino  e  nelle  Note 
rumene  S  come  espressamente  ricordo  nella  Prefaz.  citata  ;  in 
questa  ultima  mia  pubblicazione  è  anche  un  esempio  di  quali 
brillanti  risultati  si  raggiungano  anche  nelle  ricerche  fonetiche 
col  tener  presenti  i  fatti  morfologici,  oltre  che  i  fonetici. 

A  scanso  d'equivoci  aggiungerò  che  i  miei  rispettosi  rimpro- 
veri di  trascuranza  ^  ai  colleghi  ginevrini  non  toccano  affatto 
il  Meillet,  il  quale  nella  sua  instancabile  attività  si  è  compia- 
ciuto di  rivolgere  l'attenzione  anche  alle  mie  modeste  pubblica- 
zioni e  mi  onora  di  molta  estimazione.  Chi  legge  le  citate  pa- 
gine del  Meillet  ^  non  vi  troverà  ombra  alcuna  di  un  suo  proposito 
di  adornarsi  di  meriti  altrui,  ma  solo  vi  vedrà  l'esposizione  di 
principi  metodici  *  ormai  accettati  dalla  scienza  ^. 

P.    G.    GoiDÀNICH. 

^  Poiché  sono  sulla  via  delle  rivendicazioni  ricorderò  anche  la  Postilla 
a  pag.  559  fine  del  voi.   XVII  di  questo   "Archivio  „. 

"^  II  mio  libro  suWOrifpne  della  ditt.  rom.  tratta  abbondevolmente  di 
fatti  indoeuropei  e  doveva  per  il  suo  sottotitolo  e  per  la  recensione  fat- 
tane dal  Meillet  stesso,  esser  richiamato  all'attenzione  degli  indoeuropeisti 
francesi. 

^  Non  tutte  le  analisi  dei  fatti  colà  esposte  mi  paiono  approvabili  ;  ma 
di  una  critica  particolare  di  fatti   indoeuropei  non  è  questo  il  luogo. 

*  Sulle  tendenze  latenti  nel  linguaggio  e  il  loro  graduale  e  vario  svi- 
luppo i  colleghi  ginevrini  potranno  anche  consultare  utilmente,  sulla  scorta 
degli  Indici,  il  mio  libro  sulla  Ditt.  rom.  E  un  vanto  della  scuola  italiana 
di  rendersi  ragione  delle  cause  delle  alterazioni  fonetiche,  anche  di  quelle 
dette  normali. 

^  Anche  il  Meyer-Liibke,  a  proposito  della  mia  citata  Prefazione,  mi 
scriveva:  'Auch  was  Sie  uber  die  Sintesi  linguistiche  sagen  hat  meinen 
Beifall  ,. 


i 


365 


Di  un  preteso  aurufice. 


Il  Meyer-Llibke,  nel  REtW,  e,  quel  che  è  più  dannoso,  nel 
Thesaurus  dì  Berlino,  registra,  sulla  fede  del  Salvioni,  una 
pretesa  forma  aurufice.  Ma  una  tal  forma  che  il  Salvioni 
{Miscellanea  ascoliana,  p.  89)  dava  sul  fondamento  di  una  con- 
tinuazione abruzzese  di  essa,  non  à  fondamento  veruno  ;  infatti 
l'abruzz.  rofece,  che  il  Salvioni  allegava  come  continuatore 
abruzzese  di  aurufice,  appartiene  alla  varietà  di  Paglieta; 
ma  a  Paglieta  tutti  gli  e  di  ossitona  e  di  proparossitona  o 
parossitona  coperta,  dove  non  s'abbia  -i  finale,  si  riducono  (per 
la  trafila  di  oi)  ad  o  :  es  vedo  Vedere,  so'qiiete  Séguito,  krg'se 
Cresco  ecc.  ecc.  ;  le  forme  abruzzesi  che  continuano  E  con  è 
anno  e  {uréfece,  aréfece,  cfr.  Finamore^,  p.   46). 

P.    G.    GOIDÀNICH. 


366  Umberto  Valente, 


Nomenclatura  dell'ape  in  alcune  regioni  setten- 
trionali d'Italia  e  specialmente  nelle  valli  del 
Pellice  e  del  Chisone.  ^ 


Ape.  —  Tipi  lessicali:  ape  (varietà  fonetiche  o  morfolo- 
giche: alf  Gattinara,  cit-m  Tortona);  api  cu  la  (territorio  piem. 
var.  fon.  anvia  Narzole)  :    moscone    (muskiìn  Gallarate). 

Ape  regina.  —  T.  less.,  oltre  regina,  madre  {mari 
Mattie,  mare  Val  Chisone). 

Pecchione.  —  T.  less.  :  maschio  {maklo  Meana,  màkiu 
Mattie,  masc  Pinerolo)  :    bordone  [burdun  Pragelato). 

Arnia.  —  T.  less.:  apiculariu  {abel'é  Val  Chisone);  fa- 
va r  i  u  (fave  Meana)  ;  buso  {buf  Alessandria,  bifun  Vili  [vedi 
anche  REtV^  1376]);  prov.  brusk  [cfr.  REtW  1342]  [brussón 
Mattie,  èmsc  Angrogna)  ;   buco  -j- brusk  [G.]  (èrwc  Roure). 


*  [I  luoghi  da  cui  le  informazioni  son  tratte  si  possono  ordinare  geo- 
graficamente cosi:  Valli  alpine  piemontesi  di  nord-ovest:  Stura  di  Viù: 
Viù;  -  Dora  Riparia:  Meana,  Mattie;  -  Val  Chisone:  Pragelato,  a  monte 
di  Fenestrelle,  Roure  ;  -  Val  Germanasca  (affi,  di  destra  del  Chisone): 
Ferrerò  (si  veda  l'indicazione  precisa  di  queste  località  nelle  carte  a  p.  202 
del  voi.  XVII,  e  a  p.  12  del  voi.  XVIII),  S.  Secondo  di  Pinerolo  (a  sud-ovest 
di  Pinerolo);  -  Val  Pellice:  Villar  Pellice  (sul  fiume  Pellice,  a  monte  di 
Torre  Pellice),  Angrogna  (subito  a  nord  della  Torre);  -  in  prov.  di  Cuneo, 
in  pianura,  sono  Narzole  (a  sud  di  Bra)  e  Mondovi  ;  -  ad  est  di  Alessandria, 
sullo  Scrivia,  è  Tortona;  -  in  prov.  di  Novara,  sul  Sesia,  presso  Roma- 
gnano  S.,  è  Gattinara  ;  -  e  Gallarate  è  un  noto  grosso  paese  a  nord-ovest 
di  Milano.     P.  G.  G.]. 


Nomenclatura  dell'ape,  ecc.  367 

Sciame.  —  T.  less.  :  ex  amen  (esome  V.  Chisone,  eissdme 
Villar  Pellice)  ;  jectu,  gettone,  piein.  biit  {giet  Mattie,  gic 
S.  Secondo  di  Pinerolo,  zitùn  Pragelato,  biit  Angrogna)  ;  truppa 
(strupa  Mondovi)  ;    nidiata    {Pia  Vili). 

Favo.  —  T.  less.:  fa  varia  {fave  Mondovi);  pertusu 
{partii/ Vìù)  ;  telar  in  {file  V.  Chisone,  tlule  Pragelato);  lion. 
kotji^ó   de   mier    [G.],    kutél  Angrogna,  gutél  Mattie. 

Cella.  —  T.  less.:  cella  {sella  e  simm.  Mondovi  ecc.); 
nicchia   {neis  Mattie,  nis  Meana,  nit  Viù). 

Polline.  —  T.  less.  :  polline  {pullein  Pragelato)  ;  pol- 
verina [cfr.  REtW  6842  "  ostfrz.  pus,  neuenb.  piisc  ecc.  „] 
{pusa  Mattie,  pUsa  Meana). 

Bocca.  —  T.  less.:  bocca  (Viù,  Val  Pellice,  Piemonte  e 
Lombardia  in  genere);  gola  {gulà  Meana,  gula  Mattie,  gule 
Val  Chisone,  gido   Perrero)  ;    labbra    {lahre  Pragelato). 

Smelatura.  —  T.  less.  :  vendemmia  {vendémmia  tori- 
nese, vendumia  astig.). 

Pungiglione.  —  T.  less.  :  aculeo  ne  {agil'on  Val  Chisone, 
aigul'on  Angrogna  ;  var.  fon.  e  morf.  argol'in  Val  Chisone)  ; 
8 u e t i 0 n e  {susùn  Pragelato) ;  suctione4- pungiglione  [G.] 
{sungil'ón  Val  Chisone,  sol'ón  Val  Chisone,  sol' un  Pragelato)  ; 
punzone  +  punta    [G.]    {puinton  Mattie,  Roure). 

Petto  o  Corsaletto.  —  Quella  parte  del  corpicciuolo  che 
sta  fra  il  capo  e  l'addome,  di  materia  solida,  la  quale  sul  dorso 
forma  una  specie  di  scudo.  T.  less.  :  petto  {pitre  Fenestrelle)  ; 
corsaletto  (cors^^g^  Fenestrelle)  ;    stomaco  (s^om/ Piemonte). 

Umberto  Valente. 


368  G.  Malagòli, 


FONOLOGIA  DEL  DIALETTO  DI  NOVELLAKA 


APPENDICE 

Saggio  di  testi  dialettali/ 


a)  Tradizioni  popolari. 

1. 

L affala    ed^Sferindjana. 

Jl_i  da^save'r  na^vólta  k'^a^g'^èr'^un^ré  e  na^'egìna,  k'^i^g^ave'vn^ 
un^fjql.  Avftn  al^re  a^k^steva  na^maistra  k^a^feva^skqla.  Al^fjql 
(talare,  per^divertìres ,  tut^el^sìr  l'^andèv^ihdV^'rt  a^vedr^a^:{uge'r 
stel^puteli.     Una^sìra    al^càtna    la^Sferindjdna    f^l^g^dìf: 

—   O^Sterindjàna, 
kvanti^foj    fa    la^vostra    ma^oràna  ? 

E^le,    stampatela,    la^s^n^à    tànt^al^gr&n^yermf'l,    k^la^a^su'  da^ 


'  Unisco  con  ^  le  parole  legate  insieme  nel  discorso,  le  quali,  di  con- 
seguenza, diventano  enclitiche  e  proclitiche  intorno  a  quella  su  cui  cade 
l'accento  di  proposizione.  Le  vocali  toniche  delle  singole  parole  nella  pro- 
posizione non  pèrdono,  però,  mai  del  tutto  il  loro  colore  ;  ma  l'attenuano 
solamente.  Più  notevole  è  il  mutamento  nella  quantità  :  di  regola,  le  lunghe, 
in  proclisi,  s'abbreviano,  tranne  in  pochi  casi  nei  quali  sembra  che  si  voglia 
quasi  dar  rilievo  alla  parola.  Molto  influisce  poi  nei  legamenti  la  maggiore 
0  minor  lentezza  delia  dizione  :  qui  s'è  voluto  rappresentare  un  modo  di 
pòrgere  piuttosto  lento  e  con  pronunzia  bene  spiccata. 


Fonologia  del  dialetto  di  Novellava  369 

la^so^jmaistra  e__la^k^kqà(a  la^stòrja.  Lri ^maistra  la^g^dlf:  —  E'inan^ 
da^sìra    kvand^ahde^^ó,    s'^al^v^dlf  ankora  : 

—  O^Sterindjàna. 
kvahti^foj    fa    la^vòslra    maiordna  ? 

im    n^g'^l    da  ^risponder  : 

—  E^lu    k^l'^é   aksè^nòbil    kavale'r, 
k^l'^iiin^sapja^dlr 

kimhf  ^atel^in^zel, 
kvant^pes^in^mèr 
e^kvanti^puti    a^q^é   da^maridé'r. 

La^putela    l'^a^n^vdeva^l'^qra    k'^a^nis    kV^etr acuìrà    pr^andè'r    ^o^ 
ihdl[_òrt.    A^vèhs ^l assira  ;    e    al^re    al^n^av/lna    e^al^g^dìf: 

—  O^Sterihdj&na, 
kvanti^foj    fa    la^vòstra    malo  rana  ? 

E^le    la^g^dif  : 

—  E^lii    k^V^é   aksè^ngbil    katialè'r, 
k^l'^um^sapja^dir 
kvant^stel^in^zèl, 
kvanf^pes^in___mèr 

e ^kvahti ^ptiti    a^^g^é   da^maride'r. 

E^lu    al^resta    tahf^mortifikf    Ic^al^dlf:  —  Ajt^a^faró^me! 
A^kV^eter ^gdreìi    a^s^ved    a_gir§'r   per^la^zitf'    un^om    k^al^fbràja  : 

—  Ki^vql  ijbej^mazorm^d^fjq'r  ?  !  Ki^vdl  i^bej^muzorm^d^fjd'r  ?!  — 
Tut^el^puteli  d^la^skqla^ed^kla^maistra  el^selten^fdra  per^veder  ku- 
fa^gjèra.  Kul^gardine'r  al^j^i^ved  e^al^fa^fermè'r  la^so^mula ,  e^ 
Poji^g^dl/:  —  K'^i^venen  a^tor^i^fjò'r  !  —  Tufi  el^s^g^avfluen 
fora ^ke ^la ^Sterihdjàna.      Alqra     lu     al^komlhca     a^Cainfrla     d/endeg  : 

—  KJla^t^eha  ahka^lè  u^tòr  iin^mazolìn^d^fjò'r,  k^la^vena^anka^le  !  - 
Dop^tahti^pregjéri  la^g^và.  Lu  al^zerka  al^pjujbel^mazoìhn^d^fjó  r  ; 
ma^priina  ed^dèrgel,  al^d'if:  —  Pr^averel  hi/ona  baje'r  al^kùl  a^ìa^ 
me^mula.    Le    ht, _g __al ^hèfa ,    e^lu    al ^g^da^al^mazolin. 


370 


G.  Malagòli, 


A^kl^etra^stra    el^piiteli    el^vnh    tuti    indicò rt.    Al^re,    kom^al  ^sQlit, 
al^s^av/ìna    a^la^Sterindjàna    e^l^g^dlf: 


—  O^SferindjSna, 
kvanti^foj   fa    la^vdstra    ma^^pr&na  ? 


E^le    la^ripét  : 


—  E_  lu    k^l'^e    aksè^nòhiì    kavalè'r, 
k^r^unt  ^sapja^dt  r 
kvant^stel^in^zel, 
kvaht^pes^in^niér 
e^kvahti^puti    a^g^é   da^maridé'r. 

E^lu  al^saltì^su'  :  —  Pr^ave'r  ùh^mazolìn^d^fjq'r,  t__ba/\s^al^kfil 
a^Ja^me^mula.  —  E^le  la^va^su  da^la^maistra  e^la^kominca  a^ 
pjànxer  e^la^k^kgnta  la^stQrja.  Ela^maistra  la^g  dì/:  —  Lasf  fèr 
a^ine.  —  La^k^komincn  a^preparé'r  na^vesta^ntgra ,  la^k^td/  a^nòl 
na^mula,  la^la^bèrda  tut^ed^nìger  e^po^ihdel^^oréc  la^g^met  du^ 
lumih.  A^mezanò't  ih^pùht  la^la^fà  montf'r  su  e^po  la^la^màhda 
al^paliz    dal^re. 

Kvahd^V^e^là  dav&hti  sta^ragàza,  eL^gvèrdi  i^g^dl/en  :  —  Alt  ki^ 
va^là  !  —    E^U    la^dlf: 

—  55»    la^mòrte,    dena    di^korqna, 
ke_và    a^vifitàre    oni^persqna, 
e^voljo    il^filjo    delire,    sakra^kordna. 


E^lór    i    d/in  :    —   Pasè'   pur,    pasé'   pur. 
Alóra    la^và    a^picè'r    a^V^us^dal^re.     E^lu    al^dìf  : 
E^le    la^dlf  : 

—  Sòn    la^mòrte,    dena    di^korqna, 
ke^và    a^vifitàre    otii^persòna, 
e^voljo    il^filjo    delire,    sakra^korqna. 


—    Ki^é?    — 


Elu    al    ri 


Va  da^mio^pàdre, 
va  da^mia^màdre, 
ke^son  _^vekjareli  ; 


Fonologia  del  dialetto  di  Novellara  371 

va  giorno    a^L<i^kàs;i 
de^mjej^denà  ri, 
f^nie    lAsjami_,stàre. 

Qiiànd  la^l'^avi  spca-eMè'  beh^a^nwt,  la^s'^in^và  a^kà. 
ji^la^matìna  i^aènten  ke^l^fjòl  dal_^re  al^s^ta^mèl  e^'^i^g^d/^n  Iq.^ 
kot»unjd'h.  La^maisfra  alava  la^st^t/iet  in^pens/'ì%  e^la^g^dl/:  —  A^n^ 
doveri  mlga  fèr  nn^kòfa  kohpàna  ;  f/iO^pe^'ó  tafétn,  —  Pog^gòren  dQp 
a^s^sént  k^al^sta^hnlh  ;  anzi  na^alra  j^al^vedn  indl^Qrt.  Al^càma 
a^Sterindj&na    e^l^g^dìf  : 

—   O^Sterihdjàna, 
kvahti^foj    fa    la^vòstrn    maior&na  ? 

E^le    la^g^dtf: 

—  E^lu    k^V^é   aksè^nòbil    kavalè'r, 
k^V^utn^sapja^dlr 
kvant^stel^ih^zèl, 
kvant^pes^in^nièr 
e ^kvaht imputi    a^g'^é   da^maride'r. 

E^lu  al^ripét  :  —  Pr^ave'r  un^)>iazoDh^d^Jjf/r,  t^bafìs^aljkù'l  a^ 
la^me^mula.  —    E^le    la^naltì^su'  : 

—   Và    da^mio^pQdre, 
va    da^mia^màdre 
ke  ^^oh  ^rekjijireìi, 
va^torno    a_Jia^kòsa 
de^mjej^denSri, 
e^nte    lasjami __stàre . 

E^lu    al^dxf  pjàn  :    — •  A^t^serviró^me.   — 

Al^gòren  dòp  al^và  da^la^naistra  e^al^q^dmànda  la^inàn  ed^sta^ 
r<m^a.  l^a^maistra  la^o^d'if  k^la^n^èra^mtga  na^per^sUa ,  mo^lu 
l'^insi'st  t&ht  ke^la^g^la^kohcéd.  Al^goren  prijna  dal^matr impili  la^ 
fÀ  un^bel^fanto'h  k'^a^fi'^asomilja  a^la^rag'tza  e^in^wex^aj^pàn  la^ 
g^met^denter  dla^sàba.  E^po  ia^(/^dì/:  —  Ednwn^dQ^slra ,  kvahd^ 
and^'  M^lef,  meli  qil^fanto'h  in^me^  al^Iet  e^vu  nif,dé'  sola.  —  I^se^ 
spò/en ,    e^po^la^ragàza    la^fà    kma^f/^avh)'^iÌ!isi^è'    la^maistra.     A^la^ 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  24 


372  G.  Malagòli, 

sira  la^spnfa  l'^akùf^un^yrah^mel^d^testa.  e^^o^nOuu  la^dif:  —  Ande 
pur  a^let.  Pog^dòp  a^veh  indla^kanir ^al  spof  e^l^g^dtf:  —  A  !  te^ 
k^sè'h^ve  adesa.  —  E^sehza^fer^èter,  al^k^pj&nta  uh^kortél  indal^ 
kò'r,  e^h^sflta  di^spric  ed^s&hu  in^hoka.  Lu  al^komìhca  u^zigè'r, 
ma^nisvh  a^veh,  perké  l'^eva  de  drdin  ke^nisfin  s^niovisa.  Aloru  lu 
l'^e^tant^edespre'  k'^al^vdl  mazfres.  Ma^le  kvatid ^la^ved^aksé,  la^sflta 
fora  e^la^dlf:  —  No,  no,  mìga  mazfret,  k'^a_son^ki'.  —  E^lu  al^k^ 
sflta^al^kòl  ;    i^s^hràzen,    i^s^béfen    e^i^s^vqlen    senper    beh. 

La  ^m  e  ^f ola    l'^e^bel^e^finida, 
la^s^rdhpa    sU    per^na^vìda. 


2. 
Proverbi  e  detti  popolari. 

a)  Meteorologici. 

1.  Kvand^a^tira^al^tròn     ed^fervè'r ,      —     to^el^bot     e^pórtU     indal^ 

granè'r. 

2.  Kvand^el^nuvoli    el^van^a^stra,  —   to^la^roka    enfila  (cfr.  Ferraro, 

op.  cit.,  pag.  100). 

3.  Kvahd^el    nùvoli    elevati ^a^mattna,    —    to^^la^zàpa    e^kamtna  ;    op- 

pure :  —  to^al^sàk   e^và    a^farlna  ;    o  anche  :    —  ^^t^f^^^iog^a^ 
la^manlollna,    o    a^la    Carina    (cfr.  Ferr.,  1.  e). 

4.  Kj)ahd^el     nu'^oli    el^van^ih^su,    —    to^la^skràna     e^sedeg^sà    (cfr. 

Ferr.,  1.  e). 

5.  Kvand^el ^nuvoli  el^van^in^ió,  —  to^al^io;^    e^metl^al^bó  (cfr.  Fer- 

raro, 1.  e). 

6.  Kvand^al^sql    al^s^vòlta    indre',    —    bela^matma    al^s^cdma    adrè 

(con  significato  opposto  a  questo  nel  Ferr.,  1.  e). 

7.  Kvahd^ih^zel    a^g'^e^la^làna,    —    a^piqv    denter^dala^stm&na    (cfr. 

Ferr.,  1.  e). 

8.  Kvahd^a^kàhta    al^gCil    ihdal^polfr ,    —    s^l'^e    bel^tenp,    al^s^ról 

gvasté'r  (cfr.  Ferr.,  1.  e). 

9.  Fervarq'l    kùrt  kùrt  —  l'^e^pe^    ke^nn^tùrk  (cfr.  Ferr.,  1.  e.  ;  Merlo, 

Stag.  e  mesi,  p.  92,  n.  4). 


Fonologia  del  dialetto  di  Novellara  373 

10.  Per^Santa^Né/a     —    V^ar/ehtela    la^s^rànpa    su    perula    zrefa    (cfr. 

Ferr.,  p.  99). 

11.  Santa^Luzia  —  la^nQt   pju^tohga    k'^a^se^k^sia  (cfr.  Ferb.,  ib.). 

12.  Saht'^Antoni  —   un'^ora^tohda  (cfr.  Ferr.,  p.  98). 

13.  Mfrz    marzò't  —  taht^al^di'    kom^é    la^nò't. 

14.  San^Fabj^n  —  kon^la^vjqla    in_màn. 

15.  Per^San^Luka  —  ki^n^a^semnè'  se^spluka. 
(V.  inoltre  numm.  120,  U9.) 

fi)  Detti  sentenziosi  o  scherzevoli, 

1.  Ki^fìla    a^na^amì/a,    e^ki^n^flla    n^a^do. 

2.  Ki^e^sot^al^zel,    e^sot^al^disgr&zi. 

3.  Ki^h^s'^afénta,    stènta. 

4.  A^n_^e^ahkora^andf  a^let    ki^a^d^ave'r    la    bona^nòt. 

5.  Daj^brut _^zòk    a^g^vèh    del^beli^tdp  (con  significato  opposto  nel  Feb- 

RAKO,   p.  103). 

6.  Arlój,    don^,e^kav^j   j^ih^taht    trav^j  (cfr.  Ferr.,  p.  102). 

7.  Ki^rqnp    pèga    e^i^skoz    al^kól. 

8.  Kahpan    d^Rez,  strfda    ed^Koréz,  gustizja  d'^Ahvalfra,  —  OL^n^g'^e^ 

nis^h    k^t^inpera. 

9.  Visti' s    uh^pfl,    al^pér    uh^kardinè'l  (cfr.  Ferr.,  p.  102). 

10.  Al^meste'r   d^Miklàz  —  mané'r    e^bever    e^anàfr    a^^spds. 

11.  yadfl   a^kà    di^sq,  karnvf'l    a^kà    di^niàt    e^Pàskva   ando^s^inbùt. 

12.  Pah    d'^ith^di'   e^vlh    d'^un^àn,    e^na^puta    ed^desdot^^n    (cfr.  Fer- 
RARO,   p.  101). 

18    Skérpa    lérga    e^hice'r   pìh,    e    follia    kom^la^ven  (cfr.  Ferr.,  ib.). 

A.    Vena    la^Fràkza,    vena^la^Spàha,  —  nie^a^n'  infòt,  basta  ka^m&na. 

^5.    Pju^kojq'n    ke^TanÙh  k'^al^gireva  pr^i^spìh  kon^el^^skfrp  in^màn  : 

oppure  :    —    k'^al^mneva     la^polenta     kon^el^fnàh    e^po^l    djeva  ; 

Marna,    la^skóta. 
(V.  inoltre  numm.  63  n..  299.) 


87é  G.  Malagòli, 

3. 
Preghiere  e  canti  infantili. 

a. 

Nòna,    Snor,    nòna,    Madontna,    fem^gràzja    k'^n^p&sa    na^bona^npt 
tant^per^l'^anma  kotné  pr^al^korp  (cfr.,  con  qualche  variante,  Ferr.,  p.  66). 

/?• 
^        Rondanina    dal^Sin7/r, 

preffa    Dio    k'^a^vena^l^sdl, 
prega    Dio    k'^n ^I ^rena^prést  : 
eko^là'  k'^a^l^ven^adés  ! 

(Cfr.  Fkhr.,  p.  71.) 

y- 

Rondanlnn    a^bUs    a^bàs, 

prega    Dio    k'^n^t^na    uh^sgvàz, 
prega    Dio    k'^a^J^vena^prést  : 
eko^là'  k'^a^l    ven^adés  ! 


■^^PJÓv    a^pjm^  ! 

largata  la^fà  j^qv 
e^la^veCa^Pirohdìna 
In^l'^a^f&t    estamattna. 

e. 

Govanin    da^la^hreta^rosa, 
dim^uh^pò    kuf^la^te^kosta. 
La^me^kosta^    un^knrant^.h 
sot^il^pdnte    di^Milàn, 
sot^il^pqnte    di^Kremqna, 
dov^a^se^b&la,    dov^a^se^sqna, 
dov^n^se^pista    V^erba^bòua  ; 


Fonologia  del  dialetto  di  Novellara  375 

V^erhn^hòna    fa    i^fenóc, 
Katarlna    striJca    dl^gc; 
strika    dl^oe    e^dà    l'^oeèda, 
Katarlna    inamorèda  ; 
inamorèda    d'^uh^hel^put, 
Katarlna    su    per^f^us  ; 
su   per^l'^us    e^per^la^pòrta, 
Katarlna    meia^mòrta, 
meia^mòrta    da^morir, 
Katarlna    da^suplir. 
Làsa    k^la^indra, 
a^k^farém    na^kàsu    nova  ; 
nova    novéhta, 
uh^pjato    di^poìehta, 
uh^pjato    di^tortéj, 
a^farém    balè'r    i    hari/éj, 
e^f^e^i^hariféj    i^n^vUen    balè'r, 
capa    la^frusta    e^fàj    trote'r. 
Tròta,    varola, 

la^màma    V^e^ahdeda    a^skola, 
e^al^papà'    l'^e^andè'    al^markf, 
a^visttr    i^pjtt^malè', 
a^vistlr    la^pelegrlna, 
kòka    kpka    la^me^galJna. 

(Cfr.  Fkrk.,  pp.  81,  77.  V.  anche  num.  63  n.) 


4. 
Rispetti  amorosi  e  contrasti. 


—  Af^salù.t,    hela^ragàza, 
dala^elta,  e^dala^hSfta, 
e^dal^eìber    beh    sphw  f, 
qvest^ki'  V^e^l^nalut    dal__voster^morò'/- 
[oppure]     e    uh^pez    k'^n_n^i^rist    al^voster^morò'f? 


376  G.  Malagòli, 

srisuv^rù    kul^hel^sogét  ? 
[oppure]     nàh    al^n'^e^kól    k'^a^rlva    adés. 


—  Af^salnt,    ragòza    bela. 

—  Me^h^son^hela,    ndh^h^son^kvela. 
pr^el^beléz    e^pr^el    bontè', 
af^sikUf   k'^a^f^si  fbaljf  ; 
iv^/baìjé' ,    if^fat^a^pósta, 
el^beléz   j[_^ìh    da^ka^vpstra. 


Af^salut,    bela_ragàza, 
da^ke^pért   portfv   la^sàka  ? 
A^la^pprf    in _st ergalo' il, 
l'^ir^savfi,    alarne ^niih Cu' n  ? 


A^let,    a^let    ke^la_l]ima    l'^e^s!£ta  : 
al^me^morq'f  l'^e^andf'    da^n'^etra   puta, 
V^e^andè'    da^n^etra^p^sta    a^moroje'r, 
po^dpp    al^ven^da^me    a^prediké'r. 

(Cfr.  Ferr.,  p.  64.) 


Me^m^son^tòta    su    dalaskd'/ 
per^andè'r    kon^al^me^morò'/, 
e^a^tnéva    al^me^    ed^la^strèda 
perké  la^lfina    la^h^lii/era. 
Kvahd^a^fu^là'    daì^pondfél, 
a^m^inkqhter    tne^fradél. 
Bisona^dìr    ed^g'^àbi   pòk    in^kó  ; 
s^te^rd    mari',    a^n^t'^al^daró  ? 
E^s^t'^en^t'^ate'nt    a^parlfr, 
fàtnel   dir  per^bfrba    Rinè'l. 


Fonologia  del  dialetto  di  Novellara  377 

A^n^t^n'^o^fat^parle'r    per^hérha  Rihf'l? 
Mo    al^let    e^la^kasa    f^n^um^vq    der. 
Just    adés    k ^V^e ^al^mèj^d'^agóst, 
a^n^t'^o^mja^fòt    un^korsét   ros  ? 
h'^e^hen^vera    te^m^l'^e^tót  ; 
mo    di^tn    te_g^n^e__mis    pòk. 
Just    adés    t'^um^vd    ffr    m&t  : 
te^n^mane'v    ih^dal^me^sàk  ? 
e^po^kvand^a^sera   via, 
te^fèv    sehper    aitala'. 
A^se  !   a^vreva    fèr    kvel^ed^hqh 
koh^dla  sfarina    ed^f or  mento' n  ! 
TJètra    gent,    a^n^k^fé    mja^ììteht  : 
a^g'^eva    ahk    dà    sàk    ed^fonnènf. 
Da^me^e^fi    a^k^sem^ih^dù, 
e^s^teg'^f^ave'v    te^j^e^vendv. 


5. 
P  e  r  f  u  s  e. 

a. 

Beli^dón,  fev    dai^pèra 

k'^e^ki    al^mdt    dala ^granerà 
la^granéra    ed^sangonina, 
a^g_darém    na^spazadìna  ; 
ahdarém    su    da^kel^don, 
k'^a^g^^e^smper    di    bergón  ; 
e^k^la^màta    ed^me^inojera 
l'^i^n^konsf£ma    na^panéra  ; 
e^k^la^sjòka    ed^me^sorela 
l'^i^ii^koitsutna    na^manela  ; 
e^kul^pdver    me^fradél 
al^kons!£ma    ank^al^kapél. 


zie  G.  Malagòli, 


L'^e^propja^vera    kvel^k'^a,^s    dì/ 
ke    i    pare'nt    i^n^tn    aniig, 
ke^j'^atntg    i^n^ìn    pare'nt, 
ke^la^fèva    V^a^n^é   foi'mè'nt, 
ke^al^forme'ht    al^n'^é    Ict^fèva, 
^^^^«—PCA  la^n^é   la^gvera, 
ke^la^gvera    a^n^é    la^pf/, 
ke^lii^stopa    a^n^é   banhé'f, 
ke^al^bahbe'f  al^n^é    la^stopa, 
ke^al^fùf  al^n^é    la^roka, 
ke^la^roka    la^n^é    <d^fùf, 
kc^la^fnester    lu^n^é    un^hùf, 
ke^un^hùf  al^n^é   na^fnester, 
ke^du^pàn    i^n'^in    na^mnester, 
ke^na^mnestr    i^n^ìh    du^pàn, 
ke^un^tvajq'l    al^n^é    un^gab^h, 
ke^un^gab'Sn    al^n^é   nn^tvajd'l, 
ke^na^v&ka    la^n'^é   uh^mah\d'l, 
ke^uh^man:(ò'l    al^n'^é   na^vàka, 
ke^iin^badi'l    al^n'^é   na^zàpa, 
ke^na^zàpa    la^n^é   un^badi'l, 
ke ^al^vief  d'^agóst    al^n^é   ki^el^d'^avri'l. 


6. 
Canto  della  donna  lombarda.  ^ 

Amarne    mi,    dona^lonb&rda,  (bis) 

amarne    mi.    (bis) 
Kma^vqt    k'^a^fàga,    belare    di^FrànCa,  (bis) 

k'^a^g'^ó'  mari',    (bis) 


*  In  questo  canto  storico  predomina    l'elemento    letterario    italiano    sul 
dialettale.  (Cfr.  Fkrraro,  p.  49  e  seg.) 


Fonologia  del  dialetto  di  Noveliara  37d 

—  Tuo    marito    V^e^uh^vomo    veJcjo,    (bis) 

falò    mor'^r.    (bis) 

—  Kìtirt^tqt   k'^a^fdga    farlo    morire    (bis) 

ke^non^g'^o^nent.    (bis) 

—  Va    nel^^atdino   del^si'hor^pàdre    (bis) 

ìc^a^g^e^un^serpentln.    (bis) 
Tàlja    la^testa    di^kvel    serpente,    (bis) 

taljela^bèh,    pistela^ben  ; 

e^po^metela    nel^vaseleto    (bis) 

dal^vln    pju^bon.  —  (bis) 
Vjene    a^kàsa    suo    marito    (bis) 

kon_una^qrah__se.    (bis) 

—  Va    tràr    del^vìno,    dona^lonbàrda,    (bis) 

k'^jl^o^na^grah^se.  —  (bis; 
Un^fanculeto    di^sete^mefi    (bis) 
n^a^maj^parlù.    (bis) 

—  Noh^star^a^bère,    sinor^pàdre,    (bis) 

k^l'^e_  veleni,    (bis) 

—  Ko/  à    sterrino,    dona^lonb&rda,    (bis) 

k^l'^e    intorbed^.    (bis) 

—  L'^e^stato^il    tuòno    deV^àltra    sera    (bis) 

k^l'^a^iittorbedi.    (bis) 

—  Bévelo    t'J,    dona^lohbàrda,    (bis) 

hévelo    t>j.    (bis) 

—  Kma^rqt    k'^a^fàga,    karo^marìto,    (bis) 

ke^non^o^.sé.    (bis) 

—  Sol  per^la^spàda    ke^pòrt    il^fjànko    (bis) 

lo^beveréi.    (bis) 

—  Soi    per^l'^amóre    delire    di^Frànca    (bis) 

lo^beveró,   poi^moriró. 

Aggiungo  la  notazione  musicale  del  vecchio  canto,   come  si  ode   aticora 
qualche  volta  tra  noi  : 


ÌEÌ^^^=Ì=?_^ÌÌs^5^ì^jiì^^J^ 


A  -  ma      -      nip     mi      do    -     na     loii  -  bar  -  da  A  -  ma      -      me     mi      do  - 


gjg^pgg^-^-Epfiigg^g^^-^^ 


-  uà    lon  -  bar  -  da     a 


380  G.  Malagòli, 

bj  Poesia  vernacola  della  seconda  metà  del  sec.  XIX. 

In  occasione  di  un  accompagnamento  funebre.  ^ 

0,   l'evia    laheVtif&ìtza, 

kom^a^s^fare'  intana ^Icofttradàhza, 
ke^tut^kvàfit    s^dSgen    la^màh 
tant^j^ahréj    konié    i^kristjàn. 

Ahk^aksé    iittìa^religd'n 

ci^k^pèr    nù    na^kohvenzfln 
k'^a^k^pona^entrf'r    ank^ed^j^abréj 
a__kovpanè'r    i^nòster   fradéj. 

Lor^i^f^dan    na^gì'an  ^prettiùra 
ed ^ko» pane' res    ala^sepoltùra, 
e^koii^un^hel    kaitdìo'f   in^màn 
ank^ih^Cefa    di^ k r istflh . 

;^à    k'^i^gòden    ìn^ciriltf', 

ank^al^kanpUn    a^g^rre    inprestf 
sehper^ke    iitt^al^religo' h 
a  _,n'^eg^voja    la^dirifjth . 

Tnìv    a^mèht    ke^uh^Gràhd    V^a^dit 
k'^i^f>ran    smper    maìedét, 
ke^rami'f'ig    pr^al^moiid   j^andran, 
tolerè'    in__^ntex    aj^kristjaii. 


*  Qaesti  versi  esprimono  il  risentimento  dell'autore,  provocato  dal  fatto 
che  un  israelita  aveva  preso  parte  al  corteo  funebre  di  un  cristiano,  e, 
portando  il  cero,  era  entrato  con  gli  altri  in  chiesa  (v.  Introd.  §  1).  — 
Linguisticamente  presenta  —  come  il  saggio  del  Papanti  che  risale  circa 
allo  stesso  tempo  —  intla  e  sim.  (cfr.  Boni.,  XVIII,  621  ;  Arch.  Gì.,  XIV, 
247  n.  4),  di  fronte  alle  forme  col  -d-  prevalenti  nell'uso  urbano  odierno. 
L'art,  femm.  plur.  è  qui  al,  che  s'ode  ancora  tra  il  popolo  ed  è  normale 
in  proclisi  secondo  il  num.  161  ;  pili  comune  ora,  almeno  nell'interno,  "e  el, 
dove  non  sarà  forse  estraneo,  per  l'è,  l'influsso  dell'ital.  le;  rarissimo  il, 
che  leggesi  nel  Papanti  e  che  sarà  analogico  sul  masch.  i. 


Fonolosria  del  dialetto  di  Novellara 


381 


Aksé    a^dfèva   i^nOster   péder, 
ma^a^ritén  k'^i^s^sien  fhaljè', 
perké   adés    a^s^ved    di^kvfder 
ke^i^konpCtn    i^n^s'^in    mfj    de. 


c)  Carte  del  sec.  XV. 


li  robe  infrascripte  cJl  da  :{eliolo  a 

liboì 

ia  ' 

Die  13  Julij  1493 

p.°  hraza  24  (ì  tela  a  soldi  3  el  hrazo  mòta      .         .       L. 

3 

/12 

hraza  12  ^  tela  da  fodretj 

n 

2 

.    8 

braza  12  d  banbasina 

„ 

2 

r        8 

camisj  3  a  soldi  15  l'ima    . 

, 

2 

.     5 

lenzoli  2  mòta 

„ 

1 

.  15 

una  fodreta  et  una  carni ff a 

V 

0 

,    8 

cofinj  duj  •           ... 

V 

1 

,    0 

drapeseli  10         .         .         . 

„ 

1 

.  10 

gremhriali  2         .         .         . 

„ 

0 

,    8 

paneseli  2     .         .         . 

K 

0 

r    15 

touagioli  4   . 

r. 

0 

,    8 

veli  2  et  veleti  2  . 

, 

1 

,    4 

para  due  (f  manige ^ 

, 

2 

«    5 

una  banbasina  turchina 

n 

3 

.  10 

una  camisota 

, 

0 

.  16 

uno  peso  e  mezo  et  j)ena 

B 

4 

.  10 

braza  cinque  d  tela     . 

" 

0 

«  15 

'  Per  alcune  delle  voci  di  questa  carta  cfr.  Corredo  di  Elisabetta  Gonzaga 
Montefeltro,  illustr.  dal  conte  L.  A.  Gandini  in  Mantova  e  Urbino  di  A.  Luzio 
e  R.  Renier,  Torino,  Roux  e  C,  1893,  pp.  293  e  segg. 

^  Per  la  declinazione  secondo  il  genere  dei  numeri  cardinali  v.  Salvioni, 
JB.  Vili,  I  139. 

•''  A  questo  punto  lo  scritto  è  stinto  e  lógora  la  carta. 


382 


(t.  Malagòli, 


una  capsa  venefiana    . 
una  stagnata  et  uno  lavezo 
uno  telavo  fornito 
tino  vaselo  et  una  tavoleta  . 
cugiari  odo 

In  praesentia  et  marchin  petenaro  nicolo  tintor  bnrtolante  ma/eia  petro  gualter 
li  sota  al  SHO  portego  in  casa  sua. 


.       L. 

2 

/IO 

„ 

1 

,    0 

„ 

U 

.    0 

„ 

1 

.    0 

ji 

0 

.    4 

Inventario  de  le  robe  cfi  fui  del  quondam  petro  figiolo  et  nicolo  balasino. 


vaseli  6  cti  tene  men/uri  16  vel  circha 

tineli  dui  uno  grondo  et  uno  pizolo 

una  burga  granda  e  tri  mezani 

una  concita  granda  da  salar 

una  busola  da  samo  granda 

uno  tolero  da  pà 

cofaneti.  3 

una  panava  da  farina 

uno  stagnato 

uno  bronzo  ' 

lavezi  dui  uno  grando  et  uno  pezenino 

una  segiir  et  uno  segurolo 

una  ase  *  de  ferro 

una  marazola  et  uno  corteleto 

tina  niefora  da  vai  et  laltra  da  medre 

una  trivela 

uno  botazo  et  una  botazola 

uno  ferro  da  segare  cu  la  preda  in/iema 

cu  li  mar  teli 
sechi  due  et  conche  due  da  fcudele 
uno  armariol  et  as/e  due  da  fcudele 
uno  crivel  da  fava  et  uno  da  riso 
una  vanga  et   due   zape   et   uno    badile 

et  uno  forchato  et  uno  roto. 


una  cadena  da  porcho   et    una   cadena 

da  fogo 
una  tavoleta  pezenina 
scrani  due  et  uno  scano 
una  scala  granda  et  una  pezenina 
una  padela  da  castagne 
una  spinaza  da  tino 
una  bragagna  da  formazo 
paneri  quatre  grande   et   due  pezenine 

et  cavagnolinj.  3. 
una  forhes/a  da  tosar  pegore 
mesuri  4  de  vino  bruscho  vel  circha 
uno  testo  et  uno  orzalo  da  olio 
una  pala  da  grà 
una  barila  vechia  desfondata 
due  busoli  da  samo 
una  forcha  et  uno  rastelo  da  grano, 
uno  seso  da  caro 
cerchieli  octo  et  3  as/eseli  pizoli  una  (? 

rouera  et  una  de  salize 
mezo  peso  de  canipa  vel  circha 
una  stadera  che  leva  pesi  2  et  mezo  vel 

circha 
pesi.  3  e  mezo  et  carne  folata  vel  circha 


'  La  prima  lettera  par  cancellata. 


Fonologia  del  dialetto  di  Novellara 


383 


uno  remo  da  burchielo 

una  letera  cil  una  stara 

uno  ledo  cil  uno  pumazo  et  uno  cojìno 

pesa  ogni  cosa  circha  pesi.  3. 
una  coperta  cittn  tela  turchina  et  rosa 
para  dui  ct  lenzolì  uno  paro  cT  Uno  et 

uno  paro  cT  canipa 
uno  zupono  biancho 
una  camisota  biancha 
una  cantora  morela  cum  manige  morele 
eami/se  3  mezane 
L  10  anzi  13  di  stopa  biancha  cum  la 

sachela 
L  12  de  filo  biancho  cu  II  sachelo 
Una  quartarola 
uno  paneselo  cu  li  capi  tenti 
cainisi.  5.  usade  eh  fui  (f  pedro  et  mu- 

dande  3.  quale  dice  volerle  dare  amore 

dei 
una  coltrlnela  bruna  da  lecto 
una  capa  turchina  Como  nona  in  parte 

fodrata  d  biancho 


una  vesta  morela 

una  stara 

uno  gabà  it  biso  biancho 

uno  specleto 

uno  manteleto  (f  verde  scuro  vechio 

vache  due  cu  dui  viteli 

dui  sagli 

una  cariola 

a/e  due  et  rouer  da  burchielo 

una  afe  in  dui  pezi  incavichiata  insema 

una  tina  et  rouer  eh  rendo    mesuri  12 

vel  circha 
uno  topo  et  una  morfeta 
fa/i  per  fogo   et  altri  Ugnami  insiema 

cara  uno  e  mezo  nel  Cortilo 
Carra  uno  flf  cana 
predi  Crude  odo  cento 
tnezo  mi  aro  d  copi  crude 
circha  prede  dusento   cote   tra  bone  et 

cative 
Copi  Casi  Cento  cinquanta  vel  circha 
uno  remo  da  burchielo 


1^1!!)  inventario,  che  abbiamo  riportato  come  uno  dei  più  ricchi  di 
particolari,  è  scritto  in  un  mezzo  foglio  e  trovasi  inserto  in  un  altro  che 
porta  la  data  del  1493.] 


Giuseppe  Malagòli. 


APPUNTI    BIBLIOGRAFICI 


A.  Thauzzi,  Attraverso   Vonotnastica    del  Medio  Evo   in  Italia,  Rocca    S.  Ca- 
sciano,  fase.  I,  1911;  fase.  II,  1913. 

I. 

La  ricerca  del  Trauzzi  à  questi  limiti:  va  dai  pili  antichi  monumenti 
dell'alto  medio  evo  fino  al  1200  e  s'estende  a  tutto  il  territorio  italiano 
comprese  le  isole,  ma  esclusa  Venezia  e  il  Veneto.  "  Mi  son  voluto  fer- 
mare, dice  l'A.,  entro  il  sec.  XII,  perché  dal  principio  del  sec.  XIll  i  docu- 
menti crescono  spaventosamente  e  perché,  entrato  in  quel  nuovo,  non  avrei 
vista  poi  nessuna  ragione  per  fermarmi  prima  della  sua  chiusura  „  (p.  7). 
"  Di  Venezia  e  del  Veneto  non  mi  occupai,  perché  non  potei  ottenere  a 
mia  disposizione  la  raccolta  dei  documenti  ,  (p.  7).  Questa  involontaria  e 
lamentata  lacuna  è  grave;  e  noi  ne  prendiamo  occasione  di  deplorare  che 
non  si  correggano  i  meschini  regolamenti  sul  prestito  dei  libri,  regolamenti 
fatti,  si  direbbe,  apposta  per  inceppare  l'attività  degli  studiosi,  e  dare  a 
molte  opere  onorata  sepoltura  nelle  nostre  biblioteche. 

La  messe  dal  Tr.  raccolta  è  ingente:  si  tratta  di  circa  56.000  nomi;  e 
il  solo  fatto  dell'ordinata  esposizione  di  tanti  materiali  è  un  titolo  di  me- 
rito dell'A. 

Riferisco  i  risultati  più  importanti  d'ordine  generale  cui  l'A.  è  arrivato 
e  faccio  seguire  qualche  osservazione  pur  d'indole  generale  : 

1.  Gli  elementi  latino,  greco,  germanico,  arabico,  ebraico,  componenti 
questa  onomastica,  sono  disposti  nella  nostra  patria  in  modo  da  distribuir- 
sela in  due  grandi  campi:  il  Sud  e  il  Nord  con  la  Sardegna,  legati  fra 
loro  da  una  zona  intermedia; 

li.  Il  ricordo  dell'antichità  classica  non  scompare  del  tutto  nel  medio 
evo,  ma  è  molto  tenue; 

III.  Le  comunicazioni  nell'Italia  sono  quasi  sempre  circoscritte  entro  i 
limiti  di  una  stessa  regione,  difficilmente  a  regioni  vicine  e  molto  meno 
alle  lontane  fra  loro;  e  cosi  le  relazioni  dell'Italia  col  bacino  orientale  del 
Mediterraneo  sono  molto  superiori  ai  suoi  rappox'ti  coll'occidentale; 


Appunti  bibliografici  385 

IV.  L'elenco  dei  nomi  di  genti  e  tribii  barbare,  che  direttamente  o  in- 
direttamente fecero  sentire  la  loro  influenza  sull'Italia  è  pili  ampio  di  quello 
datoci  dagli  scrittori  e  cronisti; 

V.  Possiamo  anche  ritrarre  un  disegno,  sebbene  molto  sbiadito,  della 
costituzione  sociale  in  Italia  in  quell'epoca; 

VI.  Il  sentimento  religioso  cristiano  assorbe  gran  parte  dell'onomastica, 
sebbene  rimanga  ancora  traccia  della  religione  pagana  dei  Greci  e  dei 
Romani; 

VII.  Scaturisce  con  una  certa  chiarezza  lo  stato  psichico  delle  varie 
genti,  che  popolarono  l'Italia,  e  la  maniera  d'intendere  e  di  sentire  il  mondo 
morale  e  il  mondo  materiale  ,. 

Secondo,  dunque,  l'A.,  "  gli  elementi  latino,  greco,  germanico,  arabico, 
ebraico,  componenti  questa  onomastica,  sono  disposti  nella  nostra  patria 
in  modo  da  distribuirsela  in  due  grandi  campi  :  il  Sttd,  e  il  Nord  con  la 
Sardegna,  legati  fra  loro  da  una  zona  intermedia  „.  Ma  l'esame  della  sta- 
tistica dell'A.  stesso  (p.  10)  conduce  a  risultati  alquanto  diversi.  Cosi,  ad  es., 
nel  Piemonte  la  percentuale  di  nomi  latini  è  15,5,  dei  germanici  e.  60;  in 
Sardegna  dei  latini  e.  40,  dei  germanici  e.  11;  in  Romagna  dei  latini  e.  41, 
dei  germanici  e.  53;  nelle  Marche  dei  latini  e.  23,  dei  germanici  e.  51;  nel 
territorio  rappresentato  dal  Codex  Cavensis  [limiti  :  dalla  parte  di  Oriente, 
la  costa  adriatica  da  Manfredonia  a  Bari;  dell'Occidente,  la  costa  tirrena 
dal  Volturno  a  Policastro  ;  del  Settentrione,  la  linea  segnata  dai  corsi  del 
Volturno-Calore-Celone;  del  Mezzogiorno,  il  displuvio  delle  montagne  della 
Maddalena  e  delle  catene  che  ad  esse  fanno  séguito  verso  Oriente],  dei  la- 
tini 23,  dei  germanici  55. 

Questi  dati  statistici  ci  fan  concludere  che,  per  quanto  riguarda  l'onoma- 
stica, non  può  essere  l'Italia  divisa  in  due  grandi  zone,  l'una  comprendente 
il  Nord  e  la  Sardegna,  e  l'altra  comprendente  il  Sud,  con  una  zona,  diremo 
cosi,  centrale  mista;  ma  che  nel  Nord  e  nel  Sud  le  varie  regioni  contigue 
presentano  condizioni  diverse  per  la  prevalenza  dell'elemento  onomastico 
indigeno  od  esotico. 

Forse  l'À.  non  à  avuto  il  coraggio  di  venire  a  questa  constatazione, 
perché  tali  condizioni  onomastiche  sono  in  opposizione  colle  condizioni  les- 
sicali dell'Italia  dialettale  moderna.  Ma  una  tale  opposizione  è  ben  lungi 
da  destare  meraviglia.  La  diffusione  del  nome  personale  non  è  avvenuta 
come  la  diffusione  del  lessico:  questa  ebbe  luogo  per  trasmissione  auricu- 
lare,  laddove  l'onomastica  in  genere  e  soprattutto  la  nostra  è  un  fatto 
culturale. 

E  a  questo  proposito  giova  rilevare,  coll'Autore,  un  fatto  d'importanza 
capitale.  A  pag.  11-12  il  Tr.  giustamente  osserva  che  dalle  condizioni  ono- 
mastiche non  si  potrebbe  trarre   alcuna  illazione  di  ordine   etnografico;  sa- 


386  Appunti  bibliografici 

rebbe  ridicolo  cioè  inferire,  per  es.,  ilalla  prevalenza  dfi  nomi  germanici  in 
Piemonte,  una  grave  immissione  di  sangue  germanico  in  quella  regione: 
*  noi  non  possiamo  parlare,  dice  bene  l'A.,  che  d'influenze  ,.  Per  essere  chiari 
su  questo  punto  sul  quale  nessun  equivoco  dev'essere  permesso,  noi  po- 
tremo inferire  dalla  prevalenza  o  meno  dei  nomi  di  tipo  germanico,  in  una 
od  altra  regione,  solo  una  prevalenza  politica,  economica,  sociale,  cultu- 
rale dell'elemento  germanico  nei  principali  centri  di  una  od  altra  regione, 
e  di  soggezione,  ossequio  o  simpatia  dell'elemento  latino  allo  straniero;  e 
ciì)  anche  per  una  data  estensione  di  tempo;  che  ad  una  certa  epoca  i 
nomi  personali  germanici,  ormai  fatti  propri  dagli  indigeni,  si  saranno  con- 
tinuati a  dare  per  ragione  di  affetti  familiari  e  di  simpatie  verso  amici  e 
protettori  indigeni  o  per  ragione  di  fervore  religioso,  obliata  la  precisa 
origine  del  nome. 

Fra  ^li  elementi  che  compongono  l'onomastica  italiana  son  riferiti  a 
pag.  5  l'arabico  e  l'ebraico  (biblico);  qui  e  altrove  fpag.  13)  questi  due  ele- 
menti sono  giustamente  tenuti  distinti,  perché,  come  l'A.  stesso  osserva 
(pag.  12-13),  per  l'arabico  si  tratta  d'influenza  diretta  di  Arabi,  mentre 
l'elemento  ebraico  è  di  provenienza  religiosa,  agiologica.  Non  s'intende 
quindi  perché  l'A.  abbia  voluto  raggruppare  queste  due  correnti  del  tutto 
eterogenee,  nella  tabella  statistica  a  pag.  3  0,  dove  l'elemento  arabico  e 
biblico  sono  compresi  sotto  il  nome  di  elemento  semitico. 

Qualche  altro  dubbio  lasciano  anche  le  altre  illazioni  dell'A.,  o  per  lo 
meno  egli  avrebbe  dovuto  più  chiaramente  fissare  intorno  a  qualche  punto 
il  suo  pensiero.  Dice  il  nostro  A.  (pag.  14)  che  "  colle  invasioni  del  sett.  e 
del  mezzog.  il  ricordo  dell'antichità  classica  trasmesso  dalla  tradizione  e 
dagli  scrittori  non  scompare  del  tutto.  Ne  fa  fede  una  serie  di  nomi  latini 
e  greci  ^,  come  Cesare,  Giulio,  Giuliano,  ecc.  Qualcuno  potrebbe  opporre 
che  verso  il  IX,  il  X  secolo  questi  nomi  potevano  essere  dati  senza  pen- 
sare all'origine  loro,  cosi  precisamente  come  nell'età  nostra  si  danno,  senza 
alcuna  predilezione  per  la  loro  origine,  i  npr.  Dario,  Alcibiade,  Antonio, 
Alberto,  ecc.  L'A.  avrebbe  potuto,  prevenendo  quest'obiezione,  dire  che  la 
prevalenza  dei  nomi  o  indigeni  o  esotici  è  in  ogni  modo  indizio  sicuro  di 
una  reazione  o  forte  o  debole  all'influenza  culturale  esotica  e  che  la  que- 
stione dell'età  di  questa  opposizione  fra  i  due  elementi,  per  il  suo  attuale 
intento,  non  era  essenziale.  Un'osservazione  analoga  andrebbe  fatta  a  pro- 
posito del  suo  tentativo  di  dedurre  dall'onomastica  lo  stato  psichico  della 
popolazione  italiana  indigena  e  dell'elemento   esotico  nel  M.  E. 

Ma  queste  osservazioni,  come  le  altre  particolari,  che  seguiranno,  del 
Poma,  non  potrebbero  sminuire  il  uierito  di  questo  diligente  studio  del 
Trauzzi. 

P.    G.    GoiDÀNICH. 


Appunti  bibliografici  387 


II. 


Le  osservazioni  che  seguono  sono  fatte  esclusivamente  per  gli  studi  ono- 
mastici e  per  invitare  la  discussione  degli  eruditi  sopra  questo  ramo  di 
ricerche,  e  non  con  la  più  lontana  intenzione  di  rimproverare  all'egregio  A. 
di  essere  caduto  in  alcuni  errori  o  di  aver  avanzato  alcune  ipotesi  non 
sostenibili. 

Nella  prima  categoria  collocherei  : 

p.  21.  bonecausus,  non  è  il  msc."di  bona  causa,  ma  certo  un  n.  p.  teut. 
colla  freq.  des.  -causus,  comecché  si  voglia  spiegare  la  prima  parte  [?  G.]. 

p.  37.  genesius  neppure  "  debolmente  e  solo  in  reminiscenza  conserva 
la  distinzione  delle  classi  sociali  ,,  ma  è  tolto  di  peso  dal  Martirologio, 
senza  la  più  lontana  idea  del  suo  significato. 

p.  50.  fA^aviaKaXyiog,  non  da  mana  homo  —  ma  variante  di  marescalco, 
l'attendente  {scale)  ai  cavalli  {maràh)  *;  infatti  Fòrstemann  non  cita 
quella  forma  né  sotto  mana  né  sotto  scalca. 

p.  56.  theucarestus  certo  nulla  à  da  veder  colla  Eucaristia,  ma  è  il 
&€0-xdQi<jTog  menzionato  nella  pagina  successiva. 

p.  61.  Non  so  a  quale  arma  guerresca  alluda  l'A.  con  iaspidus,  che, 
come  tanti  altri  nomi  dell'Italia  bizantina  significanti  metalli  e  pietre  pre- 
ziose, ~e  idoTtig,  diaspro. 

Certamente  errate,  e  del  tutto  incondonabili,  sono  le  attribuzioni  seguenti: 

p.  52.  zeuso,  da  Zeus  !  —  quantunque  non  so  spiegarlo,  non  avendolo 
mai  incontrato  :  ma  siccome  il  D''  T.  lo  trovò  in  Piemonte,  per  cui  si  servì 
dei  M.  H.  P.,  scorrettissimi  nei  nomi,  congetturo  che  sia  il  teut.  teuzo. 

p.  57.  Te-deus,  da  Te  Deum  praecamur  !  E  letto  correttamente  nel- 
l'unico esempio  occorso  al  nostro  A.,  ma  non  dev'essere  altro  che  Taddeo  '^ 


^  È  certo  singolare  che  Maresciallo  e  mascalzone  abbiano  la  stessa  origine, 
La  voce  marescalco,  attendente  ai  cavalli,  ha  prodotto  il  cogn.  Marescalchi, 
quelli  di  Marescalca,  Marescalla  e  Marescallo  citati  da  Gennaro  Grande 
in  Origini  dei  cognomi  gentilizii  nel  Regno  di  Napoli  (Napoli,  1756),  la  pa- 
rola Maresciallo  e  cogn.  Marescial  (Alghero)  :  poi,  con  passaggio  d'e  in  i, 
Mariscalco,  Mariscalchi:  poi  ancora,  con  ulteriori  deformazioni.  Maniscalco. 
Maniscalchi,  Miniscalchi,  e  le  parole  maniscalco  e  maliscalco  :  infine  con 
contrazione  Mascalchi  (cfr.  Seschalchi  da  siniscalco);  mentre  da  mascalcia 
deriva  *mascalcione,  mascalzone,  che  fu  già  cogn.  a  Firenze  nel  s.  XIV, 
oggidì  Mascalzoni,  diventato  anche,  per  eufemismo,  Mascanzoni. 

^  Infatti  trovo  nel  Diario  di  Roma  dell'lnfessura  (ed.  Tomniasini,  p.  277) 
il  cogn.  Tedey  a  Roma  nel  s.  XV,  che  nell'Indice  e  tradotto  Taddei.  A  Al- 
bano Laziale  c'è  Tidei.  Il  n.  p.  Thedius,  Firenze,  XIV,  rappresenta  la  transi- 
zione tra  thadeus  e  tedeus. 

Archivio  glottol.  ital.,  XVm.  25 


388  Appunti  bibliografici 

p.  89.  canforatus,  da  cane  !  —  Mentre  è  da  connettersi  coU'attuale 
cogn.  Canfora  dell'Italia  meridionale  [?  G.]. 

p.  100.  garahellus,  da  carus  !  —  che  è  certamente  da  escludere,  quan- 
tunque la  etimologia  dei  cogn.  Garabelli,  Garabello  (che  è  anche  piemon- 
tese) mi  sia  oscura. 

Ma  ritorniamo  a  nomi,  la  cui  errata  interpretazione  fornita  dall'egregio 
A.  risulta  positivamente  corretta  da  elementi  che  ben  possediamo,  attorno 
a  cui  si  può  positivamente  fare  qualche  aggiunta  o  riserva  : 

p.  16  —  che  Sibilla  sia  sinonimo  di  Sybilia  è  controverso,  come  non 
è  affatto  sicuro  che  il  pur  frequentissimo  Mobilia,  p.  100,  equivalga  ad 
amabilis  —  e  quanto  all'unico  aif4,iÀia,  p.  83,  che  il  D""  Trauzzi  ritiene  in- 
dicativo di  somiglianza,  vorrei  accertare  se  non  sia  invece  da  leggersi 
atlSiÀia  '. 

p.  19  —  turcus  è  effettivamente  derivato  dalle  relazioni  coi  turchi  e 
il  n.  p.  turclits  si  trova  già  nel  1147  e  nel  1153  nel  Regesto  di  Camaldoli  ^. 

p.  19  —  deliana  non  certo  da  Delo,  l'isola,  perché  troviamo  questo 
nome  anche  fuori  dell'Italia  bizantina  e  colla  forma  deliana  ^  [?  G.]. 


*  Già  il  Rajna  {Origini  epopea  francese,  p.  195)  scriveva  :  *  Non  so  se 
occorrano  Sibille  [nella  Onomastica  di  Francia]  avanti  la  fine  del  s.  XI. 
L'origine  del  nome  a  me  pare  incerta  :  dubito  cioè  se  si  tratti  propria- 
mente del  Sybilla  greco-latino  o  invece  di  qualcosa  che  cotesto  Sybilla 
abbia  solo  attratto  e  assimilato  ,.  Infatti  io  penso  che  sia  aferesi  del 
n.  p.  Marsibilie  dell'epopea  carolingia,  che  in  Italia  è  (come  si  può  vedere 
nel  *  Boll.  St.  Pistoiese  ,,  anno  XVI,  p.  55)  Marsobilia,  Marsibilia  si  ve  So- 
bilia.  Sibilio,  Bilia,  Bigia,  Billia.  Ad  ogni  modo  Sibilla  fu  n.  p.  usitatissimo, 
a  cui  dobbiamo  ora  i  cognomi  Sibilia,  Sibiglia,  Sibillia,  Scibilia,  e  i  biel- 
lesi  Biglia  e  Billia.  A  p.  57  del  succit.  Boll,  figurano  a  Pistoia,  s.  XIII, 
anche  i  n.  pr.  Sibella,  Sibellina,  che  il  Boll,  accentua  sull'/  come  se  signi- 
ficar dovessero  cosi  bella,  come  infatti  c'era  Tantobella  :  ma  non  sono  che 
delle  varianti  di  Sibilia,  come  altrove  Sebilia,  Sibinia,  e  da  una  forma 
*Sibelia  ritengo  che  vengano  i  cognomi  biellesi  Beglia  e  Bellia  (come  più 
sotto  Mavellia  da  *Mabelia).  Mabilia  (che  si  trova  parimenti,  ma  non  al- 
trettanto spesso,  colla  forma  Amabilia)  fu  certo  confuso  con  Amabile  :  ma 
è  esso  pure  una  cosa  diversa.  In  Francia  è  rappresentato  dal  cogn.  Mabillb 
(in  Normandia  Mabire)  ;  in  Inghilterra  dal  frequentissimo  n.  pr.  Mabel; 
e  in  Italia  dai  cogn.  Mabilia,   Mobilia  e  a  Foggia  Mavellia. 

^  Turclus  (per  -ulus,  diminutivo  frequentissimo  in  quel  Regesto)  spiega 
appunto  il  cogn.  del  Tcrchio,  Pisa,  M.  E.,  e  che,  accanto  a  Turchi,  Turco, 
Tdrchetti,  ecc.,  vi  sia  in  Toscana  un  cogn.  Turchi  pronunziato  come  se 
fosse  TuRCHjt,  come  riferisce  il  Bianchi  in  "Arch.  Glott.  It.  ,,  X,  391,  e 
XIII,  181. 

3  A  Tortona,  1135,  doc.  40  Carte  Arch.  Capit.  Tortona,  in  B.  S.  S.  S.  Il 
n.  pr.  Diliano  anche  in  Toscana  nel  M.  E. 


Appunti  bibliografici  389 

p.  24  —  nor-andus,  dalla  rad.  nor  comune  coi  Norici,  anziché  da  northa  : 
quantunque  non  figura  affatto  in  Forstemann  *  [?  G.]. 

p.  32  —  naÀoyeQog  deve  spiegarsi  col  senso  bizantino  di  monaco  * 
[Si  rie.  S.  Calogero]. 

p.  49  —  il  famoso  nome  guis-cardus  è  spiegato  dal  nostro  A.  con  vis, 
ducere,  e  hurdu,  fortis.  Ma  altra  è  la  opinione  di  Forstemann,  che  inclina 
piuttosto  a  collocarlo  sotto  una  radice  malnota  viso  [?  G.]. 

p.  50  —  bonaguisa,  ben  lungi  dal  riprodurre  la  suddetta  rad.  teut.  vis, 
è  uno  dei  tanti  nomi  toscani  formati  da  buona  con  giunta,  derrata,  voglia, 
ventura,  vita,  ecc. 

p.  51  —  palmerius  non  è  "  vago  ,,  ma  significava  nel  M.  E.  i  pellegrini, 
i  chierici  che  andavano  in  giro  distribuendo  (e  vendendo)  indulgenze,  ecc., 
dalle  palme  che  portavano. 

p.  56  —  homodeus,  anziché  esprimere  la  natura  di  Dio-Uomo!,  signi- 
fica l'uomo,  il  servo  di  Dio  '. 

p.  89  —  i  concetti  di  orso  e  lupo  nei  nomi  sono  comuni  anche  ai  Greci 
ai  quali  dobbiamo  in  Italia  i  cognomi  Licudi,  Venezia  (piccolo  lupo),  e 
Arcudi,  It.  merid.  (piccolo  orso)  *. 

p.  95  —  fora-pao  e  citato  dal  Chart.  Cupersanense,  nel  quale  per  vero 
non  l'ò  rinvenuto  :  pao  equivarrebbe  a  2^(ivo  (pavone)  secondo  il  D^  Trauzzi 
e  in  tal  caso  io  aggiungerei  fora  =  fura  ^. 

p.  97  —  gilius,  zilius  forse  verranno  talvolta  da  giglio,  ma,  per  lo  pili, 
da  Egidio,  frane.  Gilles  ^     [?  G.]. 


*■  Io  ho  trovato  n.  pr.  Norandus  nel  Friuli,  XIII.  Il  suo  diminutivo  .^o- 
randinus,  Nurandinus  {Norandino  nei  poemi  del  Baiardo  e  dell'Ariosto)  si 
è  poi  confuso  col  saracenico  Nur-ed-din,  il  cortese  e  pietoso  figlio  del  Sa- 
ladino, che  lasciò  ottima  fama  anche  presso  i  cristiani,  come  scrisse  P.  Rajna, 
e  che  nelle  cronache  delle  Crociate  è  Nnradinus.  11  n.  pr.  Norradinus  ho 
trovato  a  Carmagnola  nel  sec.  XIII. 

^  Cognomi  Calogero,  Caloiro  nell'lt.  merid.,  e,  per  aferesi,  in  prov.  di 
Catanzaro,  Loikri. 

'  Si  confrontino  il  n.  pr.  Ondideo,  XIII,  Romagna,  e  eogn.  Ondkdei,  Pesaro, 
da  homo  de  Dea.  Ne  sono  affini  Ondesanti,  XIII,  Imola,  in  lat.  de  Honde- 
SANTis,  DE  Undesanctis,  cioé  uomo  (servo)  dei  Santi,  e  il  n.  pr.  Uomosam- 
piero,  XIV,  Pesaro.  —  Abbiamo  anche,  tuttodì,  il  cogn.  Servodidio. 

*  I  Licudi  sono  forse  da  noi  di  venuta  recente,  ma  l'altro  nome  è  tra 
noi  antico  :  nel  "  Syllabus  graecarum  membranarum  „  del  Trincherà  trovo 
n.  pr.  Arcudius,  aQxovòios,  freq  ,  e  il  nome  Archudacus,  A^KovóaKog,  1167, 
doc.  CLXXI. 

^  Per  altri  composti  da  "  furare  „,  veggasi  il  mio  op.  :  Cognomi  it.  for- 
mati da  verbi  che  indicano  azione,  S.  Lapi,  Città  di  Castello,  1914. 

^  Molto  vi  sarebbe  da  dire  sui  nomi  e  cognomi  derivati  dalla  deforma- 


390  Appunti  bibliografici 

p.  107  —  c'è  due  volte  nel  Chart.  Cupera.  ego  beneaggi,  che  sarebbe 
un  bellissimo  composto  verbale  se  si  potesse  credere,  con  il  D''  T.,  che  già 
nel  997  significasse  bene  tu  abbia.  Ma  il  Morea  che  pubblicò  il  Chart.  lo 
traduce  Benaggio  —  e  forse  è  mecflio  lasciarlo  li  fino  a  ulteriori  elementi. 

p.  124  —  malvetio  ^  esprime  forse  peggio  che  un  "  difetto  ,  — 
giacché,  come  il  n.  p.  Sozzamico  ^  è  troppo  probabile  che  alluda  a  un 
sozzo  peccato  che  nel  M.  E.  sappiamo  assai  frequente  e  alquanto  condo- 
nato [cfr.  il  ven.  Malusa,  nome  in  cui  non  saprei  vedere  nulla  che  gridi 
vendetta  al  cielo]. 

Veniamo  infine  alla  seconda  categoria  di  osservazioni,  quelle  cioè   rela- 
tive a  ipotesi  0  letture  dubbie  : 

p.  14  —  YLÀiag,  yiÀiavo,  che  l'A.  connette  con  lulius,  avrebbero  bi- 
sogno di  conferma,  da  me  non  essendo  mai  stati  riscontrati. 

p.  14  —  Imilia  non  è  Aemilia,  ma  certamente  un  vezzeggiativo  di 
Imma,  ora  Emma,  rad.  im  di  Forstemann,  e  si  trova  anche  colla  forma 
Immilla  in  Piemonte  [Un  suff.  -ilia  non  è  produttivo  nel  M.  E.  ;  e  nulla 
s'oppone  all'ipotesi  del  Tr.     G.]. 

p.  14  —  Saragozza,  che  l'A.  crede  una  contrazione  di  Cesare  Augusto  (!?), 
proviene  da  un  solo  esempio  che  avrebbe  pur  bisogno  d'esser  riscontrato  : 
d'altronde,  se  accertato,  potrebbe  essere  analogo  ai  n.'  p.'  femm.  pampalona 
e  terrascona  ^  a  Pistoia,  nel  M.  E. 

p.  14  —  dometius  (2  esempi  di  Cava),  interpretato  domitius,  lascia 
parimente  molto  luogo  a  dubbio. 

p.  15  —  maccione  certo  non  deriva  dal  cognomen  di  Plauto,  per  quanto 
*  ammirato  ,  nel  M.  E.  —  ed  è  uno  di  quei  nomi  la  cui  interpretazione  di- 
pende dalla  regione  o  dall'epoca,  siccome  quello  che  può  essersi  formato 
in  varie  regioni  in  diversi  modi  *. 


zione  di  Egidio  :  qualcosa  ne  ò  detto  a  p.  27  del  mio  op.  :  Antichi  cognomi 
biellesi,  Biella,  Testa,  1909. 

*  Ora  Malvezzi,  Bologna. 

^  N.  pr.  Sugoamicus,  1250,  doc.  678  Doc.  genov.  relativi  a  Novi  e  Valle 
Scrivia,  B.  S.  S.  S.  :  cfr.  cogn.  Sozzifanti  e  Sozzofanti,  Pistoia,  XIII.  —  Bi- 
sogna però  concedere  che  la  parola  sozzo  forni  anche  altri  cognomi  non 
obbrobriosi,  come  Suzusnasus  e  de  Suzoviso  nel  Chart.  Derton.,  B.  S.  S.  S., 
DE  SuzopiLo  e  SogAFiGURA  negli  stessi  Documenti  genovesi  dianzi  citati. 

^  Veggasi  il  succitato  "  Boll.  St.  Pistoiese  ,,  a  p.  43.  [A  Bologna  e  a 
Modena  c'è  una  Via  e  una  Porta  Saragozza  ;  a  Bologna,  all'estremità  in- 
terna della  Via  Saragozza  sorge  il  Collegio  di  Spagna,  fondato  nel  1369 
dal  cardinale  Albornoz  ;  ma  il  nome  della  strada  è  di  almeno  un  secolo 
anteriore  (Guidicint,  Cose  notabili  della  città  dì  Bologna,  voi.  V,  p.  3)     G-.]. 

*  In  epoca  tarda,  ex.  gr.  1300,  e  in  Toscana,  sarebbe  un  derivato  di 
Moccio,  Guglielmaccio  o  altro  peggiorativo  consimile. 


Appunti  bibliografici  391 

p.  18  —  bricius  certo  non  deve  avere  relazioni  con  brix-ianus,  bresciano, 
e  anche  la  sua  origine  dipende  molto  dalla  regione  ^. 

p.  18  —  né  guaitana  come  doppione  di  gaetana  pare  da  accettarsi 
senza  ulteriore  prova. 

p.  35  —  Azz-arius  è  molto  discutibilmente  derivato  dal  teut.  atha, 
aza  pater,  con  harja,  gens.  In  tal  caso  sarebbe  distinto  dal  cogn.  Azario, 
biellese,  che  certo  rappresenta  il  freq.  Alzakius  di  Vercelli,  xii-xiii. 

p.  85  —  né  pegolottus  significa  piccolotto  [?  G.].  Nemmeno  è  da  accet- 
tarsi senza  restrizioni  l'equazione  Pegolotto  =  Paolo  del  Fanfani  [Le  accor- 
ciature dei  nomi  prop.  ital.,  Firenze,  1878),  giacché  il  n.  p.  Pegolottus  e  il 
cogn.  Fegolotus  si  trovano  in  regioni  e  epoche  tali  da  escludere  l'una  e 
l'altra  ipotesi. 

p.  96  —  sylus,  silitis,  malamente  sono  derivati  da  Silva.  11  n.  medioe- 
vale silus,  sylius,  sylus,  silonus,  sylonus  è  un  labirinto  da  cui  per  ora  è 
meglio  star  fuori  :  basti  lo  accennare  che  talvolta  si  confonde  con  syrus  e 
talvolta  con  silius,  zilius  (Egidio). 

p.  112  —  officia,  uffitia  non  "dinotano  l'operosità,,  perché  certo  non 
derivano  da  officium.  0  trovato  officia  nel  s.  xii  a  Venezia  e  nel  Cartario 
di  Staffarda  :  ma  non  mi  airischio  a  esprimere  una  congettura  [Si  ricordi 
pero  il  cogn.  Podestà.     G.]. 

p.  123  —  safifilo  del  Ghart.  Cupers.  è  spiegato  dall'A.  come  da  aa^^s, 
chiaro,  quindi  amico  della  sincerità,  ma  c'è  anche  ivi  stesso  la  forma  safilo, 
e  converrebbe  dilungarsi  a  esaminare  quale  delle  due  sia  la  corretta. 

p.  124  —  l'A.  colloca  mala-goi  con  mala-morte  e  altri  numerosi  com- 
posti di  siffatta  specie,  ma  che  intende  per  -goi  ?  [goi  =  godi     G.]. 

Facile  sarebbe,  senza  far  torto  all'esimio  A.,  il  dilungarsi  nella  discus- 
sione di  molti  quesiti  sollevati  dalla  sua  interessante  pubblicazione.  Con- 
cludiamo reiterando  il  voto,  già  da  me  espresso  in  alcuni  dei  miei  saggi 
onomastici,  che  per  la  libera  e  ampia  trattazione  di  queste  indagini  sorga 
finalmente,  per  opera  di  qualche  intraprendente  erudito  o  editore,  l'auspi- 
cata Rivista  Onomastica  Italiana. 

Biella-Piazzo,  34.  Cesare  Poma. 


'  Brizio  è  nome  di  Santo,  patrono  di  Orvieto,  e  a  cui  era  dedicata  anche 
una  delle  parrocchie  di  Torino.  Ma  in  Cronache  romane  del  sec.  XV  trovo 
Britio  0  Brizio  per  Fabrizio.  —  Abbiamo  i  cogn.  Brizi,  Brizio,  Brizzi 
(Brizzo,  Cuneo,  XVI)  e  a  Venezia  nel  XIV,  Brici  o  BRigi. 


CENNI   NECROLOGICI 


ERNESTO     MONACI 


Il  1°  maggio  del  corrente  anno  mori  a  Roma  Ernesto  Monaci,  che  da 
quarant'anni  v'insegnava  Storia  Comparata  delle  lingue  e  letterature  neola- 
tine nell'Università,  ed  era  uno  dei  più  insigni  maestri  di  quella  disciplina 
che  in  Italia  acquistò  valore  di  scienza  colla  generazione  di  dotti  a  cui 
egli  apparteneva.  La  sua  efficacia  nel  movimento  degli  studi  da  lui  colti- 
vati si  estese  anche  fuori  della  scuola  coi  periodici  che  diresse  per  quasi 
cinquant'anni,  dalla  Rivista  di  Filologia  Romanza  che  iniziò  nel  1872  fino 
agli  odierni  Studi  Romanzi.  Cooperò  alla  fondazione  e  alla  vita  della  Società 
Romana  di  Storia  Patria.  dell'Istituto  Storico  Italiano  e  ultimamente  della 
Società  Filologica  Romana,  che  molto  per  merito  suo  è  divenuta  una  delle 
nostre  istituzioni  di  cultura  più   fiorenti. 

L'opera  sua  di  rouianologo  esplicò  oltre  che  nella  filologia  anche  negli 
studi  storici  e  di  paleografia,  iibbracciando  nella  loro  unità  tutte  le  disci- 
pline che  convergono  a  illuminare  l'evoluzione  della  parola  e  il  movimento 
della  cultura  dei  popoli  latini. 

Non  è  possibile  in  questo  breve  cenno  parlare  delle  sue  molte  pubblica- 
zioni che  riguardano  la  storia,  la  paleografia,  la  letteratura  latina  del  me- 
dioevo e  le  varie  letterature  romanze,  segnatamente  la  italiana,  la  proven- 
zale e  la  portoghese.  Un  elenco  di  esse  si  avrà  prossimamente  in  un  vo- 
lume commemorativo  che  la  Società  Filologica  Romana  sta  preparando. 
Qui  si  vuol  notare  soprattutto  quanta  opci-a  egli  diede  allo  studio  dei  dia- 
letti italiani  nella  loro  fase  primordiale,  pubblicando  e  illustrando  anche 
sotto  l'aspetto  linguistico  antichi  testi  veneti,  toscani,  marchigiani,  roma- 
neschi, abruzzesi  e  siciliani.  Ma  l'opera  maggiore,  in  cui  riassunse  i  risul- 
tati delle  sue  indagini  di  parecchi  anni,  è  la  Crestomazia  italiana  dei  primi 
secoli  (Città  di  Castello,  Lapi,  1912),  cospicua  raccolta  di  monumenti  della 
nostra  lingua  e   letteratura  delle   origini,  accompagnata  da  un  ampio  prò- 


Cenni  necrologici  393 

spetto  grammaticale  e  da  un  ricco  lessico,  che  sono  al  momento  presente 
quanto  di  meglio  nel  genere  si  può  additare. 

Fu  uomo  di  carattere  integro  e  di  vita  semplice,  che  spese  tutta  nel  culto 
degli  studi,  sollecito  sempre,  più  del  progresso  di  questi,  che  di  soddisfa- 
zioni e  onori  personali.  Ma  il  suo  nome  sonava  alto  nella  estimazione  dei 
dotti  italiani  e  stranieri,  onde  la  sua  perdita  è  un  lutto  per  la  scienza  e 
per  la  patria. 

Mario  Pelaez. 


EGIDIO     G  O  K  F^  A 


L'ultimo  fascicolo  del  Giornale  storico  della  letteratura  italiana,  il  n.  3° 
del  voi.  LXXII,  testé  pubblicato,  esce  listato  di  nero  in  segno  di  lutto  per  la 
morte  del  suo  Direttore,  Egidio  Gorra,  rapito  immaturamente  nell'età 
di  cinquantasette  anni  all'affetto  dei  suoi  e  degli  amici,  all'ammirazione 
e  alla  stima  degli  studiosi.  Fu  per  molt'anni  decoro  e  lustro  dell'Ateneo 
pavese,  dove  insegnò  Letterature  neo-latine,  e  fu  Preside  di  Facoltà  e 
magnifico  Rettore  ;  nel  1915  era  succeduto  al  compianto  prof.  Rodolfo 
Renier  nella  cattedra  di  Letterature  neo-latine  nell'Università  di  Torino, 
e  insieme  nella  direzione  del  Giornale  storico  citato. 

Chi  à  seguito  il  movimento  della  nostra  critica  letteraria  e  della  scienza 
della  parola  in  quest'ultimo  trentennio  sa  il  debito  di  riconoscenza  che 
ogni  cultore  dell'uno  e  dell'altro  ramo  degli  studi  à  verso  Egidio  Gorra. 
Dopo  avere  nei  suoi  primi  anni  di  studio  presa  conoscenza  profonda  dei 
classici  e  delle  condizioni  di  tutta  la  letteratura  d'Italia  e  delle  altre  Na- 
zioni latine,  scelse,  per  le  sue  ricerche  e  per  la  sua  attività  scientifica, 
i  periodi  pili  difficili  ed  attraenti,  quelli  delle  origini  neolatine,  indagò 
le  reciproche  relazioni  soprattutto  tra  il  campo  italiano  e  quello  francese, 
è  riportò  dalle  sue  ricerche  tali  frutti  da  esser  considerato  uno  dei  pili 
reputati  maestri  in  materia,  e  da  esser  posto  per  autorità  all'altezza  del 
Rajna,  del  Renier,  del  Tobler,  del  Paris,  del  Meyer,  tutti  un  tempo  suoi 
maestri. 

Né  Egli  deve  essere  men  lodevolmente  ricordato  nel  campo  delle  inda- 
gini glottologiche.  Collaborò  nelle  note    principali    Riviste    della  materia. 


394  Cenni  necrologici 

L'opera  sua  DelV epentesi  di  iato  nelle  lingue  romanze,  1893,  in  '  St.  fil.  rom.  ,, 
VI,  465-598,  è  sempre  consultata  con  utilità.  Con  affetto  filiale,  in  omaggio 
alla  sua  terra  (era  nato  a  Fontanellato  nel  Parmense),  illustrò  con  sobrietà 
ed  acume  i  parlari  di  Parma  e  Piacenza,  in  due  lavori  pubblicati  poi  nella 
*  Zeitschrift  f.  rom.  Phil.  „  :  Fonetica  del  dialetto  di  Piacenza  (voi.  XIV, 
pag.  133  e  segg.)  e  Dialetto  di  Parma  (voi.  XVI,  pag.  372  e  segg.)  ;  cosi  la 
regione  emiliana  con  gli  studi  linguistici  degli  altri  che  lo  avevano  pre- 
ceduto e  di  quelli  che  lo  seguirono  riuscì  una  delle  pili  completamente 
illustrate  della  Penisola. 

E  nel  campo  linguistico  attese  anche  nobilmente  a  fini  didattici.  Il  Ma- 
nualetto  Hoepli  "  Lingue  neolatine  ,  è  del  1894,  quando  non  erano  ancora 
venuti  alla  luce  i  tanti  lavori  speciali,  che  su  ciascuno  degli  argomenti  in 
quel  manualetto  contenuti  ora  possediamo  ;  e  pure  è  "  divenuto  classico  per 
le  scuole  italiane  ,,  e  specialmente  nei  primi  capitoli  conserva  la  freschezza 
e  l'interesse  di  un  libro  del  giorno;  e  se  ne  sta  preparando  una  seconda 
edizione. 

Cosi,  fresco  e  interessante,  accanto  alle  opere  fondamentali  uscite  pili 
tardi  dalla  mano  di  W.  Meyer-Lubke,  rimane  un  altro  manualetto  Hoepli, 
che  il  Gorra  fini  di  compilare  pure  sulla  fine  del  1894  :  Morfologia  italiana, 
continuazione  dell'opera,  pure  nei  Manuali  Hoepli,  di  L.  Stoppato:  Fono- 
logia italiana,  che  era  rimasta  a  mezzo  per  la  immatura  morte  dell'autore. 
E  di  quattro  anni  più  tardi  è  l'altro  lavoro  :  Lingua  e  letteratura  spagnuola : 
delle  origini,  Milano,  Hoepli,  8°,  pagg.  xvii-430,  che  insieme  col  notissimo 
Manualetto  provenzale  di  V.  Crescini  costituisce  una  guida  indispensabile 
agli  studenti  delle  nostre  Facoltà  di  Lettere  per  introdursi  negli  studi  di 
questi  due  rami  del  neolatino. 

La  vita  sua  laboriosa,  gli  sforzi  tenaci  durati  nei  primi  anni  di  studio, 
che  resteranno  ammirato  esempio  dei  giovani,  e  l'operosità  spiegata  nel- 
l'attività sua  di  maestro,  giustamente  riconosciuta,  procurarono  al  Nostro 
grandi  soddisfazioni  nella  sua  vita  ;  ma  a  Lui  fu  avaro  il  destino  della  più 
alta  gioia  che  a  un  cuore  di  patriota,  quale  Egli  era,  poteva  essere  riser- 
bata :  la  gioia  di  vivere  i  giorni  della  vittoria  romana  e  della  grandezza 
nuova  della  Patria  nostra  cara  —  moriva  in  Pavia  il  27  agosto  ultimo  scorso. 

Alberto  Trauzzi. 


RAGGRANELLANDO 


Ecco  un'altra  raccolta  di  spiegazioni  e  di  osservazioni  intorno 
a  numerose  parole,  soprattutto  trentine,  toscane,  vènete,  mo- 
denesi. 

Sul  parlare  trentino  vedi  quanto  è  detto  qui  a  p.  197.  V.  poi 
una  nota  più  avanti,  al  N.  76. 

1.  algéri  (trent.),  aljéri  (nònese),  a;V'ri  (moden.),  «/fr  (bologn.) 
"  ieri  „  ;  alséra  (trent.,  nònese),  arsirà  (moden.,  bologn.  contad.) 
"  iersera  ,, . 

Quest'ultimo  corrisponde  a  iersera  ecc..  pur  nella  forma,  se- 
condo il  Fléchia,  Arch.  Glott.,  v.  IT,  p.  11.  ed  è  a  ritenere  che 
Var-,  con  r  passato  a  /  nel  trentino  e  nel  nònese  e  sparito  nel 
modenese  e  nel  bolognese,  in  tutt'e  due  i  casi  per  dissimilazione, 
sia  stato  attaccato  anche  a  {ieri  ecc.,  e,  almeno  nel  trentino, 
in  età  non  lontana,  perché  (jéri.  dati  il  dittongo  e  il  trapasso 
di  ;  a  g  (je  ^  gè),  giunse  al  certo  in  questo  dialetto  dal  vèneto 
{triest.  jéri  :  cfr.  jéra  "  era  „  [Vidòssich.  Studi,  sul  dial.  triest., 
N.  5]).  Che  il  trent.  algéri,  accanto  ai  rari  gerì,  jéri,  il  cui  j 
sarebbe  nientemeno  che  prostetico  secondo  il  Battisti,  Catinia, 
§  47,  p.  153,  sia  recente  e  d'accatto  lo  prova  il  pur  trent.  laltréri 
"  ier  l'altro  „.  E  cfr.  jér  a  Bormio,  allato  all'indigeno  éjr.  Ma 
vi  è  chi  pensò  che  algéri  sia  il  lat.  ad  illum  beri  (Slop  ; 
CksariiVi  Sforza,  Strenna  trent.  p.  Va.  1894,  p.  66). 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  26 


396  Ancrelico  Prati, 

2.  andirivièni  (tose). 

Il  Salvioni,  Studi  di  Filol.  Rom.,  v.  VII,  p.  234,  n.  1,  scrive  : 
"  Curioso  il  tose,  andirivieni  (It.  Gramm.^  606),  che  par  quasi 
contenere  un  anda  va,  e  sarebbe  quindi  '  va  ritorna  '.  Tuttavia 
si  pensa  anche  a  un  *  andar  '  e  '  venire  '  fusosi  con  un  '  va 
vieni  '„.  Lo  Zambaldi  {Vocab.  etim.  ital.)  separava  poi  addirit- 
tura questa  parola  cosi:  andiri-vieni  (!I). 

Un  tempo,  com'è  noto,  si  diceva  ando^  andi,  anda,  come  ora 
riandò,  riandi,  rianda,  e  quindi  non  vi  deve  essere  dubbio  sulla 
formazione  del  termine  in  parola,  che  non  so  perché  debba  es- 
sere curioso. 

3.  a  u  r  u  f  e  K    (lat.). 

Il  GoiDÀNicH,  qui  indietro,  a  p.  365,  dice,  contro  il  Meyer- 
LiiBKE,  che  la  forma  a  u  r  u  f  e  x  per  a  u  r  i  f  e  x  non  à  fon- 
damento veruno.  Ora,  è  bensì  vero  che  il  rg'fece  di  Paglieta 
(Vasto  [Abruzzi])  è  il  continuatore  di  aurìfìce,  ma  d'al- 
tronde è  pur  vero  che  aurufex  è  attestato.  Infatti  nel  The- 
saurus, s.  aurifex,  riga  67,  è  riportato  unAlexsa  au- 
rufex di  un'iscrizione  della  Sabina  (N.  4797  del  voi.  IX  .del 
Corpus  Inscript.  Lat.)  [v.  p.  472.     PGG.]. 

4.  bacàm  \ba/cànì]    (trent.),   bakàn  (valsug.)   "  contadino  be- 
nestante .,. 

Va  collo  spagli,  pagano  "  contadino  „,  da  paganu  "  cam- 
pestre „,  e  cfr.  veron.  pain  "  contadino,  villano  „,  da  *p  ag  I  n  u, 
(v.  JuD,  Zeitschr.  f.  Rom.  PhiloL,  v.  XXXVIII,  p.  30).  Cfr.,  per 
uno  scambio  dei  suoni  somigliante  a  bakàm,  il  lomb.  ant.  cupido 
•<[  cubito,  e  ancor  meglio  il  trent.  braska  =  graspa  "  graspo  „ 
(con  mutamento  di  posto  delle  consonanti),  il  poles.  brékane 
*•  sterpi  „  (venez.  grébani  "  greppi  „j  (cfr.  il  valsug.  begéro  "  gril- 
laia .,,  con  altro  suffisso).  Nel  1562  è  ricordato  un  luogo  a  Bagan 


Raggranellamlo  397 

a  Scurelle  nella  Yalsugana  (Morizzo,  Dog.,  v.  Ili,  p.  13),  che 
sarà  pure  da  p  a  g  a  n  u.  In  tal  caso  il  b-  sarebbe  per  assimi- 
lazione, e  poi  per  dissimilazione  sarebbe  venuto  hakan. 

5.  beino,  ba.i;(/tfo  (tose),  ecc. 

A  quanto  è  detto  alle  p.  284  e  396  del  v.  XVII  deWArch. 
Glott.  si  deve  aggiungere  che,  come  risulta  dallo  scrittore  del 
Casentino  Antonio  Bartolini  [La  Falterona,  Firenze,  tip.  del 
Vocab.),  sono  ivi  dette  vacche  bar,.ie  quelle  use  a  svernare  in 
montagna,  dette  anche  maremmane,  che  a  Pazzano  (Monfestino 
[Modena])  ba^gt  si  dice  d'animale  di  grandezza  mezzana,  e  che 
presso  il  Fagiuoli  {Rime,  4.  151)  ballotto  assume  un  significato, 
che  lo  ScARABELLi  (Vocabolario)  interpreta  per  "  molto  grasso  „  : 
"  È  in  somma  un  cotale  tonfacchiotto...  non  tanto  piccino  e  pili 
bazzotto  „.  Varrà  "  più  grassotto  „. 

6.  birichino  (pron.  tose,  birihino). 

Nell'alta  Italia  si  trova  spessissimo  scritto  e  stampato  biric- 
chino  e  persino  da  persone,  dalle  quali  meno  che  mai  si  aspet- 
terebbe un  tale  sbaglio.  Ed  è  appunto  il  eh  che  verrebbe  a 
negare  la  parentela  con  sbricco  (ital.  ant.),  briccone.  Se  si  pensa 
però  al  tose,  cario'la,  allato  a  carriq'la,  parrebbe  pur  possibile 
un  birichino  da  un  *birirchino  di  prima  ^.  L'i  poi  vi  sarebbe  stato 
messo  dentro,  come  in  birincéllo  "  brincello  „  (Petrocchi),  in 
biro'ldo  (pist.)  "  sanguinaccio  „,  se  è  da  *broldo  e  se  va  assieme 
col  borm.  bo'ldro  "  salciccia  fatta  in  un  budello  grosso  dell'in- 
testino „  (LoNGA,  Vocab.  borni.,  s.  lugàniga),  berg.  broli  "  trippa  „ 
(SALVfONF,  Romania,  v.  XLIII,  p.  376,  n.  1),  in  Ghirigoro  (tose. 


*  canìccio,  core'ggia  eco.  sono  invece  per  dissimilazione  (Salvioni,  Rendic. 
<l  Ist.  Lontb.,  V.  XLVI,  p.  999),  Caliinala  (Firenze)  (v.  N.  123)  per  assi- 
milazione. 


398  Angelico  Prati, 

ant.)    "  Gregorio  „    (Zambaldi,  Atti  d.  Ist.  Yen.,  t.  LXI,    P.  II, 
p.  270). 

7.  hoarinu  (padov.,  poles.,  veron.,  venez.,  bellun..  rover., 
treni.,  mantov.j,  boarine  (furi.),  huarena  (romagn.),  buarénna 
(bologn.),  boalena  (pavese),  boaro'la  (valsug.,  bellun.)  \  boarq'ta 
(brosc).  bharq'ta  (cremon.),  armentnresse,  pastoresse,  pastorele 
(furi.)   "  cutréttola,  ballerina  „  ^. 

bonrina,  bovarina  compare  pure  nel  Petrocchi,  il  secondo  ri- 
portato dal  milanese  Giovanni  Gherardini,  e  motacilla  boarula 
è  un  termine  scientifico. 

Il  Pieri,  Zeitschr.  f.  Boni.  Fhilol.,  v.  XXX,  p.  297,  rispose  già 
al  Salvioni,  Romania,  v.  XXXI,  p.  277,  perché  la  cutréttola  è 
detta  bovarina,  bovarota  ecc.  in  Lombardia  ecc.,  sulla  scorta  del 
Savi  e  dell'OLiNA.  Le  cutrettole,  com'è  noto,  vanno,  sui  campi, 
dietro  all'aratro,  per  beccare  gl'insetti  e  i  vermiccioli  scoperti 
da  esso.  Anche  il  Bonelli,  Studi  di  Filol.  Rom.,  v.  IX.  p.  442, 
n.  2,  dal  quale  tolgo  parte  dei  nomi  su  riferiti,  dopo  aver  detto 
che  il  Rollano  spiega  i  nomi  francesi  delle  motacillae  :  boujeirefo, 
semeur,  osservando  che  esse,  siccome  di  solito  cercano  il  cibo 
nella  terra  appena  smossa,  si  trovano  nei  campi  quando  vi  sono 
il  lavoratore  e  il  seminatore,  domanda  se  non  varrebbe  tale 
spiegazione  anche  per  i  corrispondenti  nomi  italiani  boaròta  ecc. 
Ed  ivi.  a  p.  390,  n.  2,  riporta  dal  Rollano    che    la    motacilla 


'  11  GiGLioLi,  Avifauna  italica,  Firenze,  1886,  p.  82,  dà  boaròla  quale  ter- 
mine del  Vèneto  in  generale,  ma  essa  è  esattamente  valsuganotta  e  bellu- 
natta.  In  piti  trovo  il  poles.  boarulin  "  pratincola  rnhicola  „  presso  il  Lorenzi, 
Rir.  Geogr.  Ital.,  v.  XV,  p  150.  Anche  dal  Marchi,  Note  e  osserv.  intorno 
all'avifauna  trident.,  Trento,  1907,  p.  75,  la  forma  boaròla  è  accolta  in  quanto 
è  valsuganotta. 

-  In  italiano  anche  batticoda,  che  non  designa  la  cingallegra,  come,  per 
una  svista,  à  il  Petrocchi,  Diz.  unir.  V.  invece  ivi  s.  ballerina. 


Raggranellando  399 

va  a  cercare  i  pìccoli  insetti  persino  sul  dorso  dei  buoi,  come 
fa  anche  lo  stornello.  E  già  il  Boèrio  scriveva,  a  proposito 
del  venez.  hoarina,  che  quest'uccelletto  "  frequenta  i  prati 
dove  sono  animali  bovini  al  pascolo,  ov'egli  pur  si  pasce  di 
que'  vermetti  che  escono  al  calpestio  di  questi  animali  „. 

Il  Pieri,  I.  c,  è  affatto  fuor  di  strada  quando  pensa  che,  se 
esistesse  nell'Altitalia  un  *b  o  v  a  r  i  a  "sterco  di  bue  „,  allora 
la  bovarina  potrebbe  aver  nome  dagli  escrementi  del  bue  an- 
ziché dai  buoi  o  dal  boaro.  In  primo  luogo  un  continuatore  di 
un  *b  o  V  a  r  i  a  non  esiste  e  l'Altitalia  conosce  invece  bonza  ^  ; 
in  secondo  luogo,  perché  andare  in  cerca  di  una  tal  spiegazione 
se  un'altra  s'impone  in  modo  assoluto  ed  è  la  più  chiara  che 
vi  possa  essere?  hoarina  ecc.  è  senz'altro  da  boaro  (vèn.)  ecc., 
sia  che  si  accenni,  con  questo  e  altri  nomi  simili,  al  fatto  che 
quell'uccello  si  avvicini  e  segua  i  buoi  che  arano,  sia  che  si 
accenni  all'uso  suo  di  accostarsi  agli  animali  bovini  pascolanti, 
com'è  il  caso  pure  dei  termini  furlani  riportati  sopra  e  del 
frane.  hergeromiPtte  ecc.  (v.  sopra  e  Eom.  etìjm.  Wort.,  N.  1180, 
6279).  Si  rammenti  infine  un  uccello  asiatico  detto  "  guarda-buoi 
indiano  „   (Giglioli,  Avif.  ital.,  p.  281). 

8.  boescàr  (valsug.).  imboescare  (pavano)  (v.  a  p.  329). 
Quando  scrissi  ivi  di  queste  voci,  non  conoscevo    il   bergam. 


'  hoaza,  boassa  vien  tradotto  nei  vocabolari  dialettali  al  solito  con 
■*  bovina  ,,  ma  in  realtà  si  tratta  d'uno  sbaglio  dei  compilatori,  in  quanto 
questi  confusero  "  bovina  ,  con  "  bica,  meta  (d'animale  bovino)  ,.  Questo 
dice  appunto  bonza,  mentre  la  prima  è  detta,  p.  e.  nel  Vèneto,  grasm, 
leaitte  ecc.  Per  detto  sbaglio  v.  i  vocabolari  di  Patriarchi,  Pagello,  Maz- 
zuccHi,  Patuzzi  e  Bolognini  ecc.  Nel  Ricci  (trent.)  c'è  pure  l'errato  boaza  — 
bovina,  buina,  e  boazaròl  —  chi  raccatta  bovine  per  le  strade  !  !  Anche  il 
vèn.  fiJcito  vale  "  cacherello  de'  polli  e  degli  altri  uccelli  ,,  non  "  pollina  , 
in  quanto  inilichi  l'insieme  dei  cacherelli,  il  letame. 


400  Angelico  Prati, 

imhedeskàs  o  imbddeskds  **  arrenare  nel  discorso  „,  che  contradi- 
rebbe quindi  alle  spiegazioni  proposte  ivi,  se  risultasse  che  esse 
non  si  potessero  separare  da  quest'ultima. 

9.  bovolo  (veron.),  bo'lo  (valsug.)  "  bidollo  „  (v.  a  p.  200, 201). 

10.  brel  da  torchio  (trent.  ant.). 

In  un  documento  trentino  del  1435  è  notato  im  brel  da  torchio 
{Arch.  Trent.,  v.  XXVII.  p.  16),  che  deve  essere  quell'arnese  sul 
quale  poggia  il  torchio.  È  una  forma  maschile  corrispondente 
all'ital.  predèlla,  milan.,  veron.  bréla.  Quest'ultima  voce  indica 
la  "cassetta  (da  lavandaia)  (cassetta  e  lavatoio),,.  V.  il  Rom. 
etym.  Wort.,  N.  1287;  Salvioni,  Rev.  de  Dial.  Rom.,  v.  IV,  p.  216, 
N.  1287  ;  Bertoni,  Italia  dialettale,  Milano,  1916,  p.  32.  Data 
la  base  bretil  (alto  ted.  ant.)  "  assicella  „,  bisogna  arguire 
che  il  termine  di  quel  documento  trentino  sia  di  provenienza 
lombarda  o  veronese,  data  la  scomparsa  del  d  secondario  (cfr. 
Battisti,  Catinia,  §  73). 

11.  brùdo  (Caldonazzo,   Lévico)  ;    bnristo,    burlstio   (sanese) 
"  sanguinaccio  „   (v.  Petrocchi  e  Pianigiani). 

Prima  certo  del  trent.  virstel,  milan.  vilrstel  "  salsicciotto  te- 
desco „,  penetrò  in  Italia  il  ted.  W  u  r  s  t  "  salciccia;  salame  „, 
che  diede  dunque  i  termini  citati,  i  quali  rammentano  il  rover. 
probust  "  mortadella  di  manzo  „  (ted.  B  r  a  t  w  u  r  s  t  "  salciccia 
arrosto  „),  (che  manca  invece  al  trent.  Ricci),  buristo  potrebbe 
essere  da  *bÌ7'usto,  con  scambio  delle  vocali  (cfr.  Guarnerio,  Fo- 
nologia  romanza,  Milano,  1918,  p.  369),  e  questo  avere  un  i  in- 
serito, come  forse  il  pist.  biroldo  (v.  N.  6).  Invece  il  Salvioni, 
Rendic.  d.  Ist.  Lvmb.,  v.  XLIX,  p.  1034,  osserva  che  dovrebbe 
sonare  quantomeno  buristo,  se  derivasse  da  W  u  r  s  t.  Sennonché 
potè  sonare  cosi'  in  origine,  per  poi  farsi  parola  piana. 


Raggranellando  401 

12.  cayna  [kada]  (treni.)  "  grillotalpa  „,  (poles.)  "  sala- 
mandra „  ecc. 

Il  Merlo,  Studi  Rom.,  v.  IV,  p.  157,  n.  2,  crede  voci  d'im- 
preco il  trent.  cagna,  il  lomell.  kanata,  il  piazz.  caifunlétt  e  il 
sard.  d'Ozieri  cani  criada,  pur  avendo  presenti  il  lomb.  kaìió 
"  tarlo  „,  il  frane.  cheniUe  "  larva  „  ecc.  E  qui  porrebbe  anche 
il  frane,  étrangle-porc  e  l'alvern.  téte-vache.  aggiungendo  che  il 
contadino,  in  tutto  ciò  che  gli  incute  terrore,  vede  una  grave 
minaccia  a'  suoi  tesori,  che  son  la  vacca,  il  porco,  la  capra,  il 
fido  cane  ;  e  però  tette-vache  sono  il  rospo  e  il  grillotalpa,  teto- 
cabro,  allaite-tsivra,  succiacapre  il  fottivento,  bramo  vaco  (lette- 
ralmente "  fai  muggir  la  vacca  „),  tuo-chin,  tia-chen  [e  tue-chien^, 
estranglo-chin  il  velenoso  còlchico  ecc.  ecc. 

Credo  che  il  giudizio  del  Merlo  riguardo  all'origine  di  detti 
nomi  non  risponda  al  vero,  e  che  essi  abbiano  una  ragione  par- 
ticolare nei  singoli  casi.  Si  aggiunga  in  prima  che  nel  trentino 
son  detti  kaìio'ta  il  millepiedi  (iulo),  kanóla  il  cobite  (pesce  di 
fiume)  e  kanéta  un  pesce,  cui  in  italiano  corrisponde  cagnotta, 
secondo  il  Ricci  (Appendice)  ;  a  Pissavaca  presso  Trento  kaìia 
e  detta  la  monachella  [mantis  religiosa),  nel  Polesine  è  detta 
cosi  la  salamandra,  che  pur  nel  padovano  si  chiama  bissa  cayna. 
In  parte  si  tratta  di  nomi  d'animali,  la  cui  testa,  nella  forma, 
ricorda  più  o  meno  quella  del  cane,  oppure  son  di  quelli  che 
mordono,  o  almeno  cosi  si  crede.  Appunto  perché  mordono,  se 
si  avvicinano  loro  le  dita,  son  detti  kaiie  nel  trentino  il  grillo- 
talpa e  la  monachella. 

Tra  i  nomi  dei  pesci  tratti  dal  cane  si  notino  i  venez.  cagnèa 
o  cagnia,  o  manio  de  mar,  "  cane  carcaria,  squalo  cane  „  e  ca- 
gnolefo  "  il  più  piccolo  dei  pesci  nel  genere  de'  cani  „. 

Altri  nomi,  quali  il  frane,  étrangle-porc,  l'alvern.  téte-vache, 
del  pari  dello  svizz.  rom.  lèytye-vatsa  ("  allaite-vache  „)  ^  sala- 
mandra „   {Arch.  Glott.,  V.  XVII,  p.  517,  N,  4817)  accennano  ad 


402  Angelico  Prati, 

alcune  delle  tante  superstizioni  sugli  animali.  In  quanto  al 
frane,  tette-chècre,  ital.  succiacapre,  nel  trentino  anche  cilcavake, 
fefavake,  lat.  caprimulgus,  è  opinione  nel  popolo  che  succhi  il 
latte  alle  vacche  e  alle  capre,  e  v.  Bonellt,  Studj  di  Filol. 
Rom.,  V.  IX,  p.  390.  E  si  crede  pure  che  lo  zafferano  bastardo 
(còlchico)  ammazzi  le  vacche,  che  lo  mangiano,  come  potrebbe 
ammazzare  un  cane. 

13.  calzidrél  o  crazidél  (trent.)  "  secchia  .,,  ecc.  (v.  a  p.  202). 

14.  canderla  [lianderUi]  o  Mandorla  (trent.)   "  bricco  „. 

E  forma  usata  allato  a  kdndola  (v.  anche  Altón,  Die  ladin. 
Idiome,  p.  179),  d'origine  tedesca  (Schneller,  Die  rom.  Volksmutid., 
p.  128),  che  per  r>-  trova  riscontro  nel  trent.  kanéderli,  soita 
di  gnocchi,  dal  ted.  knodel  "gnocco,,,  spindorlàr  o  sjjìh- 
doldr  "  spenzolare  „,  nel  moden.  ségerma  "  sàgoma  „,  nel  venez. 
kàorlo  "  cavolo  „,  nel  poles.  zamperìón  "  ciampicone  ;  strasci- 
cone „  (da  zainpela  "  ciabatta  „),  nell'ital.  màndorla  e  scandorìa  ^ 

15.  canigghie  [kaniggje]  (pugl.)  "  crusca  „. 
Se  ne  fanno  pagnotte  pei  cani. 

16.  capindr  [kapindr^  (allato  a  kamindr)  (trent.)  "  cammi- 
nare ;  andar  avanti  ;  andar  via,  partirsi  ;  licenziarsi  „,  kjapindr 
(nònese)  "  andare  „,  kapindr  (e  kamindr)  (rover.,  veron.),  skapi- 
nare  (e  kaminare)  (vicent.)  "  camminare  „,  skapindr  (venez.), 
skapinare  (padov.,  poles.)  "  calcagnare,  spulezzare  „. 


*  Certo  per  una  svista  il  Salvioni,  Rendic.  d.  Ist.  Loinb.,  v.  XLIX,  p.  1017, 
fa  corrispondere  al  trent.  condola  cogoma  e  a  canderla,  càndorla  bricco. 
l-g'yoma  è  forma  trentina,  molto  meno  usata  di  kq'doma,  e  vale  natural- 
mente "bricco,,  come  Y\t»\.  cùccuma.  Anche  il  trent.  canedel,  dato  subito 
dopo  dal  Salvioni.  va  corretto  appunto  in  canéderli,  mentre  la  forma  senza 
Vr  è  roveretana  (I'Azzoli.vi  dà  solo  canedelini  "  bonifàtoli  ,J. 


Raggranellando  403 

Stando  al  Battisti,  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  Ili,  n.  2,  kjapindr 
sarebbe  da  caminare  -\-  capitare,  ma,  come  provano  le  forme 
vènete,  il  p  è  dato  appunto  da  shapin   "  tomaio  „. 

17.  castellina  (tose.)  "cappa;  mucchio  (di  piatti,  di  libri  ecc.)„. 
11  Bertoni,  Archiimm  Rominicum,  v.  II,   p.  357,  358,   spiega 

la  connessione  del  sopraselv.  Icislét  "  mucchietto  „,  valtel.  kaflét 
"  mucchio  „,  coll'arbed.  kaflét,  posch.  kastelét  "  cappa,  castel- 
lina „,  ma  il  bello  era  da  notare  che  la  stessa  vicenda  ebbe 
il  tose,  castellina,  che  venne  a  dire  "  mucchio  (di  piatti,  di 
libri  ecc.)  „. 

18.  cianta  |  ca^/a  J  (trent.),  2:aw<a  (fiamazzo)  "  sottana  „  ;  f>àn- 
dola  (valsug.)  "  brandello,  sbrendolo  „  ;  fganda  o  (janda  (valsug.), 
fgando'na  (valsug.,  trent.)  "  donua  sciatta,  cimbraccola  ;  sgual- 
drina „,  fgandom  (trent  )  "  bacchinone,  bighellone  ;  gaglioffo, 
giramondo  .,  ;  fgondanare  (poles.)  '"  andare  a  zonzo,  girellonare  „, 
ffiondano' n  (poles.)   "  dondolone,  girandolone  ;  perdigiorno  ,, . 

Il  Battisti,  Catinia,  §  63,  p.  172,  cita  un  trent.  candtf,  che 
egli  deriva  da  e  h  1  a  m  i  d  e  (meglio  da  chi  ami' da).  II 
Ricci  però,  a  p.  517,  accoglie  la  forma  cianta,  che  ò  udito 
anch'io,  e  ca)it  pronunziano  i  Mòcheni  (tedeschi)  della  valle  alta 
della  Fèrsina  (distretto  di  Pèrgine)  (Aristide  Baragiola,  /  "Mò- 
cheni „,  Venezia,  1905,  p.  34),  Da  un  tale,  non  so  di  qual  parte 
del  Trentino,  udii  però  scanda  nel  senso  di  "  cencio  „.  Nel 
mentre  che  le  parole  intestate  si  palesano,  a  quanto  pare,  d'una 
stessa  famiglia,  parte  di  esse  provano  che  non  si  deve  partire 
da  una  base  con  ci-.  La  connessione  di  canta  ecc,  con  fganda  ecc. 
pare  convincente,  quando  si  consideri,  a  esempio,  il  poles. /6r/n- 
dolo  "  sbrendolo,  rimbrenciolo,  brindello  „,  da  cui  fbrindolo  ìì 
"brindellone;  dondolone  ecc.  „,  fhrindolare  "sbrindellate;  gi- 
rellare ecc.  T,  /brindala   "  girellona  ;  sgualdrina  ,,    il    tose,   ciìn- 


404  Angelico  Prati, 

brdccole  "  panni  di  poco  valore  „,  cimbràccolo  "  ciondolo,  straccio  „ 
e  cimbraccola  o  cirimhraccola  '"  donna  sciatta  e  bécera  „,  venez. 
salambraca  (Ninni,  p.  217)  (cfr.  ital.  ant.  zambracca,  vicent.  sam- 
braka  "  baldracca  „). 

L'origine  è  forse  comune  col  tose,  cianfa,  ciantèlla  "  ciabatta 
col  quartiere»  (a  proposito:  c'è  un  cantélla  "ciana,,,  che  non 
so  di  qual  parte  sia  [rom.  ?|).  d'origine  dubbia  (cfr.  Arch.  Glott., 
V.  XVI,  p.  203). 

fganda  ecc.  saranno  d'origine  gergale,  e  quindi  proverranno 
dal  trentino,  dove  e  e  <]  per  a;  e  ;  persistono  a  volte  pur  nel 
parlare  cittadino  (v.  Battisti,  Catinia,  §  58,  p.  165,  e  w.fmarijél 
al  N.  49).  Cfr.  il  poles.  gerg.  guida  "  polenta  „,  trent.  guido,  ^aldo 
"  granturco  (il  grano)  „  (v.  Rev.  de  Dial.  Rom.,  v.  VI,  p.  177, 
n.  2).  Il  d  di  pàndolu  (valsug.),  di  fganda  (valsug.)  ecc.  è  sorto 
certo  per  vicende  dissimilative,  e,  in  ogni  modo,  cfr.,  oltre 
l'ital.  poUnda,  il  venez.  bréndolo  (ivi,  p.  150),  lignamine  mercan- 
darescho  di  un  documento  valsuganotto  del  1456  (Morizzo,  Dog., 
v,  I,  p.  227),  i  cognomi  Mei-caudino  (piem.)  e  Mercandèlli,  so- 
praselv.,  engad.  kandariàls,  kandaréls  "  sonici  „  (v.  Salvioni, 
Romania,  v.  XLIII,  p.  380,  N.  16),  il  nome  del  paese  Dasindo 
nel  distretto  di  Sténico,  nei  documenti  anche  Desinto,  Dasintho 
(ScHNELLER,  Tir.  Nam.,  p.  329),  dov'è  chiara  l'azione  del  d-, 
come  quella  del  t-  nel  valsug.  tarando  "  verdone  „  (v.  Arch. 
Glott.,  V.  XVII,  p.  421).  Del  resto  il  valsuganotto  conosce  pure 
karàndola  nel  senso  di  góndola,  e  quello  può  aver  attirato  questo. 

Termino  l'articolo,  domandandomi  se  qui  non  sia  da  ricon- 
durre scantu  (vèn.,  trent.)  "  zinzino  „,  venuto  dal  senso  di  "  bran- 
dello „,  ma  è  forse  meglio  la  connessione  con  scìiiunto. 

19.    cigàgnolo  [cigi'aiolo]    o    cikaàolo    (orviet.)    "  fignolo  „  ; 
cigolai  [cigg'tol,  zigg'tol]  (trent.)   "  tùtolo  „. 

Vanno    col    venez.    sigolo    [cigolo    nel    Boìsrio)  "  vinacciolo  „, 


Raggranellando  405 

mentre  col  parm.  cich  ecc.  va  il  treni,  zikola  "  ritaglio,  rita- 
gliuccio  ,,.  Cfr.  Boni.  etym.  Wort.,  N.  1899;  Levi,  Le  palatali 
pieni.,  p.  119. 

20.  ciòssa  [co  sa]  (Pazzano  [Modena])   "  siepe  „. 
Da    e  1  a  u  s  a  ,    col  moden.  ant.  chionsa  [Romania,  v.  XXXIX, 

p.  441).  Il  Bertoni,  Italia  dial.,  p.  40,  riporta  cosa  [=  co'fa] 
"  siepe  „  di  Cimalmotto  Fusio  (Ticino),  ma  il  /  è  sicuro  ?  In 
ogni  modo  cfr.  A7-ch.  Glott.,  v.  XVII,  p.  427,  n.  2. 

21.  rifona  [cifo'na,  zìfo'na]  (trent.)   "  anatra  salvatica  „. 
Dev'essere  il  vicent.  ant.  cisano  (veron.  séfeno,  venez.  sé/ano, 

Stefano  [non  siezeno  com'è  nel  Boni.  etym.  Wort.,  N.  2435]) 
"  cigno  „,  con  altro  suffisso. 

22.  ciucòuna  {cuko'una]  (moden.)  "  scampanata  „. 
Ubaldo  Mazzini,  Giorn.  Stor.  d.  Lunigiana,  v.  IX,  p,  189  e  seg., 

nel  suo  lavoro  sui  nomi  e  l'uso  della  scampanata,  riferisce  pure 
il  pontrem.  ecc.  ciocada,  da  cioco  "  tocco,  rintocco  „  (p.  194). 
Cfr.  anche  moden,  cg'k  "  scoppio  ,,  cukér,  verbo  esprimente  le 
diverse  maniere  di  far  scoppio  o  suono  (v,  Maranesi,  Vocab. 
1     moden. -ita  l.). 

23.  conigliolo,  grovigliolo  (tose). 
Presso  il  GrUARNÌ;Rio,  Fonol.  rom.,  p.  4.59,  si  legge   la  forma 

conigliuolo,  che  sarebbe,  secondo  lui,  da  un  *c  u  n  i  e  (u)  1  o  1  u  ^ 
ma  bisogna  credere  che  sia  una  forma  inventata  da  lui,  com'è 
inventato  il  grovigliuolo  del  Meyer-Lubke,  Bom.  etym.  Wort., 
N.  3792  (v.  Ardi.  Glott.,  v.  XVIII,  p.  330-331)  K 


^  E  COSI  acquazzo  (N.  758)  (cfr.  Aìxh.  Glott,  v.  XVI.  p.  332),  aggregrjiare 
(N.  8865)  (cfr.  Eomania,  v.  XXXIX,  p.  436),  frane,  cauchemare  (N.  1491,  5848) 
(cfr.  Arch.  Glott.,  v.  11,  p.  10,  n.  3;  v.  XVII,  p.  283). 


406  Angelico  Prati, 

Lo  ScAEABELLi  dà  beiisi  le  pronunzie  conigliòlo  e  grovigliòlo, 
ma  si  tratta  nient'altro  che  d'uno  sbaglio.  Il  Fanfani  e  IIigu- 
TiNi  anno  conigliòlo,  che  sarebbe  da  leggere  conigliòlo,  ma  il 
Tommaseo,  il  quale  rimanda  al  Fanfani,  à  conigliòlo  e  cosi  anno 
il  Petrocchi  e  gli  altri  vocabolaristi.  È  una  forma  popolare 
(il  Fanfani  la  dice  plebea)  da  confrontare  appunto  con  groin- 
gliolo.  Di  un  conigliuolo  poi  non  c'è  ombra  nei  dizionari.  Sfuma 
cosi  la  supposizione  d'un  *cùniciilolu  ^ 

24.  cori  \kort]  (trent.)  "  corto  „. 
La  base  *c  fi  r  t  u  ,  come  si  sa,  è  richiesta  da  tutta  l'alta 
Italia,  all' infuori  del  trentino.  Cfr.  infatti  pieni.,  ligure,  lomb.  kiirt, 
emil.  huri,  kiirt,  vèn.  Jcurto,  nònese,  furiano  kurf,  vegììoto  korte 
{curio  anche  nel  portoghese).  V.  a  proposito  :  Arch.  Glott.,  v.  I, 
p.  500  ;  V.  XVI,  p.  298  ;  v.  XVII,  p.  94,  225  n.  3  ;  Vidòssich, 
Studi  sul  ditti,  triest.,  N.  20;  Rom.  etym.  Wort.,  N.  2421  ;  Guar- 
NERio,  Fonol.  rom.,  p.  225,  270  2.  E  dunque  un  fatto  notevo- 
lissimo quello  che  il  trentino  abbia  kort  in  corrispondenza  col 
toscano  {corto),  in  quanto  pare  difficile  che  quella  forma  sia  di 
origine  recente  letteraria,  non  inducendo  del  resto  neppure  a 
supporre  questo  la  circostanza  che  nella  Catinia  compaiono  curta, 
curti  (Battisti,  §  16,  p.  119  [dove  il  curt  (!)  di  Ruzante  è  da 
correggere  in  curta^),  giacché  quel  testo  mostra  anche  altri- 
menti l'influsso  vèneto,  anzi  padovano  (v.  Bull,  de  Dial.  Rom., 
V,  VI,  p.  91,  n.  2).  La  toponomastica  trentina  non  ci  illumina 
per  niente  al  riguardo.  Quella  vèneta  offre  molti  esempì  di  curfo 


^  Errore  è  invece  il  fondìgliolo  del  Petrocchi,  s.  belletta  nella  lingua  for 
d'uso,  mentre  egli  à  appunto  fondigliòlo  s.  v.,  e  s.  fondinie. 

^  curto  si  legge  anche  presso  il  Petrarca,  il  Machiavelli,  l'Ariosto,  il 
Carducci  (v.  Petrocchi)  e  ritorna,  a  esempio,  a  Orvieto  nell'Umbria.  I  nomi 
di  luogo  della  Toscana  conoscono  solo  corto,  a  quanto  risulta  da  Silvio  Pieri, 
Toponomastica  della  valle  dell'Arno,  Roma,  1919,  p.  278. 


Ragorranellando  407 

(v.  Olivieri,  Studi  Glotf.,  v.  Ili,  p.  145  ;  Saggio  di  fopon.  ven., 
Città  di  Castello.  1914  [1915],  p.  216)  K  Bisognerebbe  però 
vedere  se  a  ciirfo,  e  non  a  corte,  risalgano  Col  di  Cortdl  (Gogna 
di  Cadore).  Cortale  del  1184  (Minerbe  [Verona])  (Olivieri,  Saggio, 
p.  319),  Cortale  (Reana  [Udine])  (anche  uno  presso  Nieastro 
[Catanzaro]).  Infatti  nella  Valsiigana,  dove  pure  si  dice  knrto, 
una  campagna  presso  Frazzena  è  detta  l  Curiale.  Cfr.  poi  i  co- 
gnomi alto  ital.  Curio,  Curii,  mentre  Corti.  Cortazzi  (e  Cùrtis) 
possono  essere  da  corte. 

2ò.  Curvata  (ti'ent.)   "  pozzo  nero,  bottino,  cloaca  „. 

Per  una  svista  il  Salvioni,  nei  Rendic.  d.  Isi.  Lonib.,  s.  II, 
V.  XLVI.  p.  1005.  n.  1,  adduce  un  trent.  troaca  '•  cloaca  ,..  che 
non  esiste.  Questa  è  invece  una  forma  lucchese,  come  risulta 
dallo  stesso  Salvioni,  Arch.  Stor.  Sardo,  v.  Y.  p.  217,  n.  1,  il 
quale  ivi  riferisce  e  dichiara  anche  la  forma  intestata.  In  horvata 
si  à  una  dissimilazione  inversa  che  nel  lucch.  troaka.  Da  un 
*kroah(,  ottenuto  collo  scambio  di  /  con  r.  facile  in  voci  dotte 
(cfr.  lo  scambio  inverso  nei  trent.  hléda  e  kléna  [che  manca  nel 
Ricci  1),  si  venne  a  *kr<>ata  e  di  qui  a  korvaia  (cfr.  rover.  kor- 
vata  "  cravatta  „,  valsug.  korvato  "  Croato  .,). 

Altri  esempi  poi  di  k  —  k^k  —  t  o  t  —  k  allega  il  Salvioni 
nelle  due  note  citate. 

26.  cuba    (venez.,    padov.,    triest.)    '"  cupola  „  (v.  p.  2 lo  e 
Keviie  de  Dialeciol.  Rom.,  v.  VI,  p.  140). 


^  L'Oi.rviERr  cita  anche  un  vèn.  cartolo  e  rimanda  alle  mie  Esc.  129,  ma 
è  bene  avvertire  che  quella  voce  fu  da  me  supposta,  sulla  base  del  valsug. 
skàrtolo,  allato  a  skiirtaro'lo,  per  spiegare  appunto  diversi  nomi  di  luogo 
che  ne  derivano  (v.  Rer.  de  Dial.  Boni.,  v.  V,  p.  106  [non  129]).  Nel  caso  ai 
deve  parlare  di  un  vèn.  ant.  *cnrtolo.  poiché  non  se  ne  conoscono  attesta- 
zioni, mentre  è  vivo  il  solo  valsug.  siciirfolo. 


408  Angelico  Prati, 

27.  defmansar  (Concordia  |  la  Mirandola,  Modena])  "span- 
nocchiare „,  mansarina  (ivi)  "  granata  ,,. 

Il  Bertoni,  Ardi.  Boni.,  v.  II,  p.  74,  accostando  qnesti  due 
termini,  li  trae  da  massa,  a  cui  si  allacciano  il  fianc.  ra- 
masser  ecc.  {Boni.  etym.  Wiìrt.,  N.  5396).  ina  non  s'accorse  del 
rover.  fmanzarina  "  spazzola  „,  del  trent.  Jnuthar in  o  Jntalzarina 
"  spazzola  ;  brusca  (grossolana)  „  ecc.  Inoltre  il  trentino  e  il 
mantovano  anno  una  voce  caratteristica  per  "  pannocchia  „  ed 
è  appunto  manza  (notisi  bene  :  anche  questo  con  z,  non  con  ;), 
da  cui  nel  trentino  il  verbo  nianz'ir  "  gettare  la  pannocchia  „ 
e  il  defmansdr  di  Concordia.  E  da  manza  viene  pure  mansarina 
e  fmanzarina  ecc..  poiché,  secondo  I'Azzolini,  il  rover.  manza 
non  solo  vale  pannòcia  [pano'ca],  ma  aftche  "  fior  della  pianta 
del  granturco  „.  V.  ancora  Salvioni,  Bendic.  d.  Ist.  Lomh.,  s.  II, 
V.  XLIX,  p.  785,  n.  2. 

28.  Die  nai,  parole  dette  dai  naviganti,  quando  fossero 
stati  alcuni  giorni  senza  vedere  terra,  tratte  da  un  codice  del 
quattrocento  (v.  La  Bassegna,  s.  III,  v.  II,  [a.  XX VJ,  p.  353, 
e  Zeitschr.  f.  Rom.  PhiloL,  v.  XXXIV,  p.  315). 

Die  nai,  in  quanto  non  dica  altro  che  Dio  n'  alti,  Dio  ci  aiuti, 
trova  un  bel  riscontro  nei  cognomi  dell'alta  Italia  Delalti,  Da- 
latti,  Dallalta,  Delaidòtti,  Delài,  Dallài,  Delami,  Dallari,  Dallara, 
e  nei  nomi  d'uomo,  dati  da  documenti,  Delay,  Delaidus,  Delaitus 
(v.  ScHNELLER,  Tir.  Xam.,  p.  249;,  N.  19),  che  dicono  Dio  Vaiti 
(nome  augurale)  (cfr.  anche  ivi  p.  268,  in  fondo).  Riguardo  alla 
forma  Die  per  Dio  in  nomi  composti  v.  Petrocchi,  s.  v.,  e  Ce- 
sare Poma,  Il  composto  verbale  nella  onomastica  italiana,  Torino, 
1910,  p.  14  1. 


*  Lo  ScHNFLLER  non  pensava  alla  spiegazione  sopra  accennata. 


à 


Raggranellando  409 

29.  digojr  {hoi'm.),adigó  {morhegn.),  diigojr,  digojr  (poschinv .), 
adgi'ir  (Val  di  Monastero),  degjdr  (Male  [Val  di  Sol]),  degor 
(Ossana),  degoj  (Mezzana,  Termenago,  Peio),  argji'jr,  ardjor 
(Rabbi)  [Pro  Cultura,  Trento,  v.  I,  p.  36(J),  bc/djór  (Samoclevo) 
(Battisti,  Zur  Stdzb.  Mund.,  p.  214,  n.  1),  agtiér,  diguér  (alto 
nònese),  diguéi  (garden.),  digé  (fassano),  adigoi  (fiamazzo),  digór 
(bergam.),  ligdr  (trent.). 

Tutte  queste  voci  indicano  o  il  secondo  fieno  (grumeréccio) 
0  la  raccolta  del  grumereccio.  Nell'alto  nònese  v'è  pure  be/gorin 
"  terza  raccolta  del  fieno  „  ^ 

L'Ascoli,  Arch.  Gloft.,  v.  I,  p.  264,  N.  166,  scrive  che  con 
digiira  (vai  levent.)  da  d  e  e  u  r  i  a ,  va  forse  digdir  (poschiav.  ecc.); 
fieno  seròtino,  cioè  del  decimo  mese,  ma  a  pag.  553  osserva: 
*  Quanto  a  digdir,  bisogna  che  si  mandi  con  una  quantità  di 
sinonimi,  che  lo  mostrano  impoverito  per  aferesi.  Mi  limiterò 
a  citare  il  morbegnese  adigd...,  Vartegnói  {v-arteguói)  di  Val  Fio- 
rentina, e  Schneller  232-3  „. 

Della  resipiscenza  dell'AscoLi  non  s'avvide  il  Salvioni,  Rendic. 
d.  Ist.  Lomb.,  s.  II,  v.  XXXIX,  p.  491,  n.  4,  il  quale  nota  che 
il  pili  antico  esempio  della  voce  è  forse  Vadigoiriim  del  cap.  195 
degli  Statuti  di  Bormio,  e  che  Va-  par  contrastare  anche  al- 
l'ètimo dell'AscoLi. 


*  Lo  ScHNKLLER.  Die  roin.  Volksinund.,  p.  232,  dà  la  forma  argor  per  la 
parte  della  Val  di  Monastei'O  presso  al  confine  tirolese,  mentre  i  Pallioppi 
per  la  Val  di  Monastero  danno  la  forma  adgor,  che  non  è  quindi  engadina, 
come  risulterebbe  dal  Rom.  etyin.  Wort.,  N.  2508,  che  à,  per  giunta,  adgoir, 
e  dal  Salvioni,  al  1.  e.  poi  sopra,  p.  491.  L'Engadina  conosce  ra/dìf{v.  Rom. 
etym.  ÌVort.,  N.  7117,  dove  si  legge  un  vicent.  reèadif,  che  non  può  essere 
ià\e\  Lo  Schneller  dà  inoltre  le  forme  nònese  o rgor,  arguer,  adegor  {anchu 
nònese  ant.)  e  ampezz.  antigoi,  la  prima  delle  quali  compare  come  urger 
e  l'ultima  come  artigoi  al  N.  7130  del  R.  e.  W.,  ohe  à  pure  un  posch.  digijr 
(al  N.  2508  c'è  la  forma  giusta). 


410  Angelico  Prati, 

Nel  1378  è  nominato  un  certo  Zuliaiio  Adegoi  a  Tesero  in 
Fieme,  dove  oggi  vive  la  forma  adir/oi,  e  in  un  documento  di 
Pellizzano  in  Val  di  Sol,  del  1408,  si  legge  feniim  et  adegorium 
(Cesarini  Sforza,  Per  la  storia  del  cognome  nel  Treni.,  Trento, 
1914.  p.  154). 

Com'è  noto,  il  valses.  argorda,  pieni,  ariorda  ecc.  "  grume- 
reccio „,  risalgono  a  *r  e  e  o  r  d  u  (v.  Jud,  Arcìt.  f.  d.  Studili m 
d.  Neueren  Sprachen  n.  Liferat.,  v.  CXXVII.  p.  421),  ma  a 
questa  base  non  possono  risalire  le  forme  riportate  sopra,  e 
à  torto  il  Meyer-Lubke,  Barn.  etym.  Worl.,  N.  7130,  ad  acco- 
glierle sotto  detta  base,  malgrado  le  dica  difficili  da  spiegare 
(v.  anche  Jud,  1.  e.)  ^ 

Nel  Vèneto  esiste  una  parola,  che,  a  quanto  pare,  può  recare 
gran  luce  sulla  origine  delle  forme,  di  cui  trattiamo:  padov.  ko'ro 
"  limo,  limaccio,  terreno  che  fonda  e  non  regge  al  piede;  melma, 
porcheria  che  si  genera  nelle  paludi  „,  poles.  kiiora  "  melma 
de'  fossi,  delle  paludi;  aggallato  „,  kuoro,  kuora  "cotica  di  terreno 
fitògeno,  costituito  principalmente  da  radici  di  erbe  palustri 
non  ancora  trasformate  completamente  in  torba  „  (v.  Lorenzi, 
Riv.  Geogr.  Itai.,  v.  XV,  p.  80.  il  Boerio  s.  cuori,  e  Olivieri, 
Saggio  di  topon.  ven.,  p.  2B2j.  Nel  bolognese  vi  corrisponde  cur 
{v.  Ungarelli)  e  nell'italiano  cuora  o  qìiora  "  aggallato  „.  Il 
Lorenzi  avverti  già  che  si  tratta  del  lat.  e  o  r  i  u  m  ,  che  vale 
anche  "  crosta  o  superficie  delle  cose  inanimate  „,  esempi  :  co- 
riuni  arenae,  corta  terrae:  ital.  ant.  cuoio  "  crosta,  delia  terra  ,. 
Cfr.  anche  vicent.,  valsug.  ecc.  ko'dego,  ital.  cotica  "  erba  e  ra- 
dici che  avvolgono  la  terra  d'un  prato  „  e  cótica  di  terra  '•  piota  „'-. 


'■  Il  valsoan.  rekq'rp  è  da  -cq'rdiu  (cfr.  qui  a  p.  287,  N.  148). 

-  cnriglianu  deriverà  naturalmente  non  da  coriu,  ma  tlal  nome  di 
luogo  (v.  Petrocchi,  in  basso,  e  Pieri,  Topon.  d.  ralle  d.  Arno,  p.  139),  mentre 
un  luogo  Cojo  riferito  dal  Pieri,  p.  81,  trova  qui  la  sua  spiegazione  migliore. 

Tra  i  nomi  di  luogo  dati  dall'OLiviERi,  che  vanno  col  padov.  l-o'ro  ecc., 


Raggranellando  411 

Ciò  premesso,  non  mi  pare  difficile  supporre  che  e  o  r  i  u  possa 
aver  indicato  anche  l'erba  che  ricopre  il  prato. 

Il  borni,  digojr  e  gli  altri  termini  affini  sarebbero  dunque  il 
risultato  dell'unione  del  prefisso  re-  con  coriu,  cioè  d'un 
*recoriu,  che  trova  riscontro  in  recoriare  "  ricoprire  „  del 
Du  Gange,  verbo  il  quale  pur  da  solo  ci  potrebbe  suggerire  la 
spiegazione  cercata.  11  d  di  buona  parte  di  essi  sarebbe  sorto 
per  dissimilazione,  secondo  i  noti  esempì  italiani  (v.  Guarnèrio, 
Fonol.  rom.,  p.  621)  (anche  valsug.  parladm  "  parlatore  „  [cfr. 
kantarin  "  chi  canta  spesso  e  bene  „J,  e  il  nome  del  paese 
Duvredo  (Sténico  [Trento]),  se  è  da  rovere  [Flechia]),  come  pure 
il  l  del  trent.  ligor,  che  non  sostituirebbe  quindi  il  d,  come  pen- 
sava il  Salvioni,  Romania,  v.  XXXVI,  p.  233. 

L'ar-  di  alcune  altre  forme  è  un  mutamento  comune  di  re- 
(v.  anche  i  continuatori  di  *r  e  e  o  r  d  u  e  di  r  e  e  I  d  T  v  u) 
e  il  bef-  di  qualche  altra  è  il  lat.  b  i  s-  Nell'alto  nònese  agiiér 
il  r  sarà  caduto  per  dissimilazione.  In  quanto  all'/  protònico  di 
parte  delle  forme  addotte,  esso  trova  riscontro  in  tanti  altri 
casi  (v.  pel  trentino  le  mie  Quistioncelle  di  topon.  trent.,  Rove- 
reto, 1914,  p.  30)  ^    Pili   oscuro  può    parere  Va-  del  morbegn. 


c'è  un  Caorcrevd  (Bottrighe  [Rovigo]),  ch'egli  spiega  bene  come  -crepata. 
Ora  questo  ci  aiuta  a  dichiarare  Crevnlcore  (forma  letter.  anche  Crevalcuore), 
borgo  ora  del  Bolognese,  che  fu  sinora  tradotto  come  "  crepa  il  cuore  „ 
(v.  Salvioni,  Boll.  Stor.  d.  Svizz.  Ital ,  v.  XXII,  p.  87,  in  fondo).  Il  nome 
allude  invece  a  delle  crepature  del  terreno,  e  infatti  nei  secoli  XII  e  XIII 
è  detto  Crepacorium,  Crevacorium  (Tirabo.schi,  Diz.  topogr.- storico  d.  Stati 
estensi,  v.  I,  p.  233;  v.  II,  p.  173).  Con  esso  andrà  facilmente  Creracuore 
(Biella),  ma  non  già  un  Crepacuore  toscano  (v.  Pieri,  StudJ  Rom.,  v.  X, 
p.  116;   Topon.  cit..   p.  340). 

*  Sarà  da  scartare  la  supposizione  che,  ad  esempio,  in  un  *argdjr  sia  stato 
inserito  un  i  {*arigo'jr,  donde  *adigu'jr,  digojr)  (cfr.  pel  fenomeno  :  Guar- 
NKRio,  Fonol.  rom..  p.  370;  Salviosi,  Renate,  d.  Ist.  Lomb.,  s.  II.  v.  XLVl, 
p.  1007,  n.  2). 

Archi vio.glottol.  ital.,  XVIII.  -27 


412  Angelico  Prati, 

adigo  ecc.,  sul  quale  attirarono  l'attenzione  I'Ascoli  e  il  Sal- 
vioNF.  Esso  potrebbe  essere  stato  premesso  dinanzi  a  r  (v.  Guar- 
NERio,  FonoL  roin.,  p.  :}65),  e  cfr.  del  resto  l'ita!,  ant.  anappo 
"  nappo  ^,  anare  "  narice  „,  il  rover.  aìiaro  "  nido  „  {Arch.  Glott.y 
V.  XVII,  p.  403,  n.  1),  il  rover.,  trent.  agràm  "  gramigna  „,  a 
tacere  di  esempi  vèneti.  Per  i  nomi  di  luogo  v.  Ardi.  Glott.y 
V.  XVIII,  p.  266,  n.  ;  Kev.  d<^  Dial.  Boni.,  v.  VI,  p.  183,  n.  Contro 
questa  dichiarazione  non  varrebbe  il  fatto  dell'antichità  del- 
V adkjoirum  ricordato  dal  Salvioni  (che,  del  resto,  non  si  di- 
mostra tanto  antico),  e  delle  altre  forme  riprodotte  sopra,  poiché 
è  pure  antico  il  fenomeno  e  forse  pili  diffuso  che  non  ora  (v.  i 
nomi  di  luogo),  né  il  fatto  della  quantità  degli  esempi  con  a- 
asseriti  dall'AscoLi,  giacché  non  sono  affatto  una  quantità,  e  poi, 
come  ripeto,  l'aggiunta  dell'a-  potè  avvenire  in  diversi  luoghi. 
Ma  quell'a-  può  anche  essere  dovuto  a  quell'elemento,  che  entrò 
certo  neWarteguói  della  Val  Fiorentina  (Cadore),  ennebergh.  ar- 
tighei,  livinal  longh.  arfeguoi,  ampezz.  antigoi,  furi,  artijùl,  altijul^ 
antijt'd,  elemento  che  potrebbe  render  conto  anche  dell'?.  Quale 
parola  formi  quest'elemento  non  saprei  dire,  ma  speriamo  che 
verrà  pure  fatta  luce  sn  di  esso,  e  per  ora  v.  Schneller,  1.  e. 
E  tuttavia  da  rilevare  che  pure  nella  seconda  parte  di  arte- 
guói  ecc.  si  presenta  chiaro  coriu.  Il  furiano  poi  offre  delle 
forme,  che,  attraverso  a  varie  dissimilazioni  e  assimilazioni,, 
corrispondono  perfettamente  all'ampezz.  antigoi  ecc.  (quindi  V-M 
di  esse  sta  per  -tir).  Per  il  /'-  della  variante  varleguoi  della 
Val  Fiorentina  cfr.  bellun.  vérola  "  oliera  „  (trent.  érla)  e  v.  Prati,. 
Ricerche  di  topon.  treni.,  p.  60. 

30.  dona  o  donila  de  munì  (sardegnolo)   "  donnola  „. 
A  quale   speciale    concezione    risponda  "  donna  di  muro  „    \\ 
Salvioni  dice  di  non  saper  vedere  {Rendic.  d.  Ist.  Lomb.,  s.  II, 
v.  XLII,  p.  671).  Ma  la  cosa  è  facile  da  spiegare,  sapendo  che 


Raggranellando  413 

le  donnole  spesso  abitano  nei  buchi  dei  muri,  dove  si  vedono 
rifugiarsi  le  tante  volte  all'avvicinarsi  dell'uomo. 

31.  fradaja  (rover.)   "  confraternita  „  ;  fredaja  (trent.)  "  ri- 
coverata dell'orfanotrofio  „. 

Anche  il  trentino  antico  conosceva  fradaya  nel  senso  di  "  con- 
fraternita „  e  ne\V Arch.  Stor.  p.  Trieste,  l'Istria  e  il  Treni.,  v.  I, 
p.  398,  II  col.,  vi  è  opposto  giustamente  il  trent.  mod.  fredaja, 
che  è  forma  infatti  ancor  viva  a  Trento,  ma  non  più  in  tal 
senso,  bensì  in  quello  indicato  sopra,  essendo  un  tempo  il  luogo 
di  ricovero  delle  orfane  di  una  confraternita.  E  pur  ora  la 
chiesa  di  S.  Maria  della  Misericordia  è  detta  volgarmente  delle 
Fredaje  {Catal.  Cleri,  p.  il  1913,  p.  38)  (v.  (/Esaeini  Sforza, 
Arch.   Trent.,  v.  XIII,  p.  54). 

Nel  trentino  vive  pure  fraja  "  ribotta,  bisboccia  ;  stravizzo  ; 
brigata  godereccia,  triocco  „,  con  derivati;  ma  questa  parola, 
al  pari  di  naja  (in  sot  a  la  naja  "  nella  milizia,  sotto  le  in- 
segne „)  [Arch.  Glott.,  V.  XVI,  p.  312),  venne   dal  Vèneto,  che 

10  diede  pure  ad  altre  regioni  (cfr.  Bendic.  d.  Ist.  Lomb.,  s.  II, 
V.  XXXV,  p.  964,  n.  27  ;  Vidòssich,  Studi  sul  dial.  triest.,  N.  99). 
È  quindi  strano  che  quale  unico  continuatore  di  *fratalia 
compaia  proprio  il  trent,  fraya  nel  Boni,  etijm.  Wdrt.,  N.  3485  ! 

11  continuatore  indigeno  trentino  ne  è  invece  fredaja,  con  e  per 
dissimilazione  (v.  altri  casi  presso  Battisti,  Catinia,  §  26,  p.  135), 
rover.  fradaja,  questo  col  significato  antico,  come  il  furiano 
fradae  {Arch.  Glott.,  v.  I,  p.  527,  e  cfr.  p.  458). 

32.  frana  (tose.)  ;  sfralna  (trent.)   "  gran  quantità,   monte, 
subisso,  diluvio,  buscherio  di  „. 

Che  le  due  parole  intestate  abbiano  la  medesima  origine  non 
par  dubbio.  La  seconda  presenta  il  senso  figurato  della  prima 
e  nulla  à  quindi    da    fare   coli' italiano  farràgine,    frana,   come 


414  Angelico  Prati, 

sappiamo,  procede  da  un  ^fraina,  e  sfrohm  mostra  l'accento 
spostato  come  in  alcuni  nomi,  che  ci  riconducono  naturalmente 
al  significato  primitivo  di  questa  parola:  Fraine  nel  Veronese 
(AvoGARO.  Appunti  di  topon.  veron.,  p.  46)  ^  e  luogo  presso  Bren- 
tònico  (Trentino)  {Tridentum.  v.  II,  p.  293),  Infralne  (tose.)  (Pieri, 
Topoìi.  d.  ralle  d.  Arno,  p.  311).  Per  spiegare  lo  spostamento 
il  Pieri  pensa  ivi  a  inorine,  ma  io  credo  che  non  occorra  richia- 
marsi a  un  tale  influsso.  L'accento  poteva  portarsi  sul  secondo 
elemento  del  dittongo,  come  in  altri  casi  si  ritirò  sul  primo 
elemento  (v.  Salvioni,  Rendic.  d.  Isf.  Lonib.,  s.  II,  v.  XLVII, 
p.  595  ;  Bertoni,  Italia  dial.,  p.  74). 

Coll'accento  al  posto  originario  si  presentano,  a  esempio, 
Fréina  in  Fassa,  Fraines  (Vigo,  ivi),  Fréines  ecc.  (v.  Altón, 
Beitrdge  zar  Ethnol.  von  Ostladinien,  p.  41  ;  Schneller,  Beitrage 
z.  Ortsnamenkunde  Tirols,  II,  p.  94).  Il  Bertoni,  Arch.  Glotto- 
logico, V.  XVII,  p.  519,  notando  le  forme  documentate  Fragiria, 
Freina  ecc.  date  dall'UNTERFORCHER,  Zeitschr.  f.  Bom.  Fhilol., 
V.  XXXIV.  p.  197.  e  del  pari  nomi  quali  Forcella  forada,  Petra 
forada,  Foram,  si  sente  disposto  a  ricorrere  a  un  *foragin(a), 
da  forare,  ma  questi  ultimi  nomi  non  vanno  affatto  insieme 
con  F\agiua  ecc.  e  il  loro  significato  è  alquanto  lontano  da 
quello  di  frana.  Il  nome  Voreins  del  1288.  oggi  Freins  (Malgrei) 
in  Layen  (Bolzano),  dato  dallo  Schneller,  1.  e.  deriverà  da 
voragine,  ma  ciò  non  induce  a  ritenere  che  da  tal  base 
venga  anche  frana.  Il  senso  potrebbe  condurci  a  questa  base 
solo  in  certi  casi.  Quella  che  meglio  s'attaglia  è  *fragina 
(cfr.    f  r  a  g  i  u  m    "  rottura  „)  ^. 


^  Secondo  I'Olivieri,  Saggio  di  topon.  ven.,  p.  265,  Fraine,  ma  è  forse  una 
svista.  L'AvoGAKO  lo  spiegava  come  un    fraginae. 

^  Lo  ScHNELLKR,  ).  c.  dà  tra  altro  un  pratum  Fragina  del  1299,  e  una 
Freginu  del  1460.  V.  anche  Battisti,  La  voc.  a  tonica  nel  lad.  centr.,  p.  43, 
dove  son  da  correggere  F'rains  in  Freins  e  Lagen  in  Layen. 


Raggranellando  415 

33.  fuhjanna  (piveron.  [pieni.])  "  salamandra  „. 

E  nota  la  derivazione  da  *foveana,  proposta  dal  Flechia 
(v.  qui  a  p.  293,  e  Rom.  etym.  IVort.,  X.  3464  [dove,  invece 
di  127,  si  deve  leggere  t.  27]],  malgrado  il  piemontese  in  ge- 
nerale abbia  pjuvana  e  il  valsoanino  ptibjana,  che  sono  da 
*p  1  u  v  i  a  n  a  ,  perché  la  salamandra  esce  dopo  la  pioggia,  È  a 
credere  che  il  termine  piveronese  non  si  stacchi  affatto  dagli 
altri  due  e  che  quindi  il  f-  sia  per  dissimilazione,  come  nel 
bologn.  fjgpa  "  pioppo  ,  (Flechia,  Arch.  Glott.,  v.  HI,  p.  130), 
che  il  Trauzzi  nel  ì''ocab.  bologn.  dell'UNGARELLi,  p.  xxx,  mise 
già  a  confronto  col  venez.  folpo  "  pòlipo  „  (non  folp,  come  scrive 
lui  !)  1. 

34.  f lieto  (veron.),  foét,  foim  (trent.)   "  frustino,  scudiscio  „. 
Il  frane,  foiiet    si    fa    derivare   dal  frane,  ant.  fou  "  faggio  „ 

[Rom.  etym.  Wort.,  N.  3145),  ma,  sebbene  il  veronese  abbia 
fo  "  faggio  „,  e  il  trentino  fo'u,  fg'o,  foto,  quelle  intestate  an- 
dranno messe  tra  le  rare  vecchie  parole  venute  dal  francese. 
Cfr,  trent.  biifét  "  comodino  „,  di  contro  a  bufé  "  credenza  „, 
frane,  buffet.  E  v.  Bertoni,  Italia  dial.,  p.  16. 

35.  yana  (trent.)  "  crepaccio  ;  cavità,  insenatura  (nelle 
rocce)  „   (v.  a  p.  220). 

36.  garbo  (vèn.)  ecc.   "  agro  „   (v,  a  p.  222). 

37.  gattèllo  (ital.)  "  mensola  ,,  gatél  (rover.)  "  legno  che 
serve  di  sostegno  ad  un  altro,  zoccolo;  beccatello  „,  gatél  (moden.) 
"  beccatello,  gattello  „. 


'  folp  sarebbe  forma  emiliana  venuta  dal  veneziano  secondo  il  Rom.  etym. 
Wort.,  N.  6641,  ma,  nel  caso,  è  solo    di    qualche    parte    dell'Emilia. 


416  Aiigolico  Prati, 

Il  Pieri,  Studi  Rom.,  v.  I,  p.  41,  scrive  che  gattello  deve  es- 
sere da  capitello,  ma  è  però  da  notare  che  l'ital.  beccatello  non 
è  che  l'ital.  ant.  beccatello  "  capretto  „,  un  derivato  in  -atello 
di  becco  e  che  nel  padovano  e  nel  veneziano  vi  corrisponde 
kanolo.  Son  dunque  tre  nomi  d'ugual  senso  derivati  da  nomi 
d'animali,  e  la  loro  ragione  sta  forse  nel  fatto  che  un  tempo, 
più  d'ora,  si  usavano  delle  mensole  raffiguranti  gatti,  becchi, 
cani  ?  Oppure  erano  fatti  in  modo  da  ricordare  uno  di  tali  ani- 
mali ?  Cfr.,  del  resto,  i  significati  assunti  da  cane  e  da  capra  ^ 

38.  gabarra  (tose.)  ;  ga^ér,  garjra  (trent.)  "  confusione, 
guazzabuglio;  chiasso,  frastuono,  brusio,  passeraio;  gazzarra  „. 

La  madre  di  questi  termini  è  certo  la  ga^a,  e  non  l'arabo 
gaz  arali  "  baccano  „  (cfr.  spagn.  algazara,  grido  di  guerra 
dei  mori  imboscati  ;  grido  di  allegrezza),  come  il  moden.  gatéra 
"  cagnaia  (fig.)  „  (che  manca  al  Maranesi)  è  da  gal  (cfr.  ital. 
passeraio,  cagnaja,  cagnara,  canèa  [cfr.  fumèa,  mìscéa\).  L'ital. 
ant.  aveva  pure  garzeria  "  gazzarra  „,  che  non  può  essere  che 
da  gaiia.  Per  il  -rr-  di  ganarra  cfr.  ramarro  (Flechia,  Arch. 
Glott.,  V.  Ili,  p.  162  ;  Bertoni,  Romania,  v.  XLII,  p.  171,  n.),  a 
tacere  di  ferragosto  (Merlo,  /  nomi  d.  stagioni,  p.  201). 

Col  trent.  ga^èr,  galèra  cfr.  trent.  moskér  "  moscaio  „,  fmar- 
ziméra  "  marcitura  „,  fUméra  "  gran  quantità  di  fumo  „,  lomb. 
orberà  ecc. 


'  Cfr.  pure  gatte  nel  vocab.  ital. 

Pei  suffissi  -ate'llo,  -ite'llo,  -etello  v.  Pieri,  Topon.  d.  valle  d.  Arno.  p.  402; 
Salvioni,  Arch.  Glott.,  v.  XVI,  p.  304,  n.;  Romania,  v.  XXXVI,  p.  227,  n.  4; 
Prati,  Quistioncelle  di  topon.  trent.,  p.  19.  Aggiungi  anche  ceppatfllo,  da 
ceppo.  Anche  il  fungo  detto  ceppate'llo  potrebbe  essere  la  stessa  parola, 
perché  col  suo  gambo  grosso  può  rassomigliare  a  un  cepperello.  Lo  Zambaldi 
però  dice  che  spunta  vicino  a'  ceppi  {Vocab.  etim.  ital.).  Nel  caso  si  doveva 
dire  presso  le  ceppaie,  e  allora  sarebbe  un  derivato  dell' ital.  ant.  ceppata. 


Raggranellando  417 

39.  fjua  (nònese  ant.)   "  cupola  „  (v,  a  p.  213). 

40.  intormentire  (tose). 

Un  tempo  indormentire  e  inter mentire,  questo  con  e  per  assi- 
milazione. 11  t  pure  per  assimilazione  o  per  azione  di  tormentare, 
€fr.  poi  indormentare  "  addormentare  „  e  venez.,  vicent.  ecc.  in- 
donnensàrse  "  intormentirsi  „. 

41.  is'cia  (trent.)  "  canneto,  giuncaia  (terren  paludoso,  con 
canne  o  giunchi)  ;  salceto,  vetriciaia  (umido,  pieno  di  salci  o 
vétrici)  ;  granocchiaio  (spreg.)  „  (v.  a  p.  226). 

42.  laniòcia  [lamg'ca]  (nònese)  "  palude  „   (v.  a  p.  229). 

43.  lao'r  (trent.)  "  coso  ;  creatura  „,  por  lao'r  (trent.)  '"  po- 
verino, meschinello,  povero  diavolo  (compassionando)  „  (anche 
por  laorsél,  diminutivo  [v.  N.  129  e  qui  a  p.  258]). 

Notevole  il  senso  qui  assunto  da  lao'r  "  lavoro  „,  da  confron- 
tare con  afdr,  che  s'usa  pure  per  "  coso  (solo  riferito  a  cosa)  „. 

44.  lodrihn  (trent.)  "  redo  ;  esile,  mingherlino,  sparutello 
(fanciullo)  „.  lodrum  o  ludrùm  (rover.)  "  malescio  „  ;  lodrùm  o 
nodrùm  (nònese)  "  agnellino  „  ;  nodrùm  (milan.)  "  animali  nu- 
driti  solo  pei  lavori  della  campagna  „  (Salvioni,  Studi  di  FU, 
Rom.,  V.  VII,  p.  225). 

Il  Meyer-Lììbke,  Rom.  etym.  Wort.,  N.  6005,  derivandolo  da 
nutrì men  "  alimento  „,  cita  un  trent.  lodrin  "  vitello  di  latte  „, 
che,  viceversa,  non  è  voce  trentina,  poiché  nel  trentino  essa 
suona   lodrum  e    à   il    significato    sopra    detto  ^.   Nota   poi  in- 


*■  Il  Ricci  la  traduce  con  "  agnellino,  vitellino  da  latte  ,,    ma  nelle  cor- 
rezioni a  p.  520  le  dà  il  significato  detto  sopra. 


418  Angelico  Prati, 

vece  il  furi,  niidrihn  "  bestiame  giovine  da  razza  „,  che  è  dunque  j 

da  porre  accanto  alle  parole  riportate. 

45.  lucchesina  \lukkesina\  (orviet.),  lukksina  (foggiano)  "  pan- 
nolano,  catalogna  „. 

Forse  cosi'  detta,  perché  un  tempo  se  ne  fabbricavano  a  Lucca, 
ma  occorrerebbe  la  prova  storica.  V.  del  resto  ital.  ant.  Iucche- 
sino,  colore  rosso,  e,  per  altri  nomi  del  pannolano,  Salvioni, 
Studi  di  Filol.  Rom.,  v.  VII,  p.  221. 

46.  lugo'r  (Pazzano  [Modena])  "  chiarore  „.  H 
Trova  riscontro  nel  tose.  ant.  lucore,  nel  bellun.  ant.  (Cavàs- 

sico)  lugor  (Salvioni,  Arch.  Glott.,  v.  XVI,  p.  309)  ecc. 

47.  m(d  del  rédof  (trent.)  "  mal  della  suocera  .,. 

Manca  al  Ricci.  E  un  dolore  acuto,  ma  passa  presto,  come 
il  dolore  di  tanti,  quando  perdono  la  moglie,  e  come  può  essere 
quello  di  certe  suocere  dopo  la  morte  della  nora. 

48.  ìtiaUja  (pieni.,  lomb.,  trent.,  valsug.,  settecom.)  "  cascina 
di  monte  „  (v,  a  p.  234,  n.  1). 

49.  margéla  (nònese),  fmargél,  fmargéla,  fmariél  (trent.) 
"  moccio,  moccolo  (grosso)  „  ;  fmargél  o  fmariél  (rover.)  "  sca- 
racchio „,  margél  (valsass.  [lomb.])   "  moccio  „. 

Secondo  il  Battisti,  Die  Nonsh.  Mund.,  p.  73,  135,  N.  4,  la 
base  ne  è  senz'altro  *n  ari  celi  a  (cfr.  lomb.  nan'c,  ossol.  naviga 
*  moccio  „  [Salvioni,  Bomania,  v.  XLIII,  p.  569]).  Il  Salvioni, 
Postille,  p.  269  [15],  ammette  invece  l'immissione  di  marca 
(lomb.)  (v.  anche  Rom.  etym.  Wort.,  N.  5825,  dove  il  635  va 
corretto  in  48 ò). 

La  base,  in  realtà,  non  può  essere  che  *amurgella,  da 
amìirga,    a  cui  ci  conducono  diverse  forme  dell'alta  Italia,  già 


Raggranellando  419 

ricordate  dall'AscoLi,  neìVArch.  Glott.,  v.  II,  p.  403,  dove  accenna 
egli  pure  alla  possibile  connessione  con  a  m  ìi  r  e  a  ,  romagn. 
murgoj,  levent.  nmrghl  '•  moccio  „,  com.,  milan.  margaj  "  sca- 
racchio „.  Io  aggiungo  il  treni,  fniargo't  =  fmargél,  il  moden. 
finurgaj  "  moccicaglia  ^,  il  bologn.  fmurgajàn  "  moccioso  „. 
Inoltre  nel  Vicentino  vive  fmorP'in  "  moccio  „,  che  dipende  da 
a  m  ìi  r  e  a  ,  e  si  noti  che  questa  base  assunse,  attraverso  i 
continuatori  romanzi,  pure  altri  significati  (cfr.  N.  57)  ^ 

50.  marók  (moden.)  "  tutolo  „  ;  marél  (piveron.  [pieni.]) 
"  stronzo  „  ;  maréla  (piveron.),  marredda  (sicil.)  "  matassa  „  (v.  a 
p.  299);  marél  (rover.)  "cavalletto  (di  biade);  castellina  „. 

Dopo  quanto  fu  esposto  wqW Arch.  Glott.,  v.  XVII,  p.  285, 
409;  V.  XVIII,  p.  228,  335,  e  tenuto  conto  pili  di  tutto  del 
veron.  marg'kolo  o  maràgolo  "  rocchio;  grosso  sasso  „,  sarà  fa- 
cile vedere  pure  nei  termini  riportati  la  base  *m  a  r  r  a  ,  che 
vive  pure  nel  trevis.  maro  de  fìen  "  mucchio  di  fieno  „.  Arrivati 
però  ai  significati  di  "  rocchio  „  e  di  "  tutolo  „,  non  sarà  da  ri- 
condurre qua  quel  bresc,  bergam.,  com.,  cremon.  marél  "  ciocco; 
randello  ecc.  „,  che  il  Roui.  etym.  Wort.,  N.  5402,  mette  sotto 
il  gali,  m  a  t  a  r  i  s  "  giavellotto  „  ?  Ivi  è  accolto  pure  il  venez. 
maréla  "  vèrtebre  lombari  „  (non  marelo,  come  vi  è  stampato  e 
dov'è  pure  da  correggere  Lungenbraten  in  Lèndenhraten)  -,  e  il 
bellunatto  conosce  maréla  "  ferro  dell'ombrello  „,  pel  quale  il 
Salvioni,  Krit.  Jahresber.,  v.  Vili,  P.  I,  p.  142,  penserebbe  a 
mare  "  madre  .,  (il  trentino  e  il  valsuganotto  anno  madréla 
"  dado,  galletto  (della  vite)  „). 


*  11  venez.,  poles.  /morkago  è  inokago,    fmokago,  che    i?i    risenti    for.se    di 

a  m  lì  r  e  a. 
-'  Anche  il  venez.  madraso  (ivi)  è  forma  sbagliata.  11  veneziano  à  maroso 
natrice  tessellata  {trvpidonotus  tessellatus]  ,  (Ninni,  I,  63),  mentre  madrasa 

è  parola  istriana. 


420  Aiij^^elico  Prati, 

Il  moden.  murók  poi  avrebbe  un  esatto  corrispondente  nel 
nome  d'una  strada  toscana:  il  Marnicco  (Calcinaia)  (Pieri,  Topon. 
d.  valle  d.  Arno,  p.  379).  E  potrebbe  pur  questo  essere  da 
*m  arra    (cfr.  Ardi.  Glotl.,  v.  XVII,  p.  287,  n.;  v.  XVIII,  p.  228). 

51.  mariìyola  (poles.)  "  regina  (delle  api);  conduttore,  guida 
(dei  ladri)  „  :  marùgola  (rover.)  "  cavalletta  verde  „  ;  marugola 
(trent.)  "  monachella  [mantis  religiosa)  „. 

Le  due  ultime  parole  sono  riportate  in  forma  e  con  significato 
del  tutto  sbagliati  nel  Rom.  etym.  Wort.,  N.  5417.  V.  sopra,  a 
p.  250,  n. 

^eWArch.  Glott.,  v.  XVII,  p.  279,  n.  1,  esprimevo  il  concetto 
dell'origine  comune  di  tutte  tre  le  voci  intestate  e  riferivo  come 
il  Salvioni,  Rev.  de  Dial.  Rom.,  v.  II,  p.  95,  avesse  connesso  il 
poles.  marugola  colla  voce  niariga,  di  cui  v.  ivi.  Ora  io  la  penso 
diversamente  :  siccome  la  regina  delle  api  è  pure  detta  ed  è  la 
madre  delle  api,  cosi  marugola  deriva  facilmente  da  mare.  Le 
voci  trentina  e  roveretana  saranno  invece  r%«  (trent.  ecc.) 
"  bruco  „  (v.  Rom.  etym.  Wort.,  N.  2907),  premesso  quel  ma-, 
che  entra  nei  veron.  maràntega  (allato  a  ràntega)  "  rantolo  : 
rochezza  .,  e  marùfene  (allato  a  rùfene  "  ruggine  „)  "  ruggine, 
astio  „,  visto  che  altrove  una  tal  voce  venne  a  indicare  il  mag- 
giolino :  cfr.  biell.  ama,  Fano  :  ruga,  fossombr.  rugla  ;  milan. 
kartiga,  karugola,  novar.  galaruvi  (plur.)  ecc.  (v.  Merlo,  Studj 
Rom.,  V.  IV.  p.  162)  K 

52.  matto  e  derivati. 

Agli  esempi  di  questo  aggettivo    raccolti    dal    Merlo,    Studi 


'  Per  l'aggiunta  di  ma-  v.  anche  Bkrtoni,  Arch.  Rom.,  v.  I,  p.  73,  n.  3, 
che  rammenta  il  poschiav.  manfràgula  '  fravola  ,  (con  n  nato  per  la  spinta 
del  in).  Un  altro  esempio  è  dato  dal    valsug.  marubjo    *  ruvido  „,   allato   a 


Raggranellando  421 

Rom.,  V.  IV,  p,  150-151,  n.  2,  e  dal  Goidànich  e  da  me,  Arch. 
Glott.,  V.  XVII,  p.  409-410,  562  (v.  anche  Nigra,  ivi,  v.  XV, 
pp.  292-294,  e,  per  l'origine  della  parola,  Levi,  Le  palatali  pieni., 
p.  213,  N.  434),  sarebbero  da  aggiungere  parecchi  altri  da  vari 
dialetti,  ma  tra  quelli  toscani  citati  dal  Goidànich  a  p.  410,  n.  2, 
sarebbero  stati  da  rammentare  mattngio,  maUngiolo,  matterùgio, 
matterngiolo  (montai,  mattar lìgiolo)  e  i  significati  di  matto,  mat- 
tàgio  notati  dal  Petrocchi  nella  lingua  fuori  d'uso.  Ricordo  poi 
che  a  Pissavaca  presso  Ravina  (Trento)  c'è  un'acqua  detta  akua 
mata,  perché  non  serve  a  còcere,  e  che  presso  Ponte  nelle  Alpi 
(Belluno)  si  trova  un  luogo  detto  Cafamata  (castello  distrutto). 
Si  aggiunga  poi  che  matél  "  ragazzo  „,  matéla  '"  ragazza  „  e 
derivati  (cfr.  Rom.  etym.  Wort.,  N.  5401  ;  Salvioni,  Romania, 
V.  XLIII,  p.  397  ;  Bertoni,  Italia  dial.,  p.  49)  sono  comuni  nel 
trentino,  anzi  sono  termini  caratteristici  della  campagna  di  fronte 
a  putél  ecc.  della  città,  dove  però  vive  pure  matél  ecc.  Comu- 
nissimi sono  i  derivati  matelàt,  matelata  (camp.)  ^  matél,  accanto 
a  putél,  si  usa  pure  nel  roveretano,  ma  non  pili  nel  veronese, 
che  a  solo  putél  ecc.,  né  nel  valsuganotto,  che  à  to'/o  ecc.  In 
questo  parlare  vive  invece  l'interessante  maturo  ''  fantoccio  „  ^. 


rubjo  d'ugual  significato.  Qui  sta  appunto  la  spiegazione  e  non  entra  affatto 
ili  detta  forma  la  pianta  m  a  r  r  ù  b  i  u  m  (v.  Arch.  Glott.,  v.  XVII,  p.  280). 
E  poi  ben  curioso  che  il  Mkyek-Lììbke,  Rom.  etym.  Wort.,  N.  5376,  e  il 
Bertoni,  Arch.  Glott.,  v.  XVII,  p.  389,  ripetano  l'errata  dichiarazione  del 
Salvioni,  pur  rinviando  al  mio  articolo  citato  I 

'  far  mate'rje  (trent.)  "  baloccarsi  ;  ruzzare  (de'  bambini)  „  si  connette  in- 
vece con  materja  "  matteria  „,  moden.  '  pazzia  ,. 

-  Il  Meyer-Lììbke,  Rom.  etym.  Wort.,  N.  5401,  dà  all'ital.  w«</o  dei  signi- 
ficati che,  in  realtà,  non  possiede. 

Riguardo  al  significato  di  "non  buono,,,  "  sai  vati  co  ,,  che  à  t^mvq  pazzo, 
v.  Merlo,  Studi  Rom.,  v.  IV,  p.  151,  n.,  dove  all'abruzz.  fìure  pazze  *  fiore 
senza  odore  „  ecc.  è  da  porre  accanto  l'umbro  pazzo  "  falso  (di  moneta,  di 
frutto  ecc.),  orviet.  pino  pazzo  "  abeto  „. 


422  Angelico  Prati, 

53.  meda  (bresc),  mada  (Livinal  Longo),  auda  (trent.)  "zia„. 
TI  primo  non  è  una  ricostruzione  da  medina,    come  vorrebbe 

supporre  il  Bertoni,  Rrdia  dial.,  p.  46,  ma  sarà  da  anieda 
(milan.  ecc.)  con  accento  spostato,  come  da  un  àmada  saranno 
le  altre  due  forme  (cfr.  coni.,  Valfurva  e  Livino  :  làmada).  Per 
lo  spostamento  dell'accento  cfr.  bresc.  sahat  ecc.  (v.  Arch.  Gioii., 
V.  XVI,  p.  8)  e  borm.  seméda,  semada  "  traccia  di  sentiero  sulla 
neve  dura,  congelata»,  da  semita,  adda  e  poi  una  forma 
accorciata,  come  altri  nomi  di  parentela  (cfr.  trent.  jjare,  mare)  ^ 

54.  meriga  (vèn.  ant.)   "  cursore  del  comune  „  (v.  a  p.  249). 

55.  merikana  {uà-)  (valsug.)    "  uva  isabella  „  ecc. 

A  p.  410  del  V.  XVII  dell' Arch.  Gioii.,  osservavo  che  qualche 
volta  per  denotare  specie  di  pianta  (od  altro)  rara  o  non  comune 
s'usa  merikàn  "  americano  „  e,  tra  altro,  mi  richiamavo  appunto 
alla  Ila  merikana  ;  sennonché  questa  è  effettivamente  di  prove- 
nienza americana,  come  lo  sono  le  fraole  merikane  (valsug.) 
"  f «avole  grosse  (degli  orti)  „,  le  patate  merikane  (valsug.)  "  pa- 
tate dolci  „,  dette  mérike  nel  Polesine.  Non  di  provenienza  ame- 
ricana sono  le  noféle  merikane  (valsug.)  "  babbagigi  {cyperus 
esculentus)  „,  dette  in  Toscana  noccioline.  Nel  Marchi,  Note  e 
osserv.  intorno  all'avifauna  trident.,  p.  58,  N.  57,  trovo  che  nel 
trentino  è  detto  parissòla  mericana  [parisola  merikana^  il  baset- 
tino (panurus  hiarmicus),  che  "  capita  da  noi  raramente  e  acci- 
dentalmente d'inverno  „.  Nella  Valsugana  sono  inoltre  dette 
galine  merikane  le  piccole  galline  dette  altrove  francesine. 


'  11  Battisti,  Catinia,  §  63,  p.  172,  riporta  la  forma  anda  come  rusticale, 
e  in  n.  àmeda  e  auda  come  forme  cittadine,  ma  anda,  del  pari  che  se'nda 
•<  semita,  ch'egli  le  pone  accanto,  devono  essere  forme  non  trentine, 
ma  nònese  (v.  Battisti,  Die  Nonsb.  Mund.,  p.  66).  In  ogni  modo  il  Ricci 
dà  soltanto  aada,  quale  forma  antiquata,  e  àvieda,  quale  forma  rustica, 
due  termini  conosciuti  pure  dall'AzzoLiNi. 


Raggranellando  423 

56.  migenhn,  migen'in  (m-)  (trent.)  "  un  briciolino  „. 

Cosi  udii  sempre  da  Trentini,  ma  il  Ricci  dà  mighenhì,  mi- 
giniìi  [en-).  Mentre  il  primo  va  coi  pur  trent.  migol  {en-),  mi- 
goUtn  (en-),  e  con  mi'gola  "  minuzzolo  ;  briciolo  „,  per  il  secondo 
non  si  può  ricorrere  che  a  m  I  e  ti  1  a  per  via  di  micia.  Esso 
presenta  quindi  uno  dei  pochissimi  casi  di  g<Cc'ì  nel  trentino. 
Gli  altri  sono  spégo  "  specchio  „,  agg'ga  "  aquila  „,  e  v.  qui  a 
p.  268,  274  \ 

57.  molca  [mg'lka]  (trent.)  "  siero;  morchia;  mota,  melma  „, 
(rover.)  "mota;  poltiglia,,. 

Si  penserebbe  alla  dipendenza  dal  ted.  M  o  1  k  e  n  (femm. 
plur.)  "  siero  del  latte  „,  come  infatti  fanno  lo  Schneller,  Die 
rom.  Volksmund.,  p.  1.56,  e  il  Salvioni,  Rendic.  ci.  Ist.  Loinb., 
V.  XLIX.  p.  1022  [14].  ma  è  a  credere  che  siano  invece  nel 
vero  il  Oesarini  Sforza,  Strenna  trent.  p.  Va.  1893,  p.  76,  e  il 
Battisti,  Catinia,  p.  168,  ij  61.  che  lo  fanno  dipendere  da 
a  m  u  r  e  a  ,  col  passaggio  di  r  in  ì,  come  in  altre  parole  tren- 
tine addotte  dal  secondo.  Il  siero  è  infatti  la  morchia  del  burro, 
che  nel  roveretano  è  detto  proprio  pe  de  botér.  Cfr.  poi  il  borm. 
mo'rka  "feccia  del  burro  „.  Semplicemente  da  amiirca  sarà 
pure  il  bergam.  muMa  (da  *inulka).  malgrado  i  diversi    giudizi 


'  Il  Montéghel  ivi  riferito  dallo  Schneller  pare  sia  invece  dovuto  a  uno 
«baglio  :  si  tratterebbe  di  un  Monte  Ghello. 

ogògia  è  forma  corretta  dal  Ricci  a  p.  -518,  col  significato  d'  '"  aquila,  più 
particol.  aquila  anatrala,  anche  per  aquila  di  mare  „  e  il  Giglioli,  Avifauna 
Hai.,  p.  2.38.  la  dà  pure  quale  termine  di  Trento,  ma  è  da  notare  che  tra 
le  molte  denominazioni  raccolte  dal  Marchi,  Note  e  osserv.  intorno  all'api- 
fauna  trident.,  esso  non  compare  afl'atto.  Lo  Schneller,  Die  rom.  Volksmund., 
p.  10-5,  284,  offre  invece  agogia  quale  parola  valsuganotta,  ma  nel  valsu- 
ganotto  suona  al  contrario  daga,  al  Borgo  aguga,  a  Roncegno  àitdja.  V.  del 
resto  Rev.  de  Dial.  Rom.,  v.  V,  p.  92  ;  Rom.  etym.  W'òrt.,  N.  582  ;  Bertoni, 
Arch.  Glott.,  V.  XVII,  p.  363. 


424  Angelico  Prati, 

che  ne  danno  I'Ascoli,  Arch.  (rlott.,  v.  II,  p.  403,  e  il  Salvioni, 
Rev.  de  Dial.  Roni.,  v.  IV,  p.  17G,  N.  435.  Per  la  varietà  di 
significato  cfr.  anche  il  nioden.  marca  "  ralla  „. 

58.  moUnaréla  (trent.)  "  cinciarella  (panis  caeruleus)  „. 

Il  Marchi,  Xote  e  osserv.  inforno  all'avifauna  trident.,  p.  59, 
N.  61,  dà  anche  il  termine  di  Parissòla  molinara.  Dato  il  colore 
di  quest'uccelletto,  il  punto  di  partenza  è  certo  marinar  "  ma- 
rinaio ,,,  pel  colore  del  suo  vestito. 

59.  nio'Jna  (rover.)  "  mucchio  di  terra  ;  mucchio  di  sassi  ; 
catasta  .,  ecc.  (v.  a  p.  238,  n.). 

60.  mudrél  d'  sulzeza,  muderléjn  d'  sulzeza  (moden.)  "  rocchio 
di  salciccia  „. 

Il  Bertoni,  Arch.  Itom.,  v.  II,  p.  257-258,  tenendo  conto  solo 
del  secondo,  lo  fa  derivare  da  un  *m  o  d  e  1 1  i  n  u  ,  con  -//-  an- 
ticamente distratto  in  -ri-,  ma  muderléjn  non  è  che  un  derivato 
di  mudrél,  il  quale  richiama  il  venez.  morélo  ecc.,  di  cui  v,  qui 
sopra,  a  p.  334.  e,  dato  il  suo  -dr-,  verrebbe  a  contradire  alla 
spiegazione  ivi  data  di  quest'ultimo.  Ma  il  -dr-  si  spiega  forse 
da  un  incontro  colla  base,  di  cui  v.  Bom.  étym.  Wort.,  N.  5402 
(e  V.  N.  50). 

61.  néspi  (moden.)   "  nespola;  nespolo  „. 
Da  *nesplo. 

62.  Oga  Magòga  (ital.)  "  paesi  lontanissimi  „,  Gagà  Magoga 
(ital.  ant.  :  Redi)  "  paese  lontanissimo  „  ;  èsser  in  Oga  Magòga 
(moden.)  "  essere  in  Oga  Magoga  „,  o'ga  magoga  [nar  en-,  venir 
de-)  (trent.)  "  andare  in  Emaus,  cascar  dalle  nuvole  „  ;  andé  an 
goga  magoga  (piem.)  "  scialarla,  godersela,  andare  in  visibilio  „  ; 
andér  in  gogernagoga  (moden.)  "  andare  in  rovina  (di  una  casa, 
di  un  muro,  d'un  terreno  in  pendio)  „, 


i 


Raggranellando  425 

Sull'origine  di  queste  espressioni  e  sulle  leggende  che  vi  si 
connettono  v.  Arturo  Graf,  Roma  nella  memoria  e  nelle  imma- 
ginazioni del  Medio  Evo,  v.  II.  Torino,  1883  ;  Lamberto  Cesa- 
RiNi  Sforza,  Tridentum,  a.  Ili,  p.  149-151  ;  Giovanni  Marinelli, 
Goy  e  Magog  :  leggenda  geografica,  Cosmos  di  Guido  Cora,  1882- 
1883,  e  in  Scritti  minori,  v.  I  ;  Ragazzini,  Sulla  leggenda  di  Gog 
e  Magog,  Classici  e  Neolatini,  v.  Vili,  2  ;  Bertoni,  Arch.  Rom., 
V.  Il,  p.  77  K 

63.  oniz  (trent.)   "  ontano  „   (v.  a  p.  24:1). 

64.  oriolo  (tose). 

orinolo  è  forma  letteraria,  orivg'lo  volgare  e  storica.  Una  Via 
dell' Orivo' lo  è  a  Firenze.  Secondo  il  Salvioni,  Nuove  Postille, 
Rendic.  d.  Ist.  Lomb.,  s.  II,  v.  XXXII,  p.  141,  viene  da  *orolojo, 
*orojg'lo,  *orijo'lo,  ma  qui  si  presenta  la  difficoltà  del  -j-  da  -gi-. 
Ma  pare  anche  che  gli  sia  sfuggita  la  dichiarazione  del  Flechia, 
Ardi.  Glott.,  V.  IV,  p.  380,  che  propose  *h  o  r  a  r  i  o  1  u  m  ,  da 
horarium  "  orologio  „,  che  à  assai  maggior  fondamento  e 
alla  quale  pensai  da  tempo,  anche  indipendentemente  dal  Flechia. 
Cfr.  infatti  il  nome  di  luogo  Anchiano  da  Ancharianum 
e  V.  Pieri,  Studi  Rom.,  v.  X,  p.  109  (il  quale  non  pensava  però 
a  orio'lo,  quando  scriveva  le  righe,  a  cui  qui  rinvio)  ;  Topon. 
d.  valle  d.  Arno,  p.  115  -.  Esempì  di  aj^j  (e  di  nj^j)  v.  pure 
presso  il  Salvioni,  Rendic.  d.  Ist.  Lomb.,  s.  II,  v.  XLIII,  p.  615- 
616.  Pel  -V-  di  orivg'lo  cfr.  i  trecenteschi  vivola  e  vivuola  per 
viòla,  strumento  e  fiore,  e  v.  Salvioni,  Arch.  Glott.,  v.  XVI, 
p.  311.  s.  migiol. 


'  A  "  oga  magoga  ,  a  Napoli  e  in  Sicilia  corrisponde  (t  Lecca  e  a  Mecca 
{Bend.  d.  Ist.  Lomb.,  s.  II,  v.  XLIX,  p.  727,  n.  2). 

"'  Anche  il  lago  Scaffaiolo,  al  confine  modenese-bolognese,  in  vecchie  carte 
è  detto  Scafiolo,  Scafiola  (Riv.  Geogr.  hai,  v.  XV,  p.  109,  111). 


426  Angelico  Piati. 

65.  orso'l  (veron.)  "  orzaiolo  ;  orzola  „.  orsjo'h  (Koncegno, 
valsug.),  urzo'l  (moden.)   "  orzaiolo  „. 

Il  Bertoni,  //  dial.  di  Modena,  p.  41,  scrive  che  re'  rdj 
danno  nel  modenese  rz  e  cita  quali  esempì  ^wr3è//  (porcellii) 
e  tirzòl  [evvovQ  pev  urzòi)  (hordeolu).  Ora  è  da  avvertire  die 
rdj  dà  pure  nel  modenese  >•;  (cfr.  véria  ecc.)  e  urzo'l  presenta 
un  caso  particolare  di  sorda  al  luogo  della  sonora  anche  in  altre 
parlate,  come  si  vede  sopra.  Quale  è  la  ragioiìe  ? 

66.  pacia  [2)aca]  (vicent.)  "  mota  „,  (rover.)  "  fango  „, 
(poles.)  "  hobbia  ;  broscia  „  ;  pàcara  (veron.)  "  mota  „,  (poles.) 
"  pozza  (sulla  strada)  „  ;  pacarina  (veron.),   pacaréjna  (moden.), 

pacaréla  (padov.,  vicent.,  poles.,  venez.)  "  mota,  fanghiglia  „, 
pahugo  (vicent.)  "  pattume;  bòzzima  (cibo)  „,  (padov.)  "  pattume  ; 
ciabattino  (chi  strapazza  l'arte  sua)  „,  (poles.)  ''  fango  :  potti- 
niccio  ;  sgorbio;  pacciame,,,  (venez.)  '"mota;  pacciame;  gua- 
stamestieri; sgorbio,,,  (veron.)  "immondizia;  pasticcio,  guaz- 
zabuglio „ ,  paci'ik  0  spacùk  (rover.)  ''  pattume  :  pacciame  ; 
ciarperia,  acciabattamento  „,  pacuk  (trent.)  "  intruglio,  imbratto; 
pattume;  pottiniccio  „,  (bresc.)  "pacciame,,,  pahug  (bologn.) 
"  mota  „,  (moden.)  "  pacchinco  ;  pacciame  ;  fanghiglia  „,  pacék, 
pacéka,  paco'ka  (trent.),  pacg'ko,  pac^'ka  (valsug.)  "  mota  ;  mei- 
letta  ;  piaccichiccio,,,  pacakra,  pacakarénna  (bologn.)  "fan- 
ghiglia „  ;  pacciame  (tose),  pacciume.  (ital,  ant.)  ;  pacchiarina 
(fiorent.  ant.:  Fagiuoli)  "  fango  „, pacchinco  (montai.)  "  intruglio, 
mangiare  mal  cotto,  impasticciato  „  ;  pdccara,  paccherà  (lucch.) 
"  zacchera  „,  paccarùglia  (lucch.)  "  poltiglia  „.  Per  il  Piemonte 
v.  Levi,  Le  palai,  piem.,  p.  131  ^ 


*  pacugo  ecc.  conta  diversi  derivati  (v.  i  rispettivi  dizionari  :  veronese 
impacugàr,  spacngàr  ecc.  ecc.).  Pili  d'uno  d'essi  dizionari  confonde  pacciame, 
pacciume  con  pattume,  ch'è  cosa  differente. 


Ragorranellando  427 

La  dichiarazione  di  queste  paiole  è  facile  e  fu  già  detta  dal- 
ì'Ungarelli,  Vocab.  bologn.,  s.  paciàera.  Esse  sono  imitative,  dal 
pac  pah,  che  si  fa  sentire  nell'andar  per  il  fango.  Questo  ru- 
more, inteso  come  paick  pakk,  diede  al  toscano  le  forme  con  -kk- 
(cfr.  anche  pacca,  pure  d'origine  imitativa,  e  cosi  pacér{e) 
(vèn.  ecc.),  ital.  pacchiare  (v,  Salvioni,  Bomania,  v.  XLIII, 
p.  561)  ^,  sentito  come  poh  poh,  diede  al  vicentino  poho  ^  poz- 
zanghera ;  sugo  ;  pottiniccio  ;  frinzello  „,  al  padovano  e  al  ve- 
neziano poco  "mollume;  guazzabuglio;  poltiglia:  fango  „.  al 
polesano  po'ho  "  brodicchio  ;  brodiglia  ;  piaccichiccio  ;  sugo  „, 
al  trentino  po'ho  "  sugo:  intruglio  „,  poca  "  pozzanghera,  fan- 
ghiglia, piaccichiccio  „  (cfr.  poi  rover.  pohé^  =  pacék).  Cfr.  inoltre, 
in  Toscana,  piaccichiccio,  spiaccicare  (da  piace  piahc  o  place 
place).  V.  poi  l'origine  del  calabr.  ciifa  "  melma,  fango  „  (da 
éif  haf)  (Salvioni,  Rendic.  d.  Ist.  Lomb.,  v.  XLIV,  p.  778,  N.  28; 
V.  XLVI,  p.  1018,  N.  23.  dov'è  rammentato  l'abruzz.  ciff'  e  cciaffe 
"  cibreo,  intruglio  „)^. 

Pel  suffisso,  col  vicent.  ecc.  pacugo  cfr.  valsug.  patugo  "  man- 
giare, che  fa  nodo  alla  gola  ;  persona  senza  accorgimento  „  (in 
tempi  andati  era  la  "  polenta  fatta  con  farina  di  fave  e  di  fa- 
gioli strizzati  .,),  che  va  con  patto  (ital.  ant.  e  pisano)  (v.  Pe- 
trocchi e  Arch.  Glotf.,  v.  IX.  p.  426)  (cfr.  Arch.  Glott.,  v.  XVIII, 
p.  243),  e  col  iveni.  pah^k  il  trent.  /;?a;-^/'  "  moccio  „,  il  valsug. 
spuéko  "  sputacchio  „.  col  bologn.  pahnkra,  il  bologn.,  moden. 
pizdkra   "  beccaccia  .,   ecc.  ^. 


*  Al  Salvi -);<i  sfuggi  Li  spiegazione  datane  già  dal  M.a.ranks[,  Vocabolario 
moden.  ital.,  s.  pacèr. 

•  D'origine  imitativa  dev'essere  pure  to' co  (vicent..  veron..  trent.  ecc.) 
*  sugo  „,  bologn    toVc  "  unto  di  cibi  ,. 

Con  paca  ecc.  va  forse  anche  l'ital.  impacciare,  impaccio,  colla  variante 
impicciare,  impiccio,  e  derivati  (cfr.  impacciucare  =  impacchi ncare).  V.  invece 
Rom.  etti  in.  Wort.,  N.  4296. 

'  Nel  trent.  piciikom  "brodolone;    sciattone;  abborraccione,,   allato    a 

Archivio  glottol.  ital.,  XVIII.  28 


428  Angelico  Prati, 

67.  padana  [pacana\  (moderi.)   "  botta  (animale)  „. 
Dipende  da  paca,  di  cui  nell'articolo  precedente,  perché  questa 

bestia  sta  nei  luoghi  umidi. 

68.  Patrasso  (andare  a-,  mandare  a-)  (ital.)  "  andare,  man- 
dare a  morire,  a  rovina  „.  S'usa  anche  in  pili  dialetti  dell'alta 
Italia  (venez.,  lomb.,  trent.). 

Le  spiegazioni  proposte  per  questo  modo  di  dire  si  possono 
vedere  presso  il  Piaxioianj,  Vocab.  etim.  ital.,  s.  v.  ;  il  Fanzini, 
Dizion.  moderno,  s.  v.  ;  il  Cesarini  Sforza,  Tridentum,  a. Ili,  p.l47; 
il  Musatti,  Guida  storica  di  Venezia.  HI  ediz.,  Milano,  1912, 
p.  177,  n.  3.  E  a  credere  però  che  giusta  sia  quella  riportata 
da  Geremia  Bonomelli,  Un  autunno  in  Oriente,  Milano,  1898, 
p.  17,  n.  :  "  Patrasso  fu  per  lungo  tempo  sotto  la  signoria  di 
Venezia  e  quel  Governo  vi  mandava  i  condannati  per  debiti  a 
scontare  la  loro  pena  e  di  qui  la  frase  —  Va  a  Patrasso  !  „. 

69.  péjt  (trent.),  ped  (moden.)   "  poppe  delle  bestie  „. 

Il  trentino  à  péjt,  coi  derivati  pejto'm,  pejto't,  e  péjt  col  deri- 
vato jjejdg'm,  secondo  il  Riccr,  il  quale  scvìve  peid,  che,  in  quanto 
all'/,  sarà  errore  di  stampa.  In  quanto  al  -d,  esso  è  inesatto, 
ma  qui  si  tratta  del  vezzo  biasimevole  del  Ricci,  di  usare  in 
fine  di  parola  la  sonora  al  luogo  della  sorda  della  pronunzia. 
II  roveretano  conosce  peitera  "  bestia  di  gran  poppe  .,  (Azzolini), 
il  solandro  péjt,  secondo  il  Battisti,  Die  Nonsh.  Mund.,  p.  130, 
n.  1,  il  Belcalzer  (mantov.)  peit,  il  modenese,  allato  r  ped,  pure 
pet,  che  il  Flechia,  Arch.  Glott.,  v.  II.  p.  369,  dice  forma  pili 
organica.  Ma  qui  non  intemlo  di  spiegare  queste   forme  oscure 


paciigo'iH,  sarà  presente  forse  -ucco.  anzi  pure  il  paciìic  [pacii'k]  del  Ricci 
potrebbe  offrirci  appunto  questo  suffisso,  giacché  altrimenti  il  Ricci,  giusta 
il  suo  brutto  metodo,  avrebbe  scritto  paciìig. 


Raggranellando  429 

(cfr.  Battisti,  La  voc.  a  ioti,  nel  lad.  rentr.,  p.  75,  n.  ;  Malagòli, 
Arch.  Glòtt.,  V.  XVII,  p.  172),  bensì  di  richiamare  l'attenzione 
sulla  corrispondenza  tra  la  forma  modenese  con  d  e  quella  tren- 
tina pure  con  d  ^ 

70.  péle  (valsug.),  j^fl  (trent.)  "  sgualdrina  „. 

Dal  lat.  pèllex  (cfr.  ital.  ant.  pellice  "concubina;  rivale  „), 
come  il  trent.  res  da  re  sex  (v.  N.  77).  A  detta  base  pensa- 
rono già  il  Cesakini  Sforza,  Strenna  trent.  p.  Va.  189J,  p.  70,  e 
il  Ricci,  p.  318,  il  quale,  nonostante,  nasconde  la  parola  sotto  pè/ 
"  pelle  J  2 

71.  péntima  (tarent.)  "  rupe,  scoglio,  grosso  sasso  „,  péntuma 
(logud.)  "  voragine  „,  gallur.  spéntunm  ecc. 

Il  GuARNERio,  Rend.  d.  Ist.  Lomb.,  s.  II,  v.  XLIV,  p.  1098, 
disse  già  che  vanno  col  còrso  petita  "  parte  scoscesa  di  colle  : 
acquatella  che  scende  dai  monti  „,  da  péndìta  {Arch.  Glott., 
v.  XIV,  p.  400  ;  Bendic.  d.  Ist.  Lomb.,  s.  II,  v.  XLIX,  p.  842,  n.  2), 
ma  bisogna  aggiungere  che  la  terminazione  -ima,  -urna,  -umii 
è  certo  da  anteriore  -ina,  al  qual  proposito  si  possono  addurre 
a  confronto:  valsug.  molépene  "sorbo  salvatico  „,  da  malu, 
Pmtena  "  cigna  ;  balza»,  trent.  kq'nseno,  konsena,  da  ko'nso, 
ko'nsa  "  coso,  cosa  „,  moden.  savaré^na  "  santoreggia  „,  ed  altri 
esempì,  tra  i  quali  il  \og\\A.  pàdimu  "  piatto,  piano  ...  In  quanto 
all'/»,  si  noti  che  il  Guarnerio,  alla  n.  1  del  1.  e,  indica  diversi 


'  Naturalmente  non  si  pnò  pensare  all'inflrienza,  sia  pur  solo  riguardo 
al  suono,  di  p  è  d  e ,  poiché  avrebbe  pur  dovuto  seguire  le  vicende  di 
questo  (moden.,  trent.  pe  *  piede  ,,  plur.  moden.  pe,  trent.  pej). 

•  n  valsug.,  trent.  ^yelanda,  d'ugual  significato  (valsug.  spelando'»  "  sot- 
taniere ,),  va  col  bergam.  pelando  "  meretrice  „  e  "  denominazione  d'ogni 
abito  lungo  e  largo  ,,  vicent.  ant.  ecc.  ■*  mantello  „  (v.  anche  Mussakia, 
Beitrag,  p.  86),  coli' ital.  palandra  ecc. 


430  Angelico  Prati. 

casi  sardegnoli  di  m  in  luogo  di  »,  ed  è  da  avvertire  che  essi 
presentano  l'assimilazione  al  p  precedente  (campid.  pùrdumu 
"  abròtano  .,,  sard.  sett.  ispàrainu  "  sparagio  „,  logud.  pàdiinu), 
se  si  tralascia  rlyamu  (logud.)  "  origano  „,  cui  corrisponde 
regnino  pure  nell'italiano.  Cfr.,  con  assimilazione  al  6,  il  vicent., 
padov.,  poles.  brófema  *■  brina,  brinata  „,  da  brn'fa  (valsug., 
vencz.),  bniosa  (allato  a  bruosema)  (vicent.  ant.). 

72.  pizfo't  {((-)  (rover.),  a  pizko'p  (trent.)   "  a  spizzico  ,, . 
Nel  roveretano  anche  a  pizzega  porco  (Azzolini),  nel  trentino 

liigàr  a  piz  ko'p  o  a  piz  e  ho  p  "  giocare  a  nocino  „  e  pnzfo't 
vale  "  omicciolo  :  ragazzaccio  „ ,  pizfo'ta  ''  uccelletto,  pispola 
(anche  per  donnuccia)  ^.  Devono  essere  tutte  variazioni  scher- 
zose, come  quelle  indicate  a  p.  406.  n.  1.  del  v.  XVII  deir.4/-c/^ 
Glott. 

73.  prH  (trent.)   '"  cimice  elegante,  delle  piante  ^. 

Detto  cosi  per  la  somiglianza  tra  la  forma  e  i  colori  vivaci 
del  dorso  dell'insetto  e  quelli  della  pianeta  del  prete  celebrante. 
Altrove  '•  prete  „  e  "  frate  „  è  detto  il  cavalocchio  (piemontese 
préive  ecc.  :  v.  Salviom,  Eendic.  d.  Isf.  Lomb..  v.  XLII.  p.  848, 
Di  qualche  criterio  dell'indagine  etini.,  p.  18  ;  Bertoni,  Arch. 
Glott..  V.  XVII.  p.  509). 

74.  quaro  (veron.  ant.)   "  ponte  ,   (v,  a  p.  249.  ii.  1). 

75.  quo'colo    (ital.)    "  pietra  in  generale  tondeggiante  „    e 
V.  Nerucci,  Tommaseo,  Petrocchi  (anche  cuocolo,  e   v.  cuogolo). 

Va  assieme  col  venez.  hiógolo,  kógolo,  padov.,    poles.   kógolo, 
vicent.  ant.  cuogolo,  moderno   ko'golo    "  ciottolo  „    e   cogli  altri 
termini  affini,  la  cui  origine  è  indicata    nel    Rom.  etym.  Wort., 
2011,  N.  4.  Sono  senz'altro  da  scartare  le  altre  basi  accennate i 
ivi  a  p.  162  e  al  N.  2288,  e  dal  Salvioni,  nella  Ber.  de  Dial.; 


Raggranellando  431 

Bom.,  V.  V,  p.  182,  N.  1783  a.  A  una  base  con  t  risale  invece 
il  trevis.  kódolo  "  ciottolo  „  (v.  Olivieri,  Saggio  di  topon.  veti., 
p.  256),  valsug.  ho  dolo   "  sasso  grosso  „. 

76.  regtis  (rover.)  "  guaime  „. 
Quando  il  Salvioni,  Romania,  v.  XXXVI.  p.  247,  spiegava 
acutamente  il  veron.  camp,  ragufo  "  secondo  taglio  dell'erba  „, 
dal  lat.  refusu,  non  conosceva  la  forma  roveretana,  più  vi- 
cina alla  base  anche  nel  significato  ^  e  che  è  una  delle  parecchie 
rispondenze  tra  roveretano  e  veronese  ^. 


'  L'AzzoLiNi  la  definisce  come  l'erba  che  spunta  nei  prati,  ma  poi  vi  fa 
.corrispondere  "  guaime  ,,  che  per  lui  vale  anche  *  grumereccio  „,  poiché 
definisce  ar-ira,  er'Jva  come  ■*  guaime,  fieno  serotine  ,.  Il  Bortolàn,  Voca- 
bolario d.  dial.  ant.  vicent.,  riporta  un  reguxo,  che  è  certo  la  voce  medesima. 

-  II  parlare  di  Rovereto  si  distingue  da  quello  di  Trento,  oltre  che  per 
certi  caratteri  fonetici,  anche  per  certi  caratteri  lessicali,  e  avviene  a  volte 
che,  in  tal  caso,  s'accordi  con  quello  di  Verona.  È  quindi  necessario  d'in- 
dicare come  roveretane  e  non  come  trentine  tutte  le  parole  che  risultino 
appunto  proprie  di  Rovereto  e  non  di  Trento,  cosa  che  gli  studiosi  anno 
trascurato  in  generale  di  fare.  Cosi  il  Salvioni,  Rendic.  d.  Istit.  Lomh.,  s.  II, 
V.  XL,  p.  733,  trattando  di  corrispondenze  lessicali  alpine  cita  i  trent.  zoel, 
nr;iva,  eriiva,  ìadrar.  Premesso  che  questo  suona  ledràr  "  rincalzare  ,,  si 
hoti  che  il  primo  non  esiste,  mentre  esiste  il  rover.  gola  "  capra  „,  e  rove- 
retani  sono  pure  ariiva,  er'Jva,  non  trentini  come  à  anche  il  Bertoni,  Italia 
dial.,  p.  35.  A  p.  271  [17]  delle  sue  Postille  il  Salvioni  dice  che  pjg've  e 
anche  appellativo,  p.  e.  a  Verona  e  a  Trento,  e  il  Rom.  etym.  Wort.,  N.  6591, 
lo  copia,  ma  la  voce  è  invece  di  Rovereto  e  suona, pjq'f,  e  il  rover.  ostariq't 
diventa  un  trent.  ostarioto  (!)  a  p.  S30  del  v.  VII  degli  Studi  di  Filol.  Rom. 
e  a  p.  91  del  v.  II  della  Rei\  de  Dial.  Rom  ,  mentre  trentina  è  la  forma 
ostariante  (v.  Bull,  de  Dial.  Rom.,  v.  VI,  p.  94,  n.).  Del  pari  roveretani  e 
non  trentini  sono  tarànz  (trent.  tardnt)  (v.  Arch.  Glott.,  v.  XVIf,  p.  420, 
n.  3),  fgaoràr  (anche  veron.)  (Romania,  v.  XLIII,  p.  579)  (trent.  stralaorór  : 
v.  Ricci,  Append.),  anaro  (v.  Arch.  Glott.,  v.  XVII,  p.  403,  n.  1),  ague'j 
(trent.  ague'l)  (v.  ivi,  p.  418),  boa,  bora  (v.  Nigra,  Arch.  Glott.,  v,  XV,  p.  280), 
huràr  (ivi,  p.  495),  tarto'r  "  imbuto  da  salami  „  (ivi,  p.  297)  (veron.  tortq'r 
'imbuto,,  trent.    e    rover.  lore'l:    Arch.  Glott.,  v.  XVII,  p.  278),    uje'rdola 


432  Angelico  Prati, 

77.  res,  réfol  (treiit.)  "piantone;  magliolo  „,  rjh  (alto  nb- 
nese)  "  viticcio  „. 

Dal  nominat.  lat.  resex  "  saéppolo  „.  P]  v.  Rom.  etym.  Wort., 
N.  7242. 

78.  rito,  rìdo  (ant.)   '"  rivo  „. 

Della    forma    rido    v.  Salvioni,    Jiollett.    Stor.  d.  Svizz.  ItaL, 
V.  XIX,  p.  164^  e  si  rammentino  qui  un  ridus  Calliani,  nel  di- 


(veron.  q/(''rtola  [non  o/érdola,  come  à  il  Bertoni,  Romania,  v.  XLII,  p.  161,  n.], 
tient.  nife  r dola,  i/e'rdola,  hi/e'rdolu  [v.  Rev  de  Dial.  Rom.,  v.  VI,  p.  151.  n.] 
[sbaglia  quindi  il  Bertoni  anche  a  p.  509,  n.,  del  v.  XVII  dell'are//.  Glotf.]). 
Nel  lavoro  Dell'elemento  germ.  tiella  lingua  ital.  del  Salvioni  (Rendic.  d.  Ist. 
Lomb.,  s.  II,  V.  XLIX)  spesso  sono  distinte  le  parole  roveretane  dalle  tren- 
tine, ma  son  date  come  trentine  bdjz  (p.  1017),  era  (p.  1018),  pòtto